OMELIA PER LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I MEMBRI DEL COMITATO CATTOLICO PER LA COLLABORAZIONE CULTURALE

 

Cappella della Domus Sanctae Martae, 13 gennaio 2024

 

 

ASCOLTARE DIO CHE CHIAMA ALL’UNITÀ

 

Siamo già nel tempo ordinario e celebriamo la seconda domenica. Ma proprio dopo il ciclo liturgico del Natale, nel vangelo odierno incontriamo ancora una volta Giovanni Battista, che ci ha accompagnato durante tutto l’Avvento. Il fatto che questa figura tipica dell’Avvento ci venga proposta anche all’inizio del tempo ordinario significa che, dopo il Natale, non ci siamo lasciati l’Avvento alle spalle, ma siamo chiamati a vivere sempre nell’attesa dell’Avvento della venuta di Dio, cogliendo come sfida quella di riconoscere che il mistero del Natale continua ad avere un impatto sulla nostra vita quotidiana.

 

Il Dio che chiama nella vita di ciascuno

A Natale abbiamo celebrato Dio che viene verso noi uomini e si fa tanto vicino da diventare lui stesso uomo, addirittura bambino. Anche dopo Natale, Dio vuole continuare ad essere presente nella nostra vita. Non si è ritirato dal mondo e dalla nostra vita dopo Natale, ma si manifesta anche nel nostro quotidiano, come ci mostra la lettura molto profonda del libro veterotestamentario di Samuele: il Signore chiama Samuele tre volte nel sonno. Ma Samuele pensa che sia il sacerdote Eli a chiamarlo. Eli, dal canto suo, si accorge solo alla terza volta che è il Signore stesso a chiamare Samuele. Dopo che entrambi scoprono chi chiama, la lettura si chiude con una bella immagine: “Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.”

La lettura odierna ci ricorda che Dio si mostra nelle Sacre Scritture come un Dio che chiama, e che crea nel chiamare. Quando Dio chiama, crea la realtà, come si vede soprattutto nel primo libro della Bibbia: “Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona” (Gn 1,3-4). Non solo nei confronti dell’intera creazione, ma anche e soprattutto nei confronti di noi esseri umani, Dio si rivela un Dio che chiama, un Dio che si rivolge all’uomo in maniera concreta e vuole da lui essere ascoltato. Già nel giardino del paradiso il Signore si rivolge ad Adamo e lo chiama: “Dove sei?” (Gn 3,8). Dio chiama così Adamo alla sua immediata presenza, lo chiama davanti a sé e fa appello alla sua responsabilità. La chiamata di Dio attende una risposta da chi viene chiamato. Ciò è particolarmente vero quando la chiamata divina mira a trarre qualcuno – come Abramo – fuori dal suo mondo tradizionale e dal suo mestiere abituale.

Dio chiama in questo modo ogni cristiano, e lo fa nel battesimo. Pertanto, si può e si deve parlare di chiamata di tutti i battezzati a una missione ecclesiale fondamentale che riguarda tutti i membri della Chiesa. Nel battesimo, l’individuo viene accolto nella comunità di fede della Chiesa e a lui viene affidata la missione ecclesiale di apportare il suo contributo all’edificazione della Chiesa e di annunciare il Vangelo in tutti gli ambiti della vita quotidiana.

 

Il Dio che chiama attraverso gli uomini

Dio chiama ancora oggi; e possiamo essergliene grati. È vero, la storia di Samuele mostra anche che Dio non chiama direttamente, ma usa gli esseri umani come mediatori, ad esempio nel caso del sacerdote Eli. Questo ci spinge a chiederci se anche noi oggi siamo al servizio di questa mediazione della chiamata che Dio rivolge agli altri. Oppure non potrebbe essere che l’attuale indebolimento della sensibilità alla chiamata di Dio nella Chiesa e la mancanza di vocazioni al servizio ecclesiale e alla vita religiosa siano dovuti al fatto che anche oggi ci sono tra noi molti Samueli, ma forse pochi, troppo pochi Eli, capaci di far notare che è il Signore stesso che chiama e invita alla vocazione?

Ecco che arriviamo al compito essenziale della Chiesa. Esso consiste nell’aiutare le persone ad ascoltare la chiamata di Dio nella loro vita personale, e anche nell’aiutarle a dare la propria risposta a questa chiamata di Dio. La pastorale ecclesiale è infatti pastorale vocazionale. Se riprendiamo coscienza di questo, sono convinto che anche nella Chiesa oggi ci saranno più vocazioni alla vita spirituale e al ministero sacerdotale. Tali vocazioni dipenderanno dalla nostra capacità di percepire di nuovo con forza la vocazione fondamentale ad essere cristiani nella sua profondità e nella sua luminosità. I carismi, i servizi e i ministeri nella Chiesa sgorgano solo dalla sorgente della nuova vita che ci è stata donata e comunicata nel battesimo.

Ma in cosa consiste la vocazione che tutti noi abbiamo in comune attraverso il battesimo? Due persone nel vangelo odierno offrono una bella risposta a questa domanda. Innanzitutto Andrea, che conduce il fratello Simon Pietro da Gesù. Gesù lo guarda e gli dà un nome: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa - che significa Pietro”. Dando a Simon Pietro un nuovo nome, Gesù lo chiama anche a una nuova missione. Ancora una volta è una persona, ovvero Andrea, che si fa mediatore della chiamata rivolta da Gesù a Pietro, portando Pietro da Gesù. Ciò mostra molto chiaramente quale sia anche oggi la missione fondamentale della Chiesa e dei suoi membri: condurre gli uomini a Cristo perché essi stessi credano di aver trovato in lui il Messia, il Figlio di Dio.

Ciò è assolutamente evidente in Giovanni, che battezza nel Giordano e, rivolgendo il suo sguardo a Gesù che passa, dice: “Ecco l’Agnello di Dio!” Giovanni non solo è il precursore di Gesù, ma è anche il modello della Chiesa cristiana. Di fatti, la sua vita consiste interamente nell’indicare Colui che viene. Giovanni Battista è un uomo “transitorio”, un uomo che sapeva che, nel suo “transito”, sarebbe sempre rimasto dietro a colui che egli indicava e di cui era il precursore. Ecco perché il Battista è diventato la figura caratteristica dell’Avvento, che ci rende consapevoli del fatto che la Chiesa vive sempre nell’Avvento e questo non solo durante il tempo d’Avvento. La Chiesa è essa stessa, profondamente e pienamente, una comunità d’Avvento che non ha altra missione se non quella che aveva il Battista, ovvero mostrare il Signore che viene: così come Giovanni è stato una figura “transitoria”, il cui “transito” ha preparato la strada a Cristo, e non ha mai messo in mostra se stesso ma ha sempre distolto l’attenzione da sé per rivolgerla verso il Cristo che viene, anche la Chiesa può essere soltanto una Chiesa “transitoria”, una Chiesa che, vivendo nell’Avvento, apre la strada al Cristo e verso di lui attira l’attenzione.

 

La chiamata di Cristo all’unità

La nostra vocazione come cristiani e come Chiesa è, come quella di Giovanni, una chiamata ad essere indici viventi che puntano verso Cristo. Quanto più lo faremo, tanto più ci avvicineremo gli uni agli altri nella ricerca ecumenica dell’unità andata persa. L’ecumenismo, infatti, può crescere in ampiezza solo se è radicato nella profondità della fede in Gesù Cristo. Anche qui Dio si mostra come un Dio che chiama, che ci chiama ad uscire dalle nostre divisioni e separazioni per dirigerci verso l’unità, secondo lo stesso appello rivolto da Gesù nella preghiera alla vigilia della sua passione, affinché tutti siano una cosa sola.

L’impegno ecumenico consiste, in senso profondo, nell’ascolto di questa chiamata di Gesù Cristo, nell’avere, per così dire, un cuore in ascolto e nel fare nostra la richiesta di unità del Signore. L’ecumenismo è un’adesione alla preghiera di Gesù per l’unità. Se ascoltiamo questa chiamata e la comprendiamo come chiamata del Signore, allora non potrà esserci assolutamente alcuna alternativa all’impegno ecumenico. L’Ottavario di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che tra poco inizierà, vuole sensibilizzarci e riportare alla nostra coscienza il fatto che il primo obbligo ecumenico è la preghiera per l’unità, che il Decreto del Concilio Vaticano Secondo sull’ecumenismo definisce come anima di tutto il movimento ecumenico.

È importante ricordare che anche il compito ecumenico ha il suo fondamento più profondo nel battesimo. Anche l’ecumenismo sta o cade con il reciproco riconoscimento del battesimo, nel quale siamo uniti a Cristo e incorporati a lui. Ecumenismo significa anche sostenerci a vicenda, tradurre nella vita di ogni giorno ciò che ci è accaduto nel battesimo, aiutarci a vivere da battezzati.

In questo atteggiamento di fondo, chiediamo al Dio vivente di aiutarci a riscoprire la nostra vocazione battesimale, di vivere come indici parlanti puntati verso Cristo e di diventare sempre più Eli che aiutano anche oggi i Samueli a riconoscere la loro vocazione, con orecchio sensibile alla voce del Signore e in grado di rispondere con la vita alla sua chiamata. Allora certamente anche nella nostra vita e nella vita della Chiesa si avvererà la promessa che il Signore fece a Samuele: “Il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.” Amen.