Ebraismo e cristianesimo:
IL GRANDE PATRIMONIO SPIRITUALE COMUNE

 

Reverendo P. Norbert Hofmann, SDB
Segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo

 

 

La “Giornata dell’ebraismo” che la Chiesa in Italia celebra oggi, 17 gennaio, è segno del grande apprezzamento della Chiesa cattolica nei confronti del giudaismo. Questa giornata intende offrire ai cristiani l’opportunità di ricordare con gratitudine le radici ebraiche della loro fede, come pure di sensibilizzarsi al dialogo attualmente in corso con l’ebraismo. La “Giornata dell’ebraismo” è festeggiata il 17 gennaio oltre che in Italia anche in Polonia, in Austria e nei Paesi Bassi, introdotta dalle rispettive Conferenze episcopali.

Quest’anno, il 28 ottobre, ricorrerrà il 60° anniversario della promulgazione della Dichiarazione conciliare “Nostra aetate”. Tale documento è stato il punto di partenza di un dialogo sistematico tra la Chiesa cattolica e le altre religioni del mondo. Nel quarto paragrafo, per la prima volta nella storia della Chiesa, si trova un’esplicita ridefinizione teologica dell’atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti dell’ebraismo. Questo paragrafo rappresenta un risoluto Sì alle radici ebraiche del cristianesimo e un altrettanto risoluto No a tutte le forme di antisemitismo. Vi si legge espressamente: “Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo”. Questo ricco patrimonio rappresenta la base comune del dialogo ebraico-cristiano, che va riscoperta in maniera sempre più approfondita. I cristiani riconoscono in tale ricchezza una dimensione di compimento e novità, a cui non avrebbero avuto accesso senza la fede in Gesù quale Messia.

Al riguardo, l’allora cardinale Joseph Ratzinger annotava quanto segue, in un articolo comparso su L’Osservatore Romano del 29 dicembre 2000, intitolato “L’eredità di Abramo, dono di Natale”: “Compito del popolo eletto è quindi donare il loro Dio, il Dio unico e vero, a tutti gli altri popoli, e in realtà noi cristiani siamo eredi della loro fede nell’unico Dio”. Da parte ebraica, ciò è stato confermato nella dichiarazione Dabru Emet, pubblicata negli Stati Uniti l’11 settembre 2000 da alcuni noti rabbini: “Ebrei e cristiani adorano lo stesso Dio. Prima dell’avvento del cristianesimo, solo gli ebrei adoravano il Dio d’Israele. Ma i cristiani adorano anche il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Creatore del cielo e della terra. Sebbene la fede cristiana non sia un’alternativa accettabile per gli ebrei, noi, come teologi ebrei, ci rallegriamo del fatto che milioni e milioni di persone siano entrate in una relazione con il Dio di Israele attraverso il cristianesimo”.

I cristiani hanno adottato dagli ebrei la fede nell’unico Dio d’Israele, anche se l’immagine di Dio presenta una differenza fondamentale tra ebraismo e cristianesimo. I cristiani credono che Dio si sia rivelato al popolo d’Israele, ma non si sia fermato a questa rivelazione, perché nel suo Figlio Gesù Cristo non solo ha completato la rivelazione originaria, ma l’ha portata alla sua pienezza. Inoltre, i cristiani sono convinti che Dio sia in sé una relazione d’amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo. La visione trinitaria di Dio dei cristiani contrasta con quella ebraica, tanto che ebrei e cristiani non possono pregare insieme, in senso stretto. Se nella preghiera i cristiani si rivolgono a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo, l’ebreo credente prega senza alcuna mediazione l’unico Dio d’Israele. Ciò che ebrei e cristiani hanno in comune è il monoteismo, la fede nell’unico Dio di Israele, ma questa assume forma diversa a seconda della tradizione teologica. Il dialogo tra cristiani ed ebrei è spesso caratterizzato dal fatto che essi percepiscono in una prospettiva completamente diversa ciò che scoprono come comune. Questo vale anche per le Sacre Scritture, nelle quali, secondo la concezione cristiana ed ebraica, Dio si è rivelato affinché gli uomini possano vivere secondo la sua volontà e in questo modo realizzarsi. La Bibbia ebraica non è identica all’Antico Testamento dei cristiani; l’interpretazione della Parola di Dio avviene in un quadro ermeneutico diverso. La Bibbia ebraica contiene libri diversi e li ordina in modo diverso rispetto all’Antico Testamento dei cristiani, che comprende i cosiddetti libri deuterocanonici e le aggiunte, e ha una struttura di fondo differente. I cristiani leggono l’Antico Testamento partendo dall’evento di Cristo, mentre gli ebrei considerano solo il Pentateuco come Sacra Scrittura in senso stretto. Sia ebrei che cristiani presuppongono una rivelazione scritta e orale di Dio. Anche in questo caso si tratta dello stesso principio di base, che viene però interpretato e applicato in modo molto diverso. Gli ebrei credono che Mosè ricevette sul Monte Sinai anche una rivelazione orale, che, trasmessa alle generazioni successive, si riflette nella Mishnah, nelle tradizioni talmudiche e nei commenti dei Padri e degli studiosi succedutisi nei secoli. I cristiani, invece, credono che lo Spirito di Dio sia attivo anche nella storia della Chiesa, e che quindi la Chiesa testimoni autenticamente nel suo insegnamento (Magistero) la Parola di Dio e sia in grado di interpretarla nelle diverse epoche, in modo tale che la volontà di Dio serva da guida per un’azione retta. L’ebraismo non ha un Magistero unico, riconosciuto universalmente; l’interpretazione della rivelazione di Dio si mostra in una varietà apparentemente illimitata di ricche sfaccettature. Mentre per gli ebrei ogni interpretazione della Scrittura amplia, prosegue e completa le altre, cosicché numerose interpretazioni si affiancano, nella Chiesa cattolica esiste una dottrina formatasi nella tradizione e stabilita dalla massima autorità, che offre un orientamento e genera un’identità.

La parola di Dio rivelata è la fonte degli orientamenti etici in entrambe le tradizioni religiose: l’ebraismo si ispira ai comandamenti trasmessi da Dio nella Torah (mitzvot), mentre il cristianesimo guarda al modo in cui Gesù Cristo trasforma questi comandamenti nella sua persona, diventando lui stesso, con la sua vita e con il dono di sé, modello di un autentico agire cristiano. In entrambe le religioni, gli orientamenti etici sono presentati come comandamenti di Dio che, se seguiti, pongono gli esseri umani nella giusta relazione con Lui. Ma tali orientamenti toccano il nucleo più profondo della persona, il che significa che, anche se sembrano imposti dall’esterno da Dio, in realtà sono inscritti nel cuore stesso dell’individuo. Chi segue i comandamenti di Dio raggiungerà la sua vera umanità, la piena realizzazione del proprio destino divino come essere umano in questo mondo. Tuttavia, il fondamento dell’agire etico nella Torah è rappresentato dai “Dieci Comandamenti”, che furono rivelati a Mosè da Dio sul Sinai. Papa Benedetto XVI, il 17 gennaio 2010, nel discorso rivolto alla comunità ebraica nella sinagoga di Roma ha affermato: “In particolare il Decalogo – le ‘Dieci Parole’ o Dieci Comandamenti (cfr Es 20,1-17; Dt 5,1-21) – che proviene dalla Torah di Mosè, costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un ‘grande codice’ etico per tutta l’umanità.  Le ‘Dieci Parole’ gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana.” Anche se i cristiani adottano il Decalogo ebraico come norma etica fondamentale, dobbiamo ricordare che il testo biblico è strutturato in modo diverso nelle due tradizioni religiose e l’interpretazione dei singoli comandamenti spesso differisce. Entrambe le religioni, ad esempio, considerano la vita umana come un dono di Dio che deve essere sempre protetto e non può essere messo alla mercè dell’uomo in senso assoluto. Ma quando si tratta della tutela della vita prima del parto o della questione dell’eutanasia in senso più ampio, emergono interpretazioni divergenti tra ebrei e cattolici. Ciò che è comune è visto a volte in modo diverso nel contesto delle diverse tradizioni religiose.

Il Dio d’Israele, al quale fanno riferimento insieme ebrei e cristiani, l’interpretazione della Scrittura come interpretazione della Parola di Dio e il radicarsi di orientamenti etici nella rivelazione di Dio sembrano essere – al di là della diversità dei punti di vista – le principali convergenze tra ebrei e cristiani; in realtà, esiste tutta una serie di altri punti di contatto. Il documento della Pontificia Commissione Biblica, “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”, tenta di elencarli in maniera riassuntiva (1. Rivelazione di Dio; 2. La persona umana: grandezza e miseria; 3. Dio, liberatore e salvatore; 4. L’elezione di Israele; 5. L’alleanza; 6. La legge; 7. La preghiera e il culto, Gerusalemme e il Tempio; 8. Rimproveri divini e condanne; 9. Le promesse).

Circa la ricca eredità dell’ebraismo per il cristianesimo, va sottolineato un altro fatto molto importante, vale a dire l’attesa del Messia. Gli ebrei aspettano il Messia, i cristiani credono che egli sia già venuto in Gesù di Nazaret, ma che tornerà nella gloria alla fine dei tempi come Signore del mondo. Sia ebrei che cristiani aspettano il Messia alla fine dei giorni, anche se i cristiani hanno già chiaro chi e cosa sia questo Messia. Il filosofo ebreo Martin Buber osserva che ebrei e cristiani attendono il Messia, con i cristiani convinti che egli, già venuto e partito, un giorno ritorni. Gli ebrei credono invece che il Messia non sia ancora arrivato, ma che prima o poi arriverà. Così, Buber ci suggerisce: dovremmo aspettare insieme e quando verrà il Messia potremmo chiedergli se è già stato qui. E aggiunge che spera di stargli molto vicino per poi sussurrargli all’orecchio: “Non rispondere!”

Entrambe le religioni presuppongono che il tempo sulla terra sia misurato e che alla fine dei giorni il Regno di Dio si affermerà con potenza. Tuttavia, le idee su come ciò avvenga variano ampiamente. Va ribadito quanto osservato in precedenza: ciò che accomuna ebrei e cristiani viene percepito da una prospettiva diversa. Riguardo all’attesa del Messia, nel citato documento della Pontificia Commissione Biblica si legge: “L’attesa messianica ebraica non è vana. Essa può diventare per noi cristiani un forte stimolo a mantenere viva la dimensione escatologica della nostra fede. Anche noi, come loro, viviamo nell’attesa. La differenza sta nel fatto che per noi Colui che verrà avrà i tratti di quel Gesù che è già venuto ed è già presente e attivo tra noi” (n. 21).

Per i cristiani di tutte le confessioni, il dialogo con l’ebraismo non può e non deve essere visto come un’interessante attività ricreativa a cui si può rinunciare a piacimento nei momenti difficili, perché si tratta di una questione di identità, di auto-conoscenza sullo sfondo degli sviluppi storici e teologici. Il cristianesimo ha innegabili radici ebraiche, e questo è senza dubbio il primo motivo per cui i cristiani dovrebbero iniziare a parlare con gli ebrei e continuare a farlo. Da un punto di vista teologico, il cristianesimo si riallaccia all’ebraismo e da lui dipende, e non può in nessun caso ignorare le circostanze del suo sorgere. Ora si potrebbe obiettare che, sebbene il cristianesimo abbia avuto origine dall’ebraismo dei tempi di Gesù, l’ebraismo oggi è qualcosa di completamente diverso. Naturalmente l’ebraismo rabbinico e il cristianesimo si sono sviluppati e sono cambiati nel corso dei secoli, ed entrambi hanno conosciuto conflitti e divisioni interne. Eppure il cristianesimo odierno, qualunque sia la sua forma, e l’ebraismo, così come si presenta oggi nella sua inconfondibile diversità, sono ancora legati dalle loro origini comuni. Anche a livello teologico, il cristianesimo ha bisogno dell’ebraismo alla luce del ricco patrimonio spirituale che accomuna le due tradizioni.

 

 

 

L'Osservatore Romano, 17 gennaio 2025