ASSEMBLEA PLENARIA 2016
PROLUSIO DEL CARDINALE PRESIDENTE

UNITÀ DEI CRISTIANI: QUALE MODELLO DI PIENA COMUNIONE?[1]

Kurt Cardinale Koch

 

1. Uno sguardo al passato con gratitudine, ed al futuro con realistica speranza

Che ne è oggi dell’obiettivo ecumenico dell’unità dei cristiani? Come deve essere intesa la piena comunione ecumenica? E a che punto è l’ecumenismo oggi? Dietro a queste domande apparentemente innocue si cela il sospetto, per quanto non espresso, che l’ecumenismo si trovi ad un punto fermo e non avanzi. Di fatti, si parla molto di impasse e addirittura di inverno dell’ecumenismo. Tuttavia, chi osserva la situazione ecumenica odierna ed è impegnato personalmente nell’ecumenismo non potrà condividere questa diagnosi. Ciò vale soprattutto se si volge lo sguardo all’ecumenismo mondiale e ci si accerta di ciò che è stato possibile realizzare in tempi recenti.

Vanno ricordati innanzitutto i vari dialoghi che la Chiesa cattolica, dal Concilio Vaticano Secondo in poi, conduce con quasi tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali cristiane: con la Chiesa assira dell’Oriente e le Chiese ortodosse orientali, come i copti, i siriani e gli armeni, con le Chiese ortodosse di tradizione bizantina e slava, con le Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma, come i luterani, i riformati, i mennoniti e i battisti, con la Comunione Anglicana Mondiale, con i veterotocattolici e le varie Chiese libere, e con le comunità evangelicali e pentecostali, che hanno conosciuto una crescita esponenziale soprattutto nel XX secolo e all’inizio del XXI. Da tutti questi dialoghi è stato possibile raccogliere molti buoni frutti, come ha evidenziato il Cardinale Walter Kasper nel suo libro “Harvesting the Fruits”.[2] Guardare al passato ci spinge dunque, in primo luogo, a provare gratitudine per tutto quello che è stato finora conseguito.

Al di là di tutti questi risultati positivi, non può essere però taciuto il fatto che il vero e proprio obiettivo del movimento ecumenico, ovvero la ricomposizione dell’unità visibile della Chiesa, la piena comunione ecclesiale, non è stato ancora raggiunto e occorrerà probabilmente molto più tempo per conseguirlo di quanto si fosse immaginato cinquant’anni fa. Questa mancanza ha un peso ancora maggiore se consideriamo che il Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano Secondo, “Unitatis redintegratio”, individua proprio nell’unità visibile della Chiesa l’obiettivo di tutti gli sforzi ecumenici e lo legittima con la convinzione teologica fondamentale secondo cui Cristo ha voluto “una Chiesa una e unica”. A questa convinzione di fede si contrappone il fatto costatabile nella storia, e tuttora sperimentabile empiricamente, che esiste una pluralità di Chiese e di Comunità ecclesiali che propongano se stesse agli uomini “come la vera eredità di Gesù Cristo”. Poiché da ciò può scaturire un’impressione deleteria, “come se Cristo stesso fosse diviso”, il Concilio giunge alla conclusione che la divisione della Chiesa si oppone “apertamente alla volontà di Gesù Cristo”, è “di scandalo al mondo” e danneggia “la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura”[3].

Affermando tale convinzione di base, il Concilio Vaticano Secondo presenta l’impegno ecumenico come un serio dovere della Chiesa cattolica, poiché l’ecumenismo è una priorità al centro stesso della Chiesa. A più di cinquant’anni dalla promulgazione del decreto sull’ecumenismo, ci chiediamo dunque quale ne sia stata la recezione[4], a che punto si trovi l’ecumenismo oggi e quali siano i prossimi passi da compiere per raggiungere l’obiettivo ecumenico.

 

2. Un obiettivo ecumenico controverso

In primo luogo, s’impone la costatazione che lo stesso obiettivo ecumenico è uno dei temi più controversi nella situazione ecumenica attuale. Ci dobbiamo porre davanti a questa sfida fondamentale come primo passo, per poter intraprendere la ricerca della forma più adeguata di unità ecumenica. Come nella medicina, così anche nell’ecumenismo possono essere proposte utili terapie soltanto se si parte da una chiara diagnosi.

a) La mancanza di un consenso sull’obiettivo dell’ecumenismo

“Abbiamo bisogno di una ‘visione comune’, poiché ci allontaneremo ulteriormente gli uni dagli altri se non ci rivolgiamo verso un obiettivo comune. Se abbiamo di questo obiettivo interpretazioni opposte, ci muoveremo necessariamente, se siamo coerenti, in direzioni opposte.”[5] Con queste parole lungimiranti, già nel 1980, la Commissione mista romano-cattolica/ evangelica-luterana, nel suo documento comune “Vie verso la comunione”, aveva menzionato la particolare difficoltà rappresentata dal fatto che, nel movimento ecumenico, non esiste un consenso sul suo obiettivo. Se infatti, nell’ecumenismo, i vari partner non hanno davanti agli occhi un obiettivo ecumenico comune, ma interpretano in modo molto diverso il concetto di unità della Chiesa, vi è il forte rischio che si incamminino in direzioni divergenti per scoprire in seguito di essersi allontanati ancora di più gli uni dagli altri. Questo pericolo non si è assolutamente ridotto negli ultimi tempi, poiché finora tra le varie Chiese e Comunità ecclesiali non è stato possibile raggiungere alcun solido consenso sull’obiettivo del movimento ecumenico e sono stati addirittura messi in discussione alcuni consensi parziali che nel passato erano stati conseguiti al riguardo. Nel corso del tempo, l’obiettivo del movimento ecumenico è diventato dunque sempre più confuso e tutt’oggi non esiste un consenso su quale sia l’unità della Chiesa che si vuole ricostituire.

Nelle varie fasi del movimento ecumenico che si sono susseguite finora è stato possibile, da un lato, pervenire a consensi ampi ed incoraggianti su molte singole questioni controverse relative alla comprensione della fede e alla struttura teologica della Chiesa. Dall’altro lato, però, la maggior parte delle divergenze che permangono si raggruppano tuttora in una comprensione molto differenziata e marcata confessionalmente dell’unità ecumenica della Chiesa. In questo duplice fatto va riconosciuto il vero e proprio paradosso del movimento ecumenico odierno, che può essere riassunto con la precisa diagnosi presentata da S.E. Mons. Paul-Werner Scheele: “Si è unanimi sul fatto che l’unità è necessaria, e in disaccordo su cosa essa sia.”[6]

Questa difficoltà è oggi aggravata dal fatto che la ricerca ecumenica dell’unità della Chiesa è esposta ad un forte vento contrario nello spirito del tempo pluralistico e relativistico diventato oggi ormai scontato. A differenza di quanto sostenuto nella tradizione cristiana, che, secondo l’assioma teologico “ens et unum convertuntur” , considera l’unità come senso e fondamento della realtà, oggi, inversamente, è il pluralismo ad essere diventato il concetto base decisivo nella percezione della cosiddetta esperienza postmoderna della realtà. Secondo il saggio ormai famoso di Jean-François Lyotard “La condition postmoderne”, il postmoderno è quel pensiero che afferma la pluralità e sospetta di ogni realtà singola. Il presupposto di fondo della mentalità postmoderna è che non si possa e non si debba indagare col pensiero oltre la pluralità del reale se non si vuole essere sospettati di propendere verso un pensiero totalitario e che, piuttosto, la pluralità è l’unico modo in cui la totalità del reale ci si mostra, se mai lo fa.[7] Il rifiuto, per principio, del pensiero sull’unità è dunque un tratto precipuo del postmoderno, che “non è soltanto accettazione e tolleranza della pluralità, ma è propensione fondamentale verso il pluralismo”[8]. In questa mentalità postmoderna, ogni ricerca di unità appare come antiquata e pre-moderna.

A ciò si aggiunge il fatto che la mentalità postmoderna opera oggi anche all’interno del cristianesimo, ovvero, da un lato, nelle oggi assai diffuse correnti favorevoli al pluralismo religioso, che partono dal presupposto che non vi è solo una molteplicità di religioni, ma anche un pluralismo di rivelazioni divine, così che lo stesso Gesù Cristo può essere considerato soltanto come uno dei tanti redentori e annunciatori di una rivelazione nel mondo[9], e, dall’altro lato,  all’interno del pensiero ecumenico odierno, in un pluralismo ecclesiologico diventato ormai plausibile, secondo il quale proprio la pluralità e la diversità delle Chiese è vista come una realtà positiva ed ogni ricerca di unità della Chiesa è guardata con sospetto. A quanto pare, non soltanto ci si è adeguati al pluralismo di Chiese e Comunità ecclesiali, affermatosi nel corso della storia e oggi chiaramente costatabile, ma, in fondo, lo si è anche accolto di buon grado, così che la ricerca ecumenica dell’unità visibile della Chiesa non sembra realistica e non viene neppure considerata come auspicabile.

Non di rado si tenta di legittimare la rinuncia alla ricerca dell’unità della Chiesa con la Sacra Scrittura, ad esempio riferendosi al fatto che già il Gesù terreno aveva dovuto fare i conti al suo tempo, all’interno del popolo di Dio, con diversi gruppi e gruppuscoli, con i farisei e i sadducei, con gli zeloti e gli esseni, con i samaritani ed altri, e si era dunque trovato davanti ad un popolo di Dio diviso.[10] Oppure si menziona la tesi, più volte ripetuta, del teologo protestante neotestamentario Ernst Käsemann, con la quale egli ha tentato di giustificare anche le grandi divisioni della Chiesa, affermando che il canone neotestamentario fornisce un fondamento non all’unità della Chiesa, ma alla pluralità delle confessioni.[11] Per quanto anacronistica sia l’impresa di trasporre nel Nuovo Testamento la situazione odierna che vede, come risultato della storia, l’esistenza di Chiese e Comunità ecclesiali divise e differenziate confessionalmente, l’una accanto all’altra[12], la tesi di Käsemann rialza oggi nuovamente la testa, quando ad esempio il Consiglio della Chiesa evangelica in Germania vi fa riferimento nel suo testo base per la commemorazione della Riforma del 2017, interpretando le Chiese nate dalla Riforma come “parte del pluralismo legittimo, in quanto conforme alle Scritture, delle Chiese cristiane” ed elogiandole come sviluppo benaccetto che la Riforma del XVI secolo ha avuto a distanza.[13] Anche i coordinatori del gruppo di lavoro ecumenico di teologi protestanti e cattolici, Volker Leppin e Dorothea Sattler, riconoscono spesso che, tra gli attuali membri di questo gruppo di lavoro, sempre più numerosi sono quei teologi e quelle teologhe che “considerano la pluralità delle Chiese più come un elemento apprezzabile che come un motivo di preoccupazione”[14].

Questi esempi dimostrano che la ricerca ecumenica dell’unità della Chiesa deve fare oggi i conti con una mentalità teologica che è molto cambiata, e più precisamente con il fatto che la pluralità delle Chiese non è più considerata in riferimento alle divisioni storiche ed all’unità della Chiesa da ripristinare, ma è vista come un arricchimento - prodotto dalla storia – dell’essere Chiesa.[15] Ecco allora che vengono espresse reticenze di fondo davanti ad una comprensione dell’unità che non vede primariamente come una ricchezza la pluralità delle Chiese, soprattutto quando essa è stata originata dalle divisioni.

Con questa preferenza per la pluralità delle Chiese si postula e si difende oggi nella teologia ecumenica anche un cambiamento di paradigmi, che rimette in discussione il metodo ecumenico finora impiegato, il quale mira fondamentalmente al consenso e si concretizza nella ricerca di un “consenso differenziato”[16]. Secondo questo metodo, da un lato il consenso raggiunto nel dialogo su un contenuto fondamentale di una dottrina che fino a quel momento era stata fonte di controversie tra le Chiese viene formulato ed articolato congiuntamente; dall’altro, si menzionano in maniera altrettanto chiara le differenze che permangono, mostrando che esse non minano il consenso raggiunto e non sono più differenze che causano una divisione tra le Chiese, ma devono essere ulteriormente approfondite dal dialogo teologico futuro. Questo metodo ecumenico, che, tramite l’elaborazione di consensi fondamentali su questioni relative alla fede, vuole contribuire alla ricomposizione dell’unità della Chiesa, è oggi criticato da più parti, tanto che è stata proclamata la fine del cosiddetto ecumenismo del consenso, a cui dovrebbe, a quanto pare, sostituirsi un ecumenismo della differenza[17]. Strettamente legato a questo discorso è il concetto diffuso dal Vescovo protestante Wolfgang Huber di un “ecumenismo dei profili”, secondo la cui logica interna si tende a delineare la propria identità confessionale in contrasto con quella delle altre Chiese, avendo ad esempio la pretesa di definire la propria Chiesa come “Chiesa della libertà” [18]. Spingendosi ancora oltre, ci si richiama nuovamente al discorso che era stato già fatto nel passato dal teologo protestante Gerhard Ebeling sulle insuperabili “differenze di fondo” confessionali, mettendo così in dubbio il fatto stesso che sia possibile pervenire ad un’intesa tra le varie Chiese su affermazioni teologiche fondamentali. È dunque facilmente comprensibile che, in questo orizzonte di pensiero, la questione dell’unità della Chiesa e della piena comunione si ponga in maniera completamente diversa.

b) La mancanza di un chiarimento del concetto di Chiesa e di unità

In questo contesto, è individuabile un motivo determinante alla base dell’impossibilità di conseguire finora un’intesa realmente solida sull’obiettivo ecumenico. Questo motivo risiede nel fatto che, oggi come ieri, ci sono tanti diversi concetti di Chiesa e di unità della Chiesa di stampo confessionale che sussistono uno accanto all’altro, non riconciliati. Poiché ogni Chiesa ed ogni comunità cristiana ha e realizza la propria specifica idea del suo essere Chiesa e della sua unità, essa si sforza anche di trasporre sul piano dell’obiettivo ecumenico questa idea confessionale così che, in fondo, esistono tanti concetti di obiettivo ecumenico quante ecclesiologie confessionali.[19] Ciò significa che la mancata intesa sull’obiettivo del movimento ecumenico si fonda in maniera non trascurabile sulla mancata intesa intorno alla natura della Chiesa e della sua unità.

Da questa diagnosi deriva come immediata conseguenza la necessità di porre come tema centrale dei dialoghi ecumenici di oggi e di domani il chiarimento ecumenico del concetto di Chiesa e di unità.[20] Un utile contributo in tal senso è il documento di studio della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese intitolato “La Chiesa. In cammino verso una visione comune”. Esso mira ad una “visione globale, multilaterale ed ecumenica della natura, della destinazione e del compito della Chiesa” e può essere considerato come una preziosa dichiarazione ecclesiologica in via dal punto di vista ecumenico.[21] Tuttavia, neppure questo documento indubbiamente meritevole riesce a far progredire l’intesa teologica, per quanto riguarda la maggior parte dei temi ecclesiologici finora controversi, oltre la formulazione di questioni che rimangono aperte. Ciò conferma nuovamente il fatto che i diversi concetti di unità ecumenica presenti nelle varie Chiese dipendono fortemente dalle loro diverse interpretazioni di Chiesa e di unità della Chiesa, come verrà illustrato qui di seguito con alcuni esempi.

L’ecclesiologia ortodossa può essere definita in maniera più adeguata come ecclesiologia eucaristica, un’ecclesiologia che fu sviluppata per la prima volta da teologici russi esiliati a Parigi dopo la prima guerra mondiale. I primi approcci di tale ecclesiologia furono consapevolmente formulati in opposizione al centralismo del papato che questi teologi ravvisavano nella Chiesa romano-cattolica ed anche, come fa ad esempio Nicholas Afanasjev, in opposizione a quegli sviluppi, nell’ortodossia, della struttura della Chiesa che avevano condotto alla formazione di Patriarcati autocefali. Conformemente a questa ecclesiologia eucaristica, la Chiesa di Gesù Cristo è presente e realizzata in ogni Chiesa locale riunita intorno al proprio Vescovo nella quale si celebra l’eucaristia. Poiché la Chiesa locale che celebra l’eucaristia con il suo Vescovo è vista come rappresentazione, attualizzazione e realizzazione della Chiesa una ed unica in un luogo concreto, ogni comunità eucaristica è pienamente Chiesa e non le manca niente. Con la Chiesa ortodossa la Chiesa cattolica ha dunque in comune la struttura propria della Chiesa primitiva e la sua costituzione sacramentale-eucaristica ed episcopale. Ma da essa si differenza per il fatto che, dal punto di vista ortodosso, non può esserci a livello universale, ad eccezione di un concilio ecumenico, alcun principio visibile ed efficace di unità della Chiesa dotato di un potere in un certo senso conformato giuridicamente, come quello che la Chiesa cattolica individua e riconosce nel ministero petrino. La Chiesa ortodossa si concepisce e si realizza piuttosto come comunità di Chiese autonome ed autocefale, così che il suo concetto di unità è fortemente influenzato dal concetto di autocefalia e dal principio di nazionalità ad esso legato.

La differenza fondamentale può essere pertanto ravvisata nella visione di una relazione controversa tra Chiesa locale e Chiesa universale e, più precisamente, nell’esistenza di “un’ecclesiologia ortodossa legata ad una cultura nazionale” e di “un’ecclesiologia cattolica caratterizzata da una dimensione universale”, l’una di fronte all’altra[22]. Mentre l’ecclesiologia ortodossa implica un’ecclesiologia fortemente basata sul concetto di Chiesa locale, per l’ecclesiologia cattolica è fondamentale l’interrelazione tra Chiesa locale e Chiesa universale, che è stata espressa dal Concilio Vaticano Secondo con la seguente formula di base ecclesiologica:  “è in esse [nelle Chiese particolari] e a partire da esse che esiste la Chiesa cattolica una e unica”[23]: “Questa Chiesa di Cristo è veramente presente nelle legittime comunità locali di fedeli, le quali, unite ai loro pastori, sono anch’esse chiamate Chiese nel Nuovo Testamento.”[24] La costituzione della Chiesa cattolica può essere paragonata ad un’ellisse con due fuochi, ovvero la pluralità delle Chiese locali e l’unità della Chiesa universale: essa è communio ecclesiarum e communio ecclesiae. Ha una costituzione  locale ed al contempo universale, sia episcopale che papale. Secondo l’ecclesiologia cattolica, la Chiesa di Gesù Cristo è pienamente presente nelle singole comunità; ma la singola comunità eucaristica non è la piena Chiesa. Per questo, l’unità delle singole comunità eucaristiche tra loro e la loro unità con il rispettivo Vescovo locale e con il Vescovo di Roma quale Papa è costitutiva dell’essere Chiesa.

Diversamente, nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali nate dalla Riforma è riscontrabile un altro tipo di Chiesa, secondo il quale la Chiesa consiste soprattutto “nella dinamica della Parola che riunisce le persone e le rende comunità”[25]. Come già Martin Lutero aveva giudicato il termine “Chiesa” una “parola cieca e confusa”[26], dichiarandolo un concetto negativo, ed aveva preferito esprimere la natura teologica della Chiesa con il termine “comunità”, così anche oggi l’ecclesiologia protestante ha chiaramente il suo punto focale ed il suo centro gravitazionale nella comunità locale concreta: la Chiesa di Gesù Cristo, nella sua pienezza, è presente nella comunità concreta che celebra il culto divino, riunita intorno alla Parola ed al sacramento. Tale auto-concezione ecclesiologica ha trovato la sua formulazione classica nell’articolo 7 della Confessio Augustana, che definisce la Chiesa come l’assemblea dei fedeli in cui si insegna il Vangelo nella sua purezza e si amministrano i sacramenti conformemente al Vangelo. Poiché ciò avviene nella comunità locale, la comunità locale è la realizzazione prototipica della Chiesa. Il forte accento posto sulla comunità locale non soltanto relega in secondo piano l’aspetto sovra-comunitario della Chiesa e anche la sua dimensione di Chiesa universale. Esso è anche e soprattutto alla base del fatto che l’ecclesiologia dei riformatori non ha una teologia - da tutti riconosciuta - del ministero episcopale come servizio all’unità a livello regionale della Chiesa e tantomeno conosce una teologia del ministero dell’unità a livello della Chiesa universale.

Se si tengono presenti questi diversi concetti ecclesiologici, è facile comprendere che ad essi sono collegate anche diverse interpretazioni dell’unità ecumenica. La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, nonostante le differenze esistenti tra loro, sono rimaste fedeli all’obiettivo originariamente comune dell’unità visibile nella fede, nei sacramenti e nei ministeri ecclesiali. Non poche Chiese e Comunità ecclesiali nate dalla Riforma hanno invece progressivamente abbandonato questo concetto di unità e lo hanno sostituito con il postulato di un mutuo riconoscimento delle diverse realtà ecclesiali come Chiese e quindi come parte dell’unica Chiesa di Gesù Cristo. Con ciò, non viene certamente affermata in linea di principio l’invisibilità della Chiesa; tuttavia, l’unità visibile viene ormai considerata soltanto come la somma di tutte le singole realtà ecclesiali.

Questa nuova definizione di obiettivo ecumenico ha trovato senza dubbio la sua più chiara espressione nella Concordia di Leuenberg firmata nel 1973, con cui fu realizzato quel modello di comunione di Chiese che era già in atto nella comunione di Chiese di Leuenberg.[27] La Concordia di Leuenberg si concepisce come una comunione di Chiese confessionalmente diverse, le quali, in virtù di una comune comprensione del Vangelo, incentrata sulla dottrina della giustificazione, si offrono reciprocamente una comunione di Parola e sacramento, che comprende anche il mutuo riconoscimento delle rispettive ordinazioni, cosicché la comunione di Chiese è essenzialmente una comunione di pulpito e di Cena del Signore. Con questo tipo di comunione, si ritiene che l’obiettivo ecumenico sia già ampiamente realizzato; ne consegue che le Chiese separate continuano a rimanere realtà istituzionali indipendenti, mantenendo la propria identità confessionale, ma si riconoscono reciprocamente come Chiese.

La Concordia di Leuenberg si autoconcepisce non soltanto come il caratteristico “modello protestante di unità ecclesiale”[28], ma anche come modello per le relazioni ecumeniche con le altre Chiese cristiane[29]. È auspicabile che il dialogo ecumenico con la “Comunità di Chiese evangeliche in Europa” (GEKE), alla quale è stato affidato il compito di verificare in quale misura la Concordia di Leuenberg possa essere usata come modello di unità ecumenica, produca risultati positivi. Di fatti, finora non è chiaro come questo obiettivo ecumenico possa conciliarsi con l’immagine biblica della Chiesa quale unico Corpo di Gesù Cristo. Questo pluralismo ecclesiologico concepito come somma delle parti e dominante all’interno del protestantesimo odierno non è compatibile con i principi cattolici dell’ecumenismo[30], come ha affermato Papa Benedetto XVI con parole felicemente inequivocabili: “La ricerca del ristabilimento dell’unità tra i cristiani divisi non può pertanto ridursi ad un riconoscimento delle reciproche differenze ed al conseguimento di una pacifica convivenza: ciò a cui aneliamo è quell’unità per cui Cristo stesso ha pregato e che per sua natura si manifesta nella comunione della fede, dei sacramenti, del ministero.”[31] La Chiesa cattolica, in comunione con le Chiese ortodosse, rimane fedele alla convinzione già presente nella Chiesa primitiva secondo cui la comunione delle Chiese, la comunione della confessione di fede e la comunione eucaristica sono inscindibili e non può riconoscere l’obiettivo di tutti gli sforzi ecumenici nella cosiddetta intercomunione, ma lo individua nella ricomposizione della “communio, all’interno della quale ha il suo posto anche la comunione nella Cena del Signore”[32].

c) La pluralizzazione degli obiettivi ecumenici per la presenza di nuovi partner

La Concordia di Leuenberg ed il pluralismo ecclesiologico che ne è alla base vanno considerati come un caratteristico modello protestante anche perché la Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma sono diventate nel frattempo un pluriverso troppo ampio per essere delineato, nel quale sono riscontrabili a livello mondiale solo sforzi marginali in favore di una maggiore unità. Al contrario sono costatabili, nel protestantesimo mondiale, una crescente frammentazione ed un processo diversificato di divisione, che hanno condotto ad un’ulteriore pluralizzazione degli obiettivi ecumenici.

In tempi recenti, questo fenomeno ha avuto un’ulteriore conferma con l’apparire di nuovi partner di dialogo nel movimento ecumenico. Gli incontri ecumenici oggi non hanno più luogo soltanto tra le grandi Chiese storiche, ma sempre più si svolgono anche con le cosiddette Chiese libere, che hanno anticipato il futuro che attende in maniera sempre più chiara anche le Chiese storiche, ovvero la fine del cristianesimo “ereditato” dall’epoca costantiniana e la libertà e l’indipendenza dallo Stato, e che hanno pertanto una concezione diversa di unità ecumenica. Di particolare importanza è la rapida crescita in termini numerici di gruppi evangelicali e carismatici e soprattutto di comunità e di movimenti pentecostali. Con i loro 400 milioni di fedeli, essi rappresentano la comunità cristiana più numerosa dopo quella romano-cattolica. Si tratta di un fenomeno di così ampia diffusione che si deve parlare di una “pentecostalizzazione del cristianesimo”[33] e che si può ravvisare in questo fenomeno una nuova “quarta forma fondamentale dell’essere cristiani” accanto alle Chiese ortodosse e ortodosse orientali, alla Chiesa cattolica ed alle Chiese e Comunità ecclesiali nate dalla Riforma.[34]

Non da ultimo, il fenomeno del pentecostalismo mette in evidenza che, nel corso degli ultimi decenni, la geografia mondiale della cristianità è cambiata profondamente e la situazione ecumenica è diventata più confusa e senza dubbio più complicata. È dunque evidente che, nei dialoghi ecumenici condotti con questi nuovi movimenti, figurano tra i primi punti all’ordine del giorno tematiche diverse rispetto a quelle trattate nei dialoghi con le grandi Chiese storiche e si presenta una gamma ancora più ampia di idee relative a quello che dovrebbe essere l’obiettivo ecumenico. Poiché questo fatto è in gran parte dovuto alla crescente pluralizzazione di nuovi partner di dialogo ecumenici, la crescente pluralizzazione di obiettivi ecumenici non può essere vista soltanto come un problema, ma deve essere considerata anche come un aspetto positivo, d’accordo con quanto affermato dallo storico della Chiesa protestante Cristoph Markschies di Berlino: il fatto che l’obiettivo del movimento ecumenico sia diventato più confuso rispetto all’inizio può essere considerato anche come una conseguenza, certamente non intenzionale, del successo del movimento ecumenico: “Adesso così tante persone sono impegnate nel movimento ecumenico, che gli obiettivi, già diversi all’inizio, si sono ulteriormente pluralizzati semplicemente a causa della grande quantità di cristiani interessati all’ecumenismo.”[35]

Nonostante questa positiva interpretazione del fatto in sé negativo che oggi non esiste alcun solido consenso sull’obiettivo del movimento ecumenico, la questione dell’unità riaffiora con rinnovata urgenza. Senza la ricerca dell’unità, infatti, la fede cristiana rinuncerebbe a se stessa, come evidenzia con chiarezza la lettera indirizzata dall’Apostolo Paolo agli Efesini: “Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,4-6). Poiché l’unità è e rimane una categoria fondamentale della fede cristiana, i cristiani devono avere il coraggio e l’umiltà di guardare negli occhi lo scandalo tuttora esistente della divisione della cristianità e mantenere sveglia con benevola determinazione la questione dell’unità. La conversione a cui esorta il decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano Secondo deve essere pertanto, principalmente, una conversione alla ricerca appassionata dell’unità.[36]

 

3. Mantenere sveglia la ricerca dell’unità della Chiesa

Di fronte alla pluralizzazione dei concetti ecumenici di unità, siamo costretti a fare un passo indietro e a riflettere sulle origini della comprensione dell’unità. Poiché la questione dell’unità e della piena comunione viene posta in modo diverso nei vari dialoghi ecumenici, non è proponibile in anticipo, fin da adesso, un modello concreto di unità ecumenica; esso dovrà piuttosto essere elaborato nel confronto dialogico con i concetti di unità appoggiati dalle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Questo non è d’altronde il luogo per analizzare e discutere i vari modelli di unità ecumenica sviluppati nel corso delle varie discussioni ecumeniche che hanno avuto luogo finora: l’unità spirituale, la comunione di azione tra distinte comunità, la federazione di comunità, la comunione tra Chiese confessionalmente diverse, l’unità nella diversità riconciliata, l’unione organica. Né è giusto, in nome di una Chiesa, fare richieste eccessive alle altre Chiese e Comunità ecclesiali, dato che un simile modo di procedere è in contraddizione con un dialogo onesto ed autentico ed ostacola il cammino verso la piena comunione. Si tratterà piuttosto di mettersi insieme sulle tracce dell’unità della Chiesa; tra queste, la traccia più importante è la Sacra Scrittura e più precisamente l’ultima preghiera di Gesù, nella quale riveste un ruolo particolare l’invocazione dell’unità dei suoi discepoli. Lo sguardo di Gesù va oltre la comunità dei discepoli di allora e si volge anche a tutti coloro che “per la loro parola crederanno” (Gv 17,20). Poiché nella preghiera sacerdotale di Gesù viene incluso anche il nostro presente ecumenico, in essa possiamo individuare al meglio quali sono e devono essere le dimensioni più profonde dell’impegno ecumenico alla luce della fede. Se l’unità dei discepoli rappresenta il desiderio centrale della preghiera di Gesù, l’ecumenismo cristiano non potrà essere altro che l’unirsi dei cristiani a questa preghiera, facendo proprio ciò che a Gesù stava a cuore. Se l’ecumenismo non è semplicemente filantropico e interrelazionale, ma trova realmente il suo fondamento e la sua motivazione in Cristo, in ultima analisi esso non potrà essere altro che partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù. Partendo da questa definizione biblica fondamentale dell’impegno ecumenico, dovremo tentare, alla luce del testo a tutti assai noto, eppure inesauribile, di Giovanni 17, di rintracciare le dimensioni fondamentali dell’ecumenismo e, con ciò, di riaffermare la responsabilità ecumenica della ricerca di quell’unità della fede che ci è promessa come dono e affidata come compito.[37]

a) La dimensione spirituale: la preghiera per l’unità

In primo luogo, va menzionata la dimensione spirituale dell’unità ecumenica. La preghiera di Gesù “che tutti siano una sola cosa” mostra infatti che Gesù non comanda l’unità ai suoi discepoli, né la esige da loro, ma prega per essa. Questa semplice ma fondamentale costatazione ha una grandissima importanza anche per la ricerca ecumenica dell’unità. La preghiera per l’unità dei cristiani è e rimane il segno distintivo di ogni sforzo ecumenico. Senza preghiera, non può dunque esserci nessuna unità, come non si stanca di sottolineare Papa Francesco: “L’impegno ecumenico risponde, in primo luogo, alla preghiera dello stesso Signore Gesù e si basa essenzialmente sulla preghiera.”[38]

Questa dimensione spirituale ha trovato molto presto la sua espressione visibile, essendo stata la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che continua ad essere celebrata ogni anno nel mese di gennaio, un impulso all’origine del movimento ecumenico. Essa fu promossa da Paul Wattson, un anglicano americano che poi passò alla Chiesa cattolica, e da Spencer Jones, appartenente alla Chiesa episcopaliana, fu accolta da Papa Benedetto XV e introdotta in tutta la Chiesa cattolica e, in seguito, fu sviluppata dall’Abbé Paul Couturier, appassionato pioniere dell’ecumenismo spirituale; essa fu dunque, sin dalle origini, un’iniziativa ecumenica. È la Preghiera per l’Unità dei Cristiani che ha aperto la strada al movimento ecumenico, che, fin dall’inizio, è stato un movimento di preghiera, come ha evidenziato Papa Benedetto XVI con questa bella immagine: “La barca dell’ecumenismo non sarebbe mai uscita dal porto se non fosse stata mossa da quest’ampia corrente di preghiera e spinta dal soffio dello Spirito Santo.”[39] Questo movimento di preghiera non è dunque un inizio che ci possiamo lasciare alle spalle; si tratta piuttosto di un inizio che continua a camminare con noi anche oggi e che deve accompagnare ogni sforzo ecumenico.

Sul cammino verso la ricomposizione dell’unità dei cristiani, la preghiera deve occupare il posto centrale. Con la preghiera per l’unità, noi cristiani esprimiamo infatti la nostra convinzione di fede secondo cui l’unità non può essere conseguita soltanto o primariamente attraverso i nostri sforzi, e noi stessi non possiamo fare l’unità, né possiamo determinare la sua forma o il momento in cui si realizzerà. Noi cristiani possiamo produrre divisioni; questo è quanto ci mostra la storia ed anche il tempo presente. Ma l’unità possiamo soltanto accoglierla come dono. La preghiera per l’unità ci ricorda che anche nell’ecumenismo non tutto è frutto del nostro fare e che, piuttosto, noi cristiani dobbiamo lasciare spazio all’opera non manipolabile dello Spirito Santo, fidandoci di lui almeno quanto ci fidiamo dei nostri stessi sforzi.

La migliore preparazione per accogliere l’unità come dono dello Spirito Santo è la Preghiera per l’Unità. Poiché noi cristiani sappiamo, nella fede, che l’unità “è primariamente un dono di Dio per il quale dobbiamo incessantemente pregare”, dobbiamo essere anche consapevoli della responsabilità che abbiamo “di preparare le condizioni, di coltivare il terreno del cuore, affinché questa straordinaria grazia venga accolta”[40]. La centralità della preghiera mostra che il lavoro ecumenico è soprattutto un compito spirituale e che l’ecumenismo spirituale è il fulcro dell’ecumenismo cristiano o, come ha sottolineato il Concilio Vaticano Secondo, è “l’anima di tutto il movimento ecumenico”[41]. L’ecumenismo credibile sta o cade con l’approfondimento della sua forza spirituale e con l’aderire dei cristiani alla preghiera sacerdotale di Gesù, che è il luogo interiore dell’unità ecumenica: “Diventeremo una sola cosa, se ci lasceremo attirare dentro tale preghiera.”[42]

b) La dimensione somatica: l’unità visibile

Il primato e la centralità della dimensione spirituale dell’unità ecumenica verrebbero fraintesi se da essi si traesse la conclusione che l’unità dei cristiani è una realtà meramente spirituale e dunque invisibile. Ciò contraddice il secondo orientamento contenuto nella preghiera sacerdotale di Gesù, che prega per l’unità dei suoi discepoli in modo molto specifico: “perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.” Affinché il mondo creda, esso deve vedere l’unità. L’unità della Chiesa da ripristinare non può essere semplicemente un’unità invisibile; occorre piuttosto un’unità che abbia una forma visibile nel nostro mondo.

Della riscoperta della dimensione somatica dell’unità ecumenica si è occupato in maniera approfondita soprattutto Papa Benedetto XVI, in particolare interpretando la preghiera sacerdotale di Gesù e confrontandosi al riguardo, ecumenicamente, con Rudolf Bultmann.[43] L’esegeta protestante ritiene che la vera unità dei discepoli, soprattutto secondo il Vangelo di Giovanni, sia “invisibile”, poiché “non è affatto un fenomeno mondano”. Benedetto XVI concorda pienamente con la seconda parte di questa doppia affermazione, mentre rimette completamente in discussione la prima. Per giungere ad una valida interpretazione dell’unità ecumenica, è opportuno riflettere ulteriormente su questa duplice risposta. Il fatto che l’unità dei discepoli – e dunque anche l’unità della Chiesa futura-, per la quale Gesù prega, non è e non può essere in linea di principio “un fenomeno mondano” è ovvio per Benedetto XVI, come egli osserva chiaramente: “l’unità non viene dal mondo; non è possibile trarla dalle forze proprie del mondo. Le stesse forze del mondo conducono alla divisione: noi lo vediamo. Nella misura in cui nella Chiesa, nella cristianità, è all’opera il mondo, si finisce nelle divisioni. L’unità può venire solamente dal Padre mediante il Figlio.”[44] Tanto Benedetto XVI concorda con l’esegeta protestante sul fatto che l’unità dei discepoli non può venire dal mondo, tanto egli ne contesta la conclusione, ovvero l’affermazione che l’unità è, di conseguenza, “invisibile”. Anche se l’unità non è un fenomeno mondano, lo Spirito Santo opera pur sempre nel mondo. L’unità dei discepoli deve dunque essere di una qualità tale da permettere al mondo di riconoscerla e di giungere alla fede tramite essa, come sottolinea esplicitamente Papa Benedetto XVI: “Ciò che non proviene dal mondo può e deve essere qualcosa che sia efficace nel e per il mondo e sia anche percepibile da esso. La preghiera di Gesù per l’unità ha di mira proprio questo, che mediante l’unità dei discepoli la verità della sua missione si renda visibile agli uomini.”[45] Papa Benedetto XVI si spinge fino ad affermare che attraverso l’unità dei discepoli che non proviene dal mondo e che è anche umanamente inspiegabile ma è visibile nel mondo “viene legittimato Gesù stesso”: “Diventa evidente che Egli è veramente il ‘Figlio’.”[46]

All’enfasi posta sulla visibilità dell’unità dei discepoli e della Chiesa e, di conseguenza, anche sulla dimensione somatica dell’unità ecumenica, è strettamente legato il fatto che il Concilio Vaticano Secondo individui già questa unità visibile nel sacramento del battesimo. In esso, il decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” ravvisa il motivo più profondo e l’espressione visibile dell’appartenenza di tutti i battezzati alla Chiesa: “Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica.”[47] Il battesimo costituisce quindi “il vincolo sacramentale dell’unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati”.  Dall’altro lato, però, esso “è soltanto l’inizio e l’esordio”, poiché, di per sé, “tende interamente all’acquisto della pienezza della vita in Cristo” ed è pertanto ordinato “all’integra professione della fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, quale Cristo l’ha voluta, e infine alla piena inserzione nella comunità eucaristica”[48]. Alla luce di ciò, il cammino ecumenico verso l’unità visibile dei cristiani si concretizza come un cammino che conduce dalla fondamentale comunione nel battesimo e nel suo mutuo riconoscimento alla piena comunione nell’eucaristia, nella celebrazione del Corpo di Cristo, nella quale potremo sperimentare nella maniera più chiara la dimensione somatica dell’unità ecumenica.

c) La dimensione trinitaria: l’unità nella diversità

Poiché l’unità ecumenica deve essere somatica e visibile, è legittimo chiedersi quale aspetto concreto debba avere questa unità. A tale domanda risponde il terzo orientamento presente nella preghiera sacerdotale di Gesù ed espresso dalle seguenti parole: “perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me”. Gesù stesso individua il più profondo fondamento dell’unità dei discepoli proprio nell’unità d’amore trinitaria tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, nella vita intra-divina. Il Dio uno e trino, che è in sé comunione vivente nell’unità relazionale originaria dell’amore, è il modello più cristallino di unità ecumenica. Alla luce del mistero d’amore trinitario, la Chiesa si mostra come lo spazio della salvezza offerto dal Dio uno e trino o, come ha affermato il Concilio Vaticano Secondo, come “un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”[49]. L’unità ecumenica si fonda in ultima analisi sulla comunione trinitaria e la Chiesa è immagine della Trinità.   

Se riflettiamo più da vicino su questo mistero della fede, vediamo che nella vita trinitaria di Dio esistono due dimensioni, entrambe originarie: nel Dio uno e trino c’è in primo luogo spazio vitale per l’altro e dunque per la pluralità e la diversità. Il Padre infatti è altro dal Figlio ed il Figlio, a sua volta, è altro dallo Spirito Santo. Nella Trinità divina c’è una meravigliosa diversità delle Persone. Ma in Dio c’è anche una stupenda unità di vita divina. Per quanto il Padre sia altro dal Figlio ed il Figlio sia altro dallo Spirito Santo, le tre Persone divine vivono come partner del trialogo celeste condividendo la stessa essenza: il Padre è Dio, il Figlio è Dio e lo Spirito Santo è Dio. Il Dio uno e trino è in sé comunione vivente nell’unità relazionale originaria dell’amore.

Alla luce di questo mistero divino, la Chiesa è chiamata a vivere come icona della Trinità. Se dunque l’unità ecumenica deve riflettere nel mondo la comunione del Dio uno e trino, può trattarsi soltanto di un’unità nella diversità e di una diversità nell’unità. Questa unità nella diversità può essere soltanto un dono dello Spirito Santo. Infatti, a differenza di noi uomini, che siamo sempre tentati, da un lato, di originare diversità, chiudendoci in particolarismi ed esclusivismi, e di produrre divisioni e, dall’altro, di modellare l’unità secondo le nostre concezioni umane, favorendo così l’uniformazione e l’uniformità, lo Spirito Santo è l’unico in grado di generare pluralità e diversità ed al contempo di operare l’unità. Lo Spirito dona l’unità nella diversità o, come ha detto Papa Francesco seguendo il teologo riformato Oscar Cullmann, “un’unità nella diversità riconciliata”.

Nella ricerca di questa unità nella diversità, noi cristiani, sebbene ancora divisi, possiamo essere una cosa sola fin da adesso se togliamo il veleno alle divisioni, se da esse prendiamo ciò che è fruttuoso ed accogliamo il lato positivo della diversità, e questo alla luce del mistero d’amore trinitario, che Papa Benedetto XVI ha così descritto, con sensibile perspicacia: “L’amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall’esterno, ma che dall’interno dà forma, per così dire, all’insieme.”[50] Tutto ciò ci permette di scorgere quel vivere l’unità ecumenica che è possibile già oggi. Essa consiste non semplicemente in uno scambio di idee e di teorie, ma, ad un livello molto più profondo, in uno scambio di doni. E questo scambio, a sua volta, è molto più di un mero esercizio teorico, poiché permette di conoscere a fondo e di comprendere le varie comunità cristiane con le loro tradizioni, e di imparare da esse. Nessuna Chiesa è infatti tanto povera da non poter apportare il suo insostituibile contributo alla più ampia comunità cristiana. E nessuna Chiesa è tanto ricca da non aver bisogno di essere arricchita dalle altre, sapendo che ciò che lo Spirito Santo ha seminato in altre comunità cristiane può essere raccolto “come un dono anche per noi”[51].

d) La dimensione missionaria: l’unità credibile

Partendo da questa provvisoria unità, lo sguardo si allarga per giungere all’obiettivo vero e proprio della preghiera sacerdotale di Gesù, che prega per l’unità dei suoi discepoli con un’intenzione specifica: “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.” Questa preposizione finale esprime in maniera inequivocabile che l’unità dei discepoli di Gesù non è un fine in sé, ma è al servizio della credibilità della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo ed è l’irrinunciabile prerequisito di una testimonianza credibile nel mondo.

Questa finalità, che è propria anche della ricerca ecumenica dell’unità, fu ricordata già in modo particolare nel secolo scorso dalla prima Conferenza Mondiale sulla Missione tenutasi nel 1910 ad Edimburgo. Ai partecipanti era chiaro allora lo scandalo insito nel fatto che le varie Chiese e Comunità cristiane fossero in competizione tra loro nel lavoro missionario, nuocendo così all’annuncio credibile del Vangelo di Gesù Cristo, soprattutto nelle culture più lontane, poiché, insieme al Vangelo, avevano portato a queste culture le divisioni europee della Chiesa. Essi erano dunque consapevoli del fatto doloroso che la mancanza di unità tra i cristiani metteva a repentaglio la credibilità della testimonianza cristiana nel mondo.

La divisione all’interno del cristianesimo risultava essere il maggiore ostacolo alla missione mondiale; questo è vero anche oggi, come Papa Francesco ha ricordato nella sua Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium” con parole esplicite: “Data la gravità della controtestimonianza della divisione tra cristiani, particolarmente in Asia e Africa, la ricerca di percorsi di unità diventa urgente. I missionari in quei continenti menzionano ripetutamente le critiche, le lamentele e le derisioni che ricevono a causa dello scandalo dei cristiani divisi.” Pertanto, agli occhi di Papa Francesco, “l’impegno per un’unità che faciliti l’accoglienza di Gesù Cristo smette di essere mera diplomazia o un adempimento forzato, per trasformarsi in una via imprescindibile dell’evangelizzazione.”[52]

Questa urgente situazione ecumenica evidenzia che una testimonianza credibile, e dunque ecumenicamente comune, di Gesù Cristo nel mondo odierno è possibile soltanto se le Chiese cristiane riescono a superare le loro divisioni e se riescono a vivere in un’unità nella diversità riconciliata. L’ecumenismo e la missione sono pertanto indissociabili. Se la missione consiste essenzialmente nel rendere testimonianza dell’amore di Dio, che egli ci ha rivelato nel suo Figlio, e, attraverso questa testimonianza, nel portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, allora al centro della missione cristiana deve esserci l’annuncio di Dio, che noi oggi dobbiamo proclamare ecumenicamente e che è visto da Papa Benedetto XVI come il compito ecumenico prioritario: “Il nostro primo servizio ecumenico in questo tempo deve essere di testimoniare insieme la presenza del Dio vivente e con ciò dare al mondo la risposta di cui ha bisogno.”[53]

e) La dimensione martirologica: l’unità testimoniata con la vita

I testimoni più credibili della fede sono i martiri, che per la fede hanno dato la loro vita e che ci ricordano la dimensione martirologica dell’unità ecumenica.[54] Essa ha assunto una particolare importanza nel mondo odierno, dove hanno luogo più persecuzioni contro i cristiani rispetto a quanto avveniva nei primi secoli.[55] Di fatti, l’ottanta per cento di tutti coloro che sono perseguitati oggi a causa della loro fede sono cristiani. La fede cristiana è la religione più perseguitata nel mondo odierno. E tutte le Chiese e le Comunità cristiane hanno oggi i loro martiri. Oggi i cristiani non sono perseguitati perché cattolici o ortodossi, protestanti o pentecostali, ma perché cristiani. Il martirio è oggi ecumenico, tanto che si deve parlare di un vero e proprio ecumenismo dei martiri[56], come osservava già il santo Papa Giovanni Paolo II con parole incisive nella sua Lettera apostolica “Tertio millennio adveniente” del 1994: “Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri. Le persecuzioni nei riguardi dei credenti - sacerdoti, religiosi e laici - hanno operato una grande semina di martiri in varie parti del mondo. La testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti”[57]. All’ecumenismo dei martiri Papa Giovanni Paolo II ha dedicato un’intera sezione nella sua appassionata enciclica sull’impegno ecumenico, “Ut unum sint”, del 1995, sottolineando che “in una visione teocentrica, noi cristiani già abbiamo un Martirologio comune”, che ci mostra “come, ad un livello profondo, Dio mantenga fra i battezzati la comunione nell’esigenza suprema della fede, manifestata col sacrificio della vita”[58].

Nell’ecumenismo dei martiri, Giovanni Paolo II ravvisava già un’unità di fondo tra i cristiani; egli esprimeva così la speranza che i martiri possano aiutarci a trovare la piena comunione. Mentre su questa terra noi cristiani e noi Chiese viviamo ancora, gli uni davanti agli altri o gli uni insieme agli altri, in una comunione imperfetta, i martiri nella gloria dei cieli vivono già in una comunione piena e perfetta. “La testimonianza coraggiosa di tanti martiri del nostro secolo, appartenenti anche ad altre Chiese e Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica” sono, per Giovanni Paolo II, “la prova più significativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo”[59]. Nell’ecumenismo dei martiri o, come è solito dire Papa Francesco, nell’ecumenismo del sangue, trova nuovamente conferma la convinzione della Chiesa primitiva, espressa dall’autore cristiano Tertulliano, che scriveva che il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani. Così anche noi oggi dobbiamo serbare la speranza che il sangue di così tanti martiri del nostro tempo diventi un giorno seme di piena unità ecumenica del Corpo di Cristo.

Nell’ecumenismo dei martiri dobbiamo ravvisare il fulcro centrale di ogni sforzo ecumenico teso alla ricomposizione dell’unità della Chiesa, come fa notare Papa Francesco con parole pregnanti: “Se il nemico ci unisce nella morte, chi siamo noi per dividerci nella vita?”[60] Di fatti, non è vergognoso che i persecutori dei cristiani abbiano una migliore visione ecumenica di quella che abbiamo noi cristiani, dato che sanno che i cristiani sono, ad un livello più profondo, una cosa sola? Poiché la sofferenza di così tanti cristiani costituisce un’esperienza comune nel mondo odierno, l’ecumenismo del sangue è per Papa Francesco addirittura “il segno più convincente” dell’ecumenismo di oggi[61].

f) La dimensione escatologica: l’unità nel Cristo della parusia

La sensibile consapevolezza dell’importanza del martirio cristiano odierno e la ricerca ecumenica dell’unità dei cristiani sono inscindibili: “I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un ‘ecumenismo del sangue’ che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo.”[62] Questo non rappresenta soltanto l’urgente compito kairologico che noi cristiani dobbiamo assumere ecumenicamente. L’ecumenismo dei martiri richiama anche e soprattutto la dimensione escatologica dell’unità ecumenica, nella quale la ricerca dell’unità viene considerata alla luce del suo compimento.

Una visione escatologica stimolante dell’unità ecumenica la incontriamo nel “Breve racconto dell’Anticristo” di Solojew, che contiene un duplice messaggio: da un lato, al momento della decisione finale davanti a Dio, si vedrà che in tutte e tre le comunità, ovvero in quella di Pietro, di Paolo e di Giovanni, vivono seguaci dell’Anticristo, che fanno causa comune con lui, accanto però ai veri cristiani, che rimangono fedeli al Signore fino all’ora della sua venuta; dall’altro, davanti al Cristo della parusia, i cristiani divisi nelle comunità di Pietro, di Paolo e di Giovanni si riconosceranno come fratelli. Con questo racconto, Solowjev non intende sicuramente posticipare l’unità dei discepoli di Cristo al tempo finale o rinviarla nell’escatologia. La separazione definitiva tra i seguaci dell’Anticristo ed i fedeli discepoli di Cristo avverrà, certo, soltanto nel giorno del raccolto escatologico. Ma poiché, secondo la fede cristiana, la vita eterna è la vera vita, la visione di Solojew presenta a noi cristiani la sfida di venirci incontro gli uni gli altri fin da ora, in quella luce escatologica che vede inscindibilmente uniti Pietro, Paolo e Giovanni.  

La ricerca cristiana dell’unità ecumenica significa dunque vivere fin da ora in questa luce escatologica, ovvero nella luce del Cristo della parusia, coscienti che la forma migliore della ricerca dell’unità ecumenica consiste nel vivere secondo il Vangelo. Se prendiamo sul serio la dimensione escatologica dell’unità ecumenica, allora la ricerca appassionata dell’unità e la tranquilla consapevolezza di non poter creare noi stessi questa unità non ci sembreranno, come spesso accade oggi, due opposti inconciliabili, ma ci si mostreranno come le due facce della stessa realtà. Se consideriamo l’unità ecumenica alla luce del suo compimento, dovremo essere in grado di riconoscere con sollievo la provvisorietà dei nostri sforzi senza cedere alla tentazione di voler fare ciò che può essere realizzato soltanto dal Cristo della parusia, certi che proprio su questo cammino potremo avvicinarci gli uni agli altri. Vista in questa luce escatologica, la ricerca ecumenica dell’unità significa, in modo elementare ma fondamentale: quando siamo in cammino insieme verso il Cristo della parusia, siamo anche in cammino verso l’unità tra di noi e possiamo, sebbene ancora divisi, essere già una cosa sola nella fede comune in Gesù Cristo: “Più ci avviciniamo a Cristo convertendoci al suo amore, più ci avviciniamo anche gli uni agli altri.”[63]

 

4. Prospettive viatorie: il cammino comune verso l’unità

La dimensione escatologica dell’unità ecumenica getta una nuova luce sulla situazione ecumenica odierna e sulla sua dimensione viatoria, che può essere illustrata nella maniera più adeguata con l’immagine del cammino, e più precisamente il cammino dei discepoli sulla via di Emmaus. Nel riflettere su questa pericope pasquale del Vangelo di Luca (24, 13-35), chiediamoci cosa ci può dire questa immagine a proposito dei passi che dovremo compiere sul cammino verso l’unità ecumenica.

Innanzitutto, dobbiamo prendere sul serio l’immagine del cammino. Nella situazione ecumenica odierna è importante che i cristiani che vivono in diverse comunità ecclesiali si incamminino insieme verso l’unità e facciano insieme tutto ciò che insieme possono fare. Questa prospettiva sta particolarmente a cuore a Papa Francesco, che ha espresso la sua convinzione ecumenica con parole pregnanti: “l’unità non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino.”[64] Per Papa Francesco è un dato fondamentale il fatto che l’unità cresce cammin facendo: camminare insieme significa già praticare l’unità[65] Questa prospettiva va ulteriormente approfondita oggi e, soprattutto, va vissuta in modo concreto. Percorrere insieme il cammino verso l’unità ecumenica: questa è la prima indicazione che ci offre la profonda storia narrataci nel capitolo pasquale del Vangelo di Luca.

Il cammino dei discepoli sulla strada di Emmaus non è un viaggio casuale. I discepoli sono profondamente addolorati per quanto è accaduto a Gerusalemme e parlano tra loro e con il loro anonimo accompagnatore di ciò che li turba. Ecco che ci viene offerta una seconda indicazione: l’autentico ecumenismo vive nella reciproca partecipazione gli uni alla vita degli altri, sia nella gioia che nella sofferenza, come ha evidenziato Paolo con questa bella immagine: “se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (1 Cor 12, 26-27). Questa regola di vita della comunità ecumenica trova una particolare conferma, come è stato osservato più sopra, nel triste fatto che dobbiamo sperimentare persecuzioni contro i cristiani di un’ampiezza senza precedenti nella storia. I cristiani e le Chiese cristiane dovranno dar prova tra di loro di una particolare solidarietà ecumenica, partecipe della sofferenza altrui.

Condividendo l’esperienza del dolore, i discepoli in cammino verso Emmaus cercano una parola di conforto e la accolgono dal loro anonimo accompagnatore, che interpreta per loro la Sacra Scrittura. Ecco la terza indicazione: noi cristiani ci avviciniamo gli uni agli altri se ascoltiamo insieme la Parola di Dio e insieme ne parliamo. In ciò consiste la particolare esortazione che intende lanciare la commemorazione della Riforma il prossimo anno. La Riforma e la conseguente divisione della Chiesa nel XVI secolo, essendo legate ad un’interpretazione controversa della Bibbia, si sono spinte fin dentro alla Sacra Scrittura. Pertanto, anche il superamento della divisione e la ricomposizione dell’unità potranno avvenire soltanto sul cammino di una comune lettura della Sacra Scrittura. Più ci addentriamo nel mistero di Gesù Cristo e della sua Parola, più ci avviciniamo gli uni agli altri.

Ai discepoli di Emmaus si sono aperti gli occhi soltanto nel momento in cui Gesù ha spezzato il pane con loro, risvegliando così nei loro cuori il profondo desiderio di unità. Ecco la quarta indicazione che ci viene presentata: come la comunione di cammino dei discepoli è culminata nello spezzare il pane del Signore insieme a loro, così anche la ricerca comune dell’unità ecumenica deve vedere il suo obiettivo nella mensa eucaristica comune. La comunione di cammino ecumenica si compie pienamente nella comunione eucaristica.

Dopo l’incontro personale con il Signore risorto, i discepoli si mettono nuovamente in cammino: “E partirono senz’indugio…” Siamo giunti così alla quinta indicazione: i cristiani, che nell’incontro con Cristo trovano anche l’unità tra loro, non rimangono comodamente seduti, ma partono senz’indugio e, come hanno fatto i discepoli, annunciano ciò che hanno sperimentato, sapendo bene che la credibilità della loro testimonianza dipenderà essenzialmente dal fatto che essi non la renderanno in modo contrapposto o parallelo, ma in modo congiunto. La comunione di cammino ecumenica è anche, sempre, una comunione di testimonianza e di servizio.

Alla luce di queste cinque indicazioni, sorge la domanda di come debba essere intesa l’unità ecumenica. Un’utile definizione di unità della Chiesa la ritroviamo nella descrizione della comunità primitiva di Gerusalemme, negli Atti degli Apostoli, dove si dice a proposito dei primi cristiani: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (Atti 2,42). Sono soprattutto tre gli elementi costitutivi dell’unità della Chiesa: l’unità nella fede, l’unità nella celebrazione del culto divino e l’unità nella comunione fraterna. Su questo fondamento biblico, l’unità della Chiesa è intesa come unità visibile nella fede, nei sacramenti e nella vita della comunità con i suoi testimoni appellati ad essere tali e dunque anche nei ministeri ecclesiali. Questa interpretazione di unità ecclesiale, alla quale si ispira la Chiesa cattolica, è stata recepita anche nel movimento ecumenico. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, nell’articolo 3 del suo statuto, descrive il suo compito primario come quello di “esortare le Chiese a tendere verso l’obiettivo dell’unità visibile in una sola fede ed in una sola comunione eucaristica, espressa nel culto e nella vita comune in Cristo, e di progredire verso questa unità affinché il mondo creda”[66].

Se, come obiettivo dell’unità ecumenica, viene indicata la comunione di fede, la comunione di culto, la comunione di testimonianza e la comunione di servizio, allora questo obiettivo consiste nella “communio più completa possibile delle communiones più complete possibili”. Questa descrizione suggerisce al contempo che la communio ecumenica esistente nella situazione attuale deve essere vista come una “comunione ancora incompleta di comunioni che, in misura diversa ed in modi diversi, sono incomplete” e che ciascuna di queste comunioni deve dunque sforzarsi di essere piena communio, affinché la piena communio di tutte le communiones possa essere realizzata.[67] Il compito ecumenico consiste quindi, essenzialmente, nel cercare con passione di ripristinare quella communio a cui Paolo fa riferimento nel saluto rivolto ai cristiani di Filippi, quando li esorta ad avere “i medesimi sentimenti” e “la stessa carità” nell’unione dei loro “spiriti” (Fil 2,2). Poiché Cristo ha profondamente a cuore questa communio, abbiamo un più che valido motivo di proseguire il cammino ecumenico con appassionata serenità e serena passione. Allora vedremo la “gloria” che Dio ha dato a Cristo, al cui riconoscimento mira tutta la preghiera sacerdotale di Gesù: “perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,24).

 

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[1] Prolusio per la Plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, l’8 novembre 2016.

[2] Cardinal W. Kasper, Harvesting the Fruits. Basic Aspects of Christian Faith in Ecumenical Dialogue (London – New York 2009).

[3] Unitatis redintegratio, n. 1.

[4] Vgl. K. Koch, „Ut unum sint“: Realität – Hoffnung – Illusion? Zur Rezeption des Ökumenismusdekrets „Unitatis redintegratio“, in: Trierer Theologische Zeitschrift 124 (2015) 279-302.

[5] Gemeinsame Römisch-katholische / Evangelisch-lutherische Kommission, Wege der Gemeinschaft, in: H. Meyer – H. J. Urban – L. Vischer (Hrsg.), Dokumente wachsender Übereinstimmung. Sämtliche Berichte und Konsenstexte interkonfessioneller Gespräche auf Weltebene 1931-1982 (Paderborn – Frankfurt a. M. 1983) 296-322, zit. 297.

[6] P.-W. Scheele, Ökumene – wohin? Unterschiedliche Konzepte kirchlicher Einheit im Vergleich, in: St. Ley – I. Proft – M. Schulze (Hrsg.), Welt vor Gott. Für George Augustin (Freiburg i. Br. 2016) 165-179. zit. 165.

[7] Vgl. W. Welsch, Unsere postmoderne Moderne (Weinheim 1987).

[8] Vgl. W. Kasper,  Die Kirche angesichts der Herausforderungen der Postmoderne, in: Ders., Theologie und Kirche. Band 2 (Mainz 1999) 249-264, bes. 252-255: Absage an das Einheitspostulat: Der pluralistische Grundzug der Postmoderne, zit. 253.

[9] Vgl. K. Koch, Glaubensüberzeugung und Toleranz. Interreligiöser Dialog in christlicher Sicht, in: Zeitschrift für Missionswissenschaft und Religionswissenschaft 92 (2008) 196-210.

[10] Per un confronto teologico con questa tesi, cfr. G. Lohfink, Jesus und das zerrissene Gottesvolk, in: Ders., Gegen die Verharmlosung Jesu. Reden über Jesus und die Kirche (Freiburg i. Br. 2013) 156-177.

[11] E. Käsemann, Begründet der neutestamentliche Kanon die Einheit der Kirche?, in: Ders., Exegetische Versuche und Besinnungen. Erster und zweiter Band (Göttingen 1970) 214-223.

[12] Il Cardinale W. Kasper, in riferimento a questa tesi di Käsemann, ha giustamente affermato: “Per Paolo, una simile coesistenza parallela ed un simile pluralismo di diverse e differenti Chiese confessionali sarebbe un’idea del tutto insostenibile.” Cfr. Katholische Kirche. Wesen – Wirklichkeit – Sendung (Freiburg i. Br. 2011) 226.

[13] Rechtfertigung und Freiheit. 500 Jahre Reformation 2017. Ein Grundlagentext des Rates der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD) (Gütersloh 2014) 99.

[14] V. Leppin und D. Sattler (Hrsg.), Reformation 1517-2017. Ökumenische Perspektiven (Freiburg i. Br. – Göttingen 2014) 20.

[15] Vgl. D. Sattler, Einheit und Spaltung der Kirche(n). Thesen zur Ökumene aus (einer) römisch-katholischen Sicht, in: U. Swarat und Th. Söding (Hrsg.), Heillos gespalten? Segensreich erneuert? 500 Jahre Reformation in der Vielfalt ökumenischer Perspektiven (Freiburg i. Br. 2016) 77-92.

[16] Vgl. H. J. Urban, Art. Methodologie, ökumenische, in: W. Thönissen (Hrsg.), Lexikon der Ökumene und Konfessionskunde (Freiburg i. Br. 2007) 871-873.

[17] Vgl. U. H. J. Körtner, Wohin steuert die Ökumene? Vom Konsens- zum Differenzmodell (Göttingen 2005).

[18] W. Huber, Im Geist der Freiheit. Für eine Ökumene der Profile (Freiburg i. Br. 2007).

[19] Vgl. G. Hintzen / W. Thönissen, Kirchengemeinschaft möglich. Einheitsverständnis und Einheitskonzepte in der Diskussion (Paderborn 2001); F. W. Graf / D. Korsch (Hrsg.), Jenseits der Einheit. Protestantische Ansichten der Ökumene (Hannover 2001).

[20] Vgl. K. Koch, Auf dem Weg zur Kirchengemeinschaft. Welche Chance hat eine gemeinsame Erklärung zu Kirche, Eucharistie und Amt? in: Catholica 69 (2015) 77-94.

[21] Die Kirche auf dem Weg zu einer gemeinsamen Vision. Eine Studie der Kommission für Glauben und Kirchenverfassung des Ökumenischen Rates der Kirchen (ÖRK) (Gütersloh – Paderborn 2015).

[22] W. Kardinal Kasper, Ökumene zwischen Ost und West. Stand und Perspektiven des Dialogs mit den orthodoxen Kirchen, in: Stimmen der Zeit 128 (2003) 151-164, zit. 157.

[23] Lumen gentium, n. 23.

[24] Lumen gentium, n. 26.

[25] Benedetto XVI, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald (Città del Vaticano 2010) 140.

[26] M. Luther, WA 50, 625.

[27] Vgl. H. Meyer, Zur Entstehung und Bedeutung des Konzeptes „Kirchengemeinschaft“. Eine historische Skizze aus evangelischer Sicht, in: J. Schreiner / K. Wittstadt (Hrsg.), Communio Sanctorum. Einheit der Christen – Einheit der Kirche. (Würzburg 1988) 204-230.

[28] W. Hüffmeier, Kirchliche Einheit als Kirchengemeinschaft – Das Leuenberger Modell, in: F. W. Graf – D. Korsch (Hrsg.), Jenseits der Einheit. Protestantische Ansichten der Ökumene (Hannover 2001) 35-54, zit. 54.

[29] Vgl. U. H. J. Körtner, Die Leuenberger Konkordie als ökumenisches Modell, in: M. Bünker / B. Jaeger (Hrsg.), 40 Jahre Leuenberger Konkordie. Dokumentationsband zum Jubiläumsjahr 2013 der Gemeinschaft Evangelischer Kirchen in Euroopa (Wien 2014) 203-226.

[30] Per un confronto critico, cfr. K. Koch, Kirchengemeinschaft oder Einheit der Kirche? Zum Ringen um eine angemessene Zielvorstellung der Ökumene, in: P. Walter u. a. (Hrsg.), Kirche in ökumenischer Perspektive. Festschrift für Kardinal Walter Kasper (Freiburg i. Br. 2003) 135-162.

[31] Benedetto XVI, Omelia durante i Vespri per la conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura il 25 gennaio 2011.

[32] P. Neuner / B. Kleinschwärzer-Meister, Ein neues Miteinander der christlichen Kirchen. Auf dem Weg zum ökumenischen Kirchentag in Berlin 2003, in: Stimmen der Zeit 128 (2003) 363-375, zit. 373.

[33] B. Farrell, Der Päpstliche Rat zur Förderung der Einheit der Christen im Jahre 2003, in: Catholica 58 (2004) 81-104, zit. 97.

[34] M. Eckholt, Pentekostalismus: Eine neue „Grundform“ des Christseins. Eine theologische Orientierung zum Verhältnis von Spiritualität und Gesellschaft, in: T. Kessler / A.-P. Rethmann (Hrsg.), Pentekostalismus. Die Pfingstbewegung als Anfrage an Theologie und Kirche = Weltkirche und Mission. Band 1 (Regensburg 2012)  202-225, zit. 202.

[35] Ch. Markschies, Neue Chance für die Ökumene? in: Nach der Glaubensspaltung. Zur Zukunft des Christentums, in: Herder Korrespondenz Spezial (Freiburg i. Br. 2016) 17-21, zit. 20.

[36] Vgl. K. Kardinal Koch, Innere Reform und Umkehr als Voraussetzung von Ökumene, in: E. Dieckmann – K. Kardinal Lehmann (Hrsg.), Blick zurück nach vorn. Das Zweite Vatikanum aus der Perspektive der multilateralen Ökumene (Würzburg 2016) 161-186.

[37] Vgl. K. Kardinal Koch, Christliche Ökumene im Licht des Betens Jesu. „Jesus von Nazareth“ und die ökumenische Sendung, in: J.-H. Tück (Hrsg.), Passion aus Liebe. Das Jesus-Buch des Papstes in der Diskussion (Mainz 2011) 19-36.

[38] Francesco, Discorso ai partecipanti al Colloquio ecumenico di religiosi e religiose promosso dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, il 24 gennaio 2015.

[39] Benedetto XVI, omelia per la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, il 25 gennaio 2008.

[40] Francesco, Discorso alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, il 28 giugno 2013.

[41] Unitatis redintegratio, n. 8.

[42] Benedetto XVI, Discorso durante la celebrazione ecumenica nella chiesa dell’ex-convento degli Agostiniani di Erfurt, il 23 settembre 2011.

[43] J. Ratzinger- Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso di Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano 2011) 111-112.

[44] Ibid 112.

[45] Ibid 112.

[46] Ibid 112.

[47] Unitatis redintegratio, n. 3.

[48] Unitatis redintegratio, n. 22.

[49] Lumen gentium, n. 4.

[50] Benedetto XVI, L’omelia durante i secondi vespri della festa della conversione di San Paolo Apostolo il 25 gennaio 2006.

[51] Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.

[52] Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.

[53] Benedetto XVI, Discorso durante la celebrazione ecumenica nella chiesa dell’ex-convento degli Agostiniani a Erfurt, il 23 settembre 2011.

[54] Vgl. P.-W. Scheele, Zum Zeugnis berufen. Theologie des Martyriums (Würzburg 2008); E. Schockenhoff, Entschiedenheit und Widerstand. Das Lebenszeugnis der Märtyrer (Freiburg i. Nr. 2015).

[55] Vgl. H. Moll, Martyrium und Wahrheit. Zeugen Christi im 20. Jahrhundert (Weilheim-Bierbronnen 2009); A. Riccardi, Salz der Erde, Licht der Welt. Glaubenszeugnis und Christenverfolgung im 20. Jahrhundert (Freiburg i. Br. 2002).

[56] Vgl. Kardinal W. Kasper, Ökumene der Märtyrer. Theologie und Spiritualität des Martyriums (Norderstedt 2014); R. Prokschi / J. Marte (Hrsg.), Europa, vergiss Deine Märtyrer nicht! Aus jüdischer und christlicher Sicht (Klagenfurt 2006); K. Cardinal Koch,  Christenverfolgung und Ökumene der Märtyrer. Eine biblische Besinnung (Norderstedt 2016).

[57] Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, n. 37.

[58] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 84.

[59] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 1.

[60] Francesco, Discorso al Movimento del Rinnovamento nello Spirito, il 3 luglio 2015.

[61] Francesco, Messaggio al Global Christian Forum, il 1 novembre 2015.

[62] Dichiarazione Comune di Sua Santità Francesco e di Sua Santità Karekin nella Santa Etchmiadzin, Repubblica di Armenia, il 26 giugno 2016.

[63] Benedetto XVI, Messaggio durante l’Udienza Generale del 17 gennaio 2007.

[64] Francesco, Omelia durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2014.

[65]  Cfr. K. Koch, Il cammino verso l’unità dei cristiani secondo papa Francesco, in: nuova umanità 223 (2016) 77-90.

[66] Verfassung und Satzungen des Ökumenischen Rates der Kirchen, in: H. Krüger und W. Müller-Römheld (Hrsg.), Bericht aus Nairobi 1975. Ergebnisse – Erlebnisse – Ereignisse. Offizieller Bericht der Fünften Vollversammlung des Ökumenischen Rates der Kirchen (Frankfurt a. M. 1976) 327-377, zit. 327.

[67] P.-W. Scheele, Ökumene wohin? Unterschiedliche Konzepte kirchlicher Einheit im Vergleich, in: St. Ley – I. Proft – M. Schulze (Hrsg.), Welt vor Gott. Für George Augustin (Freiburg i. Br. 2016) 165-179, zit. 174.