ASSEMBLEA PLENARIA 2012

PROLUSIO DEL CARDINALE PRESIDENTE

 

L'IMPORTANZA DELL'ECUMENISMO PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE[1]

Kurt Cardinale Koch

 

“La sfida della nuova evangelizzazione interpella la Chiesa universale, e ci chiede anche di proseguire con impegno la ricerca della piena unità tra i cristiani.”[2] Con queste parole pronunciate durante la celebrazione dei primi vespri della solennità dei Santi Pietro e Paolo il 28 giugno 2010, Papa Benedetto XVI annunciava l’istituzione del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. La Chiesa universale è stata interpellata in modo particolare con la XIII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi riunitasi sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. La seconda esortazione, ovvero la necessità che la nuova evangelizzazione abbia una dimensione ecumenica, ci è stata ricordata durante il Sinodo dei Vescovi soprattutto dall’apprezzata presenza e dai contributi di numerosi delegati fraterni e costituisce il tema principale di questa Plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. È nostro compito riflettere in modo approfondito sulla relazione esistente tra la missione della nuova evangelizzazione e la ricerca dell’unità di tutti coloro che credono in Cristo e che sono battezzati nel suo nome.

 

1. La nuova evangelizzazione e l’unità dei cristiani

Lo stretto legame tra la nuova evangelizzazione e la ricerca dell’unità dei cristiani è in fondo tanto vecchio quanto il cristianesimo stesso e si riallaccia al cenacolo in cui Gesù, alla vigilia della sua passione e morte, ha pregato per l’unità dei suoi discepoli “perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Con questa proposizione finale nella preghiera del Signore, nel suo testamento, l’evangelista Giovanni sottolinea che l’unità dei discepoli di Cristo non è un fine in sé, ma si pone al servizio dell’annuncio credibile del Vangelo di Gesù Cristo nel mondo odierno e rappresenta il presupposto indispensabile per la credibilità del messaggio cristiano. L’obiettivo della preghiera per l’unità, come fa osservare Papa Benedetto XVI nella sua interpretazione della preghiera sacerdotale di Gesù,  consiste nel fatto che mediante l’unità dei discepoli “la verità della sua missione si renda visibile agli uomini” e venga “legittimato Gesù stesso” , ovvero diventi “evidente che Egli è veramente il ‘Figlio’” [3].

a) L’unità ecumenica al servizio di un’evangelizzazione credibile

Davanti alla profonda importanza del testamento del Signore, non è sorprendente che il Concilio Vaticano Secondo avesse ben chiara la volontà di Gesù e dunque l’inscindibile legame tra evangelizzazione e ricerca dell’unità dei cristiani. Già nel primo paragrafo del suo Decreto sull’ecumenismo, il Concilio parte dalla confessione -fondamentale per tutto l’ecumenismo- che da Cristo la Chiesa è stata fondata “una ed unica”. A questa confessione esso contrappone il fatto che varie comunità cristiane propongono se stesse agli uomini come “la vera eredità di Gesù Cristo”. Poiché tutto ciò può causare un’erronea impressione “come se Cristo stesso fosse diviso”, il Decreto sull’ecumenismo afferma che la divisione esistente si oppone apertamente alla volontà di Cristo, è “di scandalo al mondo” e “danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura” [4]. Con queste esplicite parole viene messa in risalto la situazione profondamente anormale della cristianità divisa. Il fatto che i cristiani, che credono in Gesù Cristo come redentore del mondo e che sono battezzati nel suo unico Corpo, continuano a vivere in Chiese e Comunità ecclesiali separate è una realtà deplorevole che la cristianità mostra tutt’oggi al mondo e che merita di essere definita “scandalo”. Le divisioni della Chiesa sono infatti lacerazioni di ciò che per sua natura è indivisibile, ovvero l’unità del Corpo di Cristo, e danneggiano la credibilità dell’annuncio del Vangelo. È per questo motivo che il Decreto sull’ecumenismo inizia proprio con l’affermare che “promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani” è “uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II”. Se facciamo nostra questa chiara visione del Concilio, diventerà evidente che anche la nuova evangelizzazione potrà aver successo soltanto se verrà rivitalizzato l’originario obiettivo del movimento ecumenico, ovvero il ristabilimento dell’unità visibile dei cristiani. Anche e precisamente nel mondo odierno, la testimonianza cristiana deve avere una chiave musicale ecumenica, affinché la sua melodia non sia cacofonica, ma sinfonica.

L’esistenza dello stretto legame tra evangelizzazione e impegno ecumenico fu riconosciuta già all’inizio del movimento ecumenico nel XX secolo, che prese avvio in modo decisivo ad Edimburgo nel 1910 con la prima Conferenza Mondiale sulla Missione, sul cui sfondo si stagliavano gli allora molto vitali “movimenti ecumenici di preghiera”[5].  Ai missionari riunitisi ad Edimburgo era ben chiaro lo scandalo insito nel fatto che le varie Chiese e Comunità ecclesiali si facevano concorrenza nel lavoro missionario ed in tal modo minavano la credibilità dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo soprattutto nei continenti più lontani, poiché avevano portato in altre culture, insieme al Vangelo di Cristo, anche le divisioni della Chiesa in Europa. Ma dato che una testimonianza credibile dell’opera salvifica di Gesù Cristo nel mondo è possibile solo quando le Chiese riescono a sanare le loro divisioni nella dottrina della fede e nella vita ecclesiale, ad Edimburgo soprattutto il vescovo anglicano missionario Charles Brent invitò a compiere intensi sforzi per il superamento di quelle differenze relative alla dottrina e all’ordinamento delle Chiese che ostacolano il cammino verso l’unità.

Con questa visione che può dirsi profetica, che individua nelle divisioni della cristianità il maggior ostacolo alla missione nel mondo, non solo la prima Conferenza Mondiale sulla Missione è diventata il punto di partenza del movimento ecumenico moderno, ma il compito missionario della Chiesa è divenuto ancora più chiaramente uno dei temi fondamentali dell’ecumenismo. Da Edimburgo in poi, la responsabilità ecumenica e l’impegno missionario sono visti come indissociabili; ecumenismo ed evangelizzazione dimostrano di essere gemelli che si chiamano e si appoggiano a vicenda, secondo una naturale logica interna. Poiché la missione cristiana è volta a radunare l’umanità nell’unico amore di Dio che, manifestatosi in Gesù Cristo, abbraccia tutto, essa è per sua stessa natura anche un “segno di unità”: “Come il peccato allontana gli uomini gli uni dagli altri, così l’unica fede li riunisce in un uomo nuovo.”[6] In questo senso, è stato un bel segno ecumenico il fatto che proprio nell’anno del Centenario della Conferenza Mondiale sulla Missione Papa Benedetto XVI abbia istituito il nuovo Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, nella convinzione che tutte le Chiese che vivono nei territori cristiani tradizionali hanno bisogno urgentemente di un rinnovato slancio missionario, come “espressione di una nuova generosa apertura al dono della grazia” [7].

b) La secolarizzazione come conseguenza delle colpe della cristianità

La consapevolezza del legame inscindibile tra evangelizzazione e responsabilità ecumenica si impone anche alla luce della storia, soprattutto in riferimento alla divisione della Chiesa al tempo della Riforma. Al riguardo, l’ecumenista e storico della Chiesa cattolico Joseph Lortz, diventato famoso soprattutto in Germania per la sua ricerca storica sulla Riforma[8], concludeva già nel 1950: “Con la divisione della cristianità, la forza di convincimento dell’annuncio cristiano ha subito un colpo decisivo.”[9] Lortz sapeva bene che la Riforma non era “soltanto divisione”, ma “molto di più” e tuttavia “essenzialmente anche divisione”.[10] Lortz era altrettanto consapevole del fatto che la divisione della cristianità rappresentava l’esatto opposto di ciò a cui aveva mirato originariamente la Riforma: “La Riforma voleva una riforma del capo e delle membra dell’ unica Chiesa, comune a tutti i cristiani. Ciò non avvenne; si produsse la frattura che divise la Chiesa e la cristianità. Il compito centrale della Chiesa non fu assolto.”[11] E Lortz aggiunse il chiaro auspicio: “Questo deve entrare sempre più profondamente nella coscienza dei cristiani protestanti.”[12] Dobbiamo dunque accogliere positivamente il fatto che tale convinzione sia oggi condivisa e mantenuta viva soprattutto dall’ecumenista protestante Wolfhart Pannenberg: “La Riforma, davanti al suo fallimento nel XVI secolo e davanti al fatto che per secoli con negligenza si è lasciato libero corso alle conseguenze del suo fallimento, deve ancora essere portata a compimento. Il compimento della Riforma esige però il ristabilimento dell’unità dei cristiani.”[13]

Con il riconoscimento fondamentale che la Riforma mirava originariamente ad un completo rinnovamento di tutta la Chiesa e non alla fondazione di nuove Chiese, che essa voleva tutt’altro che la “separazione di chiese particolari protestanti dalla Chiesa cattolica una” e che dunque il nascere di singole Chiese protestanti e riformate evidenzia “non il successo, ma il fallimento della Riforma”[14], Wolfhart Pannenberg ha sottolineato ripetutamente che la secolarizzazione moderna, e più precisamente il processo di svuotamento della fede cristiana della sua missione di promozione della pace sociale nel senso della fondazione, del mantenimento e del rinnovamento delle regole di vita sociale, va intesa come una conseguenza non voluta e imprevista, ma pur sempre tragica, della divisione della Chiesa in occidente nel XVI secolo. Infatti, l’emancipazione della cultura moderna innanzitutto dalle diatribe delle Chiese in lotta tra loro ed infine dal cristianesimo in generale è da considerarsi come il risultato e la conclusione per esaurimento della divisione della Chiesa e delle sanguinose guerre confessionali ad essa legate nel XVI e XVII secolo, tra cui in particolare la Guerra dei Trent’anni. Poiché, come tragico effetto di tali guerre, il cristianesimo, dal punto di vista della sua forma storica, era ancora identificabile nelle diverse confessioni che si sono combattute fino allo spargimento del sangue, questa costellazione storica ha avuto come inevitabile conseguenza l’alto prezzo che la pace religiosa è costata al cristianesimo, eliminando dal gioco le differenze confessionali ed in ultima analisi il cristianesimo stesso per poter dare una nuova base alla pace sociale, come ha diagnosticato giustamente Wolfhart Pannenberg: “Là dove la secolarizzazione dell’epoca moderna ha assunto la forma di un allontanamento dal cristianesimo, ciò non è avvenuto come evento esterno alle Chiese voluto dal destino, ma come conseguenza dei suoi stessi peccati contro l’unità, come conseguenza della divisione della Chiesa del XVI secolo e delle inconcludenti guerre di religione del XVI e XVII secolo, che agli abitanti dei territori con confessioni miste non hanno lasciato altra scelta che ricostruire la propria convivenza su una base comune incontaminata dai conflitti confessionali.”[15]

Come cristiani in Europa, non dobbiamo cancellare dalla nostra memoria storica il fatto che la definizione moderna di fede cristiana come questione privata del singolo individuo ed il suo allontanamento dalla sfera pubblica sono dovuti tragicamente al cristianesimo stesso e rappresentano dunque, come osserva il teologo cattolico Johann B. Metz, “una privatizzazione per così dire ‘fatta in casa’ del cristianesimo”[16]. Quanto appena detto implica che il ripristino della missione pubblica del cristianesimo potrà avvenire soltanto se si supereranno le divisioni ereditate dal passato ritrovando l’unità dei cristiani, come pure che la Riforma del XVI secolo è rimasta incompleta e dovrà ancora rimanere tale fino a che non sarà ricostituita l’unità di una Chiesa cattolica rinnovata nello spirito del Vangelo di Gesù Cristo. Poiché per il movimento ecumenico è fondamentale il successo –seppur tardivo- della Riforma, non ci sono dubbi su quella che è oggi la posta in gioco nell’ecumenismo con la nuova evangelizzazione, non solo per la credibilità delle singole Chiese, ma anche e soprattutto per l’autenticità del cristianesimo nel suo insieme, nelle nostre società moderne. Infatti, se la privatizzazione moderna della religione è dovuta fondamentalmente al fallimento della Riforma, allora il cristianesimo in Europa riacquisterà la sua importanza sociale soltanto quando si rimedierà all’insuccesso della Riforma. Il processo ecumenico di superamento della divisione della Chiesa non può dunque non avere conseguenze sul rapporto che la cultura secolare moderna ha con la religione in generale e con il cristianesimo in particolare. I motivi che, da un punto di vista storico, hanno spinto la cultura moderna ad allontanarsi dalla religione e dalla Chiesa cristiana non potranno più essere fatti valere davanti ad un cristianesimo che avrà superato le divisioni.[17] Giustamente anche Joseph Lortz ha sottolineato che il presupposto centrale per il ripristino della “forza di convincimento dell’annuncio cristiano” è l’ “unio delle confessioni cristiane e, prima, la preparazione di questa unio”.[18]

c) L’evangelizzazione e l’ecumenismo davanti alle nuove sfide

È bene occuparci nel dettaglio del complesso retroscena storico del legame tra evangelizzazione ed ecumenismo non solo perché ci avviciniamo alla commemorazione della Riforma di cinquecento anni fa, di cui non può essere menzionato soltanto l’aspetto benefico, ma deve essere rammentata anche la dimensione tragica[19]. Piuttosto, i nostri ricordi storici ci conducono anche alla costatazione che, nel frattempo, la situazione ecumenica e la situazione missionaria sono mutate considerevolmente e che oggi ci troviamo ancora una volta davanti a sfide del tutto nuove. Nel corso degli ultimi decenni, l’Europa è diventata ancora di più un paese di missione, come padre Alfred Delp, che sacrificò la sua vita per la fede durante il periodo di terrore del nazionalsocialismo, affermava già negli anni quaranta del secolo scorso con le parole lapidarie: “Siamo diventati terra di missione. Dobbiamo prendere atto di questa realtà.” Alla luce di questa situazione missionaria che riguarda oggi tutte le Chiese e le Comunità cristiane, l’intesa e la collaborazione ecumeniche sono tornate ad essere urgenti priorità e tutti i cristiani devono affrontare questa nuova sfida unendo le loro forze.

Ad aggravare la situazione è il fatto che questa nuova realtà missionaria ha oggi un impatto anche all’interno delle Chiese. Ciò è palese soprattutto se consideriamo che i fondamenti di fede che erano finora  un presupposto comune nell’ecumenismo vengono rimessi in discussione e si aprono nuove spaccature soprattutto nel campo dell’etica, così che le divergenze confessionali passano in gran parte dal piano dogmatico a quello dello stile di vita e dell’etica, vertendo in particolare sulle nuove complesse questioni della bioetica, della tutela della vita umana dal concepimento alla morte naturale, dell’importanza fondamentale della coppia e della famiglia e del modo responsabile di vivere la sessualità. Davanti a questa prevalenza di questioni etiche controverse dobbiamo prendere atto di un profondo cambiamento della situazione ecumenica. Mentre in una fase precedente del movimento ecumenico vigeva il motto: “La fede divide e l’agire unisce”, oggi questo detto si è capovolto, nel senso che è soprattutto l’etica che divide, mentre la fede unisce. Ma se le Chiese e le Comunità cristiane non riusciranno a parlare con una sola voce davanti alle grandi problematiche etiche del nostro tempo, ciò nuocerà all’ecumenismo cristiano e alla credibilità della nuova evangelizzazione, per la quale una testimonianza comune dell’ecumenismo cristiano è urgente precisamente nelle questioni etiche. Proprio alla luce del necessario legame tra nuova evangelizzazione ed ecumenismo, possiamo dire che questo rappresenta senza dubbio un banco di prova basilare per la credibilità della cristianità oggi.

Non solo la situazione ecumenica, ma anche la situazione missionaria ha conosciuto un fondamentale cambiamento nel corso degli ultimi decenni. Da un lato, l’orientamento della storia missionaria, che aveva seguito nel passato una direzione nord-sud ed est-ovest, è mutato considerevolmente. Dall’altro, la coscienza critica del legame storico tra missione e colonizzazione ha indotto diffusamente a credere che con l’inizio dell’ultima fase della decolonizzazione fosse giunta al termine anche l’attività missionaria della Chiesa. A questa erronea conclusione si è opposto Papa Giovanni Paolo II con la sua Enciclica sulla permanente validità del mandato missionario della Chiesa, Redemptoris missio, nella quale egli sostiene che non siamo giunti minimamente alla fine della missione, ma ci troviamo piuttosto all’inizio di una nuova fase della missione cristiana e che il mandato di evangelizzazione del mondo appartiene all’intima natura della Chiesa.

Questa idea sostanziale, che ha segnato profondamente il Concilio Vaticano Secondo, è stata posta con esemplare continuità e coerenza dai Pontefici che si sono susseguiti dopo il Concilio al centro della vita della Chiesa e della responsabilità ecumenica, soprattutto nella prospettiva di una nuova evangelizzazione.[20] Papa Paolo VI, nella sua grandiosa Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975, ha riconosciuto l’identità fondamentale della Chiesa nella sua attività evangelizzatrice: “Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare.”[21] Poiché Papa Paolo VI individuava il dramma vero e proprio dell’umanità contemporanea nella profonda rottura tra il Vangelo cristiano e la cultura secolare, egli sperava in un nuovo slancio evangelizzatore per il superamento di questa rottura. Papa Giovanni Paolo II nel suo lungo pontificato ha promosso un’ampia nuova evangelizzazione come via pastorale della Chiesa per il futuro, osservando in maniera incisiva che non si tratta di una “ri-evangelizzazione”, ma di una “nuova evangelizzazione” contenente una triplice novità: “nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni”[22]. Succedendogli, Papa Benedetto XVI prosegue l’opera di una nuova evangelizzazione, nella convinzione che alla radice di ogni evangelizzazione non vi è “un progetto umano di espansione”, ma, al contrario, il desiderio di “condividere l’inestimabile dono che Dio ha voluto farci, partecipandoci la sua stessa vita”[23].

Questo chiaro orientamento, che sta ad indicare che la missione cristiana deriva dalla dinamica della carità e vuole essere in prima linea testimonianza dell’amore di Dio manifestatosi in Cristo, mette già in evidenza il nucleo più profondo della nuova evangelizzazione, che può essere realizzata con successo soltanto nella comunione ecumenica. È dunque un compito urgente dell’ecumenismo odierno far sì che le Chiese cristiane ritornino nuovamente al loro impegno missionario.[24] Che ecumenismo e missione sono inscindibilmente legati traspare anche dal fatto che là dove viene meno lo slancio missionario si affievolisce anche l’impeto originario della ricerca dell’unità dei cristiani e là dove ci si abitua allo scandalo della divisione o addirittura non lo si vede più come tale, non vengono più compiuti grandi sforzi missionari. In senso positivo, ciò significa che la nuova evangelizzazione può aver successo solo se viene realizzata nella responsabilità ecumenica. Soltanto se i cristiani e le Chiese agiscono insieme possono testimoniare davanti al mondo odierno il lieto messaggio in modo credibile, così che possiamo riassumere la sfida decisiva di oggi con le parole del Cardinale Kasper: “Una Chiesa missionaria deve essere anche una Chiesa ecumenica; una Chiesa impegnata ecumenicamente è il presupposto per una Chiesa missionaria.”[25]

 

2. Le vie credibili di una nuova evangelizzazione ecumenica

Come la prima evangelizzazione, che è stata portata avanti in culture che fino a quel momento non avevano avuto legami con il cristianesimo, ha avuto successo in una situazione in cui i cristiani non vivevano ancora in Chiese separate, così anche oggi la nuova evangelizzazione potrà essere condotta in maniera credibile soltanto con una chiave musicale ecumenica. Per questo, il movimento ecumenico deve essere in particolar modo al servizio della nuova evangelizzazione. Affinché essa sia attuata in modo credibile, ci dobbiamo chiedere più precisamente, in un passo successivo, quali sono le sue condizioni essenziali. La prima condizione fondamentale presuppone senz’alcun dubbio che la dinamica missionaria nasca dalla gioia del Vangelo ed i cristiani siano convinti di aver ricevuto, con il Vangelo di Gesù Cristo, un dono così grande da non poterlo tenere gelosamente per sé, né imporre agli altri, ma da doverlo ridonare, invitando gli altri ad accoglierlo. La nuova evangelizzazione può aver successo dunque soltanto quando il cuore del cristiano colmo della gioia della fede tocca il cuore di altri uomini e la sua ragione parla alla loro ragione. Questo è un processo in piena libertà, è un invito rivolto liberamente agli altri di entrare in comunicazione ed avviare un dialogo vivificante, come osserva Papa Benedetto XVI parlando della missione fondamentale della Chiesa: “La nostra fede non la imponiamo a nessuno. Un simile genere di proselitismo è contrario al cristianesimo. La fede può svilupparsi soltanto nella libertà. Ma è la libertà degli uomini alla quale facciamo appello di aprirsi a Dio, di cercarlo, di prestargli ascolto.”[26]

a) Evangelizzazione senza proselitismo

Il termine ‘proselitismo’ evoca un problema che riveste una fondamentale importanza dal punto di vista ecumenico e che dobbiamo affrontare più da vicino per poter giungere al necessario consenso ecumenico riguardo al programma pastorale della nuova evangelizzazione. La parola ‘proselitismo’ comporta già una prima difficoltà, in quanto può essere usata in senso diverso.[27] In un’accezione positiva o perlomeno neutra, il termine può indicare tutti gli sforzi compiuti da una comunità religiosa per attirare nuovi membri. In ambito ecumenico prevale però da molto tempo l’accezione negativa, che allude a tutti gli sforzi compiuti da una comunità religiosa per attirare nuovi membri ad ogni costo e con qualsiasi mezzo, secondo il principio, decadente da un punto di vista morale, che il fine giustifica i mezzi. Questa connotazione negativa è ormai prevalente nel movimento ecumenico e ciò da quando, nel 1961, venne approvato a Nuova Delhi dall’Assemblea Plenaria del Consiglio Ecumenico delle Chiese un documento di studio nel quale si legge: “Il proselitismo non è qualcosa di completamente diverso dalla vera testimonianza: esso è la distorsione della testimonianza. La testimonianza è distorta quando –in maniera subdola o evidente- vengono utilizzate arti di convincimento, corruzione, pressione illecita o intimidazioni per pervenire ad un’apparente conversione.”[28] Nello stesso spirito, anche il Concilio Vaticano Secondo, nella sua Dichiarazione sulla libertà religiosa, respinge ogni forma di proselitismo quando sottolinea ad esempio che, “nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre pratiche religiose, si deve evitare ogni modo di procedere in cui ci siano spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti, specialmente nei confronti di persone prive di cultura o senza risorse”[29].

Sorge dunque la questione, tutt’altro che semplice, di come sia possibile conciliare il principio della libertà religiosa ed il rifiuto -in esso fondato- del proselitismo con il compito evangelizzatore della Chiesa. Al riguardo, ci può essere di aiuto la storia di come è nata la Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa.[30] Nella bozza che nel periodo pre-conciliare, nel 1962, fu sottoposta alla Commissione centrale, il termine ‘proselitismo’ era usato ancora espressamente: “vitatis omnibus apertis vel consortis improbi proselitismi molimentis seu mediis improbiis vel inhonestis”. Ma tale formulazione non fu mantenuta, perché sembrava che il passaggio si riferisse soltanto ai missionari cattolici. Il Concilio voleva infatti evitare un altro malinteso, ovvero l’idea che con la Dichiarazione sulla libertà religiosa si decretasse la fine dell’attività missionaria della Chiesa. L’articolo 14 di “Dignitatis humanae” mostra in maniera inequivocabile l’esatto contrario: “Per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana.” La Dichiarazione sulla libertà religiosa non sollecita dunque una rinuncia alla testimonianza missionaria della verità della fede, ma esige una rinuncia a tutti quei mezzi che non sono consoni alla buona novella di Gesù Cristo e incoraggia piuttosto ad impiegare solo quei metodi utilizzati dallo stesso Vangelo, che consistono nell’annuncio della Parola e nella testimonianza di vita fino al martirio. O, per dirla con le parole del Cardinale Johannes Willebrands, il secondo Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: la Dichiarazione sulla libertà religiosa “contribuisce ad un approfondimento del lavoro missionario, nel renderlo più autentico e puro”[31]. Ciò vale soprattutto per la nuova evangelizzazione, che deve attuarsi in un contesto oggi fortemente segnato dal desiderio di libertà degli uomini.

b) Evangelizzazione e dialogo interreligioso

Il compito evangelizzatore della Chiesa e il principio della libertà religiosa, che il Concilio Vaticano Secondo radica consapevolmente nella “dignità della persona umana” esprimendo in tal modo il fatto che essa riguarda ogni uomo nel suo comportamento religioso, si esigono e si appoggiano vicendevolmente. Alla luce di ciò, precisamente in ambito ecumenico sorge nuovamente, e in maniera accentuata, la questione di sapere se la convinzione della verità assoluta della fede cristiana, da cui deriva ogni evangelizzazione in quanto collegata inscindibilmente all’universalità della persona di Gesù Cristo e al suo messaggio, è capace di aprirsi al dialogo dal punto di vista interreligioso o se la missione cristiana non debba piuttosto essere sostituita dal dialogo interreligioso[32].

Per attuarsi in maniera credibile, la nuova evangelizzazione deve partire dal fatto che l’universalità della fede cristiana non implica in nessun modo la rivendicazione assoluta di una verità oggettiva iscritta in maniera esclusiva nel campo delle conoscenze umane, di cui noi disponiamo e che possiamo far valere contro le altre religioni. L’universalità della fede cristiana è piuttosto il contrario dell’esclusione e della polarizzazione, dell’autoaffermazione e dell’intolleranza. L’universalità della verità professata dalla fede cristiana è la persona stessa di Gesù Cristo, che dice di sé: “Io sono la verità”. Ma questa verità è l’amore personale puro, universale, che abbraccia tutto e tutti e non esclude nessuno, che si è manifestato in Gesù Cristo, come ha osservato Papa Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Redemptoris missio: “L’universalità della salvezza non significa che essa è accordata solo a coloro che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella chiesa. Se è destinata a tutti, la salvezza deve essere messa in concreto a disposizione di tutti.”[33]

Alla professione dell’universalità della verità dell’amore di Dio manifestatosi in Gesù Cristo la fede cristiana, anche nel concerto odierno delle religioni, non può fondamentalmente rinunciare se non vuole rinunciare a se stessa ed anche al servizio che essa rende agli uomini. Infatti, il servizio non delegabile che il cristianesimo offre alla società consiste nel testimoniare Cristo e l’amore di Dio, radicale, universale, in Lui manifestatosi. I cristiani, che professano questo amore di Dio che si è fatto tangibile nella persona di Gesù Cristo, testimoniano però tale amore sempre in forme terrene e troppo spesso deboli, che non gli sono all’altezza. Aspetto essenziale della fede cristiana è dunque riconoscere e professare che essa confessa ciò di cui precisamente non dispone e ciò che in ultima analisi può soltanto umilmente testimoniare spostando l’attenzione fuori da sé e rivolgendola verso Cristo e verso l’amore radicale e universale di Dio manifestatosi in Cristo, come ha fatto Giovanni Battista. Solo nell’atteggiamento di chi, come il Battista, indica con la propria vita il Signore che viene può esprimersi anche oggi in maniera credibile la rivendicazione della verità universale specifica della fede cristiana. E soltanto in questo atteggiamento di fondo, l’evangelizzazione cristiana, che considera fede e tolleranza non come contrari ma come elementi di pari importanza, potrà rispondere a quella sfida che oggi le si presenta nell’ormai multireligiosa realtà degli uomini.

 

3. I contenuti principali della nuova evangelizzazione

Le Chiese e le Comunità ecclesiali cristiane devono assumere insieme nel mondo di oggi questo compito che si presenta alla fede cristiana; la nuova evangelizzazione dovrà avere pertanto una dimensione ecumenica. Questa dimensione risulta particolarmente necessaria se ci chiediamo, in un passo successivo, qual è l’obiettivo della nuova evangelizzazione e quali sono i suoi contenuti prioritari. La nuova evangelizzazione consisterà essenzialmente nell’avvicinare gli uomini, soprattutto nelle società secolarizzate di oggi, al mistero di Dio e nell’immetterli in una relazione personale con Dio, nella convinzione che non dona abbastanza all’uomo colui che non gli dona Dio. Al centro di ogni sforzo ecumenico per la promozione della nuova evangelizzazione deve esserci dunque la questione di Dio.[34] Questo è il mistero, in fondo semplice, del grande termine “nuova evangelizzazione”, che indica il compito essenziale del cristianesimo, un compito che, come ricorda Papa Benedetto XVI, dobbiamo assumere ecumenicamente. Papa Benedetto XVI vede nella centralità della questione di Dio la più grande sfida comune che deve affrontare l’ecumenismo, come ha sottolineato nella celebrazione ecumenica in occasione dell’incontro con i rappresentanti del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania ad Erfurt nell’autunno del 2011, menzionando l’importanza particolare della ricerca appassionata di Dio nella vita e nell’opera del riformatore Martin Lutero: “L’uomo è stato creato per la relazione con Dio e ha bisogno di Lui. Il nostro primo servizio ecumenico in questo tempo deve essere di testimoniare insieme la presenza del Dio vivente e con ciò dare al mondo la risposta di cui ha bisogno.”[35] Queste concise e pregnanti parole delineano il fulcro del programma pastorale della nuova evangelizzazione, di cui qui di seguito presenterò più concretamente alcuni aspetti.

a) Mantenere sveglia nella società la consapevolezza della presenza di Dio

Se gettiamo uno sguardo alla società di oggi, vediamo senza ombra di dubbio che la questione di Dio bussa energicamente alle porte ecumeniche della Chiesa[36], sebbene essa possa inizialmente venire percepita come contrastante con la realtà. Di fatti, l’epoca odierna non è certo caratterizzata da un’intensa ricerca di Dio, ma piuttosto dall’oblio di Dio e dalla sordità davanti a Dio. La consapevolezza della presenza di Dio nel mondo si è affievolita soprattutto nella sfera pubblica, come dimostra in particolare il rapporto interrotto, o perlomeno ambiguo, che ha la società odierna con il fenomeno della religione. Al riguardo, sono constatabili forti tendenze che considerano la religione come un fattore irrilevante dal punto di vista sociale o addirittura fastidioso e che la relegano al margine della vita sociale. L’esistenza di tali tendenze è confermata dal fatto che, nel Preambolo del Trattato di riforma dell’Unione Europea, non vi è il benché minimo riferimento a Dio né il riconoscimento di un’eredità cristiana. Le stesse discussioni sulla cosiddetta Carta dell’Unione Europea hanno messo in evidenza che la menzione pubblica di Dio in Europa, dove l’ottanta per cento delle persone sono pur sempre battezzate cristianamente, non raccoglie più consensi maggioritari. Questo mostra che, da qualche tempo, l’Europa sta compiendo un inedito e difficile esperimento storico, il cui esito è al momento imprevedibile. Di fatti, il tentativo dell’Europa di costruire delle società o addirittura una comunità di stati che prescindono in linea di principio da un fondamento religioso rappresenta una novità assoluta dal punto di vista storico-culturale, tanto che si potrebbe effettivamente affermare che l’Europa è diventata l’unico continente davvero secolarizzato.[37]

Dall’altro canto, però, sorge inevitabilmente la domanda se la secolarizzazione moderna abbia davvero condotto ad una società secolare o se proprio la secolarizzazione non corra piuttosto il rischio di cadere in nuovi, celati o manifesti crepuscoli degli dei che possono verificarsi nella vita personale, sociale e politica quando realtà terrene e secolari vengono sostituite a Dio e adorate al suo posto. Uno sguardo alla storia ci mostra che i crimini peggiori sono sempre stati commessi quando realtà terrene come il sangue e la terra, la nazione e la dottrina del partito, hanno preso il posto di Dio e sono state spaventosamente idolatrate. Deve continuare a farci riflettere il fatto che i più terribili stermini di massa sono avvenuti in Europa proprio durante l’età che si definiva moderna e illuminata, in nome di ideologie anticristiane e neopagane come il nazionalsocialismo e lo stalinismo.[38] Il XX secolo ha più che confermato il principio basilare della fede cristiana, ovvero che l’umanità che non ha il suo fondamento nella divinità si trasforma molto rapidamente in bestialità.

Alla luce di queste terribili esperienze, l’ecumenismo cristiano ha il compito di risvegliare continuamente la consapevolezza del fatto che, affinché, come è necessario, simili pericolose idolatrie vengano respinte, occorre annunciare Dio pubblicamente e ricordare la responsabilità di ognuno davanti a Dio, nella vita personale, sociale e politica, come ribadisce giustamente Papa Benedetto XVI: “Senza un fondamento trascendente, senza un riferimento a Dio Creatore, senza la considerazione del nostro destino eterno, rischiamo di cadere in preda ad ideologie dannose.”[39] Come fulcro della necessaria nuova evangelizzazione, che va portata avanti ecumenicamente, deve esserci dunque la testimonianza della centralità della questione di Dio. Di fronte alla crisi di Dio indubbiamente riscontrabile nella società odierna, l’ecumenismo cristiano è chiamato a sillabare nuovamente la lezione elementare della fede cristiana, ovvero che il cristianesimo, nel suo nucleo più profondo, è fede in Dio e vita vissuta in una relazione personale con Dio, da cui tutto il resto deriva.

b) Annunciare il Dio dal volto umano

Davanti a queste grandi sfide, la nuova evangelizzazione deve sforzarsi soprattutto di “testimoniare Dio in un mondo che ha difficoltà a trovarlo”[40]. Per noi cristiani, però, Dio non è un Dio lontano dal mondo e nemmeno una mera ipotesi filosofica sull’origine del mondo, ma un Dio che ci ha mostrato il suo volto e ci ha parlato e si è fatto uomo in Gesù Cristo. Pertanto, nella nuova evangelizzazione, deve essere centrale la testimonianza resa a Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio. Tale rivitalizzazione dell’annuncio cristocentrico è urgente anche perché l’odierna crisi della fede è in profondità una crisi della fede in Cristo biblica e ecclesiale. Essa si mostra nel fatto che oggi molte persone, tra cui gli stessi cristiani, si sentono toccate da tutte le dimensioni umane di Gesù di Nazareth, ma stentano a credere che egli è il Figlio unigenito di Dio, che è presente tra noi come il Risorto, e dunque hanno difficoltà a professare la fede cristologica della Chiesa. Perfino all’interno della Chiesa e dell’ecumenismo oggi non si riesce sempre a vedere nella persona di Gesù il volto del Figlio di Dio e si scorge in lui piuttosto solo quello di un uomo, per quanto esemplare e straordinariamente buono. Nel cristianesimo odierno dobbiamo prendere atto in modo realistico di un grande e preoccupante svuotamento di significato della fede cristiana in Gesù come il Cristo in cui Dio stesso si è fatto uomo.

Ma con la professione di fede cristologica sta o cade l’intera fede cristiana. Se Gesù, come oggi molti pensano, fosse semplicemente un uomo vissuto duemila anni fa, egli sarebbe irrimediabilmente relegato al passato e soltanto la nostra memoria potrebbe riportarlo in maniera più o meno distinta nel nostro presente. Solo se è vera la fede cristiana secondo la quale Dio stesso si è fatto uomo e Gesù Cristo è vero uomo e vero Dio, partecipe dunque della presenza di Dio che abbraccia tutti i tempi, Gesù Cristo può essere davvero nostro contemporaneo non solo ieri ma anche oggi, così che non soltanto possiamo professare con gioia che egli è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), ma abbiamo buone ragioni per parlare agli altri uomini di Gesù Cristo, farlo conoscere loro e far sì che si entusiasmino per lui. Di conseguenza, la priorità della nuova evangelizzazione proprio da un punto di vista ecumenico è quella descritta dal Cardinale Walter Kasper come “concentrazione cristologica”[41], che è anche l’interesse principale di Papa Benedetto XVI, come egli ha sottolineato recentemente: “La missionarietà non è una cosa esteriormente aggiunta alla fede, ma è il dinamismo della fede stessa. Chi ha visto, chi ha incontrato Gesù, deve andare dagli amici e deve dire agli amici: ‘Lo abbiamo trovato, è Gesù, il Crocifisso per noi’.”[42]

c) Ancorare la dignità umana al mistero di Dio

La centralità della questione di Dio e l’annuncio cristocentrico sono le prospettive basilari della nuova evangelizzazione anche e precisamente da un punto di vista ecumenico. La fede cristiana è giustamente convinta che la rivitalizzazione di queste due prospettive giova all’uomo, alla sua vita, alla sua dignità. Questo nesso è evidente già nel fatto che la crisi radicale di Dio che affligge la nostra società si porta dietro immediatamente, secondo una perfetta logica interna, un’altrettanto pericolosa crisi dell’uomo e che alla “morte di Dio” proclamata da Friedrich Nietzsche in Europa rischia di seguire la “morte dell’uomo”. Infatti, là dove Dio è eliminato dalla vita sociale vi è il forte rischio che anche la dignità umana venga calpestata. Tacere Dio in pubblico non giova assolutamente all’uomo. Se l’uomo, secondo la Bibbia, è l’immagine inviolabile di Dio, allora l’affievolirsi o la soppressione della consapevolezza della presenza di Dio nella società odierna mina in modo pericoloso anche la dignità della vita umana.

I sintomi di questo pericolo sono tangibili nella nostra società. In particolare, è costatabile una forte perdita di rispetto per la vita, alla fine dell’esistenza umana come al suo inizio, direttamente legata alla scomparsa della consapevolezza di Dio nella sfera pubblica. Il sintomo indubbiamente più evidente va ravvisato nella mancanza di un giusto equilibrio tra la protezione giuridica e morale delle cose e la protezione della vita umana. La tutela delle cose materiali nella nostra società è molto più chiaramente regolamentata rispetto alla tutela della vita in tutte le sue fasi e nelle sue molteplici varianti. Le auto, ad esempio, sono più protette degli esseri umani non ancora nati o in punto di morte, così che possiamo concordare con il teologo viennese Paul M. Zulehner, il quale afferma che, nella società odierna, si dovrebbe avere la fortuna “di venire al mondo come auto”[43].

Di fronte a queste grandi sfide etiche e soprattutto davanti a quella rivoluzione antropologica prodottasi per effetto dei rapidissimi sviluppi della ricerca biomedica, il programma pastorale della nuova evangelizzazione portata avanti ecumenicamente deve consistere nell’annunciare il Dio vivente, nell’avvicinare gli uomini al mistero divino quale rifugio salvifico e nel difendere, anche andando controcorrente, il diritto alla vita, dal momento del concepimento a quello della morte naturale. L’essenza della nuova evangelizzazione risiede soprattutto nel risvegliare, attraverso l’annuncio del Dio vivente, anche la gioia per la grandezza dell’uomo e nel mettere nuovamente in luce, in tal modo, la bellezza della fede cristiana.

 

4. L’ecumenismo dei martiri come nucleo più profondo della nuova evangelizzazione

Da tutto ciò emerge chiaramente che la testimonianza di fede è la categoria decisiva della nuova evangelizzazione, conformemente a quanto aveva saggiamente suggerito Papa Paolo VI dicendo che l’uomo di oggi ha bisogno non di maestri ma di testimoni, e di maestri soltanto nella misura in cui essi dimostrano di essere in prima linea testimoni. In questo contesto, l’ecumenismo cristiano può ricordare con gratitudine che i più credibili testimoni della fede e gli esegeti più convincenti del Vangelo sono i martiri che hanno dato la propria vita per la fede.[44] Essi possono fornirci oggi un utile orientamento nella nuova evangelizzazione, tanto più che il cristianesimo, alla fine del secondo millennio e all’inizio del terzo, è diventato nuovamente una Chiesa di martiri.[45] Nel mondo odierno, l’80% di coloro che vengono perseguitati oggi a causa della loro fede sono cristiani: la fede cristiana è la religione più perseguitata.

Questo bilancio sconvolgente rappresenta una grande sfida per l’ecumenismo cristiano, chiamato ad essere realmente solidale. Poiché oggi tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali hanno i loro martiri, è giusto parlare di un “ecumenismo dei martiri”. Questo porta con sé, al di là di ogni tragedia, anche una bella promessa. Nonostante il dramma delle divisioni tra le Chiese, i saldi testimoni della fede in tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali hanno mostrato che Dio stesso mantiene tra i battezzati la comunione ad un livello più profondo tramite una fede testimoniata con il sacrificio supremo della vita. Mentre noi, cristiani e Chiese, viviamo su questa terra ancora in una comunione imperfetta, i martiri nella gloria celeste si trovano fin da ora in una comunione piena e perfetta. I martiri sono dunque, come ha sottolineato Papa Giovanni Paolo II con parole pregnanti, “la prova più significativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo”[46].

L’ecumenismo dei martiri, alle nostre latitudini, ha dato prova di sé soprattutto nei campi di concentramento nazisti e comunisti, in cui si sono incontrati coraggiosi cristiani di varie Chiese cristiane, che “si sentirono una cosa sola contro un sistema nazista e comunista ingiusto, empio, disumano e totalitario”[47]. Questo ecumenismo dei martiri ha confermato allora e continua tuttora a confermare la convinzione del padre della Chiesa Tertulliano, il quale ha affermato che il sangue dei martiri è seme della Chiesa. Anche oggi, come cristiani, dobbiamo vivere nella speranza che il sangue dei martiri del nostro tempo diventi un giorno seme di unità piena del Corpo di Cristo. L’ecumenismo dei martiri costituisce dunque il nucleo più profondo della nuova evangelizzazione, come già ci mostra uno sguardo alla storia, nel corso della quale i più convincenti riformatori e rinnovatori della Chiesa sono stati sempre i santi guidati dalla luce del Vangelo. I santi sono per questo, anche oggi, i veri protagonisti della nuova evangelizzazione.

L’ecumenismo dei martiri mette in luce il fatto che, da un lato, tutte le energie umane devono essere impiegate al servizio della ricomposizione dell’unità dei cristiani, ma che, dall’altro, l’unità non è mai opera degli uomini, ma può soltanto essere accolta come dono di Dio. Sta a noi, però, aprirci a questo dono e pregare con la stessa grande fiducia e con lo stesso coraggio dimostrati da Papa Giovanni Paolo II nel Giubileo dell’Anno 2000 quando, con un gesto profetico, egli aprì la Porta Santa della Basilica di San Paolo fuori le Mura insieme al delegato del Patriarca ecumenico di Costantinopoli e all’Arcivescovo anglicano di Canterbury. Nell’indicare, con questo gesto profetico, che egli non voleva aprire le porte del nuovo millennio solo con due mani, ma con sei, Papa Giovanni Paolo II ha voluto esprimere la sua profonda speranza ecumenica nel fatto che, dopo il primo millennio di storia del cristianesimo, che fu il tempo della Chiesa indivisa, e dopo il secondo millennio, in cui la Chiesa ha conosciuto in oriente come in occidente profonde divisioni, il terzo millennio potrà venire a capo del grande compito di ripristinare la perduta unità dei cristiani. Se riconosciamo che questo compito può essere assolto soltanto quando tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali si orienteranno in modo rinnovato verso il Vangelo di Gesù Cristo, allora è evidente che potremo raccogliere la sfida della nuova evangelizzazione solo tramite l’unione delle nostre forze e nella responsabilità ecumenica.

 

NOTE

[1] Prolusio per la Plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani a Roma, il 12 novembre 2012.

[2] Benedetto XVI, La Chiesa è un’immensa forza rinnovatrice. La celebrazione dei primi vespri della solennità dei Santi Pietro e Paolo il 28 giugno 2010, in: Insegnamenti di Benedetto XVI  VI, 1 2010 (Città del Vaticano 2011) 984-987, cit. 987.

[3] J. Ratzinger- Benedetto XVI, Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano, 2011), p. 112.

[4] Unitatis redintegratio, n. 1.

[5] Walter Kasper, Chiesa cattolica. Essenza – Realtà – Missione (Brescia 2012) 482.

[6] J. Ratzinger, Considerationes quoad fundamentum theologicum missionis ecclesiae / Überlegungen zur theologischen Grundlage der Sendung (Mission) der Kirche, in: R. Vorderholzer / Ch. Schaller / F.-X. Heibl (Hrsg.), Mitteilungen Institut Papst Benedikt XVI. Band 4 (Regensburg 2011) 15-22, zit. 16.

[7] Benedetto XVI, Motu proprio „Ubicumque et semper“.

[8] Vgl. J. Lortz, Die Reformation in Deutschland (Freiburg i. Br. 1962).

[9] J. Lortz, Wie kam es zur Reformation? (Einsiedeln 1950) 10. Alla base di questo giudizio vi è la convinzione di Lortz che, da un lato, le più profonde radici dell’Europa vanno individuate nel cristianesimo, nel senso che soltanto con il cristianesimo i popoli del continente europeo sono pervenuti per la prima volta ad una unità culturale, ma, dall’altro lato, l’Europa si è allontanata in maniera pericolosa dal cristianesimo, al punto che Lortz, con lo sguardo vigile dello storico, già allora esprimeva la seguente diagnosi del suo tempo: “Il cosiddetto Occidente cristiano è di fatto, da molto tempo, scristianizzato. È addirittura un Occidente apostata. Al proposito, affidabili statistiche in tutti i paesi parlano una lingua sconvolgente. Soltanto, non vediamo quasi mai la realtà abbastanza nuda.” Tra tutti i fattori che hanno condotto a questa scristianizzazione dell’Europa non vi è, secondo Lortz, una causa “importante tanto quanto la Riforma” e più precisamente “la divisione della cristianità prodotta dalla Riforma”.

[10] Ibid 8.

[11] Ibid 8.

[12] Ibid 10.

[13] W. Pannenberg, Über Lortz hinaus?, in: R. Decot und R. Vinke (Hrsg.), Zum Gedenken an Joseph Lortz (1887-1975). Beiträge zur Reformationsgeschichte und Ökumene (Stuttgart 1989) 93-105, zit. 94.

[14] W. Pannenberg, Reformation und Einheit der Kirche, in: Ders., Ethik und Ekklesiologie. Gesammelte Aufsätze (Göttingen 1977) 254-267, zit. 255.

[15] W. Pannenberg, Einheit der Kirche als Glaubenswirklichkeit und als ökumenisches Ziel, in: Ders., Ethik und Ekklesiologie. Gesammelte Aufsätze (Göttingen 1977) 200-210, zit. 201. Zum Ganzen vgl. Ders., Christentum in einer säkularisierten Welt (Freiburg i. Br. 1988).

[16] J. B. Metz, Glaube in Geschichte und Gesellschaft (Mainz 1977) 31.

[17] Vgl. K. Koch, Hat das Christentum noch Zukunft? Zur Präsenz der Kirche in den säkularisierten Gesellschaften Europas, in: Communio. Internationale katholische Zeitschrift 32 (2003) 116-136; Ders., Brauchen wir ein öffentliches Christentum?, in: M. Delgado / A. Jödicke / G. Vergauwen (Hrsg.), Religion und Öffentlichkeit. Probleme und Perspektiven (Stuttgart 2009) 99-118.

[18] J. Lortz, Wie kam es zur Reformation? (Einsiedeln 1950) 10.

[19] Vgl. K. Koch, Tragik oder Befreiung der Reformation? Unzeitgemässe Überlegungen aus ökumenischer Sicht, in: Stimmen der Zeit 210 (1992) 234-246.

[20] Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (ed.), Enchiridion della nuova evangelizzazione. Testi del Magistero pontificio e conciliare 1939-2012 (Città del Vaticano 2012).

[21] Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 14.

[22] Giovanni Paolo II, discorso tenuto davanti all’assemblea del CELAM il 9 marzo 1983, durante il suo viaggio apostolico in America centrale dal 2 al 10 marzo 1983.

[23] Benedetto XVI, Motu proprio Ubicumque et semper.

[24] Vgl. K. Koch, Mission oder De-Mission der Kirche? Herausforderungen an eine notwendige Neuevangelisierung, in: G. Augustin / K. Krämer (Hrsg.), Mission als Herausforderung. Impulse zur Neuevangelisierung (Freiburg i. Br. 2011) 41-79.

[25] W. Kasper, Eine missionarische Kirche ist ökumenisch, in: Ders., Wege zur Einheit der Christen = Gesammelte Schriften. Band 14 (Freiburg i. Br. 2012) 621-634, zit. 623.

[26] Benedetto XVI, La “vendetta” di Dio e la croce. Il “no” alla violenza. La solenne concelebrazione eucaristica sulla spianata della “Neue Messe” a Monaco il 10 settembre 2006, in: Insegnamenti di Benedetto XVI  II, 2 2006 (Città del Vaticano 2007) 230-235, cit. 234.

[27] Vgl. S. Ferrari, Proselytism and human rights, in: J. Witte, Jr. and F. S. Alexander (Ed.), Christianity and Human Rights. An Introduction (Cambridge 2010) 253-266.

[28] F. Lüpsen (Hrsg.), Neu Delhi-Dokumente (Witten 1962) 104-106.

[29] Dignitatis humanae. n. 4.

[30] Vgl. J. Hamer und Y. Congar (Hrsg.), Die Konzilserklärung über die Religionsfreiheit (Paderborn 1967).

[31] J. Kardinal Willebrands, Religionsfreiheit und Ökumenismus, in: Ders., Mandatum Unitatis. Beiträge zur Ökumene (Paderborn 1989) 54-69, zit. 63.

[32] Vgl. K. Koch, Glaubensüberzeugung und Toleranz. Interreligiöser Dialog in christlicher Sicht, in: Zeitschrift für Missions- und Religionswissenschaft 92 (2008) 196-210.

[33] Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n. 10.

[34] Vgl. Kardinal W. Kasper, Ökumenisch von Gott sprechen? in: I. U. Dalferth / J. Fischer / H.-P. Grosshans (Hrsg.), Denkwürdiges Geheimnis. Beiträge zur Gotteslehre. Festschrift für Eberhard Jüngel zum 70. Geburtstag (Tübingen 2004) 291-302.

[35] Benedetto XVI, Celebrazione ecumenica nella Chiesa dell’ex-convento degli Agostiniani a Erfurt, il 23 settembre 2011.

[36] Vgl. K. Koch, Die Gottesfrage klopft an die ökumenische Türe, in: Catholica 54 (2000) 1-13.

[37] Vgl. W. Kasper, Ökumene und die Einheit Europas, in: Ders., Wege zur Einheit der Christen = Gesammelte Schriften. Band 14 (Freiburg i. Br. 2012) 665-684.

[38] Vgl. A. Besancon, Le malheur du siècle. Sur le communisme, le nazisme et l’unicité de la Shoah (Paris 1998).

[39] Benedetto XVI, In piena sintonia con la Sede Apostolica. Ai partecipanti all’assemblea generale della Caritas Internationalis il 27 maggio 2011, in: Insegnamenti di Benedetto XVI  VII, 1 2011 (Città del Vaticano 2012) 722-725.

[40] Benedetto XVI, La goia del servire. Intervista televisiva in occasione del viaggio apostolico in Germania, in: Insegnamenti di Benedetto XVI  II, 2 2006 (Città del Vaticano 2007) 88-102, cit. 92.

[41] W. Kasper, Neue Evangelisierung als theologische, pastorale und geistliche Herausforderung, in: Ders., Das Evangelium Jesu Christi  = Gesammelte Schriften. Band 5 (Freiburg i. Br. 2009) 243-317, zit. 293.

[42] Benedetto XVI, “In Cristo Dio si è mostrato come ragione e amore”. La “lectio divina” durante la visita al Pontificio Seminario Romano Maggiore, in: Insegnamenti di Benedetto XVI  VI, 1 2010 (Città del Vaticano 2011) 208-216, cit. 214.

[43] P. M. Zulehner, Ein Obdach der Seele. Geistliche Übungen – nicht nur für fromme Zeitgenossen (Düsseldorf 1994) 54.

[44] Vgl. H. Moll, Martyrium und Wahrheit. Zeugen Christi im 20. Jahrhundert (Weilheim-Bierbronnen 2009); P.-W. Scheele, Zum Zeugnis berufen. Theologie des Martyriums (Würzburg 2008).

[45] Vgl. R. Backes, „Sie werden euch hassen“. Christenverfolgung heute (Augsburg 2005); R. Guitton, Cristianofobia. La nuova persecuzione (Torino 2010); Kirche in Not (Hrsg.), Religionsfreiheit weltweit. Bericht 2008 (Königstein 2008).

[46] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 1.

[47] Walter Kasper, Chiesa cattolica. Essenza – Realtà – Missione (Brescia 2012) 484.