GIORNATA DI STUDIO "LA CHIESA NELL'ECCLESIOLOGIA DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI
PONTIFICIA UNIVERSITÀ SANTA CROCE - ROMA, 31 MARZO 2022

 

LA DIMENSIONE ECUMENICA NELL’ECCLESIOLOGIA
DI JOSEPH RATZINGER – BENEDETTO XVI

Kurt Cardinale Koch

 

Nel Credo, tutti i cristiani professano la loro fede nella Chiesa “una, santa, cattolica e apostolica”. Di fatto, però, i cristiani vivono in Chiese e Comunità ecclesiali separate. A causa di questa duplice situazione, al centro dell’impegno ecumenico di Joseph Ratzinger è sempre stato il chiarimento teologico del concetto di Chiesa. Egli se ne occupa alla luce della visione conciliare della Chiesa, intesa come ecclesiologia di comunione, che, nella sua più intima essenza, è ecclesiologia eucaristica.[1] Ciò significa che la Chiesa è una comunione eucaristica e, di conseguenza, solo coloro che comunicano sono nella Chiesa. Emerge allora la dolorosa domanda relativa a quei cristiani battezzati che sono incorporati nell’unico Corpo di Cristo attraverso il battesimo, e che vivono in una certa comunione con la Chiesa cattolica che tuttavia non è perfetta. Joseph Ratzinger avverte ferite nelle loro Comunità ecclesiali, ferite che colpiscono però anche la Chiesa cattolica. Poiché queste ferite impediscono alla Chiesa cattolica di realizzare pienamente la sua unità e la sua universalità nella storia, anch’essa è lacerata, come se avesse permanentemente una spina nella carne: “La Chiesa non può e non deve accomodarsi, lasciando a se stessi coloro che sono separati dalla sua comunione o trascurando il loro essere cristiani. Il fatto che il numero di coloro che non comunicano con lei sia oggi più grande dello spazio interno dei comunicanti è un suo grave e urgente problema, è la ferita profonda nel Corpo del Signore, che lei deve soffrire come la sua stessa ferita.”[2]

 

1. I fondamenti teologici dell’ecumenismo di Joseph Ratzinger

Questa convinzione rende palese la radice di fede più profonda dell’impegno ecumenico di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI: affinché il mondo creda, i cristiani devono essere una cosa sola. La preoccupazione basilare dei suoi sforzi ecumenici è quindi rivolta a ciò che unifica: “Non è l’unità che ha bisogno di giustificazione, ma la divisione.”[3] Questa convinzione di fondo traspare soprattutto quando vengono presi in considerazione i fondamenti teologici del pensiero ecumenico di Joseph Ratzinger.

 

a) L’ecumenismo della fede

Lo sforzo ecumenico è volto a ripristinare l’unità della Chiesa come quella comunione che vive nella fedeltà al Vangelo e alla fede apostolica. L’unità della Chiesa che va riconquistata tocca dunque profondamente la verità della fede: “L’unità della Chiesa, in una parola, non può mai essere altro che una unità nella fede apostolica, nella fede consegnata nel rito del Battesimo ad ogni nuovo membro del Corpo di Cristo.”[4] L’ecumenismo è essenzialmente una questione di fede, e non deve essere frainteso, non deve essere scambiato per un problema politico risolvibile tramite compromessi: “L’unità cresce non mediante la ponderazione di vantaggi e svantaggi, bensì solo attraverso un sempre più profondo penetrare nella fede mediante il pensiero e la vita.”[5] Poiché l’unità della Chiesa è dono di Dio ed è data da Dio come inseparabile dalla fede, la comunione nella stessa fede costituisce la base dell’ecumenismo: “Senza la fede - che è primariamente dono di Dio, ma anche risposta dell’uomo - tutto il movimento ecumenico si ridurrebbe ad una forma di ‘contratto’ cui aderire per un interesse comune.”[6]

La convinzione che l’ecumenismo debba essere visto fondamentalmente come una questione di fede e quindi come “ecumenismo di fede”[7] attraversa tutto il pensiero teologico ed ecumenico di Joseph Ratzinger. È quindi comprensibile che egli ravvisi l’obiettivo del movimento ecumenico nell’unità visibile della Chiesa che si manifesta nella fede comune, nei sacramenti e nei ministeri ordinati. Tenendo conto di tutti i cambiamenti, delle diverse sensibilità e dei molteplici problemi constatabili oggi nel movimento ecumenico, occorre rimanere fedeli alla meta ecumenica menzionata, poiché “lo scopo del movimento ecumenico rimane immutato: l’unità visibile della Chiesa”[8]. 

Soprattutto alla luce della tendenza dominante, riscontrabile in varie Comunità ecclesiali nate dalla Riforma, consistente nel rinunciare all’obiettivo dell’unità visibile, originariamente condiviso da tutti nel movimento ecumenico, per sostituirlo con il postulato secondo il quale le diverse Comunità ecclesiali separate dovrebbero intendersi e riconoscersi reciprocamente come Chiese e quindi come parti dell’unica Chiesa di Gesù Cristo, Papa Benedetto XVI ha più volte ribadito, con parole pregnanti, l’originario traguardo ecumenico: “La ricerca del ristabilimento dell’unità tra i cristiani divisi non può pertanto ridursi ad un riconoscimento delle reciproche differenze ed al conseguimento di una pacifica convivenza: ciò a cui aneliamo è quell’unità per cui Cristo stesso ha pregato e che per sua natura si manifesta nella comunione della fede, dei sacramenti, del ministero.”[9]

 

b) Le radici ecclesiologiche dell’ecumenismo

Da tutto ciò emerge anche quanto stretta sia la correlazione tra ecclesiologia ed ecumenismo nel pensiero teologico di Joseph Ratzinger e come egli colleghi i due aspetti: “Il punto non è che desideriamo specifici collegamenti, ma piuttosto che speriamo che il Signore risvegli ovunque la fede, in modo tale che essa sfoci in ogni cosa e che là ci sia la Chiesa, una e indivisa.  Come cattolici siamo convinti che questa Chiesa una sia data, nella sua forma fondamentale, nella Chiesa cattolica, ma siamo anche convinti che essa continuerà nel futuro e si lascerà edificare e guidare dal Signore.”[10]

La visione ecumenica di Joseph Ratzinger va quindi compresa sulla base delle sue convinzioni ecclesiologiche fondamentali, come profondamente radicata nell’ecclesiologia del Concilio Vaticano Secondo. In tale ecclesiologia, la riscoperta del plurale “chiese” e il conseguente nesso tra il singolare “Chiesa” e il plurale “chiese” sono di fondamentale importanza, nel senso che l’unica Chiesa universale consiste nelle e delle tante chiese locali e che, viceversa, le tante chiese locali esistono come unica Chiesa universale.[11] Per Joseph Ratzinger il “problema ecumenico nel suo insieme” è già contenuto in questo legame[12], anche se, in ambito ecumenico, il plurale “Chiese” non si riferisce alle tante chiese locali in cui è presente l’unica Chiesa universale, ma si riferisce a quelle Chiese e Comunità ecclesiali al di fuori della piena unità della Chiesa cattolica. In questa analisi del problema ecumenico è già percepibile il modo in cui Joseph Ratzinger intende la ricomposizione dell’unità ecumenica della Chiesa. Egli concepisce l’obiettivo vero e proprio di tutti gli sforzi ecumenici come la capacità di “trasformare il plurale delle Chiese confessionali separate nel plurale delle chiese locali, che, nella loro diversità, sono realmente una Chiesa indivisa”[13].

Se, nella visione ecclesiologica di Joseph Ratzinger, l’unità ecumenica è intesa come unità delle Chiese che restano Chiese e tuttavia diventano una sola Chiesa, allora la Chiesa cattolica è tenuta a osare il paradosso di attribuirsi “in maniera unica, in mezzo al presunto plurale, il singolare ‘Chiesa’”[14]. La concezione cattolica dell’ecumenismo deve quindi accentuare e attuare la tensione fondamentale tra l’unità e la concretezza della Chiesa di Gesù Cristo[15]: se si mettesse in discussione la convinzione dell’unità della Chiesa, si perverrebbe, come conseguenza logica, a un relativismo ecclesiologico, nel senso che la Chiesa potrebbe esistere solo al plurale. D’altro canto, se si rinunciasse alla convinzione della concretezza storica dell’unica Chiesa di Gesù Cristo, si arriverebbe a un misticismo ecclesiale, nel senso che l’unica Chiesa sarebbe piuttosto una mera idea platonica.

Secondo Joseph Ratzinger, nella capacità di sostenere questa tensione va ravvisata la verità duratura della famosa formula del “subsistit” contenuta nella Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano Secondo sulla Chiesa, “Lumen gentium”. Essa afferma che l’unica Chiesa di Gesù Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, “governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui”[16]. Con la formula del “subsistit”, il Concilio ha voluto esprimere in maniera più precisa il fatto che la Chiesa di Gesù Cristo non può essere compresa come un’entità celata dietro le diverse realtà ecclesiali, un’entità che poi si realizzerebbe, visibilmente, in varie realtà ecclesiali e in modi diversi. Piuttosto, l’unica Chiesa di Gesù Cristo è una realtà già esistente, e ha un posto concreto nella storia, dove è permanentemente individuabile. La formula ecclesiologica del “subsistit” esprime dunque ciò che è “specifico e non riproducibile della Chiesa cattolica”: “La Chiesa esiste come soggetto nella realtà storica”.[17]

Da ciò si comprende anche che, secondo Joseph Ratzinger, tutto il problema ecumenico è contenuto nella formula del “subsistit”. Da un lato, tale formula ribadisce la tradizionale convinzione cattolica che l’unica Chiesa di Gesù Cristo esiste, in maniera innegabile, nella Chiesa cattolica. Dall’altro, lascia spazio al riconoscimento di elementi dell’unica e vera Chiesa di Gesù Cristo anche al di fuori dei confini della Chiesa cattolica, e lascia spazio altresì al plurale “Chiese” accanto al singolare “Chiesa”.

 

2. L’ecumenismo cristiano come partecipazione alla preghiera sacerdotale del Signore

Che lo sforzo ecumenico di Joseph Ratzinger per ripristinare l’unità della Chiesa di Gesù Cristo sia prima di tutto una questione di fede è mostrato soprattutto dal fatto che questo sforzo è profondamente radicato nella fede in Cristo. L’ecumenismo cristiano significa infatti che i cristiani si lasciano trasportare dentro la preghiera per l’unità di Gesù, che ci è stata tramandata come preghiera sacerdotale di Gesù nel capitolo 17 del Vangelo di Giovanni e che è oggetto di particolare attenzione da parte di Joseph Ratzinger nel suo libro su “Gesù di Nazaret”. Egli ravvisa l’importanza fondamentale della preghiera di Gesù per l’ecumenismo già nel fatto che lo sguardo del Signore, quando prega nel Cenacolo, va oltre la comunità dei discepoli del suo tempo e si rivolge anche ai futuri discepoli, ovvero a tutti coloro che “per la loro parola crederanno (Gv 17,20)”: “il vasto orizzonte della comunità futura dei credenti si apre attraverso le generazioni, la futura Chiesa, è inclusa nella preghiera di Gesù. Egli invoca l’unità per i futuri discepoli.”[18] Se l’unità dei discepoli di quel tempo e l’unità della futura Chiesa sono la preoccupazione principale della preghiera di Gesù, allora l’ecumenismo cristiano oggi non potrà che essere profonda partecipazione dei cristiani a questa preghiera di Gesù. Tale preghiera indica, nella maniera più chiara, in cosa consistono e devono consistere, agli occhi di Joseph Ratzinger, tutti gli sforzi ecumenici.[19]

 

a) La preghiera per l’unità: la prospettiva caritologica

Occorre innanzitutto richiamare l’attenzione sul fatto che Gesù prega per i suoi discepoli: “perché tutti siano una cosa sola” (Gv 17,21). Questa invocazione mostra che Gesù non comanda ai suoi discepoli l’unità, ma prega per essa. Per Joseph Ratzinger, questa semplice ma elementare costatazione è di fondamentale importanza per la ricerca ecumenica dell’unità: “Il richiamo perseverante alla preghiera per la piena comunione tra i seguaci del Signore manifesta l’orientamento più autentico e più profondo dell’intera ricerca ecumenica, perché l’unità, prima di tutto, è dono di Dio.”[20]

Pregando per l’unità, i cristiani esprimono la loro convinzione che l’unità non può essere conseguita esclusivamente o primariamente attraverso i loro sforzi: essi non possono forgiarla da soli, né decidere il tempo o la forma in cui si realizzerà. Un’unità autocostruita si rivelerebbe infatti un’unità meramente umana, di scarsa durata e resistenza. Piuttosto, l’unità a cui anela l’ecumenismo è un dono della grazia che possiamo ricevere solo da Dio. Nella preghiera, noi cristiani esprimiamo la ferma fiducia “che da soli non possiamo costruire l’unità, ma è lo Spirito Santo che ci guida verso la piena comunione, e fa cogliere la ricchezza spirituale presente nelle diverse Chiese e Comunità ecclesiali”[21].

Per Joseph Ratzinger, la preghiera per l’unità dei cristiani “sta nel cuore stesso di tutto il cammino ecumenico”[22]. Per sottolineare la centralità della preghiera, egli si riferisce spesso agli inizi del movimento ecumenico, che è stato essenzialmente un movimento di preghiera, avendo preso avvio dall’introduzione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani: “La barca dell’ecumenismo non sarebbe mai uscita dal porto se non fosse stata mossa da quest’ampia corrente di preghiera e spinta dal soffio dello Spirito Santo.” È dunque chiaro per Joseph Ratzinger che questo movimento di preghiera non è un semplice inizio che i cristiani possono lasciarsi alle spalle, ma è un inizio che anche oggi deve proseguire e deve accompagnare ogni sforzo ecumenico: “Non esiste pertanto un ecumenismo genuino che non affondi le sue radici nella preghiera”[23].

La centralità della preghiera per l’unità dei cristiani mostra che il lavoro ecumenico è soprattutto un compito spirituale che sta o cade con l’intima partecipazione dei cristiani alla preghiera sacerdotale di Gesù, che è “il luogo interiore, più profondo, della nostra unità”. Di fatti, “diventeremo una sola cosa, se ci lasceremo attirare dentro tale preghiera”[24]. Pregare insieme per l’unità “è già un passo verso l’unità tra coloro che chiedono”[25], per questo la preghiera si rivela “la via primaria per raggiungere la piena comunione” [26].

 

b) L’unità attraverso l’amore: la prospettiva trinitaria

Nella preghiera sacerdotale, Gesù chiede in modo specifico l’unità dei suoi discepoli, rivolgendosi al Padre con queste parole: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21). Per Gesù, il fondamento più profondo dell’unità tra i suoi discepoli è l’unità trinitaria dell’amore tra il Padre e Lui come Figlio nella comunione dello Spirito Santo. Agli occhi di Joseph Ratzinger, questa prospettiva trinitaria della preghiera di Gesù significa che l’unità della Chiesa è “frutto e riflesso dell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”[27] e, di conseguenza, ha il suo archetipo nella Trinità divina in cui l’unità dell’essenza divina e la pluralità delle Persone divine sono perfettamente conciliate. Nella Trinità divina, l’unità suprema “non è solitudine di una monade, ma unità attraverso l’amore”[28]. Individuando l’archetipo trinitario dell’unità della Chiesa nel Dio uno e trino, che è in sé comunione viva nell’unità originaria della relazione d’amore, Joseph Ratzinger comprende la Chiesa e la sua unità come un’icona della Trinità.

In occasione della pubblicazione della sua prima enciclica “Deus caritas est”, avvenuta significativamente nel giorno della conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Papa Benedetto XVI ha esortato a “considerare tutto il cammino ecumenico nella luce dell’amore di Dio, dell’Amore che è Dio”. In questa luce traspare soprattutto l’idea che il mistero trinitario dell’amore concilia una multiforme ricchezza della grazia con una splendida unità: “L’amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall’esterno, ma che dall’interno dà forma, per così dire, all’insieme.”[29] Poiché la fede della Chiesa poggia sulla solida convinzione che Dio è amore, tale fede è anche il fondamento della paziente ricerca della piena unità della Chiesa.[30]

Se l’ecumenismo è considerato alla luce del mistero trinitario dell’amore di Dio, anche le divisioni nella Chiesa, “pur mantenendo la loro dolorosa gravità, appaiono superabili e non ci scoraggiano”[31]. Pertanto Joseph Ratzinger non vede all’opera nelle divisioni storiche della Chiesa solo il peccato umano, ma in esse coglie - nel senso delle parole certamente misteriose scritte dall’apostolo Paolo nella prima Lettera ai Corinzi, dove si legge che “è necessario che ci siano tra voi anche delle divisioni” (1 Cor 11, 19) - anche una dimensione vera “corrispondente a un disegno divino”. Joseph Ratzinger ha potuto quindi sostenere che è possibile “trovare l’unità attraverso la diversità”, ovvero: “Accettare ciò che è fecondo nelle divisioni, depurarle e ricevere qualcosa di positivo proprio dalle differenze – ovviamente nella speranza che alla fine la separazione cessi di essere tale e rimanga soltanto ‘polarità’ senza contrapposizione”[32].

 

c) L’unità credibile nella missione: la prospettiva missionaria

Nella sua preghiera sacerdotale, Gesù invoca l’unità dei discepoli con uno scopo preciso: “perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Con questa proposizione finale, l’evangelista Giovanni esprime il senso particolare della preghiera di Gesù, ovvero che l’unità tra i discepoli non è fine a se stessa, ma serve alla credibilità della missione di Gesù e della missione della sua Chiesa nel mondo. L’obiettivo della preghiera per l’unità è “che mediante l’unità dei discepoli la verità della sua missione si renda visibile agli uomini”. Papa Benedetto XVI sottolinea addirittura che, attraverso l’unità dei discepoli, Gesù stesso è “legittimato”: “Diventa evidente che egli è veramente il ‘Figlio’.”[33]

 

Per l’ecumenismo, questa intuizione significa che “c’è dunque uno stretto legame tra la sorte dell’evangelizzazione e la testimonianza dell’unità tra i cristiani”.[34] Poiché una testimonianza della fede cristiana credibile e quindi ecumenica è possibile solo se le Chiese cristiane sono in grado di superare le loro divisioni e ritrovare l’unità, il legame tra missione e unità dei cristiani costituisce una dimensione essenziale dell’impegno ecumenico, sia per quanto riguarda la missio ad gentes, sia in vista della nuova evangelizzazione in quelle Chiese che vivono in territori tradizionalmente cristiani ma fortemente bisognosi di un rinnovato slancio missionario.

In occasione dell’istituzione, nel 2010, di un Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Papa Benedetto XVI, in merito a questo progetto missionario, ha espresso la chiara convinzione che esso debba necessariamente presentare una dimensione ecumenica: “la sfida della nuova evangelizzazione interpella la Chiesa universale, e ci chiede anche di proseguire con impegno la ricerca della piena unità tra i cristiani.”[35] Di fatti la nuova evangelizzazione, nutrita dal desiderio “di condividere l’inestimabile dono che Dio ha voluto farci, partecipandoci la sua stessa vita”[36], consiste essenzialmente nel testimoniare il Dio vivente e nel rendere visibile il suo volto umano in Gesù Cristo, nel quale Dio stesso si è rivelato, avvicinando così le persone al mistero di Dio e immettendole in una relazione personale con lui. Il fulcro di tutta la nuova evangelizzazione deve essere la questione di Dio, di cui i cristiani devono rispondere nella comunione ecumenica: “Il nostro primo servizio ecumenico in questo tempo deve essere di testimoniare insieme la presenza del Dio vivente e con ciò dare al mondo la risposta di cui ha bisogno.”[37]

Da ciò si evince la ragione più profonda per cui Papa Benedetto XVI ritiene che missione ed ecumenismo siano inscindibilmente legati. La missione della Chiesa è infatti radicata nell’amore traboccante di Dio e può quindi realizzarsi solo nell’amore, come Joseph Ratzinger formulò in maniera insuperabile già al tempo del Concilio Vaticano Secondo: “La missione è prima di tutto una testimonianza dell’amore di Dio, che si è manifestato in Cristo”. Poiché la missione comporta, a un livello profondo, “il radunarsi dell’umanità nell’amore di Dio unico e omnicomprensivo”, essa stessa è un “segno di unità” ecumenico[38].

 

d) L’unità visibile del Corpo di Cristo: la prospettiva somatica

La preghiera di Gesù, che invoca il Padre affinché i suoi discepoli siano perfetti nell’unità “e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17,23), contiene anche un’altra prospettiva, che è di fondamentale importanza dal punto di vista ecumenico. Se il mondo deve poter giungere alla fede, l’unità della Chiesa da ricomporre non può essere una questione di natura meramente spirituale e invisibile; piuttosto, essa deve acquisire una forma visibile nel nostro mondo.

Joseph Ratzinger ha compiuto intensi sforzi per riscoprire e approfondire la dimensione somatica dell’unità ecumenica, in particolare nel suo confronto ecumenico con Rudolf Bultmann. Per il teologo protestante, la vera unità dei discepoli, soprattutto sulla base del Vangelo di Giovanni, è “invisibile”, poiché “non è un fenomeno mondano”. In merito a questa duplice affermazione, Joseph Ratzinger è pienamente d’accordo con la seconda asserzione, mentre contesta fino in fondo la prima.

Il fatto che l’unità dei discepoli - e quindi anche l’unità della Chiesa futura - per la quale Gesù ha pregato non sia “un fenomeno mondano”, e che in linea di principio non possa esserlo, è evidente per Joseph Ratzinger, poiché afferma espressamente: “l’unità non viene dal mondo; non è possibile trarla dalle forze proprie del mondo. Le stesse forze del mondo conducono alla divisione: noi lo vediamo. Nella misura in cui nella Chiesa, nella cristianità, è all’opera il mondo, si finisce nelle divisioni. L’unità può venire solamente dal Padre mediante il Figlio.”[39] Per quanto Joseph Ratzinger concordi con il teologo protestante sul fatto che l’unità dei discepoli non possa venire dal mondo, egli contesta la conclusione di Bultmann secondo cui l’unità è “invisibile”. Anche se l’unità non è un fenomeno mondano, lo Spirito Santo opera nel mondo. L’unità dei discepoli deve quindi essere tale che il mondo possa riconoscerla e, attraverso essa, giungere alla fede: “Ciò che non proviene dal mondo può e deve assolutamente essere qualcosa che sia efficace nel e per il mondo e sia anche percepibile da esso.”[40]

Questo accento posto sulla visibilità dell’unità dei discepoli e quindi della Chiesa come unico Corpo di Cristo mostra chiaramente quanto Joseph Ratzinger tenga all’unità visibile della Chiesa quale obiettivo di ogni sforzo ecumenico e quanto egli si opponga a quello che oggi è diventato un fenomeno di moda, ovvero il pluralismo ecclesiologico. Per descriverlo, Ratzinger usa un’immagine eloquente: secondo la visione pluralistica, tutte le realtà ecclesiali esistenti sono solo “frammenti della vera Chiesa che esiste da qualche parte”, e “che ora si dovrebbe tentare di ricomporre mettendo insieme questi frammenti”. Di conseguenza, l’unità della Chiesa si ridurrebbe a una mera “opera umana”[41]. E su questa via, la Chiesa indivisa che i cristiani professano nel Credo apostolico diventerebbe, in definitiva, un “fantasma” e un’“utopia”, “mentre è essenziale per lei proprio il suo essere somatico”[42].

Mentre da un lato Joseph Ratzinger sottolinea l’importanza dell’essere Corpo della Chiesa e, di conseguenza, della visibile e piena unità nella fede, nei sacramenti e nei ministeri ordinati come obiettivo dell’ecumenismo, dall’altro è consapevole che il cammino verso il raggiungimento di questa meta è ancora lungo e non sempre facile, e che quindi nel nostro mondo non si può contare su un rapido ripristino dell’unità della Chiesa. Joseph Ratzinger non intende suscitare o alimentare speranze utopiche di unità, e considera anche difficilmente realizzabile un’unità intra-storica, affermando esplicitamente: “Non oso sperare in un’unità assoluta, intra-storica del cristianesimo”. Egli giustifica la cautela della speranza con una visione realistica dell’attuale situazione ecumenica: “Possiamo vedere come oggi si verifichino, contemporaneamente agli sforzi di unificazione, continue frammentazioni”[43].

L’atteggiamento di Joseph Ratzinger nei confronti dell’impegno ecumenico è caratterizzato da quel realismo di fede in cui l’appassionata ricerca dell’unità della Chiesa e la serena consapevolezza di non poter creare l’unità solo sulla base degli sforzi umani non sono aspetti opposti che si escludono a vicenda, ma sono due facce della stessa medaglia: “La nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore devono sempre mirare al grande traguardo della piena unità. Ma allo stesso tempo dobbiamo avere l’umiltà di accettare obiettivi intermedi realistici: rafforzare la testimonianza comune dell’amore in un mondo che ne ha sempre più bisogno.”[44]

 

3. Il superamento ecumenico delle grandi divisioni nella Chiesa

Con questo realismo di fede, Joseph Ratzinger ha anche apportato un contributo significativo al superamento delle grandi divisioni nella Chiesa. Di fronte al gran numero di divisioni che lacerano il cristianesimo, egli individua “due tipi fondamentali di divisioni”, “che poi corrispondono anche a due diversi modelli di unità”[45], ovvero, da un lato, le divisioni nella Chiesa primitiva nel V secolo e lo scisma nella Chiesa tra Oriente e Occidente nell’XI secolo e, dall’altro, le divisioni del tempo della Riforma nella Chiesa d’Occidente nel XVI secolo.

Per quanto riguarda il superamento ecumenico del primo tipo fondamentale di divisioni, Joseph Ratzinger parte dal presupposto che tra le Chiese e le Comunità ecclesiali cristiane l’ortodossia sia la più vicina alla Chiesa cattolica, in quanto entrambe “hanno conservato la medesima struttura della Chiesa delle origini” e, in questo senso, sono entrambe “Chiesa delle origini”[46]. Alla luce di queste convergenze ecclesiologiche, il superamento delle differenze teologiche si concentra principalmente sulla questione del primato. Al riguardo, Joseph Ratzinger aveva già offerto negli anni ’70 un orientamento ecumenico, suggerendo che Roma non avrebbe dovuto “pretendere dall’Oriente, in merito alla dottrina del primato, più di quanto non sia stato formulato e vissuto nel primo millennio”[47]. E come Papa si è spinto fino ad affermare che le Chiese orientali sono “vere Chiese particolari” sebbene non in comunione con il Vescovo di Roma; in questo senso l’unità con il Papa “non è costitutiva per la Chiesa particolare”. D’altro canto, però, va riconosciuta la mancanza di unità come “mancanza interna della Chiesa particolare” e quindi un’ “insufficienza di questa cellula vitale”. Per quanto riguarda il problema concreto del primato, si pone la questione cruciale dei suoi compiti specifici. Che il Papa sia “primo fra pari” è facilmente accettato anche dall’ortodossia. Gli ortodossi riconoscono infatti che il Vescovo di Roma è “il Protos, è il primo, e questo fu già stabilito nel Concilio di Nicea”. Da un punto di vista cattolico, il Papa è anche “primo”, ma come tale ha “funzioni e compiti specifici”[48]. Questa tematica può essere ulteriormente approfondita dal punto di vista ecumenico quando non è interpretata “in una prospettiva di potere, bensì nell’ambito di una ecclesiologia di comunione”, e quando il primato è inteso ed esercitato “come servizio all’unità nella verità e nella carità”[49].

Nei dialoghi ecumenici con le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma del XVI secolo, il punto di partenza è differente, in quanto è necessario andare più a fondo nella questione dell’interpretazione teologica del concetto di Chiesa e di unità della Chiesa, perché le comunità protestanti sono Chiesa “in maniera diversa”; come esse stesse affermano, non sono “Chiese inserite nella grande tradizione antica, bensì scaturite da una nuova concezione”. Secondo l’ecclesiologia del Concilio Vaticano Secondo, “la Chiesa in senso proprio” sta “dove esiste l’episcopato nella successione sacramentale degli apostoli e con ciò l’Eucarestia come sacramento celebrato dal vescovo e dai sacerdoti”.         Pertanto, là dove questo manca, “c’è un’altra realtà, un nuovo modo di intendere la Chiesa”[50]. Poiché questa nuova comprensione ecclesiologica ha avuto un forte impatto sulla storia del cristianesimo protestante, il chiarimento teologico del concetto di Chiesa dovrà essere al centro dei dialoghi ecumenici con le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma. Ciò è vero in particolar modo dopo la firma della Dichiarazione Congiunta su questioni fondamentali della dottrina della giustificazione tra la Federazione Luterana Mondiale e la Chiesa cattolica, avvenuta ad Augusta nel 1999, poiché le conseguenze ecclesiologiche di tale Dichiarazione devono ancora essere approfondite. Un’altra sfida per la riflessione ecclesiologica è posta dalle nuove forme di cristianesimo che, come le comunità pentecostali, si diffondono “con un immenso dinamismo missionario, a volte preoccupante”, e cambiano profondamente la “geografia del cristianesimo”[51].

 

4. La presenza continua del tema ecumenico

Dalla panoramica che si è tentato di offrire sulle prospettive ecumeniche di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI dovrebbe risultare evidente che l’ecumenismo è un tema costante nel suo pensiero teologico e nella sua opera di professore, vescovo, cardinale e papa, e che egli si è sempre impegnato a fondo per portare avanti il dialogo ecumenico, arricchendolo di varie riflessioni teologiche. La sua tesi di dottorato sull’interpretazione del concetto di Chiesa da parte di sant’Agostino[52] e la sua tesi di abilitazione sulla comprensione del concetto di rivelazione e di storia da parte di san Bonaventura[53] erano già motivate da un forte interesse ecumenico.

Come professore, Joseph Ratzinger ha affrontato nei suoi corsi una varietà di argomenti ecumenici – tra cui i problemi fondamentali della Confessio Augustana, il Tractatus de potestate papae di Melantone o la Disputa di Lipsia – in modo tale[54] da suscitare nel teologo cattolico Josef Wohlmuth la forte impressione che egli “non fosse solo interessato alle questioni della Riforma”, ma ne traesse ispirazione anche dal punto di vista teologico.[55] Joseph Ratzinger è stato inoltre membro di vari gruppi di lavoro ecumenici e comitati consultivi e ha preso parte a incontri ecumenici di grande rilievo.

Del suo tempo come arcivescovo e cardinale, ciò che vale particolarmente la pena ricordare è l’importante responsabilità che esercitò nella Commissione ecumenica mista, creata dopo la visita di Papa Giovanni Paolo II in Germania nel 1980 e da lui presieduta insieme al vescovo protestante Eduard Lohse. Entrambi avanzarono allora la promettente proposta, che si realizzò nei decenni successivi, di valutare, nei dialoghi ecumenici, se i rispettivi anatemi dottrinali del XVI secolo fossero ancora pertinenti per i partner attuali e se dovessero ancora avere un carattere divisivo per le Chiese.[56] Il cardinale Ratzinger ha anche il grande merito di aver contribuito alla firma, dopo varie difficoltà, della Dichiarazione Congiunta su questioni fondamentali della dottrina della giustificazione, avvenuta ad Augusta nel 1999 tra la Federazione Luterana Mondiale e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.[57]

L’impegno ecumenico di Joseph Ratzinger è stato sempre accompagnato da un’intensa riflessione teologica sulle questioni ecumeniche[58], di cui è eloquente testimonianza il grande capitolo ecumenico nell’ottavo volume della sua “Opera Omnia”, dedicato alla dottrina della Chiesa.[59] Le oltre trecento pagine di testo sulle questioni ecumeniche mostrano che Joseph Ratzinger, pur non essendo un ecumenista in senso strettamente tecnico, si è concentrato, anche e soprattutto come esperto di teologia sistematica, sulla dimensione ecumenica del pensiero teologico e, quindi, come ha osservato il teologo protestante Thorsten Maassen nel suo lavoro dettagliato sulla concezione dell’ecumenismo di Joseph Ratzinger, ha sottolineato la necessità dell’ecumenismo in maniera così inequivocabile da far sì che “esso trovasse il suo posto al centro della Chiesa”[60].

Su questo ampio sfondo, non sorprende che Joseph Ratzinger, anche come Papa, abbia attribuito una priorità speciale all’impegno ecumenico nel suo pontificato. Già nel suo primo messaggio dopo l’elezione al soglio pontificio egli dichiarò in maniera programmatica che il primo dovere del successore di Pietro era “lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo”: “Questa è la sua ambizione, questo il suo impellente dovere.” [61] Ripensando ai quasi otto anni del suo ministero petrino, si può affermare con gratitudine che il forte interesse ecumenico ha attraversato come un filo rosso il suo pontificato ed è stato espresso varie volte in diverse occasioni.

La chiara enfasi ecumenica nell’opera di Papa Benedetto XVI ha indubbiamente la sua ragione più profonda nel fatto che egli vede l’unità della Chiesa come fondata sulla fede nel Dio vivente e nel Figlio che ha mandato: Gesù è “il vero fondamento della comunità dei discepoli, la base per l’unità della Chiesa.”[62] Per Papa Benedetto XVI il compito ecumenico di ripristinare l’unità visibile della Chiesa è radicato nella fede in Cristo ed è sostenuto da una visione cristologica della responsabilità ecumenica. Il suo pensiero teologico è realmente ecumenico proprio perché cristocentrico e, in questo senso fondamentale, orientato al Vangelo. Poiché Joseph Ratzinger-Papa Benedetto XVI ha posto Gesù Cristo al centro di tutto il suo annuncio, ravvisando in Lui la fonte comune dell’unità della Chiesa, egli verrà sempre ricordato come un grande ecumenista dei tempi moderni.

 

 

[1] Vgl. M. H. Heim, Joseph Ratzinger – kirchliche Existenz und existenzielle Theologie. Ekklesiologische Grundlinien unter dem Anspruch von Lumen gentium (Frankfurt a. M. 2004); G. Jankowiak, Volk Gottes vom Leib Christi her. Das eucharistische Kirchenbild von Joseph Ratzinger in der Perspektive der Ekklesiologie des 20. Jahrhunderts (Frankfurt a. M. 2005); Th. Weiler, Volk Gottes – Leib Christi. Die Ekklesiologie Joseph Ratzingers und ihr Einfluss auf das Zweite Vatikanische Konzil (Mainz 1997).

[2] J. Ratzinger, Der Kirchenbegriff und die Frage nach der Gliedschaft der Kirche, in: Kirche – Zeichen unter den Völkern = JRGS 8/1, 290-307, zit. 304.

[3] J. Ratzinger, Prognosen für die Zukunft des Ökumenismus, in: Kirche – Zeichen unter den Völkern = JRGS 8/2, 726.

[4] Benedetto XVI, Parole introduttive nella recita dei Vespri, nell’Abbazia di Westminster a Londra, il 17 settembre 2010.

[5] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione ecumenica nella chiesa dell’ex-convento degli Agostiniani di Erfurt, il 23 settembre 2011.

[6] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2013.

[7] J. Ratzinger, Prognosen für die Zukunft des Ökumenismus, in: Kirche – Zeichen unter den Völkern = JRGS 8/2, 730.

[8] Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti della Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, il 17 novembre 2006.

[9] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2011.

[10] J. Ratzinger, Gott und die Welt, in: Im Gespräch mit der Zeit = JRGS 13/2, 461-838, zit. 832.

[11] Cfr. Lumen gentium, n. 23.

[12] J. Ratzinger, Das Konzil auf dem Weg. Rückblick auf die zweite Sitzungsperiode des Zweiten Vatikanischen Konzils, in: Zur Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils = JRGS 7/1, 359-410, zit. 392.

[13] J. Ratzinger, Luther und die Einheit der Kirchen, in: Kirche – Zeichen unter den Völkern = JRGS 8/2, 933-968, zit. 954.

[14] J. Ratzinger, Der Katholizismus nach dem Konzil, in: Die Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils = JRGS 7/2, 1003-1025, zit. 1024.

[15] Darin nimmt W. Thönissen den „ekklesiologischen Grundentscheid“ im Ökumeneverständnis von Joseph Ratzinger wahr. Vgl. Katholizität als Strukturform des Glaubens. Joseph Ratzingers Vorschläge für die Wiedergewinnung der sichtbaren Einheit der Kirche, in: Ch. Schaller (Hrsg.), Kirche – Sakrament und Gemeinschaft. Zur Ekklesiologie und Ökumene bei Joseph Ratzinger = RaSt 4 (Regensburg 2011) 254-275, zit. 263-264.

[16] Lumen gentium, n. 8.

[17] J. Ratzinger, Die Ekklesiologie der Konstitution Lumen gentium, in: Kirche – Zeichen unter den Völkern = JRGS 8/1, 573-596, zit. 592.

[18] Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso di Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano 2011) 109.

[19] Vgl. K. Kardinal Koch, Christliche Ökumene im Licht des Betens Jesu. „Jesus von Nazareth“ und die ökumenische Sendung, in: J.-H.

[20] Benedetto XVI, Discorso durante l’Udienza Generale del 20 gennaio 2010.

[21] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2013.

[22] Benedetto XVI, Discorso durante l’Udienza Generale del 23 gennaio 2008.

[23] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2008.

[24] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione ecumenica nella chiesa dell’ex-convento degli Agostiniani di Erfurt, il 23 settembre 2011.

[25] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2006.

[26] Benedetto XVI, Discorso durante l’Udienza Generale del 18 gennaio 2012.

[27] Benedetto XVI, Discorso durante l’Incontro ecumenico a New York, il 18 aprile 2008.

[28] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione ecumenica nella chiesa dell’ex-convento degli Agostiniani di Erfurt, il 23 settembre 2011.

[29] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2006.

[30] Cfr. K. Cardinale Koch, L’enciclica “Deus caritas est” nel contesto del Pontificato di Papa Benedetto XVI, in: Deus caritas est – Porta di misericordia. Atti del Simposio internazionale nel decimo anniversario dell’Enciclica. A Cura di M. Graulich e R. Weimann (Città del Vaticano 2016) 9-31, soprattutto 24-27: Un’enciclica condivisa ecumenicamente.

[31] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2006.

[32] J. Ratzinger, Zum Fortgang der Ökumene, in: Kirche – Zeichen unter den Völkern = JRGS 8/2, 731-738, zit. 735.

[33] Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso di Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano 2011) 112.

[34] Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti della Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, il 15 novembre 2012.

[35] Benedetto XVI, Omelia per i Primi Vespri nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, il 28 giugno 2010.

[36] Benedetto XVI, Motu proprio Ubicumque et semper.

[37] Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione ecumenica nella chiesa dell’ex-convento degli Agostiniani di Erfurt, il 23 settembre 2011.

[38] J. Ratzinger, Überlegungen zur theologischen Grundlage der Sendung (Mission) der Kirche, in: Die Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils = JRGS 7/1, 223-236, zit. 225 und 234. Vgl. dazu K. Kardinal Koch, Das Evangelium der Liebe Gottes in der Welt bezeugen, in: G. Augustin / N. Eterovic (Hrsg.), Mission in säkularer Gesellschaft. Ein Herzensanliegen (Freiburg i. Br. 2020) 30-52.

[39] Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso di Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano 2011) 111-112.

[40] Ibid, 112.

[41] J. Ratzinger, Luther und die Einheit der Kirchen, in: Kirche – Zeichen unter den Völkern = JRGS 8/2, 933-968, zit 954.

[42] J. Ratzinger. Vom „Dialog der Liebe“ zum „Theologischen Dialog“. Briefwechsel zwischen Metropolit Damaskinos und Joseph Cardinal Ratzinger, in: Kirche – Zeichen unter dem Völkern = JRGS 8/2, 781-801, zit. 798.

[43] J. Ratzinger, Salz der Erde, in: Im Gespräch mit der Zeit = JRGS 13/1, 207-458, zit. 422-423.

[44] J. Ratzinger, Luther und die Einheit der Kirchen, in: Kirche – Zeichen unter den Völkern = JRGS 8/2, 933-968, zit 967-968.

[45] J. Ratzinger, Prognosen für die Zukunft des Ökumenismus, in: Kirche – Zeichen unter den Völkern = JRGS 8/2, 717-730, zit. 717.

[46] Benedetto XVI, Discorso durante l’Incontro con i rappresentanti delle Chiese ortodosse e ortodosse orientali a Friburgo, il 24 settembre 2011.

[47] J. Ratzinger, Prognosen für die Zukunft des Ökumenismus, in: Kirche unter den Völkern = JRGS 8/2,724.

[48] Benedetto XVI, Luce del Mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald (Città del Vaticano 2010) 133.

[49] Benedetto XVI, Messaggio a Sua Santità Bartolomeo I in occasione della Festa di Sant’Andrea (25 novembre 2009).

[50] Benedetto XVI, Luce del Mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald (Città del Vaticano 2010) 140.

[51] Benedetto XVI, Discorso durante l’Incontro con i rappresentanti del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania, nell’ex-convento degli Agostiniani a Erfurt, il 23 settembre 2011.

[52] J. Ratzinger, Volk und Haus Gottes in Augustins Lehre von der Kirche, in: Die Dissertation und weitere Studien zu Augustinus und zur Theologie der Kirchenväter = JRGS 1, 43-419.

[53] J. Ratzinger, Offenbarung und Heilsgeschichte nach der Lehre des heiligen Bonaventura, in: Offenbarungsverständnis und Geschichtstheologie Bonaventuras. Habilitationsschrift und Bonaventura-Studien = JRGS 2, 53-659.

[54] Vgl. J. Ratzinger / Papst Benedikt XVI., Das Werk. Veröffentlichungen bis zur Papstwahl. Hrsg. vom Schülerkreis (Augsburg 2009), bes. 401-406: Übersicht über die Lehrveranstaltungen in Freising, Bonn, Münster, Tübingen und Regensburg. Cfr. anche G. Valente, Ratzinger Professore. Gli anni dello studio e dell’insegnamento nel ricordo dei colleghi e degli allievi (1946-1977) (Milano 2008).

[55] J. Wohlmuth. Anwalt der Einheit. Der Theologe Joseph Ratzinger und die Ökumene, in: Der christliche Osten LX (2005) 265-277, zit. 265.

[56] Vgl. D. E. Lohse und J. Cardinal Ratzinger, Brief der beiden Vorsitzenden der Gemeinsamen Ökumenischen Kommission an die Vorsitzenden und Wissenschaftlichen Leiter des Ökumenischen Arbeitskreises evangelischer und katholischer Theologen, in: K. Lehmann und W. Pannenberg (Hrsg.), Lehrverurteilungen – kirchentrennend? I Rechtfertigung, Sakramente und Amt im Zeitalter der Reformation und heute (Freiburg i. Br. – Göttingen 1986) 178-179.

[57] Vgl. P. Neuner, Joseph Ratzingers Beitrag zur Gemeinsamen Erklärung zur Rechtfertigungslehre, in: Münchener Theologische Zeitschrift 56 (2005) 435-448.

[58] Cfr. St. Bocciolesi, L’unità attraverso la diversità: La prospettiva ecumenica di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI (Siena 2020); M. C. Hastetter / St. Athanasiou (Hrsg.), “Ut unum sint”. Zur Theologie der Einheit bei Joseph Ratzinger / Papst Benedikt XVI. = RaSt XIII (Regensburg 2018); Ch. Schaller (Hrsg.), Kirche – Sakrament und Gemeinschaft. Zur Ekklesiologie und Ökumene bei Joseph Ratzinger = RaSt  IV (Regensburg 2011); M. M. Surd, Ekklesiologie und Ökumenismus bei Joseph Ratzinger: Einheit im Glauben – Voraussetzung der Einheit der Christenheit (St. Ottilien 2009).

[59] J. Ratzinger, Kirche – Zeichen unter den Völkern. Schriften zur Ekklesiologie und Ökumene = JRGS 8/2, bes. 693-1018: Teil E: Die Wiedergewinnung der sichtbaren Einheit der Kirche.

[60] Th. Maassen, Das Ökumeneverständnis Joseph Ratzingers (Göttingen 2011) 366.

[61] Benedetto XVI, Primo Messaggio alla Chiesa Universale al termine della Santa Messa con i Cardinali Elettori nella Cappella Sistina, il 20 aprile 2005.

[62] Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso di Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano 2011) 113.