IL MISTERO DELLA CHIESA E DELL'EUCARISTIA
ALLA LUCE DEL MISTERO DELLA SANTA TRINITÀ

 

Monaco di Baviera, 30 giugno - 6 luglio 1982

 

 

Fedele al mandato ricevuto a Rodi, questo rapporto affron­ta il mistero della Chiesa in uno solo dei suoi aspetti, particolar­mente importante nella dimensione sacramentale della Chiesa: il mistero cioè della Chiesa e dell'eucaristia alla luce del mistero del­la santa Trinità. Ci è stato infatti richiesto di muovere da quanto abbiamo in comune e di svilupparlo affrontando dal di dentro e progressivamente tutti i punti sui quali siamo in disaccordo.

Con la redazione di questo documento intendiamo mostrare che, in questo modo, esprimiamo insieme una fede che è la conti­nuazione di quella degli apostoli.

Questo documento segna la prima tappa dello sforzo volto a realizzare il programma della Commissione preparatoria approva­to durante la prima riunione della Commissione di dialogo.

Dato che si tratta di una prima tappa e poiché si affronta il mistero della Chiesa secondo uno solo dei suoi aspetti, molti pun­ti non vi sono toccati. Lo saranno durante le tappe successive pre­viste nel programma già menzionato.

 

I.

(1) Cristo, Figlio di Dio incarnato, morto è risorto, e il solo che abbia vinto il peccato e la morte. Parlare della natura sacra­mentale del mistero di Cristo significa dunque evocare la possibi­lità data all'uomo e, nell'uomo, al cosmo di fare esperienza della nuova creazione, regno di Dio, hic et nunc, attraverso le realtà sen­sibili e create. Tale è il tropos, il modo in cui l'unica persona e l'u­nico evento di Cristo esistono e operano nella storia a partire dal­la pentecoste e fino alla parusia. Tuttavia la via eterna che Dio ha dato al mondo con la venuta di Cristo, suo Figlio eterno, è portata in vasi di argilla. Non ne è dato che un assaggio, come pegno.

(2) Nell'ultima cena Cristo ha affermato che dava il suo cor­po ai discepoli per la vita della moltitudine, nell'eucaristia. In es­sa questo dono è fatto da Dio al mondo, ma in forma sacramentale. A partire da quel momento l'eucaristia esiste come sacramento di Cristo stesso. Diviene pregustazione della vita eterna, rimedio per l'immortalità, segno del regno futuro. Il sacramento della ve­nuta di Cristo continua così nel sacramento dell'eucaristia, sacramento che ci incorpora pienamente in Cristo.

(3) L'incarnazione del Figlio di Dio, la sua morte e risurrezione sono state compiute fin dal principio secondo la volontà del Padre, nello Spirito santo. Questo Spirito, che procede eternamente dal Padre e si manifesta nel Figlio, ha preparato la venuta di Cristo e l'ha realizzata pienamente nella risurrezione. Cristo, che è il sacramento per eccellenza dato dal Padre al mondo, con­tinua a darsi per la moltitudine, nello Spirito, il solo che vivifica (Gv 6). Il sacramento di Cristo è una realtà che può esistere solo nello Spirito.

(4) La Chiesa e l'eucaristia:

a) Benché gli evangelisti, nel rac­conto della cena, tacciano l'azione dello Spirito, egli era tuttavia più che mai unito al Figlio incarnato compimento dell'opera del Padre. Non era ancora dato e ricevuto come persona dai disce­poli (Gv 7,39). Ma a partire dalla glorificazione di Gesù, allora anche lo Spirito si diffonde e si manifesta. Il Signore Gesù entra nella gloria del Padre e, al tempo stesso, tramite l'effusione del­lo Spirito entra in questo mondo nel suo tropos sacramentale. La pentecoste, compimento del mistero pasquale inaugura anche gli ultimi tempi. L'eucaristia e la Chiesa, corpo di Cristo crocifis­so e risuscitato, divengono il luogo delle energie dello Spirito santo.

b) I credenti sono battezzati nello Spirito nel nome della santa Trinità per formare un solo corpo (cfr. 1Cor 12,13). Quando la Chiesa celebra l'eucaristia, diviene "quel che è", corpo di Cristo (1Cor 10,17). Tramite il battesimo e la cresima, infatti, i membri di Cristo sono unti dallo Spirito, innestati in Cristo. Ma nell'eucari­stia l'evento pasquale si fa Chiesa. La Chiesa diviene quel che è chiamata a essere nel battesimo e nella cresima. Nella comunione con il corpo e il sangue di Cristo i fedeli crescono in questa divi­nizzazione misteriosa che opera la loro dimora nel Figlio e nel Padre, mediante lo Spirito.

c) Così, da una parte la Chiesa celebra l'eucaristia come espressione in questo tempo della liturgia celeste. Ma, d'altra parte, l'eucaristia edifica la Chiesa, nel senso che, per suo tramite, lo Spirito di Cristo risuscitato plasma la Chiesa in corpo di Cristo. Perciò l'eucaristia e davvero il sacramento della Chiesa, sia come sacramento del dono totale che il Signore fa di se stesso ai suoi, sia come manifestazione e crescita del corpo di Cristo, la Chiesa. La Chiesa itinerante celebra l'eucaristia sulla terra fino a che il suo Signore non torni per rimettere il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti. Essa anticipa cosi il giudizio del mondo e la sua finale trasfigurazione.

(5) La missione dello Spirito resta unita a quella del Figlio. La celebrazione dell'eucaristia rivela le energie divine manifestate dallo Spirito, che operano nel corpo di Cristo:

a) Lo Spirito prepara la venuta di Cristo annunciandolo tramite i profeti, guidando verso di lui la storia del popolo eletto, facendolo concepire da Maria vergine, aprendo i cuori alla sua parola.

b) Lo Spirito manifesta Cristo nella sua opera di salvatore, quel Vangelo che è lui stesso. La celebrazione eucaristica è l'a­namnesi, "il memoriale": l'ephapax (1'"una volta per sempre") è e accade oggi realmente ma in modo sacramentale. La celebrazione dell'eucaristia è il kairos "l'occasione propizia" per eccellenza del mistero.

c) Lo Spirito trasforma i doni consacrati nel corpo e nel san­gue del Cristo (metabolè), perché si compia la crescita del corpo che é la Chiesa. In questo senso la celebrazione è tutta quanta una epiclesi che si esplicita in modo maggiore in taluni momenti. La Chiesa è sempre in stato di epiclesi.

d) Lo Spirito 1-nette in comunione con il corpo di Cristo quan­ti partecipano allo stesso pane e allo stesso calice. A partire da allora la Chiesa manifesta quel che essa è: il sacramento della koinonia trinitaria, la "dimora di Dio con gli uomini" (cfr. Ap 21,4).

Lo Spirito, attualizzando quel che Cristo ha compiuto una volta per tutte — l'avvento del mistero — lo compie in noi tutti. Questo rapporto con il mistero, più evidente nell'eucaristia, si tro­va anche negli altri sacramenti, che sono tutti atti dello Spirito. Per questo l'eucaristia e al centro della vita sacramentale.

(6) La celebrazione eucaristica, considerata nel suo insieme, rende presente il mistero trinitario della Chiesa. Vi si passa dall'a­scolto della Parola, che culmina nella proclamazione del Vangelo — annuncio apostolico della Parola divenuta carne al rendimen­to di grazie al Padre, al memoriale del sacrificio di Cristo e alla co­munione in lui grazie alla preghiera epicletica pronunciata nella fede. Nell'eucaristia infatti l'epiclesi non è solo una invocazione volta alla trasformazione sacramentale del pane e del vino; è anche una preghiera, affinché si avveri pienamente la comunione di tut­ti con il mistero rivelato dal Figlio.

Così la presenza dello Spirito stesso si diffonde, tramite la partecipazione al sacramento della Parola divenuta carne, a tutto il corpo della Chiesa. Senza volere ancora risolvere la difficoltà tra Oriente e Occidente sulla relazione tra a Figlio e lo Spirito, pos­siamo già dire insieme che questo Spirito, che procede dal Padre (Gv 15,26) come dall'unica sorgente interna alla Trinità, h e che è divenuto lo Spirito della nostra adozione (Rm 8,15) perché è anche lo Spirito del Figlio (Gal 4,6), ci è comunicato, soprattutto nell'eucaristia, da questo Figlio su cui riposa, nel tempo e nell'eternità    (Gv 1,32).

Perciò il mistero eucaristico si compie nella preghiera che unisce le parole con le quali la Parola fatta carne ha istituito il sa­cramento e l'epiclesi con cui la Chiesa, mossa dalla fede, supplica il Padre, tramite il Figlio, di inviare lo Spirito affinché nell'unica oblazione del Figlio incarnato tutto sia consumato nell'unità. Mediante l'eucaristia i credenti si uniscono a Cristo che si offre con loro al Padre, e ricevono il potere di offrirsi in spirito di sacri­ficio gli uni agli altri come Cristo stesso si è offerto al Padre per i molti, donandosi così agli uomini.

Questa consumazione nell'unità, compiuta in modo insepa­rabile dal Figlio e dallo Spirito e operante in riferimento al Padre e al suo disegno, è la Chiesa nella sua pienezza.

 

II.

(1) Con riferimento al Nuovo Testamento si osserverà anzi­tutto che la Chiesa designa una realtà "locale". La Chiesa esiste nella storia come Chiesa locale. Per una regione si parla, di prefe­renza, di Chiese, al plurale. Si tratta sempre della Chiesa di Dio, ma in un luogo.

Ora, la Chiesa che esiste in un luogo non è costituita, in senso radicale, dalle persone che si sommano l'una all'altra per for­marla. Esiste una "Gerusalemme celeste" che "scende da Dio", una comunione che fonda la comunità stessa. La Chiesa è costi­tuita da un dono gratuito, quello della nuova creazione.

E chiaro tuttavia che la Chiesa "che è in" un dato luogo si ma­nifesta come tale quando diviene "assemblea". Questa stessa as­semblea, i cui elementi e requisiti sono indicati dal Nuovo Testamento, è pienamente tale quando è sinassi eucaristica. Quando infatti la Chiesa locale celebra l'eucaristia, l'evento acca­duto "una volta per tutte" è attualizzato e reso manifesto. Nella Chiesa locale allora non vi è nè uomo nè donna, nè schiavo nè libe­ro, nè giudeo nè greco. Vi si trova comunicata una nuova unità che supera le divisioni e ripristina la comunione nell'unico corpo di Cristo. Questa unità trascende l'unità psicologica, razziale, socio­politica e culturale. Essa è la "comunione dello Spirito santo" che riunisce i dispersi figli di Dio. La novità del battesimo e della cresi­ma matura allora i suoi frutti. E per la potenza del corpo e del san­gue del Signore, ripieno di Spirito santo, il peccato, che continua ad aggredire i cristiani ostacolando il dinamismo ricevuto nel battesi­mo della "vita per Dio in Cristo Gesù", è sanato. Questo vale anche per il peccato di divisione, che contraddice in tutte le sue forme il disegno di Dio.

Uno dei testi più importanti da ricordare è 1Cor 10,15-17: un solo pane, un solo calice, un solo corpo del Cristo nella pluralità delle membra. Questo mistero dell'unità nell'amore di più persone costituisce la novità della koinonia trinitaria comunicata agli uomini, nella Chiesa, tramite l'eucaristia. Questo è il fine del­l'opera salvifica del Cristo che si diffonde negli ultimi tempi, a partire dalla pentecoste.

Perciò la Chiesa trova il proprio modello, la propria origine e il proprio compimento nel mistero del Dio uno in tre persone. Anzi, l'eucaristia così compresa, alla luce del mistero trinitario, costituisce il criterio del funzionamento della vita ecclesiale nella sua totalità. Gli elementi istituzionali altro non devono essere che un riflesso visibile della realtà del mistero.

(2) Lo svolgimento della celebrazione eucaristica della Chiesa locale mostra come la koinonia diventa attuale nella Chiesa che celebra l'eucaristia. Nella celebrazione dell'eucaristia a opera della comunità che circonda attivamente il vescovo o il presbitero in comunione con lui, si notano i seguenti aspetti, l'uno interno al­l'altro, anche se questo o quel tratto della celebrazione ne valoriz­za o l'uno o l'altro.

La koinonia e escatologica. È la novità che giunge negli ulti­mi tempi. Per questo tutto inizia, nell'eucaristia così come nella vita della Chiesa, dalla conversione e dalla riconciliazione. L'eucaristia presuppone il pentimento (metanoia) e la confessione (exomologesis), che pure trovano altrove la loro espressione sacra­mentale propria. Ma l'eucaristia rimette e guarisce anch'essa i peccati, perché è il sacramento dell'amore deificante del Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito santo.

Ma la koinonia è anche kerygmatica. Questo si avvera nella sinassi non solo perché la celebrazione "annuncia" l'evento del mistero, ma anche perché lo attualizza oggi, nello Spirito. Questo implica l'annuncio della Parola all'assemblea e la risposta di fede di tutti. È così che si attualizza la comunione dell'assemblea nel kerygma, dunque l'unità nella fede. L'ortodossia è inerente alla koinonia eucaristica. Questa ortodossia si esprime nel modo più chiaro nella proclamazione del simbolo di fede che è la ricapitola­zione della tradizione apostolica di cui il vescovo è testimone in grazia della sua successione. Così l'eucaristia e indissolubilmente sacramento e parola, perché in essa è lo stesso Verbo incarnato che santifica nello Spirito. Perciò tutta la liturgia, e non solo la let­tura delle sante scritture, costituisce una proclamazione della parola in forma di dossologia e di preghiera. Dal canto suo, la paro­la proclamata è la Parola divenuta carne e sacramento.

La koinonia è insieme ministeriale e pneumatica. Per questo l'eucaristia ne è la manifestazione per eccellenza. Tutta l'assem­blea, ciascuno al suo posto, è "liturgia" della koinonia, e lo è solo grazie allo Spirito santo. Pur essendo dono del Dio trino, la koinonia è anche risposta degli uomini. Essi, nella fede che procede dallo Spirito e dalla Parola, mettono in pratica la vocazione e la missione ricevute nel battesimo: divenire, ciascuno al suo posto, membra vive del corpo del Cristo.

(3) Il ministero del vescovo non si esaurisce in una funzione tattica o pragmatica (occorre comunque un presidente), ma è una funzione organica. Il vescovo riceve il dono della grazia episcopa­le (1Tm 4,14) nel sacramento della consacrazione, compiuta da vescovi che hanno loro stessi ricevuto tale dono, grazie all'esisten­za di una ininterrotta successione di ordinazioni episcopali che comincia dai santi apostoli. Nel sacramento della ordinazione lo Spirito del Signore "conferisce" al vescovo, non giuridicamente, come semplice trasmissione di un potere, ma sacramentalmente, l’exousia di servo che il Figlio ha ricevuto dal Padre e che ha ac­colto umanamente con il suo assenso durante la sua passione.

La funzione del vescovo è strettamente legata all'assemblea eucaristica che egli presiede. L'unità eucaristica della Chiesa loca­le implica la comunione tra colui che presiede e il popolo, cui consegna la parola della salvezza e i doni trasformati in eucaristia. D'altronde, il ministro è anche colui che "riceve" dalla sua Chiesa, fedele alla tradizione, la parola che trasmette. E la grande inter­cessione che fa saure al Padre altro non è che quella della sua Chiesa stessa, tutta intera unita con lui. Così come essa non può essere divisa dal suo vescovo, il vescovo non può essere separato dalla sua Chiesa.

Il vescovo è nel cuore della Chiesa locale come ministro dello Spirito per discernere i carismi e vegliare affinché si esercitino nella concordia, per il bene di tutti, nella fedeltà alla tradizione

apostolica. Egli si pone al servizio delle iniziative dello Spirito, perché nulla ostacoli il loro contributo alla edificazione della koinonia. Egli è ministro di unità, servo di Cristo Signore, la cui mis­sione consiste nel "raccogliere nell'unità i figli di Dio". E poiché la Chiesa è edificata dall'eucaristia, è colui che, rivestito della gra­zia del ministero sacerdotale, presiede a essa.

Ma tale presidenza deve essere intesa correttamente. Il ve­scovo presiede all'oblazione di tutta la sua comunità. Consacrando i doni perché divengano il corpo e il sangue che la comunità offre, celebra non solo per lei, né solo con lei e in lei, ma suo tramite. Si manifesta allora come ministro di Cristo che riunifica il suo corpo, creando la comunione grazie al suo corpo. L'unione della comunità con lui si situa dapprima nell'ordine del mysterion, non nell'ordi­ne giuridico. È questa unione, espressa nell'eucaristia, quella che si prolunga e attualizza nell'insieme delle relazioni "pastorali" di ma­gistero, governo, vita sacramentale. La comunità ecclesiale è così chiamata a essere l'abbozzo di una rinnovata comunità umana.

(4) Vi è comunione profonda tra il vescovo e la comunità, di cui lo Spirito gli conferisce la responsabilità in ordine alla Chiesa di Dio. La tradizione antica la evocava felicemente con l'immagine delle nozze. Ma questa comunione si situa all'interno della co­munione con la comunità apostolica. Nella tradizione antica (di cui testimonia in particolare la Tradizione apostolica di Ippolito), il vescovo eletto dal popolo — che si fa garante della sua fede apo­stolica, conformemente a quanto la Chiesa locale confessa — riceve la grazia ministeriale di Cristo tramite lo Spirito nella preghiera dell'assemblea e con l'imposizione delle mani (chirotonia) dei vescovi vicini, testimoni della fede delle loro Chiese. Il suo carisma che viere direttamente dallo Spirito, gli è dato nell'apostoli­cità della sua Chiesa (legata alla fede della comunità apostolica) e in quella delle altre Chiese rappresentate dai loro rispettivi vesco­vi. Con ciò il suo ministero si inserisce nella cattolicità della Chiesa di Dio.

La successione apostolica significa dunque più di una sem­plice trasmissione di poteri. È successione in una Chiesa testimo­ne della fede apostolica, in comunione con le altre Chiese, testimoni della stessa fede apostolica. La sedes (la cattedra) ha un ruolo decisivo nell'inserimento di un vescovo nel cuore dell'apo­stolicità ecclesiale. D'altra parte, una volta ordinato, il vescovo di­viene nella sua Chiesa il garante dell'apostolicità, colui che la rap­presenta nell'ambito della comunione delle Chiese, il suo legame con le altre Chiese. Per questo, nella sua Chiesa, nessuna eucaristia può essere celebrata veramente se non è presieduta da lui o da un presbitero che sia in comunione con lui. La menzione del suo nome nell'anafora è essenziale.

Grazie al ministero dei presbiteri, incaricati di presiedere alla vita e alla celebrazione eucaristica delle comunità che sono loro affidate, queste crescono nella comunione con tutte le comunità di cui il vescovo assume diretta responsabilità. Nell'attuale situa­zione, la stessa diocesi è una comunione di comunità eucaristiche. Una delle funzioni essenziali dei presbiteri consiste nel collegarle all'eucaristia del vescovo e nutrirle della fede apostolica di cui il vescovo è il testimone e il garante. Devono anche vegliare affin­ché, nutriti del corpo e del sangue di colui che ha dato la sua vita per i suoi fratelli, i cristiani siano testimoni autentici dell'amore fraterno, nel sacrificio reciproco nutrito del sacrificio di Cristo. Secondo la parola dell'apostolo, infatti, "se qualcuno vede un suo fratello nel bisogno e chiude dinanzi a lui le sue viscere, come po­trebbe dimorare in lui l'amore di Dio?" (1Gv 3,17). L'eucaristia determina il modo cristiano di vivere il mistero pasquale di Cristo e il dono della pentecoste. Grazie a essa si opera una trasforma­zione profonda dell'esistenza umana sempre posta a confronto con la tentazione e la sofferenza.

 

III.

(1) Il corpo di Cristo è unico. Esiste dunque una sola Chiesa di Dio. L'identità di un'assemblea eucaristica con le altre dipende dal fatto che tutte, con la stessa fede, celebrano lo stesso memoriale; che tutte mangiando lo stesso corpo e partecipando allo stes­so calice divengono il medesimo e unico corpo del Cristo in cui es­se sono state inserite con lo stesso battesimo. Pur nella molteplicità delle celebrazioni, non vi è che un solo e unico miste­ro celebrato cui si partecipa. Inoltre il fedele, quando comunica al corpo e al sangue del Signore, non riceve una parte di Cristo, ma tutto Cristo.

Allo stesso modo la Chiesa che celebra l'eucaristia riunita intorno al vescovo non è una sezione del corpo del Cristo. La mol­teplicità delle sinassi locali non divide la Chiesa, ne manifesta an­zi in modo sacramentale l'unità. Come la comunità degli apostoli raccolti intorno a Cristo, ogni assemblea eucaristica è davvero la santa Chiesa di Dio, il corpo di Cristo, in comunione con la prima comunità dei discepoli e con tutte le altre comunità che nel mon­do celebrano o hanno celebrato il memoriale del Signore. Essa è anche in comunione con l'assemblea dei santi, in cielo, che ricorda a ogni celebrazione.

(2) Lungi dall'escludere la diversità o la pluralità, la koinonia la presuppone e guarisce le ferite della divisione, trascendendola nel­l'unità. Poiché Cristo è uno per i molti, così nella Chiesa, che è suo corpo, l'uno e i molti, l'universale e il locale, sono necessariamente simultanei. Ancora più profondamente, poiché il Dio uno e unico è comunione di tre persone, la Chiesa una e unica è comunione di più comunità, e la Chiesa locale comunione di persone. La Chiesa una e unica si identifica alla koinonia delle Chiese. Unità e molteplicità appaiono legate a un punto tale che l'una non potrebbe esistere senza l'altra. È questa la relazione costitutiva della Chiesa che le istituzioni rendono visibile e, per così dire, storicizzano.

(3) Poiché la Chiesa cattolica si manifesta nella sinassi della Chiesa locale, due condizioni soprattutto devono essere rispettate perché la Chiesa locale che celebra l'eucaristia rimanga davvero nella comunione ecclesiale:

a) È fondamentale l'identità del mistero della Chiesa vissuto nella Chiesa locale con il mistero della Chiesa vissuto dalla Chiesa primitiva (cattolicità nel tempo). La Chiesa è apostolica perché fondata e continuamente sostenuta nel mistero di salvezza rivela­to in Gesù Cristo, trasmesso nello Spirito da quelli che ne furono testimoni, gli apostoli. I suoi membri saranno giudicati da Cristo e dagli apostoli (Lc 22,30).

b) Il reciproco riconoscimento, oggi, tra questa Chiesa loca­le e le altre Chiese è anch'esso decisivo. Ciascuna deve riconosce­re nelle altre, al di là delle particolarità locali, l'identità del miste­ro della Chiesa. Si tratta di un reciproco riconoscimento di cattolicità come comunione nell'integrità del mistero. Questo ri­conoscimento avviene dapprima su di un piano regionale. La co­munione in un patriarcato, o in qualche altra forma di unità re­gionale, è dapprima una manifestazione della vita dello Spirito in una stessa cultura o nelle stesse condizioni storiche. Implica anche l'unità della testimonianza e richiama all'esercizio della correzio­ne fraterna nell'umiltà. Questa comunione all'interno di una stes­sa regione deve sfociare nella comunione fra Chiese sorelle.

Ma questo riconoscimento reciproco non è vero che alle condizioni espresse nell'anafora di san Giovanni Crisostomo e nelle prime anafore antiochene. La prima è la comunione nello stesso kerygma, dunque nella stessa fede. Già racchiusa nel batte­simo, questa esigenza si esplicita nella celebrazione eucaristica. Ma è necessaria anche la volontà della comunione nell'agape e nella diakonia non solo a parole, ma nei fatti.

Sia la permanenza nella storia che il reciproco riconosci­mento sono evocati in modo particolare durante le sinassi eucari­stiche dalla menzione dei santi nel canone e dei responsabili ecclesiastici nei dittici. Si comprende allora perché questi ultimi sia­no segno dell'unità cattolica nella comunione eucaristica, respon­sabili, ciascuno al suo livello, del mantenimento della comunione nella sinfonia universale delle Chiese e della loro comune fedeltà alla tradizione cattolica.

(4) Si ritrovano dunque fra queste Chiese i legami di comu­nione presentati dal Nuovo Testamento: comunione nella fede, nella speranza e nell'amore, comunione nei sacramenti, comunio­ne nella diversità dei carismi, comunione nella riconciliazione, comunione nel ministero. L'agente di questa comunione è lo Spirito del Signore risorto. Per suo tramite la Chiesa universale, cattolica, integra la diversità o la pluralità facendone uno dei suoi elementi essenziali. Una tale cattolicità rappresenta il compimento della preghiera del capitolo 17 del vangelo di Giovanni, ripresa nell'e­piclesi eucaristica.

Il raccordo alla comunione apostolica collega l'insieme dei vescovi che assicurano la episkopé delle Chiese locali al collegio degli apostoli. Anch'essi formano un collegio radicato dallo Spirito nell'”una volta per sempre" del gruppo apostolico, testimone uni­co della fede. Questo significa non solo che devono essere uniti fra di loro nella fede, nella carità, nella missione, nella riconciliazione, ma anche che comunicano nella stessa responsabilità e nello stesso servizio alla Chiesa. Poiché in ogni Chiesa locale si trova l'una e unica Chiesa, ogni vescovo non può disgiungere la preoccupazione per la sua Chiesa dalla preoccupazione per la Chiesa universale. E quando, con il sacramento dell'ordinazione, riceve il carisma dello Spirito per l'episkopé di una Chiesa locale, la sua, riceve con ciò stesso il carisma dello Spirito per l’episkopé di tutta la   Chiesa. Nel popolo di Dio, egli la esercita in comunione con tutti i vescovi che hic et nunc hanno la responsabilità di Chiese e in comunione con la tradizione viva che i vescovi del passato hanno trasmesso. La presenza di vescovi di sedi vicine alla sua ordinazione "sacramentalizza" e attualizza questa comunione. Produce una osmosi della sollecitudine per la comunità locale e della preoccupazione per la Chiesa diffusa su tutta la terra. L’episkopé della Chiesa universale viene affidata dallo Spirito all'insieme dei vescovi locali, in reci­proca comunione. Questa comunione si esprime tradizionalmente nella pratica conciliare. Avremo occasione di esaminare in futuro il modo in cui essa è concepita e attuata, nella linea di quanto abbia­mo ora precisato.[1]

 

 

PARTECIPANTI

Partecipanti cattolici

J. Willebrands, presidente del segretariato per l'unità dei cristiani (copresidente della commissione)
W.W. Baum, prefetto della congregazione per l'educa­zione cattolica
J. Ratzinger, prefetto della congregazione per la dottrina della fede
R. Etchegaray, arcivescovo di Marsiglia
M. Brini, segretario della congregazione per le Chiese orientali
N. Foscolos, arcivescovo dei cattolici di Atene M. Magrassi, arcivescovo di Bari-Bitonto A. Pichler, vescovo di Banja Luka
R. Torrella, vicepresidente del segretariato per l'unità dei cristiani
A. Jakab, vescovo di Alba Julia
M. Marusyn, vicepresidente della commissione per la re­visione del codice di diritto canonico orientale
A. Nossol, vescovo di Opole
M. Maccarone, presidente del pontificio comitato di scienze storiche
F. McManus, università cattolica d'America
D. Salachas, Atene
E. Suttner, Vienna H. Vogt, Tubinga E. Lanne osb, monastero benedettino di Chevetogne
J.-M. Tillard op, facoltà domenicana di teologia e filoso­fia di Ottawa
A. de Halleux ofm, Lovanio
J.F. Long, pontificio istituto orientale, Roma
H. Kolvenbach sj, rettore del pontificio istituto orienta­le, Roma
L. Bouyer, abbazia St. Wandrille
W Hryniewicz omi, Lublino
P. van der Aalst, Nimega
V. Peri, biblioteca apostolica vaticana
P. Duprey, sottosegretario del segretariato per l'unità dei cristiani (cosegretario della commissione)

 

Partecipanti ortodossi

Patriarcato ecumenico:
Mons. Stylianos, arcivescovo di Australia (copresidente della commissione)
J. Zizioulas, università di Glasgow

Patriarcato di Alessandria:
Mons. Parthenios, metropolita di Cartagine S. Papadopoulos, università di Atene

Patriarcato di Gerusalemme:
Mons. Germanos, metropolita di Petra G. Galitis, università di Atene

Patriarcato di Mosca:
Mons. Kirill, arcivescovo di Viborg
L. Vorovov, facoltà teologica di Leningrado

Patriarcato di Serbia:
Mons. Sava, vescovo di Sumadija
S. Goschevitch, facoltà teologica di Belgrado (cosegreta­rio della commissione)

Patriarcato di Romania:
Mons. Antonie, metropolita di Transylvania
D. Staniloae, istituto teologico di Bucarest

Patriarcato di Bulgaria:
Mons. Joan, vescovo di Dragovitza
N. Shivarov, rettore dell'Accademia teologica di Sofia

Chiesa di Cipro:
Mons. Chrysanthos, metropolita di Morphou
M. Papachrystoforou, Cipro

Chiesa di Grecia:
Mons. Chrysostomos, metropolita di Peristeri
M. Farandos, università di Atene

Chiesa di Polonia:
Mons. Savvas, vescovo di Bialystok e Gdansk
Mons. Simon, vescovo di Lodz e Poznan

Chiesa di Georgia:
Mons. Anania, arcivescovo di Achaltsikhe
Mons. David, arcivescovo di Sukhum Avkhas

Chiesa di Cecoslovacchia:
P. Ales, facoltà teologica ortodossa di Presov

Chiesa di Finlandia:
M. Sidoroff, seminario teologico di Kuopio
P. Ambrosius, monastero New Valamo

 

 

 

[1] Il mistero della Chiesa e della eucaristia alla luce del mistero della Santa Trinità, in: Enchiridion Oecumenicum (EO) 1. Dialoghi internazionali 1931-1984, EDB, Bologna 1986, pp. 1028-1039.