DAL CONFLITTO ALLA COMUNIONE*

 

Prefazione

La contesa di Martin Lutero con Dio guidò e determinò tutta la sua vita. Fu costantemente assillato dalla domanda: «Come posso avere un Dio misericordioso? ». E trovò quel Dio misericordioso nel Vangelo di Gesù Cristo. «Nel Cristo crocifisso si trovano la vera teologia e la conoscenza di Dio».

Nel 2017 il modo più giusto per i cristiani cattolici e luterani di volgere indietro lo sguardo a eventi di 500 anni prima sarà quello di porre al centro il Vangelo di Gesù Cristo. Il Vangelo dovrebbe essere celebrato e annunciato ai nostri contemporanei, perché il mondo possa credere che Dio dona se stesso agli uomini e ci invita a entrare in comunione con lui e con la sua Chiesa. È questa la fonte della nostra gioia per la nostra fede comune.

Questa gioia scaturisce anche da uno sguardo rigorosamente autocritico su noi stessi: non solo sulla nostra storia, ma anche sul presente. Noi cristiani non siamo certo stati sempre fedeli al Vangelo; troppo spesso ci siamo conformati alla mentalità e ai comportamenti del mondo che ci circonda. Ripetute volte abbiamo ostacolato la buona notizia della misericordia di Dio.

Sia come individui sia come comunità di credenti, tutti noi abbiamo incessantemente bisogno di penitenza e di riforma, sotto l’incoraggiamento e la guida dello Spirito Santo. «Il Signore e maestro nostro Gesù Cristo, dicendo: “Fate penitenza”, volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza». Questa è la prima delle 95 tesi di Lutero, che nel 1517 innescarono il movimento della Riforma.

Sebbene questa tesi oggi sia tutt’altro che ovvia, noi cristiani luterani e cattolici vogliamo prenderla sul serio indirizzando il nostro sguardo critico innanzitutto su noi stessi e non gli uni sugli altri. Assumiamo come nostro criterio guida la dottrina della giustificazione, che esprime il messaggio del Vangelo e perciò «orienta continuamente a Cristo tutta la dottrina e la prassi della Chiesa» (Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, n.18; EO 7/1848).

La vera unità della Chiesa può esistere solo come unità nella verità del Vangelo di Gesù Cristo. Il fatto che la lotta per questa verità abbia portato nel XVI secolo alla perdita dell’unità nel cristianesimo d’Occidente appartiene alle pagine oscure della storia della Chiesa. Nel 2017 dobbiamo confessare apertamente che siamo colpevoli dinanzi a Cristo di avere infranto l’unità della Chiesa. Questo anno giubilare ci presenta due sfide: la purificazione e la guarigione delle memorie, e la restaurazione dell’unità dei cristiani secondo la verità del Vangelo di Gesù Cristo (cf. Ef 4,4-6).

Il testo che segue delinea una via «dal conflitto alla comunione », una via al cui traguardo non siamo ancora giunti. Tuttavia la Commissione luterano-cattolica per l’unità* ha preso sul serio le parole di papa Giovanni XXIII: «Ciò che ci unisce è molto più di ciò che ci divide».

Invitiamo tutti i cristiani a studiare il rapporto della nostra Commissione con mente aperta e spirito critico, e ad accompagnarci in questo cammino verso una più profonda comunione di tutti i cristiani.

 

+ KARLHEINZ DIEZ                                          + EERO HUOVINEN
Vescovo ausiliare di Fulda                                      Vescovo emerito di Helsinki
(a nome del co-presidente cattolico)                       co-presidente luterano

 

 

Introduzione

1. Nel 2017 i cristiani luterani e cattolici commemoreranno congiuntamente il quinto centenario dell’inizio della Riforma. Oggi tra luterani e cattolici stanno crescendo la comprensione, la collaborazione e il rispetto reciproci. Gli uni e gli altri sono giunti a riconoscere che ciò che li unisce è più di ciò che li divide: innanzitutto la fede comune nel Dio uno e trino e la rivelazione in Gesù Cristo, come pure il riconoscimento delle verità fondamentali della dottrina della giustificazione.

2. Già il 450° anniversario della Confessione augustana nel 1980 offrì sia ai luterani sia ai cattolici l’opportunità di elaborare una comprensione comune delle verità fondative della fede, indicando Gesù Cristo come il centro vitale della nostra fede cristiana.[i] Nel dialogo internazionale tra cattolici romani e luterani nel 1983, in occasione del V centenario della nascita di Martin Lutero, vennero riaffermate in maniera congiunta molte delle preoccupazioni che per Lutero furono essenziali. Il rapporto della Commissione lo definì «testimone di Gesù Cristo» e dichiarò che «i cristiani, siano essi protestanti o cattolici, non possono ignorare la persona e il messaggio di quest’uomo».[ii]  

3. L’imminente anno 2017 sollecita cattolici e luterani a confrontarsi nel dialogo sui problemi e le conseguenze della Riforma di Wittenberg, incentrata sulla persona e sul pensiero di Martin Lutero, e a elaborare prospettive per il ricordo della Riforma e il modo di viverla oggi. Il programma riformatore di Lutero costituisce una sfida spirituale e teologica sia per i cattolici sia per i luterani del nostro tempo.

 

I. Commemorare la Riforma in un’era ecumenica e globale

4. Ogni commemorazione ha il proprio contesto. Oggi, il contesto contiene tre sfide principali, che ci presentano delle opportunità ma anche delle responsabilità. 1) È la prima commemorazione ad aver luogo in un’epoca ecumenica. La commemorazione comune, quindi, è un’occasione per approfondire la comunione tra cattolici e luterani. 2) È la prima commemorazione che avviene nell’epoca della globalizzazione. Di conseguenza la commemorazione comune deve includere le esperienze e le prospettive dei cristiani del Sud e del Nord del mondo, dell’Oriente e dell’Occidente. 3) È la prima commemorazione a dover fare i conti con la necessità di una nuova evangelizzazione in un tempo segnato sia dalla proliferazione di nuovi movimenti religiosi sia, nel contempo, dalla crescita della secolarizzazione in molte parti del mondo. Di conseguenza la commemorazione comune ci presenta l’opportunità e l’onere di dare una testimonianza comune di fede.

Il carattere delle commemorazioni precedenti

5. Relativamente presto, la data del 31 ottobre 1517 divenne un simbolo della Riforma protestante del XVI secolo. Ancora oggi molte Chiese luterane ricordano il 31 ottobre di ogni anno l’evento noto come «la Riforma». Le celebrazioni dei centenari della Riforma sono state fastose e gioiose. Durante questi eventi le posizioni contrastanti dei diversi gruppi confessionali sono state particolarmente visibili. Per i luterani, queste giornate commemorative e questi centenari sono stati delle occasioni per raccontare di nuovo gli inizi della forma caratteristica – «evangelica» – della loro Chiesa al fine di giustificare la loro esistenza peculiare. Questo era naturalmente legato alle critiche mosse dalla Chiesa cattolica romana. Dall’altra parte i cattolici hanno sfruttato questi eventi commemorativi come delle occasioni per accusare i luterani di aver provocato un’intollerabile divisione dalla vera Chiesa e di aver rinnegato il Vangelo di Cristo.  

6. Queste prime commemorazioni giubilari spesso sono state influenzate da programmi politici e politico-ecclesiastici. Nel 1617, ad esempio, la celebrazione del I centenario contribuì in maniera notevole a rendere stabile e a rivitalizzare la comune identità riformata di luterani e riformati in occasione delle loro celebrazioni commemorative congiunte. Luterani e riformati dimostrarono la loro solidarietà reciproca nel polemizzare aspramente contro la Chiesa cattolica romana. Unanimemente essi esaltarono Lutero come il liberatore dal giogo della Chiesa di Roma. Molto più tardi, nel 1917, nell’infuriare della prima guerra mondiale, Lutero venne raffigurato come un eroe nazionale tedesco.   

La prima commemorazione ecumenica

7. L’anno 2017 vedrà la celebrazione della prima commemorazione giubilare della Riforma in epoca ecumenica. Il 2017 segnerà anche i 50 anni del dialogo luterano - cattolico romano. Pregare insieme, celebrare insieme la liturgia e servire insieme le loro comunità ha arricchito sia i cattolici sia i luterani al l’interno del movimento ecumenico. Ora essi affrontano insieme anche sfide politiche, sociali ed economiche. La spiritualità visibile nei matrimoni interconfessionali ha fatto nascere nuove riflessioni e nuove domande. Luterani e cattolici sono stati in grado di reinterpretare le loro tradizioni e pratiche teologiche, riconoscendo le influenze che hanno avuto gli uni sugli altri. Proprio per questo desiderano commemorare insieme il 2017.  

8. Questi cambiamenti richiedono un approccio nuovo: non è più sufficiente ripetere semplicemente sulla Riforma i racconti di un tempo, che presentavano il punto di vista luterano e cattolico separatamente e spesso in contrapposizione reciproca. La memoria storica opera sempre una selezione tra una grande quantità di momenti storici e integra gli elementi selezionati in un complesso significativo. Poiché questi racconti del passato erano per lo più ispirati da una reciproca opposizione, spesso non fecero altro che inasprire il conflitto tra le confessioni, provocando anche talvolta un’aperta ostilità.  

9. La memoria storica ha avuto delle conseguenze concrete per le relazioni interconfessionali. Per questa ragione è nel contempo così importante e così difficile un ricordo ecumenico comune della Riforma luterana. Ancor oggi molti cattolici la associano principalmente con la divisione della Chiesa, mentre molti cristiani luterani associano la parola «Riforma» specialmente con la riscoperta del Vangelo, la certezza della fede e la libertà. Sarà necessario prendere sul serio entrambi questi punti di partenza al fine di mettere in relazione reciproca le due prospettive e porle in dialogo.  

La commemorazione in un nuovo contesto globale e secolarizzato

10. Nel secolo scorso il cristianesimo è diventato sempre più globale. Oggi vi sono cristiani di varie confessioni in tutte le regioni del mondo; il numero dei cristiani nel Sud del mondo sta aumentando, mentre il numero dei cristiani nel Nord si sta riducendo. Le Chiese del Sud vanno acquisendo un’importanza sempre maggiore all’interno del cristianesimo mondiale. Esse fanno fatica a sentire i conflitti confessionali del XVI secolo come propri, anche se sono connesse con le Chiese d’Europa e dell’America del Nord attraverso varie comunioni cristiane mondiali e condividono con esse un fondamento dottrinale comune. Per quanto riguarda l’anno 2017, sarà molto importante prendere sul serio i contributi, le domande e le prospettive di queste Chiese.  

11. In terre in cui il cristianesimo era già radicato da molti secoli, molti negli ultimi tempi hanno abbandonato le Chiese o hanno dimenticato le loro tradizioni ecclesiali. In queste tradizioni le Chiese hanno tramandato di generazione in generazione quello che avevano ricevuto dal loro incontro con la sacra Scrittura: una comprensione di Dio, dell’umanità e del mondo in risposta alla rivelazione di Dio in Gesù Cristo; la saggezza sviluppata nel corso di generazioni a partire dall’esperienza della relazione esistenziale dei cristiani con Dio; e il prezioso patrimonio di forme liturgiche, inni e preghiere, di pratiche catechetiche e di servizio diaconale. In conseguenza di questo oblio, una gran parte di ciò che nel passato ha diviso la Chiesa è oggi praticamente sconosciuto.  

12. L’ecumenismo, tuttavia, non può essere fondato sull’indifferenza alla tradizione. Ma in che modo, allora, la storia della Riforma sarà ricordata nel 2017? Di ciò su cui le due confessioni hanno con tanta veemenza dibattuto, che cosa merita di essere conservato? I nostri padri e le nostre madri nella fede avevano la ferma convinzione che ci fosse qualcosa per cui valeva la pena lottare, qualcosa che era necessario per una vita con Dio. Come possono essere trasmesse ai nostri contemporanei le tradizioni tanto spesso dimenticate, in modo che non rimangano oggetti di antiquariato ma siano piuttosto il sostegno di un’intensa esistenza cristiana? Come si possono tramandare le tradizioni senza scavare nuove trincee tra i cristiani di confessioni diverse?  

Nuove sfide per la commemorazione del 2017

13. Nel corso dei secoli la Chiesa e la cultura sono state spesso interconnesse nella maniera più stretta possibile. Molto di quanto faceva parte della vita della Chiesa ha trovato posto, nel corso dei secoli, anche nelle culture dei diversi paesi e continua fino ai giorni nostri ad avere un ruolo, talvolta persino indipendentemente dalle Chiese. I preparativi per il 2017 dovranno identificare questi vari elementi della tradizione oggi presenti nella cultura, per interpretarli e avviare un dialogo tra Chiesa e cultura alla luce di questi differenti aspetti.  

14. Per più di un secolo il movimento pentecostale e altri movimenti carismatici si sono andati diffondendo largamente in tutto il mondo. Questi vigorosi movimenti hanno presentato nuove accentuazioni, che hanno fatto sì che molte delle vecchie controversie confessionali sembrino ormai obsolete. Il movimento pentecostale è presente in molte Chiese diverse nella forma del movimento carismatico, creando nuove comunanze e comunità che attraversano le frontiere confessionali. In tal modo esso dischiude nuove opportunità ecumeniche, creando nel contempo ulteriori sfide che avranno un ruolo importante nel centenario della Riforma nel 2017.  

15. Mentre i precedenti anniversari della Riforma furono celebrati in territori omogenei dal punto di vista confessionale, o almeno in territori la cui popolazione era in maggioranza cristiana, oggi la situazione è diversa e i cristiani vivono in ogni parte del mondo in ambienti multireligiosi. Questo pluralismo presenta una nuova sfida all’ecumenismo, e lo rende non certo superfluo, bensì al contrario ancor più necessario, dal momento che l’animosità dei contrasti interconfessionali lede la credibilità cristiana. Il modo in cui i cristiani affrontano le differenze che vi sono tra loro può rivelare a credenti di altre religioni qualcosa della loro fede. Poiché il problema di come gestire il conflitto tra cristiani è particolarmente delicato e impegnativo in occasione della rievocazione dell’inizio della Riforma, questo aspetto della mutata situazione globale merita speciale attenzione nelle nostre riflessioni sull’anno 2017.  

 

II. Nuove prospettive su Martin Lutero e sulla Riforma

16. Quello che è accaduto nel passato non si può cambiare, ma può invece cambiare, con il passare del tempo, ciò che del passato viene ricordato e in che modo. La memoria rende presente il passato. Mentre il passato in sé è inalterabile, la presenza del passato nel presente si può modificare. In vista del 2017, il punto non è raccontare una storia diversa, ma raccontare questa storia in maniera diversa.  

17. Luterani e cattolici hanno molte ragioni per rinarrare la loro storia in modi nuovi. Si sono avvicinati gli uni agli altri attraverso relazioni familiari, attraverso il loro servizio missionario rivolto al mondo e attraverso la loro comune resistenza a tirannie in molte parti del mondo. Questi contatti approfonditi hanno cambiato la loro reciproca percezione, rendendo più pressante la necessità di dialogo ecumenico e di ulteriori studi. Il movimento ecumenico ha mutato orientamento alla percezione che le varie Chiese hanno della Riforma: i teologi ecumenici hanno deciso di non porre più l’accento sui punti di vista delle rispettive confessioni e di non perseguirli a svantaggio del dialogo ecumenico, per cercare invece ciò che è comune nell’ambito delle differenze, o addirittura dei contrasti, e in tal modo lavorare verso un superamento delle differenze che separano le Chiese.  

Contributi della ricerca storica sul Medioevo

18. La ricerca storica ha contribuito molto e in molti modi a cambiare la percezione del passato. Nel caso della Riforma ciò include le letture sia protestante sia cattolica della storia della Chiesa, che hanno saputo correggere precedenti descrizioni confessionali della storia attraverso stringenti criteri metodologici e attraverso la riflessione sulle condizioni sottostanti ai propri punti di vista e ai propri presupposti. Da parte cattolica tutto questo si applica in modo particolare alla ricerca più recente su Lutero e sulla Riforma, mentre da parte protestante si applica specialmente a un quadro mutato della teologia medievale e a una trattazione del tardo Medioevo più ampia e differenziata. Nelle descrizioni attuali del periodo della Riforma vi è anche una nuova attenzione a molti fattori non teologici: politici, economici, sociali e culturali. Il paradigma della «confessionalizzazione» ha apportato importanti correzioni alla precedente storiografia relativa al periodo.   

19. Il tardo Medioevo non viene più visto come un periodo storico totalmente buio, come spesso è stato rappresentato dai protestanti, ma neppure viene percepito come pienamente luminoso, come nelle vecchie descrizioni cattoliche. Quest’epoca oggi appare come un tempo di grandi contrasti: di devozione esteriore e di profonda interiorità; di teologia orientata alle opere nel senso del do ut des e di assoluta convinzione della totale dipendenza dell’uomo dalla grazia di Dio; di indifferenza verso gli obblighi religiosi – anche quelli relativi all’ufficio ecclesiastico – e di profonde riforme, come in alcuni ordini monastici.  

20. La Chiesa era tutt’altro che un’entità monolitica; nel corpus christianum convivevano teologie, stili di vita e concezioni della Chiesa molto vari e diversificati. Gli storici dicono che il XV secolo fu un’epoca di particolare fervore religioso nella Chiesa. Durante questo periodo sempre più laici ebbero la possibilità di ricevere una buona istruzione, cosa che fece nascere in loro il desiderio di sermoni migliori e di una teologia che li aiutasse a condurre una vita cristiana. Lutero colse queste correnti teologiche e devozionali e le sviluppò ulteriormente.  

L’indagine storica cattolica del XX secolo su Lutero

21. L’indagine storica cattolica del XX secolo su Lutero si basò sull’interesse dei cattolici per la storia  della Riforma, che si era risvegliato nella seconda metà del XIX secolo. Questi teologi assecondarono gli sforzi della popolazione cattolica dell’Impero tedesco, dominato dai protestanti, per liberarsi da una storiografia protestante unilaterale e anti-romana. Il passo in avanti decisivo venne per gli studiosi cattolici con la tesi secondo cui Lutero superò dentro di sé un cattolicesimo che non era pienamente cattolico. Secondo questa visione la vita e la dottrina della Chiesa nel tardo Medioevo servirono da stimolo decisivo per la Riforma; la crisi interna al cattolicesimo rese del tutto convincente per alcuni la protesta religiosa di Lutero.  

22. In modo nuovo, Lutero venne rappresentato come una persona di intenso fervore religioso e un rigoroso uomo di preghiera. Studi storici minuziosi e dettagliati hanno dimostrato che la letteratura cattolica su Lutero durante i quattro secoli dell’era moderna era stata ampiamente influenzata dai commentari di Giovanni Cocleo, consigliere del duca Giorgio di Sassonia e avversario di Lutero, che era suo contemporaneo. Cocleo aveva dipinto Lutero come un monaco apostata, un distruttore della cristianità, un corruttore della morale e un eretico. Il risultato di questa primo ravvicinamento con la figura di Lutero, critico ma comprensivo, fu di liberare gli studi cattolici dall’approccio unilaterale proprio di quelle opere polemiche su Lutero. Lucide analisi storiche condotte da altri teologi cattolici mostrarono che a portare alla divisione della Chiesa non furono le questioni cruciali di cui si occupò la Riforma, come la dottrina della giustificazione, ma piuttosto le critiche mosse da Lutero alla situazione della Chiesa del suo tempo, che scaturivano da tali questioni.  

23. Per l’indagine storica cattolica su Lutero il passo successivo è stata l’individuazione della presenza di contenuti analoghi racchiusi in strutture e sistemi di pensiero teologico diversi, in special modo attraverso un confronto sistematico tra i teologi più rappresentativi delle due confessioni: Tommaso d’Aquino e Martin Lutero. Questo lavoro ha consentito ai teologi di comprendere la teologia di Lutero collocandola nel suo proprio contesto. Nel contempo l’indagine cattolica ha esaminato il significato della dottrina della giustificazione all’interno della Confessione di Augusta. In tal modo l’impegno riformatore di Lutero ha potuto essere inserito nel più ampio contesto della formulazione delle confessioni luterane, col risultato che l’intento della Confessione di Augusta ha potuto essere visto come l’espressione di un desiderio fondamentalmente riformatore ma anche preoccupato di preservare l’unità della Chiesa.     

Progetti ecumenici che preparano la via al consenso

24. Questi sforzi hanno portato direttamente al progetto ecumenico, avviato in Germania nel 1980 da teologi luterani e cattolici in occasione del 450° anniversario della presentazione della Confessione di Augusta, di un riconoscimento di quest’ultima da parte dei cattolici. Gli importanti e ampi risultati raggiunti da un successivo gruppo di lavoro formato da teologi protestanti e cattolici, che affonda le sue radici in questo progetto di indagine cattolica su Lutero, sono stati raccolti nel saggio Lehrverurteilungen – kirchentrennend?, «Le condanne dottrinali dividono ancora?».[iii]  

25. La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione,[iv] sottoscritta nel 1999 dalla Federazione luterana mondiale e dalla Chiesa cattolica romana, si fonda su questa base e sul lavoro del dialogo statunitense Justification by Faith [«Giustificazione per fede»],[v] e ha espresso un consenso tra luterani e cattolici sulle verità fondamentali della dottrina sulla giustificazione.  

Sviluppi cattolici

26. Il concilio Vaticano II, in corrispondenza con la rinascita biblica, liturgica e patristica dei decenni precedenti, ha affrontato temi quali il rispetto e la venerazione per la sacra Scrittura nella vita della Chiesa, la riscoperta del sacerdozio comune di tutti i battezzati, la necessità di una purificazione continua e di una continua riforma della Chiesa, la comprensione del ministero della Chiesa come servizio e l’importanza della libertà e della responsabilità degli uomini, compreso il riconoscimento della libertà religiosa.  

27. Il Concilio ha inoltre affermato che vi sono elementi di santificazione e di verità anche al di fuori della Chiesa cattolica romana. Esso ha affermato che «tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi e segnalati, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica», e ha indicato questi elementi: «la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili» (UR 3).[vi] Il Concilio ha parlato anche delle «non poche azioni sacre della religione cristiana» che vengono compiute dai «fratelli» separati, e ha dichiarato che «queste in vari modi, secondo la diversa condizione di ciascuna Chiesa o comunità, possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia, e si devono dire atte ad aprire l’ingresso nella comunione della salvezza» (UR 3). Questo riconoscimento è stato esteso non solo ai singoli elementi e alle singole azioni in queste comunità, ma anche alle «Chiese e comunità separate» stesse. «Poiché lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza» (UR 1.3; EV 1/494.506).  

28. Alla luce dell’indubbio rinnovamento della teologia cattolica che il concilio Vaticano IIha operato, oggi i cattolici sono in grado di comprendere le preoccupazioni riformatrici di Martin Lutero e di considerarle con un’apertura mentale maggiore di quanto sembrasse possibile in precedenza.  

29. L’implicita condivisione delle preoccupazioni di Lutero ha portato a una valutazione nuova della sua cattolicità, che si è concretizzata nel contesto del riconoscimento che la sua intenzione era quella di riformare, e non di dividere, la Chiesa. Questo appare evidente nelle affermazioni del card. Willebrands e di papa Giovanni Paolo II.[vii] La riscoperta di queste due caratteristiche centrali della sua persona e della sua teologia ha portato a una nuova comprensione ecumenica di Lutero come «testimone del Vangelo».  

30. Anche papa Benedetto XVI, nel discorso che ha pronunciato nel 2011 a Erfurt, durante la visita all’ex convento degli agostiniani, in cui Lutero era vissuto da monaco per circa sei anni, ha riconosciuto che la persona e la teologia di Martin Lutero presentano oggi una sfida spirituale e teologica ai cattolici. Papa Benedetto XVI ha commentato: «Ciò che non gli dava pace era la questione su Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo cammino. “Come posso avere un Dio misericordioso?”: questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore. Per Lutero la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso, e questo, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio. “Come posso avere un Dio misericordioso?”. Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente nel cuore. Chi, infatti, oggi si preoccupa ancora di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? La maggior parte della gente, anche dei cristiani, oggi dà per scontato che Dio, in ultima analisi, non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù».[viii]  

Sviluppi luterani

31. Anche l’indagine storica luterana su Lutero e sulla Riforma ha conosciuto un notevole sviluppo. Le esperienze di due guerre mondiali hanno fatto crollare le tesi fino ad allora indiscutibili riguardo al progresso della storia e al rapporto tra cristianesimo e cultura occidentale, mentre l’affermarsi e il consolidarsi della teologia kerygmatica ha aperto nuove strade alla riflessione su Lutero. Il dialogo con gli storici ha molto contribuito a integrare i fattori storici e sociali nelle descrizioni dei movimenti della Riforma. Molti teologi luterani hanno riconosciuto i dannosi intrecci di visioni teologiche e interessi politici compiuti non solo da parte cattolica, ma anche dalla loro parte. Il dialogo con teologi cattolici li ha aiutati a superare approcci confessionali unilaterali e a diventare più autocritici verso alcuni aspetti delle loro tradizioni.  

L’importanza dei dialoghi ecumenici

32. I partner di un dialogo ecumenico hanno dei precisi impegni nei confronti delle dottrine delle rispettive Chiese, che, secondo le loro stesse convinzioni, esprimono la verità della fede. Le dottrine spesso mostrano di avere molti elementi comuni, ma possono divergere, o persino essere in contrasto, nelle loro formulazioni. In virtù degli elementi comuni, il dialogo è possibile; a motivo delle divergenze, il dialogo è necessario.  

33. Il dialogo ecumenico pone in evidenza il fatto che i partner parlano linguaggi diversi e intendono i significati delle parole in maniera differente; fanno distinzioni diverse e ragionano secondo differenti forme di pensiero. Tuttavia quanto appare essere un contrasto a livello espressivo non sempre lo è nella sostanza. Per determinare l’esatto rapporto esistente tra i rispettivi articoli dottrinali, i testi devono essere interpretati alla luce del contesto storico nel quale sono stati redatti. Questo permette di comprendere dove una divergenza o una contrapposizione esistono realmente e dove invece in pratica esse non si danno.  

34. Il dialogo ecumenico implica la rinuncia a schemi mentali che scaturiscono dalle differenze tra le confessioni e che le enfatizzano. Al contrario, nel dialogo i partner cercano di individuare in primo luogo ciò che hanno in comune e solo allora esaminano la rilevanza delle loro divergenze. Queste differenze, tuttavia, non vengono trascurate o minimizzate, perché il dialogo ecumenico è la comune ricerca della verità della fede cristiana.  

 

III. Una sintesi storica della Riforma luterana e della reazione cattolica

35. Oggi siamo in grado di raccontare la storia della Riforma luterana in maniera concorde. Anche se i luterani e i cattolici hanno punti di vista diversi, grazie al dialogo ecumenico riescono a superare sia l’ermeneutica anti-protestante sia l’ermeneutica anti-cattolica tradizionali al fine di trovare una maniera comune di rievocare eventi passati. Il capitolo che segue non intende essere una descrizione esaustiva dell’intera storia della Riforma e di tutti i problemi teologici che sono stati oggetto di controversia, ma evidenzia solo alcune delle situazioni storiche e delle questioni teologiche più importanti della Riforma del XVI secolo.  

Che cosa significa «riforma»?

36. Nell’antichità il termine latino reformatio si riferiva all’idea del cambiamento di una situazione presente negativa ritornando ai tempi positivi e migliori del passato. Nel Medioevo il concetto di reformatio fu molto spesso usato nel contesto delle riforme monastiche. Diversi ordini monastici si impegnarono in riforme per arrestare e contrastare il rilassamento della disciplina e riportare al primitivo rigore il proprio stile di vita religioso. Uno dei movimenti di riforma più importanti si sviluppò nel X secolo nell’Abbazia di Cluny.  

37. Nel tardo Medioevo l’idea della necessità di una riforma venne applicata all’intera Chiesa. I concili ecclesiastici e quasi tutte le diete del Sacro romano impero avevano tra i loro obiettivi proprio la reformatio della Chiesa. Il Concilio di Costanza (1414-1418) considerò la riforma della Chiesa «nel capo e nelle membra» assolutamente necessaria.[ix]Un documento ampiamente diffuso che s’inserisce nel movimento della Riforma, intitolato Reformacion keyser Sigmunds, invocava il ripristino di un giusto ordine in quasi tutti gli ambiti della vita. Alla fine del XV secolo l’idea di attivare riforme si estese anche al governo e all’università.[x]

38. Lo stesso Lutero usò raramente il concetto di «riforma». Nei suoi Commenti alle 95 tesiLutero afferma: «La Chiesa ha bisogno di una riforma, e questa non può essere il compito di un solo uomo, cioè il pontefice, né di molti, cioè i cardinali, come ha dimostrato, l’una e l’altra cosa, l’ultimo concilio, ma di tutto il mondo, anzi di Dio soltanto. Ma il tempo di questa riforma lo conosce solo colui che ha fondato i tempi».[xi] Talvolta Lutero usò la parola «riforma» per riferirsi a miglioramenti dell’ordinamento, ad esempio nelle università. Nel suo trattato sulla riforma Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, del 1520, Lutero sollecitò un «vero e libero concilio» che avrebbe permesso di discutere le proposte per una riforma.[xii]

39. Il termine «Riforma» passò poi a designare quel complesso di eventi storici che, nel senso più stretto, abbraccia gli anni dal 1517 al 1555, dal momento cioè della diffusione delle 95 tesi di Martin Lutero fino alla pace di Augusta. La controversia teologica ed ecclesiastica che la teologia di Lutero ave - va innescato venne presto a intrecciarsi con la politica, l’economia e la cultura, a causa della situazione propria di quel periodo storico. Ciò che viene designato con il termine «Riforma» si estende, in tal modo, ben oltre ciò che Lutero stesso insegnava e intendeva. Il concetto di «Riforma» come definizione di un’intera epoca viene da Leopold von Ranke, che nel XIX secolo rese abituale l’uso di riferirsi a un’«età della Riforma».  

La causa scatenante della Riforma: la controversia sulle indulgenze

40. Il 31 ottobre 1517 Lutero inviò le sue 95 tesi, intitolate Disputa sull’efficacia e il valore delle indulgenze, come appendice a una lettera indirizzata all’arcivescovo Alberto di Magonza. In questa lettera Lutero esprimeva serie preoccupazioni riguardo alla predicazione e alla pratica delle indulgenze, che ricadevano sotto la responsabilità dell’arcivescovo, e lo esortava a mettere in atto dei cambiamenti. Nello stesso giorno Lutero scrisse un’altra lettera al vescovo della sua diocesi, Hieronymus di Brandeburgo. Quando Lutero inviò queste tesi ad alcuni colleghi e molto probabilmente le affisse alla porta della chiesa del castello di Wittenberg, voleva avviare una discussione accademica su questioni aperte e irrisolte inerenti alla teoria e alla pratica delle indulgenze.  

41. Le indulgenze svolgevano un ruolo importante nella religiosità del tempo. L’indulgenza era intesa come la remissione di una pena temporale per peccati la cui colpa era già stata perdonata. I cristiani potevano ricevere un’indulgenza a determinate condizioni prescritte – come preghiere, atti di carità, elemosina – attraverso l’azione della Chiesa, che si pensava dispensasse e applicasse ai penitenti il tesoro della soddisfazione offerta da Cristo e dai santi.  

42. Secondo l’opinione di Lutero, la pratica delle indulgenze nuoceva alla spiritualità cristiana. Egli si chiedeva se le indulgenze potessero liberare i penitenti dalle pene inflitte da Dio; se le pene inflitte dai sacerdoti fossero trasferite in purgatorio; se il fine delle pene, cioè di risanare e purificare l’anima, non comportasse che un penitente sincero preferisse subirle piuttosto che esserne liberato; e se il denaro dato per le indulgenze non dovesse invece essere dato ai poveri. Lutero inoltre si interrogava sulla natura del tesoro della Chiesa, a motivo del quale il papa offriva le indulgenze.  

Lutero sotto processo

43. Le 95 tesi di Lutero si diffusero molto rapidamente in tutta la Germania e fecero un grande scalpore, danneggiando anche in modo serio la campagna per le indulgenze. Ben presto si sparse la voce che Lutero sarebbe stato accusato di eresia. Già nel dicembre 1517 l’arcivescovo di Magonza aveva inviato a Roma le 95 tesi assieme ad alcuni altri testi perché la teologia di Lutero venisse sottoposta a un esame accurato.  

44. Lutero rimase stupito dalla reazione che le sue tesi suscitarono, dal momento che non aveva previsto un evento pubblico ma piuttosto una discussione accademica. Egli temeva che le sue tesi potessero essere facilmente fraintese qualora lette da un pubblico più ampio. Così verso la fine di marzo 1518 pubblicò un sermone in lingua volgare, «Sull’indulgenza e la grazia » (Sermo von Ablass und Gnade). Questo pamphlet ebbe uno straordinario successo e procurò rapidamente a Lutero larga fama in tutta la Germania. Egli insisté più e più volte sul fatto che, fatta eccezione per le prime quattro proposizioni, le tesi non erano sue affermazioni definitive, ma piuttosto proposizioni scritte allo scopo di essere discusse.  

45. Roma era preoccupata che le idee espresse da Lutero potessero minare la dottrina della Chiesa e l’autorità del papa. Per questo Lutero venne convocato a Roma per rispondere davanti al tribunale ecclesiastico della sua visione teologica. Tuttavia su richiesta del principe elettore di Sassonia, Federico il Saggio, il processo fu trasferito in Germania, alla Dieta imperiale di Augusta, dove il mandato di interrogare Lutero venne affidato al card. Caietano. Nel mandato papale era scritto che Lutero doveva ritrattare o, nel caso si fosse rifiutato, al cardinale veniva conferita la facoltà di metterlo immediatamente al bando o di arrestarlo e condurlo a Roma. Dopo l’incontro il legato pontificio stilò la bozza di una dichiarazione per il magistero, e il papa la promulgò immediatamente dopo l’interrogatorio ad Augusta senza dare alcuna risposta agli argomenti di Lutero.[xiii]

46. Nel corso dell’intero processo, che si concluse con la scomunica di Lutero, si mantenne costantemente un’ambivalenza di fondo. Lutero proponeva questioni perché venissero discusse e presentava argomentazioni. Sia Lutero stesso sia il popolo, informato tramite pamphlet e pubblicazioni sulla sua posizione e sul processo in corso, si aspettavano un dibattito in contraddittorio. A Lutero venne promesso un processo equo, ma benché gli fosse stato garantito che sarebbe stato ascoltato, ricevette ripetutamente la comunicazione che doveva ritrattare o altrimenti sarebbe stato proclamato eretico.  

47. Il 13 ottobre 1518, in una solenne protestatio, Lutero dichiarò di essere in accordo con la santa Chiesa di Roma, ma di non potere ritrattare se non fosse stato convinto di essere in errore. Il 22 ottobre di nuovo insistette sul fatto che ciò che pensava e insegnava non era in contrasto con il magistero della Chiesa romana.  

Incontri falliti

48. Prima di incontrarsi con Lutero, il card. Caietano aveva studiato con molta attenzione gli scritti del professore di Wittenberg e aveva persino scritto dei trattati su di essi. Tuttavia interpretò il pensiero di Lutero collocandolo all’interno del proprio schema concettuale e perciò lo fraintese riguardo alla certezza della fede, pur esponendo correttamente i singoli punti della sua concezione. Da parte sua, Lutero non aveva una grande confidenza con la teologia del cardinale, e l’interrogatorio, che consentì solo un confronto limitato, non fece che esercitare su Lutero una pressione a ritrattare, senza nemmeno offrirgli l’opportunità di comprendere la posizione del cardinale. È davvero tragico che due dei teologi più eminenti del XVI secolo si siano incontrati in occasione di un processo per eresia.  

49. Negli anni seguenti la teologia di Lutero si sviluppò rapidamente, dando origine a nuovi argomenti di controversia. Il teologo sotto accusa si adoperò per difendere la propria posizione e per guadagnarsi degli alleati nella lotta contro coloro che stavano per dichiararlo eretico. Apparvero molte pubblicazioni sia pro sia contro Lutero, ma si tenne una sola disputa, a Lipsia nel 1519, tra Andreas Bodenstein von Karlstadt e Lutero da una parte, e Johannes Eck dall’altra.  

La condanna di Martin Lutero

50. Nel frattempo, a Roma, il processo contro Lutero continuava e, alla fine, papa Leone X decise di agire. Per adempiere al suo «ufficio pastorale», papa Leone X si sentì obbligato a proteggere la «fede ortodossa » da coloro che «distorcono e alterano le Scritture» in maniera tale che esse «non sono più il Vangelo di Cristo».[xiv] Così il papa pubblicò la bolla Exsurge Domine (15 giugno 1520), che condannava 41 proposizioni tratte da varie pubblicazioni di Lutero. Anche se si possono trovare tutte negli scritti di Lutero e sono citate correttamente, sono estrapolate dai loro rispettivi contesti. Exsurge Domine definisce questi articoli come «eretici, scandalosi, falsi, offensivi per le orecchie pie, o (…) capaci di sedurre le menti degli uomini semplici o in contraddizione con la fede cattolica »,[xv] senza specificare quale di queste qualificazioni si applichi all’uno o all’altro articolo. Alla fine della bolla, il papa si rammaricò che Lutero avesse evitato di rispondere a tutte le sue offerte di discussione, e dichiarò di conservare la speranza che Lutero facesse esperienza di una conversione del cuore e si ravvedesse dei suoi errori. Papa Leone concesse a Lutero 60 giorni per ritrattare i suoi «errori», o sarebbe incorso nella scomunica.  

51. Eck e Aleandro, che pubblicarono la bolla Exsurge Domine in Germania, invitarono a bruciare le opere di Lutero. Come reazione, il 10 dicembre 1520 alcuni teologi di Wittenberg bruciarono un certo numero di libri, equivalenti a quelli che in seguito sarebbero diventati noti come corpus del «diritto canonico», insieme ad alcune opere di oppositori di Lutero; egli, a sua volta, gettò nel fuoco la bolla papale. In tal modo fu chiaro che Lutero non era disposto a ritrattare. Il 3 gennaio 1521 Lutero fu scomunicato con la bolla Decet romanum pontificem.

L’autorità della Scrittura

52. Il conflitto sulle indulgenze si sviluppò rapidamente diventando un conflitto sull’autorità. Per Lutero, la curia romana aveva perso la sua autorità con l’insistere su di essa solo formalmente, invece di argomentare sulla base della Bibbia. All’inizio della contesa, l’autorità teologica delle Scritture, i padri della Chiesa e la Tradizione canonica rappresentavano per Lutero un’unità. Nel corso del conflitto, quando egli giunse alla conclusione che le norme ecclesiastiche, così come venivano interpretate dai rappresentanti della curia romana, erano in contrasto con le Scritture, questa unità si spezzò. Da parte cattolica la controversia riguardava non tanto la supremazia delle Scritture, con la quale i cattolici concordavano, quanto piuttosto la corretta interpretazione delle stesse.  

53. Quando Lutero non vide un fondamento biblico nelle dichiarazioni di Roma o ritenne che tali dichiarazioni addirittura contraddicessero il messaggio biblico, egli cominciò a pensare al papa come l’Anticristo. Con questa accusa, certamente scioccante, Lutero intendeva che il papa non permetteva a Cristo di dire quanto Cristo voleva dire e che il papa si era posto al di sopra della Bibbia anziché sottomettersi alla sua autorità. Il papa sosteneva che il suo ministero era istituito iure divino («per diritto divino»), mentre Lutero non riusciva a trovare la dimostrazione biblica di questa affermazione.  

Lutero a Worms

54. Secondo le leggi del Sacro romano impero della nazione tedesca, chi veniva scomunicato doveva venire anche messo al bando imperiale. Tuttavia i membri della Dieta di Worms richiesero che un’autorità indipendente interrogasse Lutero. Questi dunque venne chiamato a Worms e l’imperatore offrì a lui, un eretico dichiarato, un salvacondotto per la città. Lutero si era aspettato di dover affrontare una discussione davanti alla Dieta, ma gli fu chiesto solo se avesse scritto certi libri che stavano lì su un tavolo e se fosse disposto a ritrattare.  

55. A questo invito a ritrattare Lutero rispose con le celebri parole: «Se non sarò convinto mediante testimonianze delle Scritture e chiare ragioni – poiché non credo né al papa né ai concili da soli, poiché è evidente che spesso hanno errato e si sono contraddetti – io resto convinto dei passi delle Scritture da me citati e la mia coscienza è prigioniera delle parole di Dio. Perciò non posso né voglio ritrattare, poiché non è sicuro né giusto agire contro coscienza. Che Dio mi aiuti. Amen».[xvi]

56. In risposta, l’imperatore Carlo V pronunciò un importante discorso nel quale espresse le sue intenzioni. L’imperatore osservò che discendeva da una lunga dinastia di sovrani che avevano sempre considerato loro dovere difendere la fede cattolica «per la salvezza delle anime» e che egli aveva lo stesso dovere. L’imperatore sostenne che un singolo frate errava quando la sua opinione era in contrasto con tutto il cristianesimo degli ultimi mille anni.[xvii]

57. La Dieta di Worms mise al bando Lutero, che doveva essere imprigionato o addirittura giustiziato, e ordinò ai governanti di sopprimere l’«eresia luterana» con qualunque mezzo. Ma dal momento che le argomentazioni di Lutero apparvero convincenti a molti dei principi e delle città, questo ordine non fu eseguito.

Gli inizi del movimento della Riforma

58. L’interpretazione del Vangelo che Lutero proponeva convinse un numero crescente di preti, monaci e predicatori, che cercavano di introdurla nei loro sermoni. Segni visibili dei cambiamenti che stavano avvenendo furono il fatto che i laici ricevevano la comunione sotto le due specie, che alcuni preti e monaci si sposarono, che certe regole di digiuno non vennero più osservate e che talvolta si manifestò irriverenza nei confronti di immagini sacre e reliquie.  

59. Lutero non aveva alcuna intenzione di fondare una nuova Chiesa, ma era espressione di un ampio e sfaccettato desiderio di riforma. Egli ebbe un ruolo sempre più attivo nel tentativo di contribuire a una riforma di pratiche e dottrine che sembravano essere basate sulla sola autorità umana ed essere in tensione o addirittura in contraddizione con le Scritture. Nel suo scritto Discorso alla nobiltà cristiana della nazione tedesca (1520), Lutero sostenne il sacerdozio di tutti i battezzati e, in tal modo, un ruolo attivo dei laici nella riforma della Chiesa. Un ruolo importante nel movimento della Riforma fu giocato dai laici, che fossero principi, magistrati o persone comuni.  

Necessità di supervisione

60. Dal momento che non vi era alcun piano o struttura centrale per organizzare le riforme, la situazione differiva da città a città e da villaggio a villaggio. Emerse il bisogno di organizzare delle visite alle chiese. Poiché questo necessitava dell’autorità di principi o di magistrati, i riformatori nel 1527 chiesero al principe elettore di Sassonia di istituire e autorizzare una commissione per le visite. I suoi compiti includevano non solo la valutazione della predicazione e dell’insieme dell’attività pastorale e della vita dei ministri, ma anche la verifica che questi ultimi ricevessero risorse per il loro sostentamento personale.  

61. La commissione istituì qualcosa di simile a un governo ecclesiastico. I sovrintendenti avevano l’incarico di vigilare sui ministri di una determinata regione e di sorvegliare la loro dottrina e il loro stile di vita. La commissione esaminava anche i riti liturgici e sovrintendeva all’unità di questi riti. Nel 1528 venne pubblicato un manuale destinato ai ministri, nel quale si trovavano le risposte a tutti i loro principali problemi dottrinali e pratici. Questo manuale ebbe un ruolo importante nella storia delle confessioni dottrinali luterane.  

Portare la Scrittura al popolo

62. Lutero, insieme ad alcuni colleghi dell’università di Wittenberg, tradusse la Bibbia in tedesco affinché un maggior numero di persone fosse in grado di leggerla da sé e, tra l’altro, potesse esercitare un discernimento spirituale e teologico sulla propria vita nella Chiesa. Per questo i riformatori luterani istituirono scuole per ragazzi e ragazze e intrapresero seri sforzi per convincere i genitori a mandare a scuola i propri figli.  

Catechismi e inni

63. Al fine di migliorare per il clero e il laicato la scarsa conoscenza della fede cristiana, Lutero scrisse il Piccolo catechismo per il più vasto pubblico e il Grande catechismo per i pastori e i laici colti. Questi catechismi spiegavano i dieci comandamenti, il Padre nostro e i simboli di fede, e includevano sezioni sui sacramenti del santo battesimo e della santa Cena. Il Piccolo catechismo, il libro di Lutero che ebbe la maggiore influenza, accrebbe in maniera considerevole la conoscenza della fede tra la gente comune.  

64. Questi catechismi erano intesi ad aiutare le persone a vivere una vita cristiana e ad acquisire la capacità di un discernimento teologico e spirituale. I catechismi illustrano il fatto che, per i riformatori, avere la fede significava non solo fidarsi di Cristo e della sua promessa, ma anche affermare il contenuto dottrinale della fede che può e deve essere appreso.  

65. Per promuovere la partecipazione dei laici alle funzioni liturgiche, i riformatori scrissero inni e pubblicarono innari, che svolsero un ruolo durevole nella spiritualità luterana e divennero parte del prezioso patrimonio della Chiesa intera.  

Ministri per le parrocchie

66. Ora che le parrocchie luterane disponevano delle Scritture tradotte in lingua volgare, del catechismo, di inni, di un ordinamento ecclesiale e di riti liturgici, rimaneva un problema importante: come provvedere ministri per le parrocchie. Durante i primi anni della Riforma molti preti e monaci divennero ministri luterani, così che si ebbero a disposizione pastori in numero sufficiente. Ma questo metodo di reclutare ministri alla fine si rivelò inadeguato.  

67. È degno di nota il fatto che i riformatori abbiano atteso fino al 1535 prima di organizzare loro proprie ordinazioni a Wittenberg. Nella Confessione di Augusta (1530), i riformatori dichiararono che erano disposti a obbedire ai vescovi se i vescovi stessi avessero ammesso la predicazione del Vangelo secondo le convinzioni della Riforma. Dato che questo non avvenne, i riformatori dovettero scegliere se mantenere la tradizionale ordinazione dei sacerdoti da parte dei vescovi, abbandonando in tal modo la predicazione della Riforma, oppure mantenere la predicazione della Riforma, ma facendo ordinare i pastori da altri pastori. I riformatori scelsero la seconda soluzione, riaffermando una tradizione interpretativa delle lettere pastorali che risaliva, nella Chiesa antica, a Girolamo.

68. Alcuni membri della facoltà teologica di Wittenberg per conto della Chiesa esaminarono la dottrina e la vita dei candidati. Le ordinazioni ebbero luogo a Wittenberg anziché nelle parrocchie degli ordinandi, dato che i ministri erano ordinati al ministero della Chiesa intera. Le testimonianze delle ordinazioni misero in evidenza l’accordo dottrinale degli ordinandi con la Chiesa cattolica. Il rito dell’ordinazione consisteva nell’imposizione delle mani e in una preghiera allo Spirito Santo.  

Tentativi teologici di superare il conflitto religioso

69. La Confessione di Augusta (1530) tentò di comporre il conflitto religioso provocato dalla Riforma luterana. Nella prima parte (artt. 1-21) essa presenta l’insegnamento luterano cercando di dimostrare come esso non sia in contrasto con la dottrina della «Chiesa cattolica o della Chiesa romana».[xviii] La seconda parte tratta dei cambiamenti che i riformatori avevano avviato per correggere alcune pratiche intese come «abusi» (artt. 22-28), spiegando le ragioni della necessità di cambiare tali pratiche. Nella conclusione della prima parte si legge: «Questa è pressappoco la sostanza della dottrina che si insegna da noi; è facile notare che in essa non vi è nulla che si discosti dalle Scritture, o dalla Chiesa cattolica o dalla Chiesa romana, per quanto ci è nota dagli scritti dei padri. Stando così le cose, costoro che pretendono che i nostri siano considerati eretici, giudicano senza alcuna umanità e carità».[xix]

70. La Confessione di Augusta è una testimonianza inequivocabile della determinazione che i riformatori luterani avevano di mantenere l’unità della Chiesa e di restare all’interno dell’unica Chiesa visibile. Nel presentare esplicitamente la differenza come di minor importanza, la Confessione assume una posizione simile a quella che oggi chiameremmo un consenso differenziante (differentiating consensus).  

71. Immediatamente alcuni teologi cattolici considerarono necessario rispondere alla Confessione di Augusta e compilarono rapidamente la Confutazione della Confessione di Augusta. Questa seguiva passo passo il testo e le argomentazioni della Confessione. La Confutazione poté concordare con la Confessione di Augusta su diversi insegnamenti nodali del cristianesimo, come le dottrine sulla Trinità, su Cristo e sul battesimo, mentre rifiutò diversi insegnamenti luterani sulla dottrina della Chiesa e dei sacramenti sulla base di testi biblici e patristici. Dal momento che le argomentazioni della Confutazione non riuscirono a convincere i luterani, nel tardo agosto del 1530 si avviò un dialogo ufficiale al fine di riconciliare le differenze tra la Confessione e la Confutazione. Esso però non riuscì a risolvere i problemi ecclesiologici e sacramentali che rimanevano.  

72. Un altro tentativo di superare il conflitto religioso furono i cosiddetti Religionsgesprächeo Colloqui di religione (Speyer/Hagenau, 1540; Worms,1540-1541; Regensburg, 1541-1546). L’imperatore o suo fratello, il re Ferdinando, convocarono gli incontri che ebbero luogo sotto la guida di un rappresentante imperiale. L’obiettivo era persuadere i luterani a ritornare alle convinzioni dei loro avversari. Tattiche, intrighi e pressioni politiche ebbero un importante ruolo in questi colloqui.  

73. I negoziatori redassero concordemente un testo di rilievo sulla dottrina della giustificazione nel Regensburger Buch (1541); ma il conflitto inerente alla dottrina dell’eucaristia apparve insormontabile. Alla fine sia Roma che Lutero rifiutarono le conclusioni, causando il fallimento definitivo di questi negoziati.  

La guerra di religione e la pace di Augusta

74. La guerra di Smalcalda (1546-1547) dell’imperatore Carlo V contro i territori luterani mirava a sconfiggere i prìncipi e a costringerli a revocare tutti i cambiamenti. All’inizio l’imperatore ebbe la meglio: vinse la guerra (20 luglio 1547). Ben presto le sue truppe entrarono a Wittenberg, dove l’imperatore impedì ai soldati di riesumare il corpo di Lutero e di bruciarlo.  

75. Alla Dieta di Augusta (1547-1548) l’imperatore impose ai luterani il cosiddetto Interim di Augusta, provocando conflitti senza fine nei territori luterani. Questo documento spiegava la giustificazione principalmente come grazia che stimola l’amore. Poneva l’accento sulla subordinazione ai vescovi e al papa, consentendo tuttavia il matrimonio dei preti e la comunione sotto le due specie.  

76. Nel 1552, dopo una cospirazione ordita dai prìncipi, iniziò contro l’imperatore una nuova guerra che lo costrinse a fuggire dall’Austria. Questo portò a un trattato di pace tra i principi luterani e il re Ferdinando. In tal modo il tentativo di sradicare «l’eresia luterana» con mezzi militari fallì definitivamente.  

77. La guerra si concluse nel 1555 con la pace di Augusta. Questo trattato fu un tentativo di trovare dei modi per far convivere in un’unica nazione persone di differenti fedi religiose. Nell’Impero tedesco vennero accettati ufficialmente sia territori e città che aderivano alla Confessione di Augusta sia territori cattolici, ma non persone di altre fedi, come i riformati e gli anabattisti. Principi e magistrati avevano il diritto di determinare la religione dei loro sudditi. Se il principe cambiava religione, anche le persone che vivevano in quel territorio dovevano cambiarla, fatta eccezione per le aree in cui i vescovi erano prìncipi (geistliche Fürstentümer). I sudditi avevano il diritto di emigrare se non condividevano la religione del principe.

Il concilio di Trento

78. Il concilio di Trento (1545-1563), convocato una generazione dopo la Riforma di Lutero, iniziò prima della guerra di Smalcalda (1546-1547) e si concluse dopo la pace di Augusta (1555). La bolla di convocazione Laetare Jerusalem (19 novembre 1544) poneva al Concilio tre compiti: sanare la divisione confessionale, riformare la Chiesa e stabilire la pace tra i prìncipi, così da poter attuare una difesa contro gli ottomani.  

79. Il Concilio decise che a ogni sessione sarebbero stati prodotti un decreto dogmatico per affermare la fede della Chiesa e un decreto disciplinare per favorirne la riforma. Per la maggior parte, tuttavia, i decreti dogmatici non presentarono un’esaustiva esposizione teologica della fede, ma si focalizzarono piuttosto sulle dottrine contestate dai riformatori, enfatizzando così gli elementi di dissenso.  

Scrittura e tradizione

80. Il Concilio, nel desiderio di preservare, «una volta tolti di mezzo gli errori, la stessa purezza del Vangelo », l’8 aprile 1546 approvò il suo decreto sulle fonti della rivelazione. Pur senza nominarlo in maniera esplicita, il Concilio rifiutò il principio della sola Scriptura, dichiarando che era inammissibile scindere la Scrittura dalla tradizione. Decretò che il Vangelo, «quale fonte di ogni verità salvifica e di ogni norma morale», era conservato «nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte», senza tuttavia risolvere il rapporto tra Scrittura e tradizione. Inoltre dichiarò che le tradizioni apostoliche riguardanti la fede e la morale erano «conservate nella Chiesa cattolica in forza di una successione mai interrotta». La Scrittura e la tradizione dovevano essere accolte «con uguale pietà e venerazione».[xx]

81. Allo stesso decreto venne aggiunto l’elenco dei libri canonici dell’Antico e del Nuovo Testamento.[xxi] Il Concilio insistette sul fatto che le sacre Scritture non possono essere interpretate in maniera contraria né all’insegnamento della Chiesa né all’«unanime consenso dei padri» della Chiesa. Infine il Concilio dichiarò che l’antica Vulgata latina della Bibbia doveva essere ritenuta come «autentica» e quindi usata nella Chiesa.[xxii]

Giustificazione

82. Riguardo alla giustificazione, il Concilio rifiutò esplicitamente sia la dottrina pelagiana della giustizia per mezzo delle opere sia la dottrina della giustificazione per mezzo della sola fede (sola fide), pur intendendo la fede principalmente come assenso alla dot trina rivelata. Il Concilio attestò il fondamento cristologico della giustificazione affermando che gli uomini sono innestati in Cristo e che la causa necessaria per l’intero processo della giustificazione è la grazia di Cristo, anche se questo processo non esclude le disposizioni umane a ricevere la grazia o la collaborazione della libera volontà. Dichiarò inoltre che l’essenza della giustificazione non è solo la remissione dei peccati, ma anche la «santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore» per mezzo della carità soprannaturale.[xxiii] Unica causa formale della giustificazione è «la giustizia di Dio, non certo quella per cui egli stesso è giusto, ma quella per cui ci rende giusti », e la causa finale della giustificazione è «la gloria di Dio e del Cristo e la vita eterna».[xxiv] Si dichiarò che la fede è «il principio dell’umana salvezza, il fondamento e la radice di ogni giustificazione».[xxv] La grazia della giustificazione può essere perduta a causa del peccato mortale e non solo a causa della perdita della fede, anche se può essere recuperata attraverso il sacramento della penitenza.[xxvi] Il Concilio dichiarò anche che la vita eterna è una grazia e non semplicemente una ricompensa.[xxvii]

I sacramenti

83. Nella sua settima sessione il concilio presentò i sacramenti come i mezzi ordinari attraverso i quali «ogni vera giustizia ha inizio o viene aumentata, se già iniziata, o è recuperata, se perduta».[xxviii] Il Concilio decretò che Cristo aveva istituito sette sacramenti e li definì come segni efficaci che conferiscono la grazia per mezzo del rito stesso (ex opere operato) e non semplicemente in ragione della fede di chi li riceve.  

84. Il dibattito sull’eucaristia sotto le due specie formulò la dottrina che sotto ognuna di esse si riceve Cristo tutto intero e indiviso.[xxix] Dopo la conclusione del Concilio (16 aprile 1565), il papa concesse l’uso del calice ai laici a determinate condizioni in diverse province ecclesiastiche della Germania e nei territori ereditari degli Asburgo.  

85. In risposta alla critica dei riformatori riguardo al carattere sacrificale della messa, il Concilio affermò che la messa è un «sacrificio veramente propiziatorio» che rende presente il sacrificio della croce. Il Concilio inoltre insegnò che, poiché nella messa Cristo sacerdote offre gli identici doni sacrificali come sulla croce, ma in modo diverso, la messa non è la ripetizione del sacrificio del Calvario, avvenuto una volta per tutte. Il Concilio decretò che la messa può essere offerta in onore dei santi e per i fedeli, sia viventi sia defunti.[xxx]

86. Il decreto sul sacramento dell’ordine sancì il carattere sacramentale dell’ordinazione e l’esistenza di una gerarchia ecclesiastica istituita per disposizione divina.[xxxi]

Riforme pastorali

87. Il Concilio avviò anche delle riforme pastorali. I suoi decreti di riforma promossero una più efficace proclamazione della parola di Dio attraverso l’istituzione di seminari per una migliore preparazione dei sacerdoti e attraverso l’impegno ministeriale di predicare la domenica e nelle altre festività religiose. Vescovi e pastori furono obbligati a risiedere nelle rispettive diocesi o parrocchie. Il Concilio eliminò alcuni abusi in materia di giurisdizione, di ordinazione, di patronato ecclesiastico, di benefici e di indulgenze nello stesso tempo in cui ampliava i poteri episcopali. Ai vescovi fu conferita l’autorità di fare visite pastorali ai benefici parrocchiali esenti e di supervisionare l’attività pastorale degli ordini e dei capitoli che godevano dell’esenzione. Venne disposto che si tenessero sinodi provinciali e diocesani. Al fine di comunicare meglio la fede, il Concilio incoraggiò la pratica emergente di redigere dei catechismi, come quelli di Pietro Canisio, e diede disposizioni per la realizzazione di un Catechismo cattolico.  

Conseguenze

88. Il concilio di Trento, pur essendo in larga misura una reazione alla Riforma protestante, non condannò singoli individui o comunità, ma specifiche posizioni dottrinali. Dal momento che i suoi decreti dottrinali furono scritti per lo più in reazione a quelli che esso percepiva come errori protestanti, diede origine a un’atmosfera polemica tra protestanti e cattolici che tese a definire il cattolicesimo in contrasto con il protestantesimo. In questo approccio, il Concilio si mosse in modo speculare a molti degli scritti confessionali luterani, che a loro volta definivano le posizioni luterane per opposizione. Le decisioni del concilio di Trento posero le basi della formazione dell’identità cattolica fino al concilio Vaticano II.  

89. Alla fine della terza sessione del concilio di Trento si dovette riconoscere realisticamente che l’unità della Chiesa nel mondo occidentale era stata distrutta. Nei territori luterani si svilupparono nuove strutture ecclesiali. La pace di Augusta del 1555 in un primo tempo riuscì a garantire relazioni politiche stabili, ma non poté impedire il grande conflitto europeo del XVII secolo: la guerra dei Trent’anni (1618-1648). L’istituzione di stati nazionali secolari con forti connotazioni confessionali rimase un fardello ereditato dal periodo della Riforma.

Il Concilio Vaticano II

90. Mentre il concilio di Trento ha ampiamente determinato per diversi secoli i rapporti dei cattolici con i luterani, il suo lascito oggi deve essere esaminato alla luce delle decisioni delconcilio Vaticano II (1962- 1965). Quest’ultimo ha permesso alla Chiesa cattolica di entrare nel movimento ecumenico e di lasciarsi alle spalle l’atmosfera fortemente polemica dell’epoca post- Riforma. La costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen gentium), il decreto sull’ecumenismo (Unitatis redintegratio), la dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae) e la costituzione dogmatica sulla divina rivelazione (Dei verbum) sono i documenti che pongono le basi dell’ecumenismo cattolico. Il Vaticano II, pur affermando che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, ha riconosciuto che «parecchi elementi di santificazione e di verità» si trovano anche «al di fuori del suo organismo». Questi elementi, «appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica» (LG 8; EV 1/305). Veniva espressa qui una valutazione positiva di ciò che i cattolici hanno in comune con altre Chiese cristiane, come la professione di fede, il battesimo e le Scritture. Una teologia della comunione ecclesiale ha affermato che i cattolici sono in una comunione reale, sebbene imperfetta, con tutti coloro che credono in Gesù Cristo e hanno ricevuto il battesimo (UR 3; EV 1/503).  

 

IV. Temi fondamentali della teologia di Martin Lutero alla luce dei dialoghi luterano-cattolici

91. Sin dal XVI secolo, le idee fondamentali di Lutero e della teologia luterana sono state materia di controversia tra cattolici e luterani. I dialoghi ecumenici e gli studi accademici hanno analizzato queste controversie e hanno tentato di superarle individuando le differenti terminologie, le differenti strutture di pensiero e le differenti preoccupazioni che non si escludono necessariamente a vicenda.  

92. In questo capitolo cattolici e luterani presentano congiuntamente alcune delle principali affermazioni teologiche elaborate da Martin Lutero. Questa esposizione comune non significa che i cattolici siano d’accordo con ogni affermazione di Martin Lutero qui presentata. Rimane un’incessante necessità di dialogo ecumenico e di comprensione reciproca. Nondimeno, nel nostro cammino ecumenico abbiamo raggiunto una fase che ci consente di presentare questa lettura comune.  

93. È importante distinguere tra la teologia di Lutero e la teologia luterana e, soprattutto, tra la teologia di Lutero e la dottrina delle Chiese luterane come viene espressa nei loro testi confessionali. Quest’ultima è il punto di riferimento primario per i dialoghi ecumenici. Tuttavia è opportuno focalizzare qui la nostra attenzione sulla teologia di Lutero, a motivo della ricorrenza che commemora il 31 ottobre 1517.  

Struttura di questo capitolo

94. Questo capitolo si concentra solamente su quattro temi nell’ambito della teologia di Lutero: la giustificazione, l’eucaristia, il ministero e il rapporto tra Scrittura e tradizione. A motivo della loro importanza nella vita della Chiesa e a causa delle controversie che originarono per secoli, questi temi sono stati ampiamente trattati nei dialoghi cattolico-luterani. La seguente esposizione riassume i risultati di questi dialoghi.  

95. La discussione di ognuno di questi temi procede in tre fasi. Dapprima viene presentata la prospettiva di Lutero su ciascuno dei quattro temi teologici; segue poi una breve descrizione delle preoccupazioni cattoliche riguardo a quel tema; infine un riepilogo mostra come nel dialogo ecumenico la teologia di Lutero sia stata messa a confronto con la dottrina cattolica. Questa sezione pone in evidenza ciò che è stato affermato congiuntamente e individua le differenze che rimangono. 

96. Un tema importante per ulteriori discussioni è come possiamo approfondire la nostra convergenza sulle questioni in cui vi sono ancora differenze di accenti, specialmente riguardo all’ecclesiologia.  

97. È importante notare che non tutte le dichiarazioni che sono state enunciate nell’ambito del dialogo ecumenico tra luterani e cattolici hanno il medesimo grado di consenso, né sono state recepite allo stesso modo dai cattolici e dai luterani. Il livello di autorità più elevato è rappresentato dalla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, sottoscritta da rappresentanti della Federazione luterana mondiale e della Chiesa cattolica romana ad Augsburg, in Germania, il 31 ottobre 1999 e confermata dal Consiglio metodista mondiale nel 2006. Gli organismi promotori hanno ricevuto altri rapporti da parte di commissioni internazionali e nazionali incaricate del dialogo ecumenico, ma è vario l’impatto di questi rapporti sulla teologia e sulla vita delle comunità cattolica e luterana. I leader della Chiesa oggi condividono la responsabilità permanente di valutare e recepire le conclusioni dei dialoghi ecumenici.  

Il retaggio medievale di Martin Lutero

98. Martin Lutero fu profondamente radicato nella cultura del tardo Medioevo. Seppe essere a un tempo recettivo nei confronti delle teologie tardo-medievali, criticamente distante da esse o impegnato nel processo di superarle. Nel 1505 entrò nell’ordine degli eremitani agostiniani a Erfurt e nel 1512 divenne professore di teologia biblica all’università di Wittenberg. In questo ruolo concentrò la sua attività teologica principalmente sull’interpretazione delle Scritture bibliche. Questo accento sulle sacre Scritture era pienamente in linea con ciò che le regole nell’ordine degli eremitani agostiniani si attendevano che facesse un frate, ossia studiare e meditare la Bibbia non solo per proprio beneficio personale ma anche a beneficio spirituale di altri. I padri della Chiesa, specialmente Agostino, ebbero un ruolo vitale nello sviluppo e nella forma finale della teologia di Lutero. «La nostra teologia e sant’Agostino conquistano sempre più spazio»,[xxxii] scrisse nel 1517, e nella Disputa di Heidelberg (1518) si riferì a sant’Agostino come all’«interprete più fedele»[xxxiii] dell’apostolo Paolo. Il pensiero di Lutero, dunque, era profondamente radicato nella tradizione patristica.  

Teologia monastica e mistica

99. Anche se ebbe un atteggiamento prevalentemente critico nei confronti dei teologi scolastici, in quanto eremita agostiniano per vent’anni Lutero visse, pensò e fece teologia nella tradizione della teologia monastica. Uno dei teologi monastici più influenti fu Bernardo di Chiaravalle, che Lutero apprezzava molto. Il modo che Lutero aveva di interpretare la Scrittura come il luogo di incontro tra Dio e gli esseri umani mostra chiari paralleli con l’interpretazione della Scrittura propria di Bernardo. 

100. Lutero fu profondamente radicato anche nella tradizione mistica del periodo tardo-medievale. Trovò ispirazione e sostegno nei sermoni tedeschi di Giovanni Taulero (m. 1361) e si sentì in profonda sintonia con essi. Inoltre Lutero stesso fece pubblicare il testo mistico Theologia deutsch («Teologia tedesca», 1518), scritto da un autore ignoto. Questo testo ebbe larga diffusione e fama in Germania proprio grazie alla pubblicazione che ne fece Lutero.  

101. Nel corso di tutta la sua vita Lutero fu profondamente grato al vicario generale degli agostiniani, Giovanni di Staupitz, e alla sua teologia incentrata su Cristo, che portò consolazione a Lutero nelle sue sofferenze. Staupitz fu un rappresentante della mistica nuziale. Lutero più volte riconobbe quanto beneficio gli aveva arrecato la sua influenza, dicendo «Staupitz iniziò questa dottrina»[xxxiv] ed elogiandolo per «essermi stato prima di tutto padre in questa dottrina e per avermi fatto nascere in Cristo».[xxxv] Nel tardo Medioevo venne elaborata una teologia per i laici (Frömmigskeitstheologie, teologia della pietà), che rifletteva sulla vita cristiana in termini pratici ed era orientata alla pratica della pietà. Lutero fu stimolato da questa teologia a scrivere delle opere sue proprie destinate ai laici; riprese molti degli stessi temi ma diede loro una sua elaborazione personale.  

 

Giustificazione

L’interpretazione di Lutero sulla giustificazione

102. Lutero raggiunse una delle sue visioni fondamentali proprie della Riforma riflettendo sul sacramento della penitenza, specialmente in rapporto con Matteo 16,18. Nella sua educazione tardo-medievale gli era stato insegnato che Dio perdonerà chi mostri pentimento per il proprio peccato compiendo un atto di amore per Dio al di sopra di tutte le cose, atto al quale Dio risponderà in base alla divina alleanza (pactum) concedendo di nuovo la sua grazia e il suo perdono (facienti quod in se est Deus non denegat gratiam),[xxxvi] di modo che il sacerdote potrà soltanto dichiarare che Dio ha già perdonato il peccato di colui che è pentito. Lutero concluse che Matteo 16 diceva esattamente il contrario, e cioè che il sacerdote dichiarava il penitente giusto e che, attraverso questo atto compiuto in nome di Dio, il peccatore diventava effettivamente giusto.  

La parola di Dio come promessa

103. Lutero intendeva le parole di Dio come parole che creano ciò che dicono e che hanno il carattere di promessa (promissio). Una tale parola di promessa viene detta in un particolare luogo e in un particolare tempo, da una particolare persona, ed è rivolta a una particolare persona. Una promessa divina è rivolta alla fede di una persona. La fede, a sua volta, coglie ciò che viene promesso come promesso personalmente al credente. Lutero insisteva sul fatto che tale fede è l’unica risposta appropriata a una parola di promessa divina. A un essere umano si chiede di distogliere lo sguardo da sé e di guardare solo alla parola della promessa di Dio e di fidarsi pienamente di essa. Dal momento che la fede ci fonda nella promessa di Cristo, essa assicura al credente piena certezza della salvezza. Non fidarsi di questa parola renderebbe Dio un mentitore oppure qualcuno sulla cui parola non si possa in ultima analisi fare affidamento. In tal modo, nella concezione di Lutero, il non credere è il più grande peccato contro Dio.  

104. Oltre a strutturare la dinamica che si stabilisce tra Dio e il penitente all’interno del sacramento della penitenza, la relazione tra promessa e fiducia dà forma anche alla relazione che si stabilisce tra Dio e gli uomini nell’annuncio della Parola. Dio desidera rapportarsi con gli uomini dando loro parole di promessa – i sacramenti sono anche proprio queste parole di promessa – che mostrano la volontà salvifica di Dio verso di loro. Gli uomini, d’altro canto, dovrebbero rapportarsi con Dio solamente fidandosi delle sue promesse. La fede dipende totalmente dalle promesse di Dio; non può creare l’oggetto in cui gli uomini ripongono la loro fiducia.  

105. Ciononostante, avere fiducia nella promessa di Dio non è questione di decisione umana; piuttosto, è lo Spirito Santo a rivelare questa promessa come degna di fiducia e, in tal modo, crea la fede in una persona. La promessa divina e la fede dell’uomo in tale promessa vanno di pari passo. Entrambi gli aspetti vanno messi in rilievo: l’«oggettività» della promessa e la «soggettività» della fede. Secondo Lutero, Dio non solo rivela realtà divine come informazioni che l’intelletto deve approvare; ma la rivelazione di Dio ha sempre anche un fine soteriologico diretto verso la fede e la salvezza dei credenti, che ricevono le promesse che Dio dà «per voi» come parole di Dio «per me» o «per noi» (pro me, pro nobis).  

106. L’iniziativa di Dio stabilisce una relazione salvifica con gli uomini; in tal modo la salvezza si attua per mezzo della grazia. Il dono della grazia può essere solo ricevuto e, dal momento che questo dono è mediato da una promessa divina, non può essere ricevuto se non mediante la fede, e non mediante le opere. La salvezza si attua soltanto per mezzo della grazia. Lutero, tuttavia, mise costantemente in evidenza che la persona giustificata compirà opere buone nello Spirito.

Soltanto per mezzo di Cristo

107. L’amore di Dio per gli uomini è incentrato, radicato e incarnato in Gesù Cristo. Perciò, l’espressione «solo per grazia» deve sempre essere spiegata con l’espressione «solo attraverso Cristo». Lutero descrive la relazione degli uomini con Cristo usando l’immagine di un matrimonio spirituale. L’anima è la sposa; Cristo è lo sposo; la fede è l’anello nuziale. Secondo le leggi che regolano il matrimonio, le proprietà dello sposo (la giustizia) diventano proprietà della sposa, e le proprietà della sposa (il peccato) diventano proprietà dello sposo. Questo «felice scambio» è il perdono dei peccati e la salvezza.  

108. Questa immagine mostra che qualcosa di esterno, ossia la giustizia di Cristo, diventa qualcosa di interiore. Diventa possesso dell’anima, ma solo nell’unione con Cristo mediante la fiducia nelle sue promesse, non nella separazione da lui. Lutero insiste sul fatto che la nostra giustizia è totalmente esterna perché è la giustizia di Cristo, ma occorre che diventi totalmente interiore per mezzo della fede in Cristo. Solo se entrambi gli aspetti sono equamente messi in rilievo la realtà della salvezza viene intesa in maniera adeguata. Lutero afferma: «È proprio nella fede che Cristo è presente ».[xxxvii] Cristo è «per noi» (pro nobis) e in noi (in nobis), e noi siamo in Cristo (in Christo).  

Importanza della legge

109. Lutero inoltre percepiva la realtà umana, riguardo alla legge nel suo significato teologico o spirituale, dalla prospettiva di ciò che Dio esige da noi. Gesù esprime la volontà di Dio con il precetto: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22,37). Ciò significa che possiamo osservare i comandamenti di Dio solo mediante la totale dedizione a Dio. Questa include non solo la volontà e le corrispondenti azioni esteriori, ma anche tutti gli aspetti dell’anima e del cuore umano come le emozioni, i desideri e gli aneliti umani, ossia quegli aspetti e quei moti dell’anima che non sono sotto il controllo della volontà oppure lo sono solo indirettamente e parzialmente attraverso la pratica delle virtù.  

110. Nella sfera giuridica e in quella morale c’è un’antica regola, intuitivamente evidente, secondo la quale nessuno può essere obbligato a fare di più di quanto è in grado di fare (ultra posse nemo obligatur). In tal modo durante il Medioevo molti teologi erano convinti che quel comandamento di amare Dio andasse limitato alla volontà. Secondo questa interpretazione, il comandamento di amare Dio non richiede che tutti i moti dell’anima vadano rivolti e dedicati a Dio. Piuttosto sarebbe sufficiente che la volontà ami (cioè, voglia) Dio al di sopra di tutto (diligere Deum super omnia).  

111. Lutero sosteneva però che vi è una differenza tra un’interpretazione giuridica o morale della legge, da un lato, e un’interpretazione teologica dall’altro. Dio non ha adattato i suoi comandamenti alle condizioni dell’essere umano decaduto. Teologicamente inteso, invece, il comandamento di amare Dio mostra la situazione e la miseria degli uomini. Come Lutero scrisse nella Disputa contro la teologia scolastica, «quando una persona non diviene preda né dell’ira né della concupiscenza, spiritualmente quella persona non uccide, non fa del male, non diventa furiosa».[xxxviii] A questo riguardo la legge divina non è rispettata principalmente per mezzo di azioni esterne, di atti o della volontà, ma mediante la dedizione totale della persona tutta intera alla volontà di Dio. 

Partecipare della giustizia di Cristo

112. Il punto di vista di Lutero, secondo cui Dio richiede una dedizione totale nell’osservanza della sua legge, spiega perché Lutero abbia sottolineato con tanta forza che dipendiamo totalmente dalla giustizia di Cristo. Cristo è l’unica persona che ha adempiuto totalmente alla volontà di Dio, e tutti gli altri esseri umani possono diventare giusti, in senso stretto cioè teologico, solamente se partecipano della giustizia di Cristo. In tal modo la nostra giustizia è esterna in quanto è giustizia di Cristo, ma deve diventare la nostra giustizia, cioè interiore, per mezzo della fede nella promessa di Cristo. Solo mediante la partecipazione alla dedizione totale di Cristo a Dio possiamo diventare pienamente giusti.  

113. Dal momento che il Vangelo ci promette che «qui è Cristo e qui è il suo Spirito», la partecipazione alla giustizia di Cristo non è mai realizzata senza essere sotto la potenza dello Spirito Santo che ci rinnova. Pertanto il divenire giusti e l’essere rinnovati sono intimamente e inscindibilmente connessi. Lutero non criticò i suoi colleghi teologi come Gabriel Biel per l’eccessiva enfasi che ponevano sulla potenza trasformante della grazia; al contrario egli contestava il fatto che non accentuavano con sufficiente forza questa potenza, in quanto è fondamentale per qualsiasi cambiamento reale nel credente.  

Legge e Vangelo

114. Secondo Lutero questo rinnovamento non giungerà mai al suo compimento finché saremo in vita. Quindi per spiegare la salvezza dell’uomo Lutero ricorse a un altro modello, tratto dall’apostolo Paolo, che divenne per lui importante. In Romani 4,3 Paolo fa riferimento ad Abramo in Genesi 15,6 («Abramo credette in Dio, che glielo accreditò come giustizia»), e conclude: «A chi invece non lavora, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia» (Rm 4,5).  

115. Questo testo tratto dalla Lettera ai Romani contiene l’immagine forense di qualcuno che in un’aula di tribunale viene dichiarato giusto. Se Dio dichiara qualcuno giusto, questo cambia la sua situazione e crea una realtà nuova. Il giudizio di Dio non rimane «al di fuori» dell’uomo. Lutero usa spesso questo esempio paolino per sottolineare che la persona tutta intera viene accolta da Dio e salvata, anche se il processo del rinnovamento interiore del giustificato in una persona totalmente dedita a Dio non si concluderà in questa vita terrena.  

116. Come credenti coinvolti nel processo di essere rinnovati dallo Spirito Santo, non osserviamo ancora completamente il comandamento divino di amare Dio totalmente e non rispondiamo alla richiesta di Dio. Perciò la legge ci accuserà e ci riconoscerà come peccatori. Rispetto alla legge, teologicamente intesa, noi crediamo che siamo ancora peccatori. Ma rispetto al Vangelo, che ci promette che «qui è la giustizia di Cristo», siamo giusti e giustificati, poiché crediamo nella promessa del Vangelo. Questa è la concezione che Lutero aveva del credente cristiano, che è nello stesso tempo giustificato e tuttavia peccatore (simul iustus et peccator).  

117. Questa non è una contraddizione, dal momento che dobbiamo distinguere due relazioni che il credente ha con la parola di Dio: la relazione con la parola di Dio come legge di Dio, in quanto essa giudica il peccatore, e la relazione con la parola di Dio come Vangelo di Dio, in quanto Cristo redime. Rispetto alla prima relazione noi siamo peccatori; rispetto alla seconda relazione siamo giusti e giustificati. Quest’ultima è la relazione che prevale. Ciò significa che Cristo ci introduce in un processo di continuo rinnovamento poiché ci fidiamo della sua promessa che siamo salvati in eterno.

 118. È per questo che Lutero sottolinea con tanta forza la libertà del cristiano: la libertà di essere accolti da Dio soltanto per mezzo della grazia e soltanto per mezzo della fede nelle promesse di Cristo, la libertà dall’accusa della legge mediante il perdono dei peccati e la libertà di servire il proprio prossimo spontaneamente, senza cercare di ottenere dei meriti nel farlo. La persona giustificata, naturalmente, è obbligata a osservare i comandamenti di Dio, e lo farà sotto l’impulso dello Spirito Santo. Come Lutero dichiarò nel Piccolo catechismo: «Dobbiamo temere e amare Dio, e dunque…», dopo di che seguono le sue spiegazioni dei dieci comandamenti.[xxxix]

Preoccupazioni cattoliche riguardo alla giustificazione

119. Anche nel XVI secolo vi era tra le posizioni dei luterani e dei cattolici una notevole convergenza riguardo alla necessità della misericordia di Dio e all’incapacità degli uomini di conseguire la salvezza mediante le proprie forze. Il concilio di Trento decretò in maniera chiara che il peccatore non può essere giustificato né mediante la legge né mediante le proprie opere, pronunciando un anatema contro chiunque affermasse che «l’uomo può essere giustificato davanti a Dio con le sue sole opere, compiute mediante le forze della natura umana, o grazie all’insegnamento della legge, senza la grazia divina che gli viene data per mezzo di Gesù Cristo».[xl]

120. I cattolici, tuttavia, considerarono problematiche alcune posizioni di Lutero. In certi casi il linguaggio usato da Lutero suscitò nei cattolici il timore che egli negasse la responsabilità personale delle azioni dell’uomo. Questo spiega il motivo per cui il concilio di Trento pose grande accento sulla responsabilità del singolo individuo e sulla sua capacità di cooperare con la grazia di Dio. I cattolici sottolinearono che coloro che sono giustificati dovrebbero essere coinvolti nel dispiegarsi della grazia nella loro vita. In tal modo, per coloro che sono giustificati, gli sforzi umani contribuiscono a una crescita nella grazia e a una comunione con Dio più intense.  

121. Inoltre secondo l’interpretazione cattolica la dottrina dell’«imputazione forense» di Lutero sembrava negare il potere creativo della grazia di Dio di annientare il peccato e di trasformare il giustificato. I cattolici vollero mettere quindi l’accento non solo sul perdono dei peccati, ma anche sulla santificazione del peccatore. Nella santificazione, pertanto, il cristiano riceve quella «giustizia di Dio» per mezzo della quale Dio ci rende giusti.  

Il dialogo luterano-cattolico sulla giustificazione

122. Lutero e gli altri riformatori considerarono la dottrina della giustificazione dei peccatori come «l’articolo primo e fondamentale»[xli] che «governa e giudica tutti gli altri aspetti della dottrina cristiana».[xlii] Questo è il motivo per cui una divisione su questo tema era particolarmente grave, e lavorare per sanare questa divisione divenne una questione della massima priorità per le relazioni luterano-cattoliche. Nella seconda metà del XX secolo questa controversia fu oggetto di ampie analisi da parte di singoli teologi e di numerosi dialoghi nazionali e internazionali.  

123. I risultati di queste analisi e di questi dialoghi sono riassunti nella Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, e nel 1999 sono stati ufficialmente recepiti dalla Chiesa cattolica romana e dalla Federazione luterana mondiale. La sintesi che segue si basa su questa Dichiarazione, che offre un consenso differenziante costituito da enunciazioni comuni accanto ad accentuazioni differenti di ciascuna parte, con la specificazione che queste differenze non invalidano i punti di vista comuni. Si tratta, pertanto, di un consenso che non elimina le differenze, ma piuttosto le include in maniera esplicita.  

Solo per grazia

124. Insieme cattolici e luterani confessano: «Non in base ai nostri meriti, ma soltanto per mezzo della grazia, e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a compiere le buone opere» (Dichiarazione congiunta, n.15; EO 7/1845). L’espressione «soltanto per mezzo della grazia» viene ulteriormente spiegata in questo modo: «Il messaggio della giustificazione (…) ci dice che noi, in quanto peccatori, dobbiamo la nostra vita nuova soltanto alla misericordia di Dio che perdona e che fa nuove tutte le cose, misericordia che noi possiamo ricevere soltanto come dono nella fede, ma che non possiamo meritare mai e in nessun modo».[xliii]

125. È all’interno di questo quadro che si possono riconoscere i limiti e la dignità della libertà umana. L’espressione «soltanto per mezzo della grazia », a proposito del cammino dell’uomo verso la salvezza, viene interpretata in questo modo: «Insieme confessiamo che l’uomo dipende interamente per la sua salvezza dalla grazia salvifica di Dio. La libertà che egli possiede nei confronti degli uomini e delle cose del mondo non è una libertà dalla quale possa derivare la sua salvezza» (Dichiarazione congiunta, n.19; EO 7/1849).  

126. Quando i luterani asseriscono che una persona può solo ricevere la giustificazione, essi in tal modo intendono negare «con ciò ogni possibilità di un contributo proprio dell’uomo alla sua giustificazione, senza negare tuttavia la sua personale e piena partecipazione nella fede, che è operata dalla stessa parola di Dio» (Dichiarazione congiunta, n.21; EO 7/1851).  

127. Quando i cattolici parlano di preparazione ad accogliere la grazia in termini di «cooperazione», essi con ciò intendono un «personale assenso» dell’uomo che considerano «non come un’azione derivante dalle forze proprie dell’uomo, ma come un effetto della grazia» (Dichiarazione congiunta, n.20; EO 7/1850). Di conseguenza, essi non svuotano la comune asserzione che «in quanto peccatore, (l’uomo) è soggetto al giudizio di Dio, e dunque incapace da solo di rivolgersi a Dio per la sua salvezza, o di meritarsi davanti a Dio la sua giustificazione, o di raggiungere la salvezza con le sue proprie forze. La giustificazione avviene soltanto per opera della grazia» (Dichiarazione congiunta, n.19; EO 7/1849).  

128. Dal momento che la fede viene intesa non solo come conoscenza positiva, ma anche come la fiducia del cuore che si fonda sulla parola di Dio, possiamo ulteriormente affermare insieme che «la giustificazione avviene “soltanto per mezzo della grazia” (Dichiarazione congiunta, nn.15 e 16); soltanto per mezzo della fede, la persona è giustificata “indipendentemente dalle opere” (Rm 3,28, cf. Dichiarazione congiunta, n.25)» (Dichiarazione congiunta, Allegato 2C).[xliv]

129. Quanto spesso è stato isolato e attribuito all’una o all’altra confessione religiosa, ma non a entrambe, viene ora compreso in una coerenza organica: «Quando l’uomo partecipa a Cristo nella fede, Dio non gli imputa il suo peccato e fa agire in lui un amore attivo mediante lo Spirito Santo. Entrambi questi aspetti dell’azione salvifica di Dio non dovrebbero essere scissi» (Dichiarazione congiunta, n.22;  EO 7/1852).  

La fede e le buone opere

130. È importante che luterani e cattolici abbiano una visione comune del modo d’intendere la coerenza tra fede e opere: il credente «nella fede giustificante che racchiude in sé la speranza in Dio e l’amore per lui, confida nella sua promessa misericordiosa. Questa fede è attiva nell’amore e per questo motivo il cristiano non può e non deve restare inoperoso» (Dichiarazione congiunta, n.25; EO 7/1855). I luterani, quindi, confessano anche la potenza creatrice della grazia di Dio che «riguarda tutte le dimensioni della persona e conduce a una vita nella speranza e nell’amore» (Dichiarazione congiunta, n.26; EO 7/1856). La «giustificazione soltanto per mezzo della fede» e «il rinnovamento della vita» devono essere distinti ma non scissi.  

131. Nel contempo, «la giustificazione non si fonda né si guadagna con tutto ciò che precede e segue nell’uomo il libero dono della fede» (Dichiarazione congiunta, n.25; EO 7/1855). Questo è il motivo per cui l’effetto creativo che i cattolici attribuiscono alla grazia giustificante non è inteso come una qualità senza alcuna relazione con Dio, né come un bene di cui l’uomo può impossessarsi: «L’uomo non potrà mai appropriarsi della grazia giustificante né appellarsi a essa davanti a Dio» (Dichiarazione congiunta, n.27; EO 7/1857). Piuttosto questa concezione tiene conto del fatto che nella nuova relazione con Dio i giusti vengono trasformati e resi figli di Dio, vivendo in tal modo in una nuova comunione con Cristo: «Questa nuova relazione personale con Dio si fonda interamente sulla sua misericordia e permane dipendente dall’azione salvifica e creatrice di Dio misericordioso, il quale rimane fedele a se stesso e nel quale l’uomo può quindi riporre la propria fiducia» (Dichiarazione congiunta, n.27; EO 7/1857).  

132. Riguardo alla questione delle buone opere, cattolici e luterani insieme affermano: «Parimenti confessiamo che i comandamenti di Dio rimangono in vigore per il giustificato» (Dichiarazione congiunta, n.31; EO 7/1861).«Gesù e gli scritti apostolici esortano i cristiani a compiere opere d’amore» (Dichiarazione congiunta, n.37; EO 7/1867). Affinché il valore vincolante dei comandamenti non possa essere frainteso, viene specificato: «Sottolineando che il giustificato è tenuto all’osservanza dei comandamenti di Dio, i cattolici non negano che la grazia della vita eterna è stata misericordiosamente promessa ai figli di Dio mediante Gesù Cristo» (Dichiarazione congiunta, n.33; EO 7/1863).  

133. Sia i luterani sia i cattolici possono riconoscere il valore delle buone opere al fine di un approfondimento della comunione con Cristo (cf. Dichiarazione congiunta, n.38s), anche se i luterani sottolineano che la giustizia, in quanto accettazione da parte di Dio e partecipazione alla giustizia di Cristo, è sempre perfetta. Il controverso concetto di merito viene spiegato così: «Quando i cattolici affermano il “carattere meritorio” delle buone opere, essi intendono con ciò che, secondo la testimonianza biblica, a queste opere è promesso un salario in cielo. La loro intenzione è di sottolineare la responsabilità dell’uomo nei confronti delle sue azioni, senza contestare con ciò il carattere di dono delle buone opere, e tanto meno negare che la giustificazione stessa resta un dono immeritato della grazia» (Dichiarazione congiunta, n.38; EO 7/1868).  

134. Riguardo alla questione assai discussa della cooperazione dell’uomo nella giustificazione, nell’Appendice alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione viene inserita una citazione tratta dalle Confessioni luterane, al fine di sottolineare nella maniera più evidente la posizione comune dei luterani e dei cattolici su questo punto: «L’opera della grazia di Dio non esclude l’azione umana: Dio produce tutto, il volere e l’operare, pertanto noi siamo chiamati ad agire (cf. Fil 2,12ss). “Immediatamente quando lo Spirito Santo ha iniziato in noi la sua opera di rigenerazione e di rinnovamento, attraverso la Parola e i santi sacramenti, è certo che noi possiamo e dobbiamo collaborare per mezzo della potenza dello Spirito Santo (…)”».[xlv]

Simul iustus et peccator

135. Nel dibattito sulle differenze che emersero nell’affermare che il cristiano è «al tempo stesso giusto e peccatore» apparve evidente che le due parti del dialogo non davano esattamente lo stesso significato ai termini «peccato», «concupiscenza» e «giustizia». È necessario concentrare la nostra attenzione non solo sull’enunciazione ma anche sul contenuto per arrivare a un consenso. Con Romani 6,12 e 2 Corinzi 5,17, cattolici e luterani proclamano che nei cristiani il peccato non deve e non dovrebbe regnare. Inoltre affermano con 1 Giovanni 1,8-10 che i cristiani non sono senza peccato. Essi parlano dell’«opposizione a Dio che proviene dalla concupiscenza egoistica del vecchio Adamo» anche in colui che è giustificato, il quale non «può esimersi dal combattimento di tutta una vita» (Dichiarazione congiunta, n.28; EO 7/1858) contro tale opposizione.  

136. Questa inclinazione «non corrisponde al disegno originario di Dio sull’uomo» e si pone «oggettivamente in opposizione a Dio» (Dichiarazione congiunta, n.30; EO 7/1860), come affermano i cattolici. Poiché infatti per essi il peccato ha il carattere di un atto, i cattolici qui non parlano di peccato, mentre i luterani vedono in questa inclinazione a opporsi a Dio un rifiuto ad abbandonarsi interamente a Dio e perciò chiamano questa inclinazione peccato. Tuttavia entrambi pongono l’accento sul fatto che questa inclinazione a opporsi a Dio non separa il giustificato da Dio. 

137. Sulla base dei presupposti del proprio sistema teologico e dopo aver studiato gli scritti di Lutero, il card. Caietano giunse alla conclusione che l’interpretazione di Lutero riguardo alla garanzia assoluta data dalla fede implicava l’istituzione di una nuova Chiesa. Il dialogo cattolico-luterano ha messo in luce le divergenti forme di pensiero che causarono la reciproca incomprensione tra il card. Caietano e Lutero. Oggi possiamo affermare che «i cattolici possono condividere l’orientamento dei riformatori che consiste nel fondare la fede sulla realtà oggettiva della promessa di Cristo, a prescindere dalla personale esperienza, e nel confidare unicamente nella promessa di Cristo (cf. Mt 16,19; 18,18)» (Dichiarazione congiunta, n.36; EO 7/1866).  

138. Luterani e cattolici hanno ciascuno condannato la dottrina dell’altra confessione, perciò il consenso differenziante rappresentato nella Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione contiene un duplice aspetto. Da un lato nella Dichiarazione si afferma che le reciproche condanne della dottrina cattolica e di quella luterana come descritte nella Dichiarazione non si applicano all’altra confessione. Dall’altro lato la Dichiarazione afferma in senso positivo un consenso nelle verità fondamentali della giustificazione: «La comprensione della dottrina della giustificazione esposta in questa Dichiarazione mostra l’esistenza di un consenso tra luterani e cattolici su verità fondamentali di tale dottrina della giustificazione» (Dichiarazione congiunta, n.40; EO 7/1870).  

139. «Alla luce di detto consenso sono accettabili le differenze che sussistono per quanto riguarda il linguaggio, gli sviluppi teologici e le accentuazioni particolari che ha assunto la comprensione della giustificazione (…). Per questo motivo l’elaborazione luterana e l’elaborazione cattolica della fede nella giustificazione sono, nelle loro differenze, aperte l’una all’altra e tali da non invalidare di nuovo il consenso raggiunto su verità fondamentali» (Dichiarazione congiunta, n.40; EO 7/1870). «Con ciò, le condanne dottrinali del XVI secolo, nella misura in cui esse si riferiscono all’insegnamento della giustificazione, appaiono sotto una nuova luce: l’insegnamento delle Chiese luterane presentato in questa Dichiarazione non cade sotto le condanne del concilio di Trento. Le condanne delle Confessioni luterane non colpiscono l’insegnamento della Chiesa cattolica romana così come esso è presentato in questa Dichiarazione» (Dichiarazione congiunta, n.41; EO 7/1871). Questa è una risposta di grande rilievo ai conflitti sorti su questa dottrina e che si protrassero per quasi 500 anni.  

 

L’eucaristia

Comprensione di Lutero della cena del Signore

140. Per i luterani così come per i cattolici la Cena del Signore è un dono prezioso in cui i cristiani trovano nutrimento e consolazione per sé stessi, e nel quale la Chiesa viene sempre nuovamente convocata ed edificata. Proprio per questo le controversie sul sacramento dell’eucaristia sono causa di grande dolore.  

141. Lutero comprendeva il sacramento dell’eucaristia come un testamentum, la promessa di qualcuno che sta per morire, come risulta evidente dalla versione latina delle parole della sua istituzione. In un primo tempo Lutero percepì la promessa (testamentum) di Cristo come la promessa di grazia e di perdono dei peccati, ma nella disputa con Huldrych Zwingli egli pose l’accento sulla sua profonda convinzione che Cristo dona se stesso, il suo corpo e il suo sangue, che sono realmente presenti. Non è la fede a rendere Cristo presente; è Cristo che si dona, dona il proprio corpo e il proprio sangue, a coloro che si comunicano, che essi lo credano o meno. Quindi l’opposizione di Lutero alla dottrina contemporanea non consistette nella negazione della presenza reale di Gesù Cristo, ma piuttosto riguardò il modo di intendere la «trasformazione» nella Cena del Signore.  

La presenza reale di Cristo

142. Il concilio Lateranense IV (1215) usò il verbo transubstantiare, che implica una distinzione tra sostanza e accidenti.[xlvi] Anche se questa per Lutero era una spiegazione possibile di quello che accade nella Cena del Signore, egli non riusciva a vedere come questa spiegazione filosofica potesse essere vincolante per tutti i cristiani. In ogni caso Lutero stesso poneva un forte accento sulla reale presenza di Cristo nel sacramento.  

143. Nella visione di Lutero il corpo e il sangue di Cristo sono presenti «in, con e sotto» le specie del pane e del vino. C’è uno scambio di proprietà (communicatio idiomatum) tra il corpo e il sangue di Cristo e il pane e il vino. Questo crea un’unione sacramentale tra il pane e il corpo di Cristo e il vino e il sangue di Cristo. Questo nuovo genere di unione, formata dalla condivisione di proprietà, è analogo all’unione della natura divina e della natura umana in Cristo. Lutero paragonò questa unione sacramentale anche all’unione tra ferro e fuoco in un ferro incandescente.  

144. Come conseguenza della sua interpretazione delle parole con cui venne istituita l’eucaristia («Bevetene tutti», Mt 26,27), Lutero criticò la pratica che proibiva ai laici di ricevere la comunione sotto ambedue le specie, il pane e il vino. Non sosteneva che allora i laici avrebbero ricevuto soltanto una metà di Cristo, anzi affermava che essi avrebbero ricevuto realmente Cristo tutto intero nell’una e nell’altra specie. Negava piuttosto che la Chiesa avesse il diritto di togliere ai fedeli laici la specie del vino, dal momento che le parole dell’istituzione eucaristica sono chiarissime su questo. I cattolici ricordano ai luterani che la motivazione principale dell’introduzione della pratica della comunione sotto una sola specie era costituita da ragioni pastorali.  

145. Lutero comprendeva la Cena del Signore anche come un evento comunitario, un pasto reale, dove le specie benedette sono destinate a essere consumate, e non conservate dopo la celebrazione. Egli raccomandava la consumazione di tutti gli elementi, di modo che la questione della durata della presenza di Cristo non sarebbe neanche sorta.[xlvii]

Sacrificio eucaristico

146. La principale obiezione di Lutero alla dottrina eucaristica cattolica era indirizzata contro l’interpretazione della messa come sacrificio. La teologia dell’eucaristia come vero memoriale (anamnesis, Realgedächtnis), in cui l’unico sacrificio di Cristo, valido una volta per tutte (Eb 9,1-10,18) si rende presente per la partecipazione dei fedeli, non veniva più pienamente compresa nel periodo tardo medievale. Così molti pensavano che la celebrazione della messa fosse un ulteriore sacrificio in aggiunta all’unico sacrificio di Cristo. Secondo una teoria derivante da Duns Scoto, si pensava che la moltiplicazione delle messe producesse una moltiplicazione della grazia e trasferisse questa grazie ai singoli individui. Ecco perché al tempo di Lutero, ad esempio, ogni anno nella chiesa del castello di Wittenberg venivano dette migliaia di messe private.  

147. Lutero insisteva sul fatto che, secondo le parole dell’istituzione dell’eucaristia, nella Cena del Signore Cristo dona se stesso a quanti lo ricevono e che, in quanto dono, Cristo poteva solo essere ricevuto nella fede ma non offerto. Se Cristo venisse offerto a Dio, la struttura interna e la direzione dell’eucaristia verrebbero invertite. Agli occhi di Lutero, l’interpretazione dell’eucaristia come sacrificio avrebbe significato che essa era una buona opera che noi compiamo e offriamo a Dio. Ma egli argomentava che proprio come non possiamo venire battezzati al posto di qualcun altro, non possiamo partecipare all’eucaristia a nome di qualcun altro e a beneficio altrui. Invece di ricevere il dono più prezioso che Cristo stesso è e offre a noi, tenteremmo di offrire qualcosa a Dio, trasformando in tal modo un dono divino in una buona opera.  

148. Nondimeno Lutero vedeva un elemento sacrificale nella messa: il sacrificio del rendimento di grazie e della lode. Ed è certamente un sacrificio, in quanto rendendo grazie una persona riconosce di avere bisogno del dono e che la sua situazione cambierà solo ricevendo quel dono. In tal modo il ricevere veramente nella fede contiene una dimensione attiva che non deve essere sottovalutata.  

Preoccupazioni cattoliche riguardo all’eucaristia

149. Dalla parte cattolica, il rifiuto di Lutero del concetto di «transustanziazione» sollevò dubbi riguardo al fatto che la dottrina della presenza reale di Cristo fosse stata affermata con pienezza nella sua teologia. Anche se il concilio di Trento ammise che è pressoché impossibile esprimere con parole come avvenga tale presenza e distinse la dottrina della conversione degli elementi dalla sua spiegazione tecnica, esso tuttavia dichiarò che «questa conversione in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione».[xlviii] Questo concetto parve essere, nella visione cattolica, la migliore garanzia per mantenere la presenza reale di Gesù Cristo sotto le specie del pane e del vino e per assicurare che la piena realtà di Gesù Cristo è presente in ciascuna delle due specie. Quando insistono su una trasformazione degli stessi elementi creati, i cattolici vogliono mettere in luce la potenza creatrice di Dio, che produce la nuova creazione all’interno della creazione antica.  

150. Pur difendendo la pratica dell’adorazione del santissimo Sacramento, il concilio di Trento tuttavia assunse come punto di partenza il fatto che lo scopo primario dell’eucaristia è la comunione dei fedeli. L’eucaristia fu istituita da Cristo per essere consumata come cibo spirituale.[xlix]

151. Come conseguenza della perdita di un concetto integrativo di commemorazione, i cattolici si trovarono di fronte alla difficoltà della mancanza di categorie adeguate con le quali esprimere il carattere sacrificale dell’eucaristia. Sentendosi vincolati a una tradizione risalente all’epoca patristica, i cattolici non vollero abbandonare l’identificazione dell’eucaristia come un sacrificio reale pur tentando, nello stesso tempo, di affermare l’identità di questo sacrificio eucaristico con l’unico sacrificio di Cristo. Fu necessario il rinnovamento della teologia sacramentale e liturgica, come fu formulata dal concilio Vaticano II, per rivitalizzare il concetto di commemorazione (anamnesis) (Sacrosanctum concilium, n.47; Lumen gentium, n.3).  

152. Nel loro dialogo ecumenico luterani e cattolici poterono entrambi trarre beneficio da riflessioni del movimento liturgico e da nuove concezioni teologiche. Attraverso il recupero del concetto di anamnesis, gli uni e gli altri sono stati condotti a una migliore comprensione del modo in cui il sacramento dell’eucaristia come memoriale rende efficacemente presenti gli eventi della salvezza, e in particolare il sacrificio di Cristo. I cattolici riescono a cogliere le molte forme della presenza di Cristo nella liturgia dell’eucaristia, come la sua presenza nella Parola e nell’assemblea (SC 7). Alla luce dell’ineffabilità del mistero dell’eucaristia, i cattolici hanno imparato a riconsiderare differenti espressioni di fede nella presenza reale di Gesù Cristo nel sacramento. I luterani hanno raggiunto una nuova consapevolezza delle ragioni per cui trattare con rispetto dopo la celebrazione gli elementi benedetti.  

Il dialogo luterano-cattolico sull’eucaristia

153. La questione della realtà della presenza di Gesù Cristo nella santa Cena non è materia di controversia tra cattolici e luterani. Il dialogo luterano-cattolico sull’eucaristia ha potuto dichiarare: «La tradizione luterana afferma, insieme con la tradizione cattolica, che gli elementi consacrati non rimangono semplicemente pane e vino, ma che in virtù della parola creatrice ci vengono donati come corpo e sangue di Cristo. In questo senso potrebbe anch’essa parlare, in un certo senso con la tradizione greca, di una “trasformazione”» (L’eucaristia, n.51).[l] Cattolici e luterani «si oppongono insieme a una concezione spaziale o naturale di questa presenza e a una comprensione del sacramento puramente commemorativa o metaforica» (L’eucaristia, n.16).[li]

Comprensione comune della reale presenza di Cristo

154. Luterani e cattolici possono attestare insieme la reale presenza di Gesù Cristo nella santa Cena: «Nel sacramento dell’eucaristia Gesù Cristo, vero e vero uomo, è pienamente presente con il suo corpo e con il suo sangue sotto il segno del pane e del vino» (L’eucaristia, n.16; EO 1/1223). Questa dichiarazione comune afferma tutti gli elementi essenziali della fede nella presenza eucaristica di Gesù Cristo senza adottare la terminologia concettuale della transustanziazione. Pertanto, cattolici e luterani riconoscono insieme che «il Signore glorificato è presente nell’eucaristia nel corpo e nel sangue che egli ha offerto con la sua divinità e con la sua umanità per mezzo della parola della promessa nei doni del pane e del vino nella potenza dello Spirito Santo perché siano ricevuti attraverso la comunità».[lii]

155. Alla questione della reale presenza di Gesù Cristo e alla sua comprensione teologica è legata la questione della durata di questa presenza e, con essa, la questione dell’adorazione di Cristo presente nel sacramento anche dopo la celebrazione. «Riguardo alla durata della presenza eucaristica, le differenze vengono alla luce anche nella prassi liturgica. Cattolici e luterani riconoscono insieme che la presenza eucaristica del Signore Gesù Cristo è destinata alla comunione ricevuta con fede, e che al tempo stesso essa non è limitata solo al momento in cui la si riceve, né dipende dalla fede di chi la riceve, sebbene essa sia diretta a questa fede» (L’eucaristia, n.52; EO 1/1259).  

156. Il documento L’eucaristia ha richiesto ai luterani di considerare con rispetto gli elementi eucaristici che rimangono dopo la celebrazione della santa Cena. Nel contempo ha avvertito i cattolici a far sì che la loro pratica dell’adorazione eucaristica «non contraddica la convinzione comune del carattere conviviale dell’eucaristia » (L’eucaristia, n.55; EO 1/1262).[liii]

Convergenza nella comprensione del sacrificio eucaristico

157. Riguardo alla questione che per i riformatori era della massima importanza – il sacrificio eucaristico – il dialogo luterano-cattolico ha dichiarato come principio basilare: «Cattolici e luterani riconoscono insieme che Gesù Cristo nell’eucaristia “è presente come crocifisso, morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione, come vittima offerta una volta per sempre per i peccati del mondo”. Questo sacrificio non può essere né continuato né ripetuto né sostituito né completato; ma può e deve diventare operante in modo sempre nuovo in mezzo alla comunità. Sul modo e la misura di questa efficacia esistono fra di noi diverse interpretazioni» (L’eucaristia, n.56; EO 1/1263).  

158. Il concetto di anamnesis ha contribuito a risolvere la controversa questione di come porre il sacrificio unico e sufficiente di Gesù Cristo nel giusto rapporto con la Cena del Signore: «Attraverso il memoriale degli atti salvifici di Dio nel culto, questi atti stessi diventano presenti nella potenza dello Spirito, e la comunità celebrante è connessa con gli uomini e le donne che in precedenza sperimentarono gli atti salvifici stessi. Questo è il senso in cui s’intende il comando espresso da Cristo nella Cena del Signore: nella proclamazione, con le sue stesse parole, della sua morte salvifica e nella ripetizione delle sue proprie azioni compiute durante la Cena, viene in essere la “memoria” in cui la parola e l’azione salvifica stesse di Gesù diventano presenti».[liv]

159. Il risultato decisivo è stato il superamento della separazione del sacrificium (il sacrificio di Gesù Cristo) dal sacramentum (il sacramento). Se Gesù Cristo è realmente presente nella Cena del Signore, allora anche la sua vita, passione, morte e risurrezione sono veramente presenti insieme al suo corpo, così che la Cena del Signore è «il rendersi veramente presente dell’evento della croce».[lv] Non solo l’effetto dell’evento della croce, ma anche l’evento stesso è presente nella Cena del Signore senza che questa Cena sia una ripetizione o un completamento di esso. Questo unico evento è presente in una modalità sacramentale. La forma liturgica della santa Cena deve, comunque, escludere tutto quello che potrebbe dare l’impressione di ripetizione o completamento del sacrificio sulla croce. Se la comprensione della Cena del Signore come vero memoriale viene costantemente presa sul serio, le differenze nella comprensione del sacrificio eucaristico sono accettabili per cattolici e luterani.  

La comunione sotto le due specie e il ministero dell’eucarestia

160. Sin dall’epoca della Riforma, l’accesso al calice da parte dei laici è una caratteristica pratica dei culti luterani. Pertanto questa pratica ha per lungo tempo distinto la santa Cena luterana dalla pratica cattolica di amministrare la comunione ai laici solamente sotto la specie del pane. Oggi si può affermare il seguente principio: «Cattolici e luterani sono concordi nella convinzione che il pane e il vino fanno parte della pienezza di forma dell’eucaristia» (L’eucaristia, n.64; EO 1/1271). Ciononostante rimangono delle differenze nella pratica della Cena del Signore.  

161. Dal momento che la questione di chi presiede la celebrazione eucaristica è di grande importanza dal punto di vista ecumenico, la necessità di un ministro designato dalla Chiesa costituisce un significativo punto in comune, identificato dal dialogo: «Cattolici e luterani sono dell’opinione che per la celebrazione dell’eucaristia sia necessaria la guida del ministro appositamente scelto da parte della Chiesa» (L’eucaristia, n.65; EO /1272). Tuttavia cattolici e luterani intendono ancora l’ufficio del ministero in maniera differente.  

 

Ministero

Concezione di Lutero del sacerdozio universale dei battezzati e del ministero ordinato

162. Nel Nuovo Testamento il termine hiereus (sacerdote; in latino sacerdos) non designava un ministero all’interno della comunità cristiana, anche se Paolo definisce il proprio ministero apostolico come quello di un sacerdote (cf. Rm 15,16). Cristo è il sommo sacerdote. Lutero intende la relazione dei credenti con Cristo come un «felice scambio», in cui il credente partecipa delle proprietà di Cristo e quindi anche del suo sacerdozio. «Come dunque Cristo per la sua primogenitura ottenne queste due prerogative, così egli ne fa parte e le condivide con chiunque crede in lui, per la legge del matrimonio menzionata prima, secondo la quale appartiene alla sposa tutto ciò che è dello sposo. Di conseguenza tutti noi che crediamo in Cristo siamo sacerdoti e re, come dice Pietro nella prima Lettera, al capitolo 2: “Voi siete una stirpe eletta, un popolo acquistato [da Dio], un sacerdozio regale, un regno sacerdotale”».[lvi] «Siamo tutti quanti consacrati sacerdoti dal battesimo».[lvii]

163. Anche se, secondo la visione di Lutero, tutti i cristiani sono sacerdoti, egli non li considera tutti ministri. «È vero che tutti i cristiani sono sacerdoti, ma non tutti sono pastori. Oltre a essere cristiano e sacerdote, infatti, quest’ultimo deve avere anche un ufficio e un ambito ecclesiale a lui destinato. È la vocazione e il mandato che rendono pastore e predicatore».[lviii]

164. Il concetto teologico di Lutero secondo il quale tutti i cristiani sono sacerdoti era in contrasto con l’ordinamento della società diffuso nel Medioevo. Secondo Graziano vi erano due tipi di cristiani: i chierici e i laici.[lix] Con la sua dottrina del sacerdozio universale Lutero intendeva abolire il fondamento stesso di questa divisione. Ciò che un cristiano è come sacerdote deriva dalla sua partecipazione al sacerdozio di Cristo. Il credente porta nella preghiera davanti a Dio ciò che sta a cuore alla gente e porta agli altri attraverso la trasmissione del Vangelo ciò che sta a cuore a Dio.

165. Lutero intendeva l’ufficio del ministero ordinato come un servizio ecclesiale rivolto a tutta la Chiesa. I pastori sono ministri (servi). Questo ufficio non è in competizione con il sacerdozio universale di tutti i battezzati, ma piuttosto è al loro servizio, così che tutti i cristiani possano essere sacerdoti gli uni per gli altri.  

L’istituzione divina del ministero

166. Per più di 150 anni uno dei dibattiti che hanno impegnato la teologia luterana è stata la questione se il ministero ordinato dipenda da un’istituzione divina o sia un mandato umano. Lutero tuttavia parla del «pastorato, che Dio ha istituito: esso deve reggere una comunità con la predicazione e i sacramenti».[lx] Lutero considera questo ufficio fondato sulla passione e morte di Cristo: «Spero davvero che i credenti, coloro che vogliono chiamarsi cristiani, sappiano molto bene che la ricchezza spirituale fu fondata e istituita da Dio non con oro o argento, ma con il prezioso sangue e la morte amara del suo unico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo (cf. 1Pt 1,18-19). Dalle sue ferite sgorgano veramente i sacramenti (…). È davvero a caro prezzo che egli si è acquistato questo ministero in virtù del quale in tutto il mondo si predica, si battezza, si perdonano i peccati oppure no, si amministrano i sacramenti, si conforta, si ammonisce, si esorta con la parola di Dio e si fa quant’altro rientra nel compito della cura delle anime (…). Io invece intendo la ricchezza che ha il compito della predicazione e il servizio della Parola e dei sacramenti, che dà lo Spirito e la salvezza».[lxi]È chiaro, quindi, che secondo Lutero l’ufficio dei ministri ordinati è stato istituito da Dio stesso.  

167. Nessuno – riteneva Lutero – può istituire se stesso nell’ufficio ministeriale; bisogna esservi chiamati. A partire dal 1535, le ordinazioni vennero amministrate a Wittenberg. Esse avevano luogo dopo un esame della dottrina e della vita dei candidati e solo qualora vi fosse stata una chiamata al servizio di una particolare comunità. Tuttavia l’ordinazione non veniva attuata nella comunità che chiamava, ma centralmente a Wittenberg, dal momento che l’ordinazione era un’ordinazione a servizio di tutta la Chiesa.  

168. Le ordinazioni venivano compiute con la preghiera e l’imposizione delle mani. Come risulta evidente sia dalla preghiera introduttiva – che Dio mandi operai nella sua messe (cf. Mt 9,38) – sia dalla preghiera allo Spirito Santo, Dio è in realtà l’unico artefice dell’ordinazione. Nell’ordinazione la chiamata di Dio abbraccia e coinvolge l’intera persona. Con la fiducia che la preghiera sarebbe stata ascoltata e accolta da Dio, l’incarico missionario veniva pronunciato con le parole di 1 Pietro 5,2-4.[lxii] In una delle formule di ordinazione si dice: «Il ministero della Chiesa è per tutte le Chiese gloriosa opera e importante, ed è dato e mantenuto da Dio solo».[lxiii]

169. Poiché la definizione che Lutero dava di un sacramento era più restrittiva di quanto fosse comune durante il Medioevo, e poiché egli percepiva il sacramento cattolico degli ordini sacri come principalmente al servizio della pratica del sacrificio della messa, egli smise di considerare l’ordinazione come un sacramento. Melantone, tuttavia, affermò nell’Apologia della Confessione di Augusta: «Ma se l’ordine venisse inteso a partire dal ministero della Parola, noi lo definiremmo, senza problemi, un sacramento. Il ministero della Parola, infatti, ha dalla sua un comandamento di Dio e possiede sublimi promesse. In Rm 1 [v. 16]: “Il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede”. Similmente, in Is 55 [v. 11], “La parola che esce dalla mia bocca non ritornerà a me vuota, ma farà tutto quello che io ho voluto”, ecc. Se l’ordine venisse inteso in questo modo, noi non ci opporremmo a che venga chiamato sacramento l’imposizione delle mani. La Chiesa possiede, infatti, il mandato di istituire dei ministri, cosa di cui dobbiamo essere grandemente riconoscenti, dal momento che sappiamo che Dio approva questo ministero e che è presente in esso».[lxiv]

L’ufficio del vescovo

170. Poiché i vescovi si rifiutavano di ordinare candidati simpatizzanti della Riforma, i riformatori amministrarono l’ordinazione per mezzo di presbiteri (pastori). Nell’articolo 28, la Confessione di Augusta si rammarica del rifiuto dei vescovi di ordinare. Questo costrinse i riformatori a scegliere tra conservare l’ordinazione in capo ai vescovi ed essere fedeli a ciò che consideravano la verità del Vangelo.  

171. I riformatori furono in grado di amministrare l’ordinazione presbiterale perché avevano imparato dalle Sentenze di Pietro Lombardo che i canoni della Chiesa, tra gli ordini maggiori, riconoscevano solamente due ordini sacramentali, il diaconato e il presbiterato, e che, secondo l’interpretazione che era diffusa nel Medioevo, la consacrazione a vescovo non impartiva di per sé alcun carattere sacramentale.[lxv] I riformatori facevano esplicito riferimento a una lettera di Girolamo, il quale era convinto che secondo il Nuovo Testamento gli uffici del presbitero e del vescovo erano uguali, tranne che per il fatto che il vescovo aveva il diritto di ordinare. Come i riformatori rilevarono, questa lettera al presbitero Evangelo era stata inserita nel Decretum Gratiani.[lxvi]

172. Lutero e i riformatori misero in evidenza che vi è un solo ministero ordinato, un ufficio che ha il compito di annunciare pubblicamente il Vangelo e di amministrare i sacramenti, i quali sono per loro stessa natura eventi pubblici. Tuttavia sin dall’inizio si stabilì una differenziazione nell’ufficio. Dopo le prime visite pastorali si sviluppò l’ufficio del sovrintendente, che ebbe lo speciale compito di esercitare una sorveglianza sui pastori. Scriveva Filippo Melantone nel 1535: «Poiché nella Chiesa sono necessari uomini che dirigano, i quali esamineranno e ordineranno coloro che sono chiamati all’ufficio ecclesiale, la legge della Chiesa osserva ed esercita una sorveglianza sull’insegnamento dei preti. E se non vi dovessero essere vescovi, nondimeno bisognerebbe crearli».[lxvii]

Preoccupazioni cattoliche riguardo al sacerdozio universale e all’ordinazione

173. La dignità e la responsabilità di tutti i battezzati nella vita e per la vita della Chiesa non vennero messe adeguatamente in rilievo nel periodo tardo medievale. Fu solo con il concilio Vaticano II che il magistero presentò una teologia della Chiesa intesa come il popolo di Dio e affermò che «vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo» (LG 32; EV 1/366).  

174. Entro questo quadro, il Concilio ha elaborato il concetto del sacerdozio dei battezzati e ha affrontato la relazione di quest’ultimo con il sacerdozio ministeriale. Secondo la teologia cattolica al ministro ordinato viene sacramentalmente conferita l’autorità di agire nel nome di Cristo come pure nel nome della Chiesa.  

175. La teologia cattolica è convinta che l’ufficio del vescovo apporti un contributo indispensabile all’unità della Chiesa. I cattolici sollevano la questione di come, senza l’ufficio episcopale, l’unità della Chiesa possa essere mantenuta in momenti di conflitto. Essi si sono anche preoccupati del fatto che la particolare dottrina di Lutero sul sacerdozio universale non abbia mantenuto in maniera adeguata le strutture gerarchiche della Chiesa, che sono considerate istituite da Dio stesso.  

Il dialogo luterano-cattolico sul ministero

176. Il dialogo cattolico-luterano ha identificato numerosi punti in comune così come numerose differenze nella teologia e nella forma istituzionale dei ministeri ordinati; tra esse l’ordinazione delle donne, oggi praticata da molte Chiese luterane. Una delle questioni aperte è se la Chiesa cattolica possa riconoscere il ministero delle Chiese luterane. Insieme luterani e cattolici possono analizzare il rapporto tra la responsabilità di proclamare la Parola e amministrare i sacramenti e il ministero di coloro che sono ordinati per questa funzione. Insieme essi possono elaborare le distinzioni tra compiti come l’episkope e i ministeri locali e quelli regionali esercitati in ambiti più ampi.

 

Concezioni comuni del ministero

Il sacerdozio dei battezzati

177. Si pone il problema di come i compiti specifici dei ministri ordinati sono posti correttamente in relazione con il sacerdozio universale di tutti i credenti battezzati. Il documento di studio The apostolicity of the Church (L’apostolicità della Chiesa) afferma: «Cattolici e luterani concordano sul fatto che tutti i battezzati che credono in Cristo partecipano del sacerdozio di Cristo e sono perciò investiti dell’autorità di proclamare “le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1 Pt2,9). Pertanto a nessun membro manca un ruolo da svolgere nella missione dell’intero corpo» (The apostolicity of the Church, Lutheran University Press, Minneapolis 2006, 273).  

L’origine divina del ministero

178. Nella comprensione del ministero ordinato vi è una convinzione unanime riguardo alla sua origine divina: «Cattolici e luterani affermano insieme che Dio stesso ha istituito il ministero e che esso è necessario per l’esistenza della Chiesa, dal momento che la parola di Dio e la sua proclamazione pubblica nella parola e nel sacramento sono necessarie perché la fede in Gesù Cristo sia suscitata e preservata e, insieme a questo, perché la Chiesa si formi e sia preservata come insieme dei credenti che formano il corpo di Cristo nell’unità della fede» (The apostolicity, 276).  

Ministero della Parola e del sacramento

179. The apostolicity of the Church identifica la proclamazione del Vangelo come il compito fondamentale dei ministri ordinati, sia per i luterani che per i cattolici: «I ministri ordinati hanno un compito speciale all’interno della missione della Chiesa nel suo complesso» (The apostolicity, 274). Sia per i cattolici sia per i luterani, «il dovere e l’intento fondamentale del ministro ordinato è il servizio comunitario della parola di Dio, il Vangelo di Gesù Cristo, che il Dio uno e trino ha incaricato la Chiesa di annunciare a tutto il mondo. Ogni ministero e ogni ministro devono essere valutati in rapporto con questo incarico» (The apostolicity, 274).  

180. Questo accento sul compito ministeriale dell’annuncio del Vangelo è comune ai cattolici e ai luterani (cf. The apostolicity, 247, 255, 257, 274). I cattolici pongono l’origine del ministero presbiterale nell’annuncio del Vangelo. Il decreto sul ministero e la vita dei presbiteri (Presbyterorum ordinis) dichiara: «Il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della parola del Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti. Dato infatti che nessuno può essere salvo se prima non ha creduto, i presbiteri, nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno anzitutto il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio» (PO 4, in EV 1/1250, citato in The apostolicity, 247). «I cattolici dichiarano anche che è compito dei ministri ordinati radunare insieme il popolo di Dio per mezzo della parola di Dio, e annunciarla a tutti così che essi possano credere» (The apostolicity, 274). Similmente la concezione dei luterani è che «il ministero ha il suo fondamento e il suo criterio nel compito dell’annuncio del Vangelo all’intera comunità in modo così convincente che sia risvegliata e resa possibile la certezza della fede» (The apostolicity, 255).  

181. Luterani e cattolici concordano anche sulla responsabilità della guida da parte del ministero ordinato riguardo all’amministrazione dei sacramenti. I luterani affermano che «il Vangelo conferisce a coloro che presiedono alle Chiese l’incarico di annunciare il Vangelo, perdonare i peccati e amministrare i sacramenti » (The apostolicity, 274).[lxviii] I cattolici dichiarano inoltre che i sacerdoti hanno il compito di amministrare i sacramenti, che essi considerano «strettamente uniti alla sacra eucaristia» e orientati a essa in quanto «fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione» (PO 5, in EV 1/1253, citato in The apostolicity, 274).  

182. The apostolicity of the Church commenta inoltre: «È degna di nota la similarità che c’è tra le descrizioni delle funzioni ministeriali dei presbiteri e quelle dei vescovi. Lo stesso modello del triplice ufficio – annuncio, liturgia, guida pastorale – è usato per vescovi e presbiteri, e nella vita concreta della Chiesa proprio questi ultimi pongono in atto l’esercizio ordinario di queste funzioni mediante le quali la Chiesa viene edificata, mentre i vescovi hanno la funzione di supervisione sulla dottrina e di cura della comunione tra le comunità locali. I presbiteri esercitano, comunque, il loro ministero in subordinazione ai vescovi e in comunione con essi» (The apostolicity, 248).  

Rito dell’ordinazione

183. Riguardo all’ordinazione a questo speciale ufficio esiste la seguente consonanza: «Il conferimento dell’incarico di questo ministero avviene per mezzo dell’ordinazione, nella quale un cristiano è chiamato e investito dell’autorità, mediante la preghiera e l’imposizione delle mani, di esercitare il ministero della pubblica predicazione del Vangelo in parola e sacramento. Tale preghiera è una supplica di ricevere lo Spirito Santo e i doni dello Spirito, elevata nella certezza che sarà ascoltata» (The apostolicity, 277).  

Ministero locale e regionale

184. Luterani e cattolici possono affermare insieme che differenziare il ministero «in uno più locale e uno più regionale nasce di necessità dall’intenzione e dal compito del ministero di essere un ministero di unità nella fede» (The apostolicity, 279). Nelle Chiese luterane il compito dell’episkope è inteso in varie forme. Coloro che esercitano un ministero a livello più ampio rispetto alla comunità locale vengono indicati in alcune regioni con titoli diversi da quello di «vescovo», come ad esempio eforo, presidente di Chiesa, sovrintendente o pastore sinodale. I luterani ritengono che il ministero dell’episkope sia anche esercitato non solo individualmente ma pure in altre forme, come i sinodi, a cui partecipano insieme membri sia ordinati che non ordinati.[lxix]

Apostolicità

185. Anche se i cattolici e i luterani intendono in maniera differente le proprie strutture ministeriali come preposte a trasmettere l’apostolicità della Chiesa, essi concordano sul fatto che «la fedeltà al Vangelo apostolico ha la priorità nell’interazione di traditio, successio communio» (The apostolicity, 291). Gli uni e gli altri concordano sul fatto che «la Chiesa è apostolica sulla base della fedeltà al Vangelo degli apostoli» (The apostolicity, 292). Questo accordo ha delle conseguenze per il riconoscimento cattolico del fatto che le persone «che esercitano l’ufficio della sorveglianza che nella Chiesa cattolica romana è attuato dai vescovi» hanno anche «una speciale responsabilità nei riguardi dell’apostolicità della dottrina nelle loro Chiese», e perciò non possono essere escluse dalla «cerchia di coloro il cui consenso è, secondo la visione cattolica, il segno dell’apostolicità della dottrina » (The apostolicity, 291).

Il servizio alla Chiesa universale

186. I luterani e i cattolici concordano sul fatto che il ministero è al servizio della Chiesa universale. I luterani «presuppongono che la comunità radunata per il culto stia in una relazione essenziale con la Chiesa universale» e che questa relazione sia intrinseca alla comunità che celebra il culto, non qualcosa di aggiunto a essa (The apostolicity, 285). Anche se i vescovi cattolici romani «esercitano il loro governo pastorale sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese né sopra la Chiesa universale», ogni vescovo è tenuto «ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine» (LG 23; EV 1/339). Il vescovo di Roma in virtù del suo ufficio è «pastore di tutta la Chiesa» (LG 22; EV 1/337).  

 

Differenze nella comprensione del ministero

L’episcopato

187. Permangono differenze rilevanti riguardo alla comprensione del ministero nella Chiesa. The apostolicity of the Church riconosce che per i cattolici l’episcopato è la forma piena del ministero ordinato e, di conseguenza, il punto di partenza dell’interpretazione teologica del ministero ecclesiale. Il documento cita Lumen gentium, n.21: «Insegna il santo Concilio che con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine (…) [che] conferisce pure, con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare, i quali però per loro natura non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e colle membra del collegio» (EV 1/335, citato in The apostolicity, 243).

188. Il concilio Vaticano II ha riaffermato la concezione «che i vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli apostoli, quali pastori della Chie sa: chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo» (LG 20; EV 1/333). Nondimeno è dottrina cattolica «che un singolo vescovo non sia in successione apostolica in virtù del suo essere parte di una catena storicamente documentabile e ininterrotta di imposizioni delle mani attraverso i suoi predecessori risalendo fino a uno degli apostoli», ma che sia invece «in comunione con tutto l’ordine dei vescovi il quale, nel suo complesso, succede al collegio apostolico e alla sua missione» (The apostolicity, 291).  

189. Questa prospettiva sul ministero, che comincia con l’episcopato, rappresenta un cambiamento rispetto all’accento che il concilio di Trento aveva posto sul sacerdozio e sottolinea l’importanza del tema della successione apostolica, anche se la Lumen gentiumponeva in evidenza l’aspetto ministeriale di questa successione senza negarne la dimensione dottrinale, missionaria ed esistenziale (The apostolicity, 240). È per questo che i cattolici identificano la Chiesa locale con la diocesi, ritenendo che gli elementi essenziali della Chiesa devono essere la Parola, il sacramento e il ministero apostolico nella persona del vescovo (The apostolicity, 284).

Sacerdozio

190. I cattolici differiscono dai luterani nella loro interpretazione dell’identità sacramentale del sacerdote e del rapporto tra il sacerdozio sacramentale e il sacerdozio di Cristo; essi affermano che i sacerdoti sono «resi partecipi in modo speciale del sacerdozio di Cristo [in modo che] nelle sacre celebrazioni agiscono come ministri di colui che ininterrottamente esercita la sua funzione sacerdotale in favore nostro nella liturgia » (PO 5; EV 1/1252).  

Pienezza del segno sacramentale

191. Per i cattolici, le ordinazioni luterane sono prive della pienezza del segno sacramentale. Secondo la dottrina cattolica, «la pratica e la dottrina della successione apostolica nell’episcopato è, insieme al triplice ministero, parte della struttura integrale della Chiesa. Questa successione viene realizzata in una maniera collegiale in quanto i vescovi vengono assunti all’interno del collegio dei vescovi cattolici e quindi hanno il potere di ordinare. Di conseguenza, è dottrina cattolica anche che nelle Chiese luterane il segno sacramentale dell’ordinazione non sia pienamente presente perché coloro che conferiscono l’ordine non agiscono in comunione con il collegio episcopale cattolico. Perciò il concilio Vaticano IIparla di un defectus sacramenti ordinis (UR 22) in queste Chiese» (The apostolicity, 283).[lxx] 

Il ministero universale

192. Infine i cattolici e i luterani differiscono sia negli uffici che nell’autorità del ministero e della guida pastorale esercitata al di sopra del livello regionale. Per i cattolici il romano pontefice ha sulla Chiesa «una potestà piena, suprema e universale» (LG 22; EV 1/337). Anche il collegio dei vescovi esercita una potestà piena e suprema sulla Chiesa universale «insieme col suo capo il romano pontefice, e mai senza di esso» (ivi). The apostolicity of the Church osserva che vi sono varie concezioni tra i luterani riguardo alla «competenza degli organi di direzione oltre il livello delle singole Chiese e alla forza vincolante delle loro decisioni» (The apostolicity, 287).

Considerazioni

193. Nel dialogo si è spesso rilevato che il rapporto dei vescovi con i presbiteri agli inizi del XVI secolo non era inteso come fu inteso successivamente dal concilio Vaticano II. L’ordinazione presbiterale al tempo della Riforma dovrebbe quindi essere considerata in riferimento alle condizioni di quel periodo. È significativo anche il fatto che i compiti dei titolari cattolici e luterani di un ufficio coincidessero ampiamente tra loro.

194. Nel corso della storia l’ufficio ministeriale luterano è stato in grado di adempiere al suo compito di mantenere la Chiesa nella verità, così che quasi 500 anni dopo l’inizio della Riforma è stato possibile attestare un consenso cattolico-luterano sulle verità fondamentali della dottrina della giustificazione. Se, secondo il giudizio del concilio Vaticano II, lo Spirito Santo si serve delle «comunità ecclesiali» come mezzi di salvezza, sembra si possa dire che quest’opera dello Spirito abbia delle implicazioni per un qualche riconoscimento reciproco del ministero. Pertanto l’ufficio del ministero presenta a un tempo sia notevoli ostacoli a una comprensione comune, sia anche prospettive incoraggianti per una riconciliazione.[lxxi]

 

Scrittura e Tradizione

Concezione di Lutero sulle scritture, la loro interpretazione e le tradizioni umane

195. La controversia che scoppiò in relazione alla diffusione delle 95 tesi di Lutero sulle indulgenze sollevò molto rapidamente la questione di quali fossero le autorità a cui ci si può fare appello in tempo di conflitto. Il teologo della corte papale Silvestro Mazzolini da Prierio sostenne nella sua prima risposta alle tesi di Lutero sulle indulgenze: «Chiunque non si attenga alla dottrina della Chiesa romana e al magistero del papa in quanto infallibile regola di fede da cui anche la sacra Scrittura deriva la sua forza e la sua autorità, è un eretico».[lxxii] E Johannes Eck replicò a Lutero: «La Scrittura non è autentica senza l’autorità della Chiesa».[lxxiii] Il conflitto passò molto rapidamente da una controversia su questioni dottrinali (la giusta interpretazione delle indulgenze, della penitenza e dell’assoluzione) a una controversia sull’autorità nella Chiesa. In casi di conflitto tra autorità diverse, Lutero poteva considerare solo la Scrittura come giudice di ultima istanza, perché si era dimostrata un’autorità efficace e potente, mentre le altre autorità traevano semplicemente da essa la loro forza.  

196. Lutero considerava la Scrittura come il principio primo (primum principium),[lxxiv] sul quale tutte le affermazioni teologiche devono direttamente o indirettamente fondarsi. Come professore, predicatore, consigliere e partner di dialoghi, egli praticava la teologia come interpretazione coerente e complessa della Scrittura. Era convinto che i comuni cristiani e i teologi dovessero non solo attenersi alla Scrittura, ma anche vivere e rimanere in essa. Egli la chiamava «la matrice di Dio nella quale egli ci concepisce, ci porta in grembo e ci dà alla luce».[lxxv]

197. Il giusto modo per studiare la teologia, secondo Lutero, è un processo che si compone di tre fasi: oratio (preghiera), meditatio (meditazione) e tentatio (sofferenza o prova).[lxxvi]Invocando lo Spirito Santo perché sia lui il maestro, si dovrebbe leggere la Scrittura alla presenza di Dio, in preghiera, e meditando nel contempo sulle parole della Bibbia, si dovrebbe essere attenti alle situazioni della vita che spesso sembrano contraddire quello che là viene trovato. Attraverso questo processo, la Scrittura dimostra la sua autorità vincendo quelle tentazioni. Come disse Lutero, «prestate attenzione al fatto che la forza della Scrittura sta in questo: che non viene cambiata in colui che la studia, ma che essa trasforma assimilandolo a sé e alla sua forza colui che la ama».[lxxvii] In questo contesto esperienziale diventa ovvio che una persona non solo interpreta la Scrittura ma viene anche interpretata da essa, e questo è ciò che dimostra la sua potenza e la sua autorità.

198. La Scrittura rende testimonianza alla rivelazione di Dio; quindi un teologo dovrebbe seguire con attenzione il modo in cui la rivelazione di Dio è espressa nei libri biblici (modus loquendi Scripturae), altrimenti la rivelazione di Dio non sarebbe pienamente considerata. Le molteplici voci della Scrittura sono integrate in un insieme unitario mediante il loro riferimento a Gesù Cristo: «Togliete Cristo dalle Scritture, e cos’altro vi troverete?».[lxxviii]In tal modo «quello che insegna Cristo» (was Christum treibet) è il criterio col quale affrontare il problema della canonicità e dei limiti del canone. È un criterio sviluppato dalla Scrittura stessa e, in alcuni casi, applicato in maniera critica a libri particolari, come la Lettera di Giacomo.  

199. Lutero stesso solo di rado usò l’espressione «sola Scriptura». La sua preoccupazione primaria fu che nulla potesse rivendicare un’autorità più alta della Scrittura, ed egli si rivoltò con la più grande severità contro chiunque e qualsiasi cosa alterasse o sostituisse le affermazioni della Scrittura. Ma anche quando asseriva l’autorità della sola Scrittura, egli non leggeva la Scrittura da sola, ma lo faceva con riferimenti a contesti particolari e in relazione alle professioni di fede cristologiche e trinitarie della Chiesa antica, che per lui esprimevano l’intento e il significato della Scrittura. Continuò ad apprendere la Scrittura attraverso il Piccolo e il Grande catechismo, che egli considerava come brevi sintesi della Scrittura, e svolse la propria interpretazione facendo riferimento ai padri della Chiesa, in special modo Agostino. Fece anche ampio uso di altre interpretazioni più antiche e attinse a tutti gli strumenti disponibili della filologia umanistica. Elaborò la propria interpretazione della Scrittura in diretto dibattito con le concezioni teologiche del suo tempo e con quelle delle generazioni precedenti. La sua lettura della Bibbia era basata sul l’esperienza e praticata coerentemente all’interno della comunità dei credenti.  

200. Secondo Lutero la sacra Scrittura non si contrappone all’intera tradizione, ma solo alle cosiddette tradizioni umane. Di queste egli dice: «Noi deploriamo le dottrine degli uomini non perché degli uomini le abbiano pronunciate, ma perché non sono altro che menzogne e bestemmie contro le Scritture. E le Scritture, benché siano state scritte anch’esse da uomini, non sono né di uomini né da uomini ma da Dio».[lxxix] Quando Lutero valutava un’altra autorità, la questione decisiva per lui era se questa autorità oscura la Scrittura o ne coglie il messaggio e, in tal modo, lo rende significativo in un particolare contesto. Grazie alla sua chiarezza esteriore, il significato della Scrittura può essere individuato; grazie alla potenza dello Spirito Santo, la Scrittura può convincere il cuore umano della propria verità, la chiarezza interiore della Scrittura. In questo senso la Scrittura è interprete di se stessa.

Preoccupazioni cattoliche sulla Scrittura, le tradizioni e l’autorità

201. In un periodo in cui nascevano nuovi interrogativi riguardo al discernimento delle tradizioni e all’autorità di interpretare la Scrittura, il concilio di Trento e i teologi dell’epoca cercarono di dare una risposta equilibrata. L’esperienza cattolica era che la vita ecclesiale è arricchita e determinata da vari fattori riducibili alla sola Scrittura. Il concilio identificò la Scrittura e le tradizioni apostoliche non scritte come due mezzi per trasmettere il Vangelo. Questo richiede di distinguere le tradizioni apostoliche dalle tradizioni della Chiesa, le quali sono valide, ma secondarie e variabili. I cattolici erano anche preoccupati per il potenziale pericolo di conclusioni dottrinali tratte da interpretazioni bibliche private. Alla luce di questo, il concilio di Trento asserì che l’interpretazione delle Scritture doveva essere guidata dall’autorità magisteriale della Chiesa.  

202. Studiosi cattolici come Melchior Cano svilupparono l’idea che valutare l’autorità degli insegnamenti della Chiesa è un’operazione complessa. Cano elaborò un sistema di dieci loci, o fonti teologiche, trattando in successione l’autorità della Scrittura, la tradizione orale, la Chiesa cattolica, i concili, i padri della Chiesa, i teologi scolastici, il valore della natura, la ragione come si manifesta nella scienza, l’autorità dei filosofi e l’autorità della storia. Infine esaminò l’uso e l’applicazione di questi loci o fonti nel dibattito scolastico o nelle polemiche teologiche.[lxxx]

203. Durante i secoli successivi, tuttavia, vi fu la tendenza a isolare dagli altri loci teologici il magistero come autorità interpretativa vincolante. A volte le tradizioni ecclesiastiche vennero confuse con le tradizioni apostoliche e vennero perciò trattate come fonti materiali equivalenti per la fede cristiana. Vi fu anche riluttanza a riconoscere la possibilità di criticare le tradizioni ecclesiastiche. La teologia del concilio Vaticano II, nel complesso, presenta una visione più equilibrata delle diverse autorità presenti nella Chiesa e della relazione che intercorre fra la Scrittura e la tradizione. In Dei verbum n.10, un testo magisteriale afferma per la prima volta che la funzione magisteriale della Chiesa «non è superiore alla parola di Dio ma la serve» (EV 1/887).  

204. Il ruolo della sacra Scrittura nella vita della Chiesa viene sottolineato con forza quando il concilio Vaticano II dichiara: «Nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale».[lxxxi] Pertanto i fedeli vengono esortati a praticare la lettura della Scrittura, in cui Dio parla a essi, lettura che deve essere accompagnata dalla preghiera (DV 25).  

205. Il dialogo ecumenico aiuta luterani e cattolici ad arrivare a una visione più differenziata dei distinti punti di riferimento e delle specifiche autorità che hanno un ruolo nel processo di comprensione di ciò che significa fede cristiana e di come essa dovrebbe dare forma alla vita della Chiesa.  

Il dialogo luterano-cattolico su Scrittura e Tradizione

206. Come conseguenza del rinnovamento biblico che ispirò la costituzione dogmatica Dei verbum del concilio Vaticano II, è divenuta possibile una comprensione ecumenica nuova del ruolo e dell’importanza della sacra Scrittura. Come afferma il documento ecumenico The apostolicity of the Church, «la dottrina cattolica, quindi, non contiene ciò che la teologia della Riforma teme e che a tutti i costi vuole evitare, e cioè una derivazione dell’autorità biblica come canonica e vincolante dall’autorità della gerarchia della Chiesa che rende noto il canone» (The apostolicity, 400).

207. Nel dialogo i cattolici hanno posto l’accento sulle convinzioni che essi hanno in comune con la Riforma, come l’efficacia del testo biblico ispirato dallo Spirito «nel trasmettere le verità rivelate che formano le menti e i cuori, come affermato in 2 Tm 3,16 e dichiarato dalconcilio Vaticano II (DV 21-25)» (The apostolicity, 409). I cattolici aggiungono che «questa efficacia è stata operativa nella Chiesa nel corso del tempo, non solo in singoli credenti ma anche nella tradizione ecclesiale, sia in espressioni dottrinali ad alto livello, come la regola della fede, le professioni di fede e il magistero conciliare, sia nelle principali strutture della liturgia comunitaria (…). La Scrittura si è resa presente nella tradizione, che è quindi in grado di svolgere un essenziale ruolo ermeneutico. Il concilio Vaticano II non dice che la tradizione dà origine a nuove verità oltre la Scrittura, ma che essa esprime la certezza circa la rivelazione attestata dalla Scrittura» (The apostolicity, 410).  

208. Un frutto del dialogo ecumenico è, per la teologia luterana, la sua apertura verso la convinzione cattolica che l’efficacia della Scrittura è operante non solo nei singoli individui, ma anche nella Chiesa nella sua interezza. Ne è prova il ruolo che hanno le Confessioni luterane nelle Chiese luterane.  

Scrittura e tradizione

209. Oggi il ruolo e l’importanza della sacra Scrittura e della tradizione sono dunque intesi in maniera differente nella Chiesa cattolica romana rispetto a come li intendevano gli avversari teologici di Lutero. Riguardo alla questione dell’interpretazione autentica della Scrittura, i cattolici hanno spiegato che «quando la dottrina cattolica sostiene che il “giudizio della Chiesa” svolge un ruolo importante nell’interpretazione autentica della Scrittura, essa non attribuisce al magistero della Chiesa un monopolio sull’interpretazione, che i seguaci della Riforma giustamente temono e rifiutano. Prima della Riforma, figure di primo piano avevano indicato la pluralità ecclesiale degli interpreti (…). Quando il concilio Vaticano II afferma che il “modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa” (DV 12), esso evita chiaramente una pretesa monopolistica riguardo al fatto che il magistero sia l’unico organo di interpretazione, cosa che è confermata sia dalla secolare promozione ufficiale di studi biblici cattolici, sia dal riconoscimento in DV 12 del ruolo dell’esegesi nella maturazione dell’insegnamento magisteriale» (The apostolicity, 407).  

210. In tal modo luterani e cattolici sono in grado di concludere congiuntamente: «Perciò riguardo alla Scrittura e alla tradizione luterani e cattolici sono a un livello così ampio di accordo, che le loro differenti accentuazioni di per sé non richiedono di mantenere l’attuale separazione delle Chiese. In questo ambito vi è unità in una diversità riconciliata» (The apostolicity, 448).[lxxxii]

Guardare avanti: il Vangelo e la Chiesa

211. Oltre a offrire ai cattolici una comprensione migliore della teologia di Martin Lutero, il dialogo ecumenico, insieme alle ricerche storiche e teologiche, dona sia ai luterani sia ai cattolici una migliore comprensione delle rispettive dottrine, dei loro maggiori punti di accordo e delle questioni che hanno ancora bisogno di ulteriore confronto. Il tema della Chiesa è stato un argomento importante in queste discussioni.  

212. La natura della Chiesa fu un tema dibattuto al tempo della Riforma. La questione principale era costituita dal rapporto tra l’azione salvifica di Dio e la Chiesa, che riceve e insieme comunica la grazia di Dio nella Parola e nel sacramento. Il rapporto tra il Vangelo e la Chiesa è stato il tema della prima fase del dialogo internazionale luterano - cattolico romano. Grazie al Rapporto di Malta, come pure ad altri successivi documenti ecumenici, oggi è possibile comprendere meglio le posizioni luterane e cattoliche e identificare sia le concezioni comuni sia le questioni che richiedono ulteriori riflessioni.  

La Chiesa nella tradizione luterana

213. Nella tradizione luterana, la Chiesa è intesa come «l’assemblea dei santi nella quale si insegna il Vangelo nella sua purezza e si amministrano correttamente i sacramenti» (Confessione di Augusta, VII). Ciò significa che la vita spirituale è incentrata sulla comunità locale riunita intorno al pulpito e all’altare. Questo include la dimensione della Chiesa universale, dal momento che ciascuna singola comunità è connessa con le altre mediante una predicazione pura e una corretta celebrazione dei sacramenti, per i quali è istituito il ministero nella Chiesa. Bisognerebbe ricordare che Lutero nel suo Grande catechismo chiamò la Chiesa «la madre che concepisce e porta in grembo ogni cristiano mediante la parola di Dio, che lo Spirito Santo rivela e inculca (…). Lo Spirito Santo rimane presso la santa comunità [Gemeine] o cristianità sino all’ultimo giorno, ci sostiene mediante essa e la utilizza per portare e inculcare la Parola».[lxxxiii]

La Chiesa nella tradizione cattolica

214. L’insegnamento del concilio Vaticano II nella Lumen gentium è essenziale per comprendere la concezione cattolica della Chiesa. I padri conciliari hanno spiegato il ruolo della Chiesa all’interno della storia della salvezza in termini di sacramentalità: «La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1; EV 1/284).  

215. Un concetto basilare per spiegare questa visione sacramentale della Chiesa sta nella nozione di mistero e afferma l’inscindibile relazione tra gli aspetti visibili e invisibili della Chiesa. I padri conciliari hanno insegnato che «Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia. Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino» (LG 8; EV 1/304). 

Verso il consenso

216. Nei dialoghi luterano-cattolici è emerso un chiaro consenso sul fatto che la dottrina della giustificazione e la dottrina sulla Chiesa vanno di pari passo. Questa comprensione comune è affermata nel documento Chiesa e giustificazione: «Cattolici e luterani confessano unanimemente la salvezza, offerta solo in Cristo e solo per grazia e ricevuta nella fede. Insieme, essi pregano nel Credo: Crediamo “la Chiesa, una, santa, cattolica/universale e apostolica”. La giustificazione del peccatore e la Chiesa sono articoli di fede fondamentali» (Chiesa e giustificazione, n.4; EO 3/1234).

217. Chiesa e giustificazione inoltre afferma: «In senso stretto, noi non crediamo nella giustificazione e nella Chiesa, ma nel Padre, che ci usa misericordia e ci raduna nella Chiesa come suo popolo, in Cristo, che ci giustifica e il cui corpo è la Chiesa, e nello Spirito Santo, che ci santifica e che vive nella Chiesa. La nostra fede si estende alla giustificazione e alla Chiesa come opere del Dio trinitario che possono essere debitamente ricevute solo nella fede in lui» (Chiesa e giustificazione, n.5; EO 3/1235).  

218. Anche se i documenti Chiesa e giustificazione e Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione hanno apportato significativi contributi a un certo numero di questioni irrisolte tra cattolici e luterani, sono ancora necessari ulteriori dialoghi ecumenici su: il rapporto tra la visibilità e l’invisibilità della Chiesa, la relazione tra la Chiesa universale e la Chiesa locale, la Chiesa come sacramento, la necessità dell’ordinazione sacramentale nella vita della Chiesa e il carattere sacramentale della consacrazione episcopale. Le future discussioni dovranno tener conto del considerevole lavoro già compiuto in questi e in altri importanti documenti. Questo compito è molto urgente dal momento che cattolici e luterani non hanno mai cessato di confessare unanimemente la fede nella «Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». 

 

V.  Chiamati a una commemorazione comune

Il battesimo: il fondamento dell’unità e della commemorazione comune

219. La Chiesa è il corpo di Cristo. Come vi è un solo Cristo, così egli ha anche un solo corpo. Attraverso il battesimo gli esseri umani sono resi membri di questo corpo.  

220. Il concilio Vaticano II insegna che coloro che sono stati battezzati e credono in Cristo, ma non fanno parte della Chiesa cattolica romana, sono stati «giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore».[lxxxiv] I cristiani luterani affermano lo stesso principio riguardo ai loro fratelli cristiani cattolici.  

221. Dal momento che cattolici e luterani sono connessi gli uni con gli altri nel corpo di Cristo in quanto sue membra, vale dunque per loro quanto Paolo dice in 1 Corinzi 12,26: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui». Ciò che riguarda un membro del corpo riguarda anche tutte le altre membra. Per questa ragione, quando ricordano gli eventi che hanno portato alla peculiare costituzione delle loro Chiese, i cristiani luterani non vogliono farlo senza i loro fratelli cristiani cattolici. Nel commemorare insieme gli inizi della Riforma, essi prendono sul serio il loro battesimo.  

222. Poiché ritengono di appartenere allo stesso e unico corpo di Cristo, i luterani pongono l’accento sul fatto che la loro Chiesa non ha avuto origine con la Riforma né è nata solo 500 anni fa. Piuttosto sono convinti che le Chiese luterane abbiano la loro origine nell’evento della Pentecoste e nell’annuncio del Vangelo da parte degli apostoli. Le loro Chiese, tuttavia, hanno assunto la loro forma particolare attraverso l’insegnamento e gli sforzi dei riformatori. I riformatori non furono animati dal desiderio di fondare una nuova Chiesa, e secondo la loro propria visione non lo fecero. Essi volevano riformare la Chiesa e riuscirono a farlo all’interno del loro campo di influenza, sebbene con errori e passi falsi.  

Prepararsi alla commemorazione

223. In quanto membri dello stesso corpo, cattolici e luterani ricordano insieme gli eventi della Riforma che portarono alla situazione oggettiva per cui da allora in poi essi sono vissuti in comunità separate, pur appartenendo ancora allo stesso corpo. Questa è una possibilità impossibile, ed è fonte di grande sofferenza. Poiché appartengono a uno stesso corpo, cattolici e luterani tendono nonostante la loro separazione verso la piena universalità della Chiesa. Questa tensione ha due aspetti: il riconoscimento di ciò che hanno in comune e li unisce, e il riconoscimento di ciò che li divide. Il primo aspetto è motivo di gratitudine e gioia; il secondo è motivo di sofferenza e rammarico.  

224. Nel 2017, quando i cristiani luterani celebrano l’anniversario dell’inizio della Riforma, non per questo festeggiano la divisione della Chiesa d’Occidente. Nessuno che sia teologicamente responsabile potrebbe celebrare la separazione reciproca tra cristiani.

Gioia condivisa nel Vangelo

225. I luterani sono grati nel loro cuore per quanto Lutero e gli altri riformatori hanno reso loro accessibile: la comprensione del Vangelo di Gesù Cristo e la fede in lui; l’accesso al mistero del Dio trinitario che dà se stesso a noi uomini in virtù della grazia e che può essere accolto solo confidando pienamente nella promessa divina; nella libertà e nella certezza che il Vangelo crea; nell’amore che deriva dalla fede e viene da essa risvegliato; nella speranza nella vita e nella morte che viene dalla fede; e nel contatto vivo con la sacra Scrittura, i catechismi e gli inni che introducono nella vita la fede. Il ricordo e la presente commemorazione aggiungeranno ulteriori ragioni per essere grati per tutte queste cose. Questa gratitudine è ciò che induce i cristiani luterani a volere le celebrazioni del 2017.  

226. I luterani comprendono anche che ciò per cui stanno ringraziando Dio non è un dono che essi possono rivendicare solo per sé stessi. Essi desiderano condividere questo dono con tutti gli altri cristiani. Per questa ragione invitano tutti i cristiani a celebrare con loro. Come ha mostrato il capitolo precedente, cattolici e luterani hanno in comune una parte così ampia della fede che possono – e in effetti dovrebbero – essere grati insieme, specialmente nel giorno della commemorazione della Riforma.  

227. Tutto questo ridà forza a un impulso che venne espresso dal concilio Vaticano II: «È necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo talora sino all’effusione del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre mirabile e deve essere ammirato nelle sue opere» (UR 4; EV 1/515).  

Motivi di rammarico e di dolore

228. Se, da un lato, la commemorazione del 2017 dà voce ed espressione alla gioia e alla gratitudine, dall’altro deve anche lasciare spazio sia ai luterani sia ai cattolici per sperimentare il dolore per i fallimenti e le trasgressioni, la colpa e il peccato nelle persone e negli eventi che vengono ricordati.  

229. In questa occasione i luterani ricorderanno anche le brutali e umilianti dichiarazioni che Martin Lutero scagliò contro gli ebrei. Se ne vergognano e le deplorano profondamente. I luterani sono giunti a riconoscere con un profondo senso di rammarico la persecuzione degli anabattisti perpetrata da autorità luterane e il fatto che Martin Lutero e Filippo Melantone sostennero dal punto di vista teologico questa persecuzione. Deplorano i violenti attacchi di Lutero contro i contadini durante la Guerra dei contadini. La consapevolezza di questi lati oscuri di Lutero e della Riforma ha acceso in diversi teologi luterani un atteggiamento critico e autocritico nei confronti di Lutero e della Riforma di Wittenberg. Pur concordando in parte con le critiche che Lutero mosse al papato, i luterani tuttavia oggi rifiutano l’identificazione che Lutero fece del papa con l’Anticristo.  

La preghiera per l’unità

230. Poiché Gesù Cristo prima di morire pregò il Padre «perché siano una cosa sola», è evidente che una divisione del corpo di Cristo è contraria alla volontà del Signore. Essa contraddice anche l’esplicito monito apostolico che leggiamo in Efesini 4,3-6: cercate di «conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti». La divisione del corpo di Cristo è contraria alla volontà di Dio.  

Valutare il passato

231. Quando cattolici e luterani ricordano insieme, da questa prospettiva, le controversie teologiche e gli eventi del XVI secolo, devono considerare le circostanze di quel secolo. Luterani e cattolici non possono essere incolpati per tutto quello che accadde, dal momento che alcuni eventi del Cinquecento furono al di fuori del loro controllo. Allora le convinzioni teologiche e il potere politico erano spesso intrecciati tra loro. Molti politici spesso usavano idee teologiche autentiche per raggiungere i loro fini, mentre molti teologi promuovevano le loro opinioni teologiche attraverso mezzi politici. In questa complessa arena dai molteplici fattori è difficile attribuire a singoli individui la responsabilità degli effetti di specifiche azioni e individuarli come i colpevoli.  

232. Le divisioni che avvennero nel XVI secolo si radicavano in differenti concezioni della verità della fede cristiana ed erano particolarmente controverse, dal momento che si riteneva che fosse in gioco la salvezza. Da entrambe le parti, le persone avevano convinzioni teologiche che non potevano abbandonare. Non si deve incolpare qualcuno per aver seguito la propria coscienza quando questa è formata dalla parola di Dio e ha raggiunto i suoi giudizi dopo serie deliberazioni insieme ad altri.  

233. Il modo in cui i teologi presentavano le loro convinzioni teologiche nella battaglia per guadagnare il sostegno dell’opinione pubblica è tutt’altra questione. Nel XVI secolo i cattolici e i luterani spesso non solo fraintendevano, ma rappresentavano anche i loro avversari in modo esagerato e caricaturale per farli sembrare ridicoli, violando ripetutamente l’ottavo comandamento, che proibisce di rendere una falsa testimonianza contro il proprio prossimo. Anche se gli antagonisti erano a volte intellettualmente corretti nei rispettivi confronti, la loro disponibilità ad ascoltare l’altro e prendere sul serio i suoi argomenti fu insufficiente. I contendenti volevano confutare i loro avversari e vincere su di loro, spesso esacerbando deliberatamente i conflitti anziché cercare soluzioni prestando attenzione a ciò che essi avevano in comune. Pregiudizi e incomprensioni ebbero un ruolo importante nel modo di rappresentare l’altra parte. Si fabbricarono ostilità e le si tramandarono alla generazione successiva. Entrambe le parti hanno dunque tutte le ragioni per rammaricarsi e dolersi del modo in cui condussero i loro dibattiti. Sia luterani che cattolici hanno una colpa che va confessata apertamente nella memoria degli eventi di 500 anni fa.  

Confessione cattolica di peccati contro l’unità

234. Già nel suo messaggio alla Dieta imperiale di Norimberga, il 25 novembre 1522, papa Adriano VI si lamentò di abusi e violazioni, peccati ed errori nella misura in cui ne fossero responsabili autorità ecclesiastiche. Molto più tardi, nel secolo scorso, papa Paolo VI, nel suo discorso di apertura della seconda sessione del concilio Vaticano II, ha chiesto perdono a Dio e ai «fratelli» separati delle Chiese orientali. Questo gesto del papa ha trovato espressione nel Concilio stesso, soprattutto nel decreto sull’ecumenismo[lxxxv] e nella dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra aetate).[lxxxvi]

235. Nell’omelia quaresimale per la «Giornata del perdono», papa Giovanni Paolo IIsimilmente ha riconosciuto le colpe dei cristiani e ha elevato preghiere di perdono nel contesto del giubileo dell’anno 2000.[lxxxvii] Egli è stato il primo a non ripetere semplicemente le parole di pentimento del suo predecessore Paolo VI e dei padri conciliari riguardo alle memorie dolorose, ma a compiere anche dei gesti. Ha inoltre messo la richiesta di perdono in rapporto con il ministero del vescovo di Roma. Nella sua enciclica Ut unum sint ha accennato alla visita che aveva compiuto al Consiglio ecumenico delle Chiese, a Ginevra, il 12 giugno 1984, affermando che «la convinzione della Chiesa cattolica di aver conservato, in fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei padri, nel ministero del vescovo di Roma, il segno visibile e il garante dell’unità, costituisce una difficoltà per la maggior parte degli altri cristiani, la cui memoria è segnata da certi ricordi dolorosi». E poi aggiunse: «Per quello che ne siamo responsabili, con il mio predecessore Paolo VI imploro perdono».[lxxxviii] 

Confessione luterana di peccati contro l’unità

236. Alla sua V Assemblea di Evian, nel 1970, la Federazione luterana mondiale ha dichiarato, in risposta a una relazione profondamente toccante presentata dal card. Jan Willebrands, che «noi come cristiani luterani e comunità luterane [siamo] pronti a riconoscere che il giudizio che i riformatori hanno espresso sulla Chiesa cattolica romana e sulla sua teologia non era totalmente scevro da distorsioni polemiche, che in parte sono state perpetuate sino a oggi. Siamo sinceramente addolorati per le offese e le incomprensioni che questi elementi polemici hanno causato ai nostri fratelli cattolici romani. Ricordiamo con gratitudine la dichiarazione di papa Paolo VI al concilio Vaticano II, nella quale egli esprimeva la propria supplica di perdono per ogni offesa arrecata dalla Chiesa cattolica romana. Poiché, insieme a tutti cristiani, preghiamo per ottenere perdono nella preghiera che nostro Signore ci ha insegnato, sforziamoci di usare un linguaggio chiaro, onesto e benevolo in tutti i nostri colloqui».[lxxxix]

237. I luterani hanno anche confessato le loro colpe nei confronti di altre tradizioni cristiane. Alla sua XI Assemblea di Stoccarda, nel 2010, la Federazione luterana mondiale ha dichiarato che i luterani «sono pieni di un profondo sentimento di rammarico e di dolore per la persecuzione degli anabattisti da parte di autorità luterane e, in particolar modo, per il fatto che i riformatori luterani abbiano suffragato dal punto di vista teologico questa persecuzione. Pertanto la Federazione luterana mondiale (…) desidera esprimere pubblicamente il suo pentimento e il suo dolore più profondi. Confidando in Dio che in Gesù Cristo ha riconciliato a sé il mondo, chiediamo perdono – da Dio e dalle nostre sorelle e fratelli mennoniti – per il male che i nostri antenati nel XVI secolo hanno fatto agli anabattisti, per aver o ignorato questa persecuzione nei secoli successivi, e per tutte le descrizioni e le rappresentazioni inappropriate, fuorvianti e offensive di anabattisti e mennoniti fatte da autori luterani, in forme sia popolari che erudite, fino ai nostri giorni».[xc]

 

VI. Cinque imperativi ecumenici

238. Cattolici e luterani si rendono conto che loro e le comunità nelle quali vivono la loro fede appartengono allo stesso corpo di Cristo. In essi sta germogliando la consapevolezza che il conflitto del XVI secolo è finito. Le ragioni per condannare reciprocamente la fede gli uni degli altri sono tramontate. Luterani e cattolici, dunque, commemorando insieme il 2017 individuano cinque imperativi.  

239. Luterani e cattolici sono invitati a riflettere ponendosi nella prospettiva dell’unità del corpo di Cristo e a cercare qualunque mezzo che potrà dare visibilità ed espressione a questa unità e servire la comunità del corpo di Cristo. Mediante il battesimo essi si riconoscono reciprocamente come cristiani. Questo orientamento richiede una continua conversione del cuore.

Primo imperativo: cattolici e luterani dovrebbero sempre partire dalla prospettiva dell’unità e non dal punto di vista della divisione, al fine di rafforzare ciò che hanno in comune, anche se è più facile scorgere e sperimentare le differenze.  

240. La confessione cattolica e la confessione luterana nel corso della storia si sono definite per reciproco contrasto e hanno risentito della parzialità e unilateralità che sono arrivate sino a oggi, quando si trovano ad affrontare problemi come quello dell’autorità. Dal momento che sono stati originati dal conflitto reciproco, questi problemi possono essere risolti – o almeno affrontati – soltanto attraverso degli sforzi comuni per approfondire e rafforzare la loro comunione. Cattolici e luterani hanno bisogno dell’esperienza, dell’incoraggiamento e della critica reciproci.

Secondo imperativo: luterani e cattolici devono lasciarsi continuamente trasformare dall’incontro con l’altro e dalla reciproca testimonianza di fede.

241. Cattolici e luterani attraverso il dialogo hanno imparato moltissimo e sono giunti a comprendere che la comunione tra loro può avere forme e gradi differenti. Riguardo al 2017 essi dovrebbero rinnovare il loro impegno con gratitudine per quanto è già stato compiuto, con pazienza e perseveranza poiché la strada può essere più lunga di quanto non ci si aspetti, con lo slancio che non permette di sentirsi soddisfatti della situazione attuale, con amore reciproco anche nei momenti di disaccordo e di conflitto, con fede nello Spirito Santo, con la speranza che lo Spirito adempirà la preghiera di Gesù al Padre, e con la preghiera ardente che questo possa realizzarsi.

Terzo imperativo: cattolici e luterani dovrebbero di nuovo impegnarsi a ricercare l’unità visibile, a elaborare e sviluppare insieme ciò che questo comporta come passi concreti, e a tendere costantemente verso questo obiettivo.  

242. Cattolici e luterani hanno il compito di annunciare di nuovo ai loro fratelli nella fede la comprensione del Vangelo e la fede cristiana come pure le tradizioni ecclesiali precedenti. La sfida che sta loro di fronte è evitare che questa rilettura della tradizione faccia ricadere gli uni e gli altri nei vecchi contrasti confessionali.

Quarto imperativo: luterani e cattolici dovrebbero riscoprire congiuntamente la potenza del Vangelo di Gesù Cristo per il nostro tempo.  

243. L’impegno ecumenico per l’unità della Chiesa è a servizio non solo della Chiesa ma anche del mondo, perché possa credere. Il compito missionario dell’ecumenismo diventerà tanto più grande quanto più le nostre società diventeranno pluralistiche dal punto di vita religioso. E in questo caso di nuovo sono necessari un ripensamento e una metanoia.

Quinto imperativo: cattolici e luterani dovrebbero rendere insieme testimonianza della misericordia di Dio nell’annuncio del Vangelo e nel servizio al mondo. 

244. Il cammino ecumenico permette a luterani e cattolici di apprezzare insieme le intuizioni e l’esperienza spirituale di Martin Lutero riguardo al Vangelo della giustizia di Dio, che è anche misericordia di Dio. Nella prefazione alle sue opere latine (1545) egli osservò che «meditando giorno e notte fui condotto dalla misericordia di Dio» a comprendere in modo nuovo Romani 1,17: «Allora mi sentii letteralmente rinato e introdotto attraverso porte spalancate nel paradiso stesso. L’intera Scrittura acquistò per me all’improvviso un nuovo volto. Più tardi lessi Lo Spirito e la lettera di Agostino, dove, contro ogni speranza, scoprii che anch’egli interpretava la giustizia di Dio in maniera simile, come la giustizia di cui Dio ci riveste quando ci giustifica».[xci]

245. Gli inizi della Riforma saranno ricordati in maniera adeguata e giusta quando luterani e cattolici ascolteranno insieme il Vangelo di Gesù Cristo e si lasceranno di nuovo chiamare a fare comunità insieme al Signore. Allora saranno uniti in una missione comune che la Dichiarazione congiunta sulla dottrina del giustificazione così descrive: «Luterani e cattolici tendono insieme alla meta di confessare in ogni cosa Cristo, il solo nel quale riporre ogni fiducia, poiché egli è l’unico mediatore (1Tm 2,5s) attraverso il quale Dio nello Spirito Santo fa dono di sé ed effonde i suoi doni che tutto rinnovano » (Dichiarazione congiunta, n.18; EO 7/1848).

 

*COMMISSIONE LUTERANA - CATTOLICA ROMANA SULL’UNITÀ. Luterani:vescovo emerito E. Huovinen (co-presidente), Finlandia; W. Deifelt, Brasile; S. Gintere, Lettonia; T. Karlsen Seim, Norvegia; F.R. Mwombeki, Tanzania; F. Nüssel, Germania; M. Root, USA (2009); H.A. Suzuki, Giappone; R.F. Thiemann, USA (2010-); T. Dieter, Institute for Ecumenical Research, Strasburgo (consulente); K.L. Johnson (co-segretaria, FLM). Cattolici romani: vescovo G.L. Müller (co-presidente), Germania (2009-2012); card. K. Koch, Svizzera (2009); vescovo ausiliare K. Diez, Germania (2012-); M. Fédou sj, Francia; A. Maffeis, Italia; T. Söding, Germania; C.D. Washburn, USA; S.K. Wood scl, USA; E.-M. Faber, Svizzera (consulente); W. Thönissen, Germania (consulente); mons. M. Türk (co-segretario, Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani).

 

 

*Traduzione dall’originale tedesco Il Regno.

 

 

[i]Cf. Commissione Congiunta Cattolica Romana – Evangelica Luterana, Tutti sotto uno stesso Cristo. Dichiarazione comune sulla Confessio augustana, 23.2.1980, in EO 1/1405-1433.

[ii]Commissione Congiunta Cattolica Romana - Evangelica Luterana, dichiarazione Martin Lutero testimone di Gesù Cristo, 6.5.1983, n.1, in EO 1/1521.

[iii] K. Lehmann, W. Pannenberg (a cura di), Condemnations of the Reformation era: do they still divide?, Fortress, Minneapolis 1990 (ed. orig. Lehrverurteilungen - kirchentrennend? I. Rechtfertigung, Sakramente und Amt im Zeitalter der Reformation und heute, Vandenhoeck & Ruprecht - Herder, Freiburg im Br. - Göttingen 1988).

[iv]Cf. Federazione Luterana Mondiale – Chiesa Cattolica Romana, Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, 1999, originariamente pubblicata con il titolo Gemeinsame Erklärung zur Rechtfertigungslehre, Otto Lembeck - Bonifatius-Verlag, Frankfurt a.M. - Paderborn 1999; in EO 7/1831-1895.

[v]Cf. Commissione Cattolica-Luterana Negli Stati Uniti, Giustificazione per fede, 1983; in EO 2/2759ss.

[vi]Concilio Ecumenico Vaticano II, decr. Unitatis redintegratio (UR) sull’ecumenismo, n.3; EV 1/504.

[vii]J. Willebrands, «Lutero, nostro maestro comune», discorso alla V Assemblea della Federazione luterana mondiale, 15.7.1970, in Regno-doc. 16,1970, 351ss; Giovanni Paolo II, Messaggio al card. Willebrands per il 500° anniversario della nascita di Martin Lutero, 1.10.1983, in Regno-doc. 21, 1983, 658ss.

[viii]Benedetto XVI, Discorso all’incontro con i rappresentanti del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania, 23.9.2011, in Regno-doc. 17, 2011, 517.

[ix]Concilio di Costanza, Sessione III, 26.3.1415, in Conciliorum oecumenicorum decreta(COD), EDB, Bologna 1991, 416.

[x]Cf. Federazione Luterana Mondiale, Pontificio Consiglio Per La Promozione Dell’unità Dei Cristiani, The Apostolicity of the Church. Study document of the Lutheran - Roman Catholic Commission on Unity, Lutheran University Press, Minneapolis 2006, 92, n.8.

[xi]M. Lutero, Resolutiones disputationum de indulgentiarum virtute, 1518, in Weimarer Ausgabe (WA), edizione tedesca completa delle Opere di Lutero, H. Bohlaus, 1883-2009, 1, 627, 27-31; trad. it. in M. Lutero, Le Resolutiones. Commento alle 95 Tesi (1518), a cura di P. Ricca, in «Opere scelte» 14, Claudiana, Torino 2013, 433.

[xii]Cf. M. Lutero, An den christlichen Adel deutscher Nation von des christlichen Standes Besserung, in Luther’s Works (LW), a cura di J. Pelikan, H.T. Lehmann, Muhlenberg, Philadelphia 1957-1986, 44, 127; WA 6, 407, 1; trad. it. in Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca. A proposito della correzione e del miglioramento della società cristiana, in «Opere scelte» 11, a cura di P. Ricca, Claudiana, Torino 2008, 59.

[xiii]Cf. Leone X, decreto Cum postquam al card. Tommaso de Vio, 9.11.1518, in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum(DENZ), ed. bilingue a cura di P. Hünermann, EDB, Bologna 1995, 1448, cf. 1467 e 2641.

[xiv]Exsurge Domine, in P. Fabisch, E. Iserloh (a cura di), Dokumente zur Causa Lutheri(1517-1521), Aschendorffsche, Münster 1991, I, 366; bolla Exsurge Domine, 15.6.1520, in Denz 1467-1472, e anche in www.ewtn.com/library.

[xv] Ivi, 368; Denz 1492.

[xvi] M. Lutero, in «Luther at the Diet of Worms», in LW 32, 112-3. Per «Parole» al posto di «Parola» cf. WA 8, 838, 7; per l’omissione di «Qui resto e altro non posso fare» (cf. WA 8, 838, 9), cf. p. 113, nota 2: «Queste parole sono espresse in tedesco nel testo latino su cui si basa questa traduzione», ma «vi sono prove consistenti » che Lutero non le disse.

[xvii]F. Reuter (a cura di), Der Reichstag zu Worms von 1521: Reichspolitik und Luthersache, Böhlau, Köln - Wien 1981, II, 226-29; cf. anche LW 32, 114-15, n.9.

[xviii]Confessione di Augusta, in R. Fabbri (a cura di), Confessioni di fede delle Chiese cristiane, EDB, Bologna 1996, nn. 14-65.

[xix]Ivi, n.64.

[xx]Concilio di Trento, Sessione IV, 8.4.1546, Primo decreto: si riconoscono i libri sacri e le tradizioni apostoliche, in COD 663.

[xxi]Ivi.

[xxii]Cf. ivi, Secondo decreto: si accetta l’edizione volgata della Bibbia e si prescrive il modo di interpretare la sacra Scrittura ecc., in COD 664.

[xxiii]Concilio di Trento, Sessione VI, 13.1.1547, c.VII, in COD 673.

[xxiv]Ivi.

[xxv]Ivi, c.VIII, in COD 674.

[xxvi]Cf. ivi, c.XIV, in COD 676.

[xxvii]Cf. ivi, c.XVI, in COD 678.

[xxviii]Concilio di Trento, Sessione VII, 3.3.1547, Primo decreto, «Introduzione», in COD684.

[xxix]Concilio di Trento, Sessione XXI, 16.7.1562, c. III, can.2, in COD 727.

[xxx]Concilio di Trento, Sessione XXII, 17.9.1562, c. II, can. 3, in COD 733s.

[xxxi]Concilio di Trento, Sessione XXIII, 15.7.1563, c. III e IV, in COD 742s.

[xxxii]M. Lutero, Brief an Johann Lang, Wittenberg, 18.5.1517, in LW 48, 44; WAB 1, 99, 8.

[xxxiii]M. Lutero, Disputatio Heidelbergae habita, in LW 31, 39; WA 1, 353, 14; trad. it. La disputa di Heidelberg, in Scritti religiosi, a cura di V. Vinay, UTET, Torino 1967.

[xxxiv] WA TR 1, 245, 12.

[xxxv] M. Lutero, Lettera all’elettore Johann Friedrich, 25.3.1545, citato in H. Obermann, Luther: Man between God and the Devil, Yale University Press, New Haven - London 1989, 152; WAB 11, 67, 7s.

[xxxvi]«Dio non nega la grazia a chi fa ciò che è in lui».

[xxxvii]WA 40/II, 229, 15.

[xxxviii] M. Lutero, Disputatio contra scholasticam theologiam, 1517, in LW 31, 13; WA 1, 227, 17/18.

[xxxix]M. Lutero, Il piccolo catechismo. Il grande catechismo, a cura di F. Ferrario, in «Opere scelte» I, Claudiana, Torino 1998; The Book of Concord. The Confessions of the Evangelical Lutheran Church (BC), Fortress Press, Philadelphia 1959, 351-54.

[xl]Concilio di Trento, Sessione VI, 13.1.1547, can. 1, in COD 679.

[xli]M. Lutero, Gli articoli di Smalcalda, in «Opere scelte» 5, Claudiana, Torino 1992; BC301.

[xlii]WA 39/1, 2-3, 205.

[xliii] Federazione Luterana Mondiale - Chiesa Cattolica Romana, Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, 1999, n.17; in EO 7/1847.

[xliv]Federazione Luterana Mondiale - Chiesa Cattolica Romana, Dichiarazione ufficiale comune, in EO 7/1891.

[xlv]Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, Allegato 2C che cita la Formula di concordia, Dichiarazione di solidarietà, II, 64s, in EO 7/1891; BC 556; Confessioni di fede delle Chiese cristiane, n. 833.

[xlvi]Cf. Concilio Lateranense IV, Simbolo lateranense, 1215, in Denz 802.

[xlvii]Lutero aveva raccomandato al pastore luterano Simon Wolferinus di non mescolare le specie eucaristiche consacrate avanzate con quelle consacrate. Lutero gli disse di «fare quello che noi facciamo qui [cioè a Wittenberg], vale a dire, mangiare e bere con i comunicanti quanto rimane del Sacramento, in modo che non sia necessario sollevare le questioni scandalose e pericolose su quando termini l’azione del Sacramento» (Briefwechsel, 4.7.1943, in WA 10, 341, 38ss).

[xlviii]Concilio di Trento, Sessione XIII, 11.10.1551, c. IV, in COD 695.

[xlix]Cf. ivi, c. II, in COD 694.

[l]Commissione Congiunta Cattolica Romana – Evangelica Luterana, L’eucaristia, 1978, n.51; EO 1/1258. Cf. Apology of the Augsburg Confession X, in BC 184s; Confessioni di fede delle Chiese cristiane, n.302.

[li]Commissione Congiunta Cattolica Romana – Evangelica Luterana, L’eucaristia, n.16, in EO 1/1223; H. Meyer, L. Vischer (a cura di), Growth in agreement. Reports and agreed statements of ecumenical conversations on a world level, Paulist Press - World Council of Churches, New York - Geneva 1984, I, 190-214.

[lii] Cf. Concilio di Trento, Sessione VI, 13.1.1547, c. VII, in COD 673; Lehmann, Pannenberg (a cura di), Condemnations of the Reformation era: do they still divide?, 115.

[liii] La traduzione inglese fa una qualche confusione in questa frase; si faccia riferimento all’originale tedesco in H. Meyer, H.J. Urban, L. Vischer (a cura di), Dokumente wachsender Übereinstimmung: Sämtliche Berichte und Konsenstexte interkonfessioneller Gespräche auf Weltebene 1931–1982, Bonifatius - Lembeck, Paderborn - Frankfurt 1983, 287.

[liv]Lehmann, Pannenberg (a cura di), Condemnations of the Reformation era, 3.II.1.2, 86.

[lv]Ivi, 3.II.1.4, 88.

[lvi]M. Lutero, Von der Freiheit eines Christenmenschen, 1520, in LW 31, 354; WA 7, 27, 17-21; trad. it. La libertà del cristiano, a cura di P. Ricca, in «Opere scelte» 13, Claudiana, Torino 2005, 130.

[lvii]M. Lutero, An den christlichen Adel deutscher Nation, in LW 44, 127; WA 6, 407, 22s; trad. it. Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, 61.

[lviii]M. Lutero, Commento al Salmo 82, 1530, in LW 13,65; WA 31/1, 211, 17-20.

[lix]Graziano, Decr. 2.12.1.7.

[lx]M. Lutero, An den christlichen Adel deutscher Nation, in LW 44; WA 6, 441, 24s; trad. it. Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, 167.

[lxi]M. Lutero, Eine Predigt, das man Kinder zur Schulen halten solle, 1529-30, in LW 46, 219-20; WA 30/2; 526, 34; 527, 14-21; 528, 18s, 25-27; trad. it. Sermone o predica sul dovere di tenere i figli a scuola, a cura di M.C. Laurenzi, in «Opere scelte» 4, Claudiana, Torino 1990, 84-86.

[lxii]Cf. le Wittenberger Ordinationszeugnisse, in WABr 12, 447-485.

[lxiii]WA 38, 423, 21-25.

[lxiv]Apologia della Confessione di Augusta, XIII, «Numero e uso dei sacramenti», 7, in BC220; Confessioni di fede delle Chiese luterane, 377.

[lxv]Cf. P. Lombardo, Sent. IV, dist. 24, c. 12.

[lxvi]Filippo Melantone citò la lettera di Girolamo nella sua De potestate et primatu papae tractatus, in BC 340. Cf. anche WA 2, 230, 17-19; Girolamo, Epistula 146 ad Evangelum, in PL 22, 1192-1195; Decretum Gratiani pars 1, dist. 93, in E. Friedberg (a cura di), Corpus iuris canonici, Graz 1955, 327-329.

[lxvii]F. Melantone, Consilium de moderandis controversiis religionis, in C.G. Bretschneider (a cura di), Corpus reformatorum, II, C.A. Schwetschke, Halle 1895, 745s; 1535.   

[lxviii]Citando F. Melantone, Tractatus de potestate et primatu papae, 1537, in BC 340; Die Bekenntnisschriften der evangelish-lutherischen Kirche (BSLK), Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1930, 101986, 489, 30-35.

[lxix]Nel 2007 il Consiglio della Federazione luterana mondiale ha approvato il documento Ministero episcopale nell’apostolicità della Chiesa. La dichiarazione di Lund della Federazione luterana mondiale, una comunione di Chiese, in Regno-doc. 1,2008,55ss. Pur non volendo «essere un documento magisteriale», questo testo cerca di chiarire alla comunione luterana un certo numero di questioni riguardanti l’episkope, tenendo conto sia della tradizione luterana sia dei frutti dell’impegno ecumenico.   

[lxx] Cf. R. Lee, J. Gros fsc (a cura di), The Church as koinonia of salvation: its structures and ministries, USCCB, Washington 2005, 49s, nn. 107-109.

[lxxi]Queste questioni sono già state analizzate dal Gruppo ecumenico di lavoro di teologi protestanti e cattolici (Ökumenischer Arbeitskreis evangelischer und katholischer Theologen), i cui studi sono stati riuniti in Das kirchliche Amt in apostolischer Nachfolge, 3 voll., Herder - Vandenhoeck & Ruprecht, Freiburg – Göttingen 2004, 2006, 2008.

[lxxii]S. Prierias, Dialogus de potestate papae, in P. Fabischand, E. Iserloh (a cura di), Dokumente zur Causa Lutheri (1517-1521), I, Aschendorff, Münster 1988, 55.

[lxxiii]J. Eck, Enchiridion locorum communium adversus Lutherum et alios hostes ecclesiae (1525-1543), in P. Fraenkel (a cura di), Corpus catholicorum 34, Ascendorff, Münster 1979, 27.

[lxxiv]Cf. WA 7, 97, 16-98, 16.

[lxxv]WA 10/1, 1, 232, 13-14.

[lxxvi]M. Lutero, Vorrede zum 1. Bande der Wittenberger Ausgabe der deutschen Schriften, 1539, in LW 34, 285; WA 50, 559, 5 - 660, 16.

[lxxvii]M. Lutero, Dictata super Psalterium, in LW 10, 332; WA 3, 397, 9-11.

[lxxviii]M. Lutero, De servo arbitrio, in LW 33, 26; WA  18, 606, 29; trad. it. in AA.VV., Grande antologia filosofica, Marzorati, Milano 1977, 1118-1121.

[lxxix]M. Lutero, Von Menschenlehre zu meiden, 1522, in WA 10/2, 92, 4-7.

[lxxx]Cf. M. Cano, De locis theologicis, 1, 3, in Migne, Theologiae cursus computus, Paris 1837, 1, 82.

[lxxxi]Vaticano II, cost. dogm. Dei verbum (DV) sulla divina rivelazione, n.21; EV 1/904. 

[lxxxii]Questi temi sono stati analizzati anche in Germania dal Gruppo ecumenico di lavoro di teologi protestanti e cattolici, i cui studi sono disponibili in W. Pannenberg, T. Schneider (a cura di), Verbindliche Zeugnis, 3 voll., Herder - Vandenhoeck & Ruprecht, Freiburg - Göttingen 1992, 1995, 1998. 
[lxxxiii]M. Lutero, Der grosse Katechismus, in BC, 436-438; BSLK  65, 3-6; 667, 42-46; Il grande catechismo, 242. 
[lxxxiv]UR 3; EV 1/503. 
[lxxxv]«Perciò con umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai fratelli separati, come pure noi rimettiamo ai nostri debitori» (UR 7; EV 1/523). 
[lxxxvi]«La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque» (NA  4; EV  1/867).
[lxxxvii]Cf. Giovanni Paolo II, Omelia nella «Giornata del perdono », 12.3.2000, in Regno-doc. 7, 2000, 227.
[lxxxviii]Giovanni Paolo II, lett. enc. Ut unum sint sull’impegno ecumenico, 25.5.1995, n.88; EV  14/2854.
[lxxxix]J. Willebrands, «Lecture to the 5th Assembly of the Lutheran World Federation, on 15 July 1970», in La Documentation catholique, 6.9.1970, 766. 
[xc] Federazione Luterana Mondiale, «Action on the legacy of Lutheran persecution of “Anabaptists”» in www.lwf-assembly.org. 
[xci]M. Lutero, Vorrede zum ersten Bande der Gesamtausgaben seiner lateinischen Schriften, Wittenberg 1545, in LW  34, 337; WA  54, 186, 3.8-10.16-18.