UN COMMENTO AL TESTO DELLA COMMISSIONE INTERNAZIONALE ANGLICANA-CATTOLICA ROMANA (ARCIC) 2005

MARIA: GRAZIA E SPERANZA IN CRISTO

Jared Wicks, S.J.

(John Carroll University, Cleveland, Ohio – USA)

 

Nel c. III della Ut unum sint papa Giovanni Paolo II elenca cinque temi dottrinali che richiedono un studio ulteriore, volto a promuovere il cammino sulla strada che va dall’attuale unità di fondo verso un vero consenso nella fede fra la Chiesa cattolica e i partner nel dialogo ecumenico. Tra i temi da esaminare, uno è «la vergine Maria, madre di Dio e icona della Chiesa, la madre spirituale che intercede per i discepoli di Cristo e tutta l’umanità» (Ut unum sint, n. 79). Sulla vergine Maria, le convinzioni di fede e le pratiche devozionali cattoliche sembrano avere scarsa risonanza nelle Chiese e nelle comunità ove la fede e la vita sono ispirate alla Riforma.

L’importanza di Maria nella ricerca della piena comunione era stata ulteriormente sottolineata nell’estate 2000, quando la consultazione speciale fra vescovi anglicani e cattolici, tenutasi a Mississauga (Canada), chiese che la Commissione internazionale anglicana - cattolica romana (ARCIC) prestasse attenzione al posto di Maria nella vita e nella dottrina della Chiesa.

La Commissione ha risposto egregiamente alla richiesta con il documento Maria: grazia e speranza in Cristo, nel quale si offre alle Chiese la chiara proposta 1) che nelle convinzioni di fede su Maria anglicani e cattolici concordano sostanzialmente, mentre 2) le differenze nelle preghiere con le quali si invoca l’aiuto di Maria non sono divisive sul piano ecclesiale.

Punto di partenza

Una delle ragioni del successo di quest’ultima fase del dialogo risiede nel fatto che non è cominciato da zero nell’esame delle convinzioni anglicane e cattoliche su Maria. La Dichiarazione di Windsor del 1981 dell’ARCIC, Autorità nella Chiesa II, mentre registra le difficoltà da parte anglicana circa i fondamenti biblici dei dogmi mariani del 1854 e 1950, può tuttavia costituire un solido punto di partenza per ulteriori approfondimenti:

«Anglicani e cattolici possono trovarsi d’accordo in molta parte di verità che questi due dogmi intendono affermare. Siamo d’accordo che non ci può essere che un solo mediatore tra Dio e l’uomo, Gesù Cristo, e rifiutiamo ogni interpretazione del ruolo di Maria che oscuri una tale affermazione. Siamo d’accordo nel riconoscere che la comprensione cristiana di Maria è inseparabilmente legata alle dottrine di Cristo e della Chiesa. Siamo d’accordo nel riconoscere la grazia e la vocazione unica di Maria, madre di Dio incarnato (Theotokos), nell’osservare le sue festività e nell’attribuirle un posto di onore nella comunione dei santi. Siamo d’accordo che essa è stata preparata dalla grazia divina a essere la madre del redentore, dal quale essa stessa fu redenta e introdotta nella gloria. Inoltre siamo d’accordo nel riconoscere in Maria un modello di santità, di obbedienza e fede per tutti i cristiani. Accettiamo che sia possibile guardare a essa come a una figura profetica della Chiesa di Dio, sia prima sia dopo l’incarnazione» (n. 30).

Il documento in esame, Maria: grazia e speranza in Cristo, dopo aver citato il passo appena riportato (n. 2; cf. anche n. 76), riesamina questo nucleo di convinzioni condivise e le estende, dapprima sviluppando una solida teologia biblica su Maria (parte A)e poi rivisitando la storia della fede e della devozione mariane, sia nella storia comune, sia nei secoli della divisione fra anglicani e cattolici (parte B). La parte C offre una suggestiva analisi teologica della dottrina mariana dalla prospettiva, sorprendentemente efficace, della teologia escatologica dell’opera di grazia e salvezza di Dio, prima che la parte D esamini le rispettive pratiche di preghiera e devozione a Maria fra gli anglicani e fra i cattolici.[1]

Nella prima sezione di questo commento esaminerò alcune specifiche intuizioni formulate nelle quattro parti del documento, poi, in una seconda sezione, considererò più in dettaglio due punti di particolare interesse, e cioè la metodologia biblica della parte A e la prospettiva escatologica della parte C. Una terza sezione offrirà due ulteriori considerazioni, suscitate dalla lettura di Maria: grazia e speranza in Cristo, che possono incoraggiare ulteriori scambi ecumenici su Maria.

 

1. Maria nella Scrittura, nella storia, nella teologia e nella devozione

Un importante punto metodologico, espresso in Maria: grazia e speranza in Cristo al n. 3, riguarda la recezione, tuttora in corso, della tradizione della fede e della vita cristiane consegnataci una volta per sempre dagli apostoli. Qui l’ARCIC riporta il suo precedente testo, Il dono dell’autorità (1999), a sottolineare la paradossale combinazione di continuità e novità nella recezione, dal momento che in ogni età la Chiesa e i suoi membri mostrano d’aver conservato il contenuto dell’eredità apostolica secondo forme che riducono una visione piena della salvezza in Cristo. Noi vediamo attraverso lenti appannate dai nostri limiti storici. Ma portando avanti lo studio biblico, specialmente se unito alle strutture fondamentali del culto e promosso da intuizioni spirituali innovative («la sapienza della persona santa»), è possibile condurre la Chiesa sia a una nuova comprensione del significato della parola e dell’azione salvifiche di Dio, sia a lavorare per correggere l’interpretazione imperfetta fin qui mantenuta.[2]

Vivendo in una storia di rivelazione progressiva, vi sono momenti di ri-recezione delle dottrine e degli elementi di pratica cristiana trasmessici. Oggi, nel definire il nostro mandato ecumenico, si fa strada, insieme ai nostri partner ecumenici, una recezione rinnovata, mentre interroghiamo insieme le fonti cristiane per una rilettura del significato degli eventi e delle persone nell’economia della salvezza – qui in particolare il ruolo di Maria in quest’opera della grazia di Dio in Cristo – secondo modalità che promuovono un’accresciuta comunione nella fede e una riconciliazione delle prassi ecclesiali.

Maria nella Scrittura

Il nuovo testo dell’ARCIC parte da una propria rilettura biblica di Maria, mettendo a tema, ai nn. 8-10, l’alleanza di Dio con Israele, a rappresentare una benedizione intenzionalmente rivolta a tutte le famiglie della Terra (Gen 12,3; 26,4; 28,14; Sir 44,22). Ma all’interno di questa visione universalistica, le Scritture di Israele preparano più direttamente alla considerazione del significato di Maria parlando di persone alle quali è stata riservata una vocazione e una grazia abilitante da parte di Dio per compiti specifici nel raggiungimento degli obiettivi divini (n. 10). Il coerente percorso preparatorio che conduce all’azione messianica e universale di Gesù comprende parimenti i ruoli di Sara e Anna, «i cui figli hanno adempiuto i propositi di Dio sul suo popolo» (n. 11).

Nei Vangeli, Mt 1-2, ripreso ai nn. 12-13, traccia un itinerario che va da Abramo e il compimento delle attese messianiche ai Magi partiti da oltre i confini di Israele per rendere omaggio al bambino che essi trovano con Maria sua madre. Il racconto introduttivo del concepimento verginale di Gesù, la sua nascita e la sua manifestazione anticipano correttamente l’andamento a grandi linee del primo Vangelo, dall’insegnamento di Gesù in Galilea e Gerusalemme fino alla confessione di Gesù quale Figlio di Dio da parte del centurione romano (Mt 27,54) e al mandato del Signore risorto agli undici di ammaestrare tutte le nazioni (28,20).

In Lc 1-2 Maria: grazia e speranza in Cristo, ai nn. 14-17, nota come il Magnificat di Maria anticipi il capovolgimento centrale nel messaggio di Gesù sul regno di Dio e come la spiritualità in esso contenuta, esito di un meditato equilibrio di parole ed eventi (Lc 2,19.51), unita alla sofferenza (2,48-50), mostri alle persone e alle comunità la vera natura intima della fede. Nell’annuncio di Gabriele risuona l’eco di eventi e formulazioni precedenti, come la potenza di Dio che «stende la sua ombra», che richiama sia lo Spirito aleggiante di Gen 1,2, sia la presenza di Dio sopra l’Arca e la Dimora (Es 25,20; 40;35). Il terzo Vangelo afferma chiaramente il contesto dell’agire di Padre, Figlio e Spirito Santo, all’interno del quale Maria dichiara il suo fiat all’opera di Dio, animata dal favore di Dio che avvolge la sua vita.

I racconti del Natale dei due Vangeli rendono testimonianze indipendenti al concepimento verginale di Gesù per opera dello Spirito Santo, nel quale il documento dell’ARCIC al n. 18 ci invita a vedere non uno spazio vuoto di assenza, ma piuttosto un segno dell’opera dello Spirito, che prende l’iniziativa e porta avanti il progetto salvifico di Dio fino al suo completamento in esseri umani che rispondono prontamente ad esso.

Al n. 21 Maria: grazia e speranza in Cristo cita un’indicazione lucana poco nota, che mette in relazione Maria con la Chiesa in At 1,14, dove gli undici attendono la promessa abilitante del Padre in costante preghiera con Maria e le altre donne (di qui l’iconografia occidentale medievale, che assegna a Maria un posto nella comunità della Pentecoste, sotto le lingue di fuoco, talvolta con le Scritture aperte davanti a lei).

Nel quarto Vangelo, dove Maria è presente a Cana e sotto la croce del figlio, il nuovo documento va oltre il livello della semplice narrazione, e cioè considera dei significati ai quali la narrazione lascia spazio (n. 24). Torneremo sull’argomento nella sezione 2.

A Cana, la chiara osservazione di Maria – «Non hanno più vino» – esprime l’attesa di Israele per la festa del regno messianico, mentre il comando «Fate quello che vi dirà» viene da un credente ora parte della comunità messianica. Al di là del significato letterale delle parole di Gesù sulla croce a sua madre e al discepolo che egli ama, il testo di Gv 19,25-27 assegna a Maria un ruolo materno nella Chiesa, dal momento che il quarto Vangelo presenta quel discepolo come l’inizio della Chiesa, in quanto oggetto dell’amore di Gesù, seguace fedele e testimone affidabile (n. 26).

A completare lo studio biblico, il documento nota che «la donna» di Ap 12 sembra voler rappresentare anzitutto il popolo di Dio travolto dall’assalto della persecuzione, tuttavia l’aver partorito un bambino destinato al comando ha condotto alcuni a ritenere che il testo metta in luce l’associazione di Maria al proprio figlio nella sua vittoria escatologica (n. 29).

La dottrina e la devozione mariane nella storia

Accogliendo i recenti sviluppi dogmatici, anglicani e cattolici sono d’accordo nel ritenere che Gesù è veramente nato da Maria: Maria ha capovolto la fatale eredità della «vergine Eva» disobbediente, concependo per opera dello Spirito Santo; sulla validità della salvaguardia dovuta al principio dell’unicità della persona di Cristo nell’affermare che Maria è genitrice di Dio, Theotokos. Viene citato Agostino a sostegno della tesi secondo la quale Dio ha fatto dono a Maria di «quanto più di grazia, per vincere il peccato sotto ogni aspetto», che altri padri interpretano come elargito a Maria fin dalla sua origine per prepararla alla singolare vocazione di madre del Signore (n. 38).

Dal VI secolo Maria viene citata nella maggior parte delle preghiere eucaristiche come la prima fra i santi, in comunione con la quale la Chiesa loda il Padre nel ricordo dell’opera salvifica di Cristo. La preghiera popolare per invocare la protezione di Maria, Sub tuum praesidium,[3] risale al V secolo, nel periodo successivo al concilio di Efeso, quando le chiese, come Santa Maria Maggiore, venivano dedicate a Maria e alcuni giorni dell’anno solevano essere indicati come sue feste (nn. 39-40).

Mentre la devozione medievale verso l’umanità di Gesù (Bernardo, Francesco), insieme alle statue e alle vetrate, portava un grande numero di credenti a onorare amorevolmente la loro madre, nelle università le prerogative di Maria venivano passate al vaglio analitico come oggetto di speculazione sulle cause della redenzione e valutavano il ruolo che ella ha, con suo figlio, nell’applicare le sue prerogative salvifiche all’umanità bisognosa. Mentre s. Tommaso parlava con equilibrio della santificazione di Maria, Duns Scoto applicava la nozione generale della grazia preveniente per concludere che Maria era senza peccato dal primo momento del suo concepimento. Molti credenti, durante le sofferenze sperimentate nel tardo medioevo, ricorrevano alla protezione di Maria, singolarmente e nelle confraternite, secondo modalità che lasciavano ben poco spazio alla mediazione sacerdotale del suo figlio glorificato (nn. 41-43).

La Riforma inglese, se da un lato purificò la pratica devozionale, continuò tuttavia a considerare Maria Theotokos e sempre vergine, sopprimendo soltanto l’assunzione di Maria in forza della richiesta conferma biblica (nn. 44-46).

Insistendo sulla dottrina e sulla devozione mariane come caratteristiche specifiche, il cattolicesimo tridentino ebbe l’effetto, fra gli altri, di consolidare nella fede vissuta dei cattolici le convinzioni sull’immacolata concezione e l’assunzione di Maria, come si appurò prima delle definizioni dogmatiche del 1854 e del 1950. Il Vaticano II condusse a una paradigmatica ri-recezione delle tematiche mariologiche, bibliche e patristiche, evidenziata dalla scelta di trasformare lo schema De beata Virgine, preparato come testo autonomo, nel c. VIII della costituzione sulla Chiesa Lumen gentium, che partendo da Cristo, luce delle nazioni, giunge, con otto ampi capitoli ecclesiologici, a concludere, al n. 69, con l’espressione della speranza ecumenica che Maria, segno di speranza e di consolazione, affretti, con la sua intercessione presso il Figlio, l’unità di tutti i popoli nell’unico popolo di Dio (n. 47).

Nelle recenti sollecitazioni, presso gli anglicani, rivolte a citare il nome di Maria nelle preghiere eucaristiche e a celebrare una solennità mariana il 15 agosto (n. 50), il nuovo documento trova un accordo fondamentale fra le nostre due comunioni nell’onorare Maria e nella convinzione che ella prega per l’intera Chiesa, alla quale è inseparabilmente legata. Su questa base, è possibile stabilire un approccio rinnovato ai dogmi mariani cattolici (nn. 49-51).

Approfondimenti teologici sui dogmi mariani

Maria: grazia e speranza in Cristo stabilisce ai nn. 52-53 un nuovo assetto biblico quanto alle considerazioni teologiche sullo specifico ruolo di Maria nell’economia della grazia divina, particolarmente sul ruolo di colei che è stata concepita senza peccato originale ed è stata assunta in cielo. Questo illuminante approccio richiama quello di gran parte della dottrina paolina sulla nostra vocazione e sul nostro destino di grazia, per la quale la nostra partecipazione ultima alla gloria di Cristo è già iniziata. Torneremo su questa prospettiva escatologica più sotto, nella sezione 2.

La Scrittura riconosce la sollecitudine divina per i suoi servi ancor prima della loro nascita (Sal 139; Lc 1,15; Gal 1,15) e la grazia di Dio che precede il loro concepimento (Ger 1,5), il che getta una luce particolare sul significato del saluto di Gabriele a Maria: «favorita», e sull’esclamazione di Elisabetta: «benedetta fra le donne» (Lc 1,28.42). Maria dunque accoglie la chiamata di Dio a una maternità verginale in forza di un assenso di grazia al quale era stata abilitata dall’azione preveniente di Dio. Nella prospettiva paolina, Maria è emblematicamente «opera di Dio, creata in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto» (Ef 2,10). Ma tutta questa grazia è orientata in definitiva a un destino di gloria (nn. 54-55), che nella Scrittura si concretizza in Elia (2Re 2,11), in Enoch (Eb 11,5) e nel buon ladrone (Lc 23,43). Nel caso di Maria, la discepola più vicina a Cristo, è sommamente appropriato che la sua unione con Dio nella vita la porti a essere unita a Dio nella morte per partecipare alla nuova creazione (nn. 56-57).

Così i membri anglicani e cattolici dell’ARCIC giungono ad affermare congiuntamente che, in consonanza con la Scrittura, Dio ha preso Maria nella gloria nella pienezza della sua persona, come dichiara la definizione del 1950, sia quale celebrazione dell’azione di Dio in lei, sia quale dimostrazione del destino e della speranza di quanti partecipano alla comunione dei santi (n. 58). Percorrendo all’indietro la storia di Maria, l’ARCIC riconosce, alla luce della Scrittura, che l’opera di redenzione di Cristo ha raggiunto Maria «fino in fondo», facendone il prototipo dell’essere umano nel quale la grazia precede ogni buona azione. Tale grazia, tuttavia, procede dall’unico Mediatore che ha riscattato tutti gli uomini, toccati e animati dalla sua grazia sia prima sia dopo il dono di se stesso per tutti (n. 59).

Per essere più precisi, l’ARCIC afferma che lo specifico contenuto mariologico del dogma dell’assunzione è consonante con la Scrittura e l’antica tradizione comune (n. 58), mentre l’immacolata concezione «non è contraria all’insegnamento della Scrittura, e può essere compresa solo alla luce dalla Scrittura» (n. 59). Entrambi i dogmi sono conformi alla teologia biblica della grazia e della speranza sviluppata nel documento Maria: grazia e speranza in Cristo. Gli anglicani, tuttavia, ritengono doveroso interrogarsi se queste verità su Maria siano rivelate da Dio in modo tale da dover essere ritenute da quanti professano il Credo della Chiesa. La questione viene sollevata al n. 60 e porta alle considerazioni sulla rivelazione, la Scrittura e l’insegnamento autorevole dei nn. 61-63.

I documenti pontifici che definiscono solennemente l’immacolata concezione e l’assunzione configurano queste verità sul modello delle proposizioni autoritativamente formulate come contenuti particolari della rivelazione soprannaturale di Dio. Le definizioni esemplificano la rilevanza attribuita dal concilio Vaticano I alle verità riferite all’oggetto della fede divina e cattolica.[4] Ma oggi i criteri del Vaticano I nel riconoscere le verità rivelate vengono avvicinati sulla base di un nuovo contesto interpretativo cattolico, e vengono situati diversamente i particolari della rivelazione di Dio, come da ultimo ha fatto il Vaticano II, che colloca la parola di Dio nell’ambito della storia della salvezza. Il centro e il culmine della rivelazione sono la vita, la morte e la risurrezione di Cristo, che rendono la rivelazione eminentemente salvifica nel suo contenuto e messaggio.[5] Dio rivela se stesso come colui che ci libera dal peccato e dalla morte e ci risuscita a vita nuova in Cristo, secondo un’economia della grazia e della speranza, proprio come la sviluppa Maria: grazia e speranza in Cristo.

L’autorità di insegnare è chiamata a conservare, spiegare e diffondere la parola di salvezza di Dio attestata nella Scrittura e comunicata attraverso la tradizione (cf. Dei Verbum, n. 9). Essa perciò non annuncia rivelazioni nuove ma interpreta l’economia della salvezza in Cristo, quando con l’assistenza dello Spirito Santo «piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto quello che propone di chiedere come rivelato da Dio» (DV 10). Nelle parole dell’ARCIC, «le definizioni sono comprese nel senso di una testimonianza resa a ciò che è stato rivelato sin dal principio» (Maria: grazia e speranza in Cristo, n. 61). Il modo più evidente per dimostrare la validità di questo principio in un determinato caso è quello di esaminare il contenuto dell’insegnamento nel quadro della Scrittura per verificarne la congruenza e l’omogeneità con l’insegnamento biblico ispirato, profetico-apostolico e autorevole, così come ha fatto Maria. grazia e speranza in Cristo.

È qui possibile richiamare come cattolici e anglicani accostino i contenuti di fede nell’assunzione e nell’immacolata concezione di Maria. L’ARCIC registra una valutazione positiva del loro contenuto mariologico se inquadrato nel contesto biblico sviluppato ai nn. 52-56 del nuovo documento. Ma per i cattolici vi è un’altra dimensione, diversa da un’interpretazione avanzata del significato delle due dottrine. I cattolici nutrono certezza quanto alla verità delle dottrine. È un esempio di quanto affermato dal Vaticano II laddove ragiona della tradizione e del magistero, e precisamente: «la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le verità rivelate non dalla sola sacra Scrittura» (Dei Verbum, n. 9). La tradizione vivente ha fatto crescere l’interpretazione cattolica dell’economia divina, e il magistero papale, nel 1854 e nel 1950, ha definito le due verità parte costitutiva di tale economia. Tradizione e magistero concorrono nel conferire certezza ai contenuti mariologici della rivelazione.

Quando gli anglicani mettono in questione il carattere vincolante delle definizioni del 1854 e del 1950, in quanto il papa agiva indipendentemente da un concilio della Chiesa intera, i cattolici rimandano al sostegno positivo dei vescovi cattolici, dapprima in qualità di testimoni delle convinzioni ritenute dal sensus fidelium circa le due verità, successivamente confermate dal Vaticano II (n. 62). Ma l’ARCIC riconosce anche che le controversie successive alla Riforma hanno disturbato, sia presso gli anglicani sia presso i cattolici, la percezione del ruolo di Maria. Il Vaticano II e argomentazioni come quelle proposte da papa Paolo VI nella Marialis cultus (1974), che ordina le verità su Maria derivandole dall’incarnazione e dal suo ruolo di Theotokos, ristabiliscono una maggiore affinità.

Oggi l’ARCIC mira a una comune ri-recezione della dottrina mariana, resa più profonda dalla prospettiva escatologica sulla nostra vocazione e destinazione per grazia, la quale descrive l’azione preveniente di Dio, che prepara al suo servizio, e il rinnovamento personale volto a una partecipazione piena alla gloria di Cristo. All’interno di questo quadro, la Commissione esprime la speranza che le due parti possano riconoscere nelle reciproche convinzioni un’autentica espressione del credo cristiano, anche quando non si usino le medesime formulazioni, in particolare, quelle utilizzate dalle definizioni del 1854 e 1950, che tuttavia gli anglicani intendono rispettare e legittimare.[6]

Maria nella devozione di anglicani e cattolici

Nella religiosità vissuta, gli anglicani si riferiscono a Maria soprattutto come discepola esemplare nel rispondere con tutta la sua vita alla chiamata di Dio, mentre la devozione dei cattolici ne disegna il suo ruolo permanente nell’economia della salvezza. Una base condivisa, più evidente dagli sviluppi recenti in entrambe le comunità, è data dalla Scrittura e dalla tradizione che esaltano Maria «come il più pieno esempio umano della vita della grazia», e dunque come colei alla quale i credenti sono chiamati a unirsi «come a quella che effettivamente non è morta, ma veramente vive in Cristo» (n. 65). Il rapporto principale fra Maria e i fedeli anglicani e cattolici viene in effetti condiviso nella preghiera di lode, quando entrambi cantano il suo Magnificat o esprimono l’unione con lei nella comunione dei santi durante la preghiera eucaristica.

La Riforma ha escluso in Maria un ruolo di intercessione, in quanto comprometterebbe l’unica e sufficiente mediazione di Cristo e non avrebbe fondamento biblico. A questa posizione la dottrina cattolica ha risposto riaffermando la lunga consuetudine di invocare il suo aiuto e, nel Vaticano II, collocando la sua azione non a fianco, ma entro l’unica azione del Figlio suo (Lumen gentium, n. 60).

Maria: grazia e speranza in Cristo prosegue, nei nn. 68-69, riflettendo sull’incorporazione dei ministeri ecclesiali, radicati nella mediazione di Cristo, nell’applicare la salvezza ai credenti. La Scrittura è inoltre chiara sulla necessità per i credenti della preghiera, e della preghiera a Dio reciproca e solidale, che esprime il mutuo sostegno reso possibile dallo Spirito Santo. L’estensione naturale di queste invocazioni ai santi dell’al di là «non va esclusa come estranea alla Scrittura anche se le Scritture non la insegnano direttamente tra le componenti necessarie della vita in Cristo» (n. 70). Naturalmente, queste invocazioni non mettono in ombra il fatto che l’aiuto da noi cercato proviene dal Padre, attraverso il Figlio nostro sommo sacerdote, nello Spirito Santo.

Il nuovo documento accosta «dal basso» la specificazione del ruolo di Maria nella comunione dei santi, sottolineando che molti cristiani vengono spinti a cercare in lei aiuto, ad esempio, dal suo intervento a Cana, o semplicemente dal fatto che la sentono vicina nel rispondere alla chiamata divina, nella povertà che circonda il suo parto e nel suo dolore al Calvario. I cristiani percepiscono in lei un atteggiamento materno nello svelamento dell’opera redentrice del Salvatore, in quanto madre sua. In termini semplici, «molti cristiani ritengono che il loro culto a Dio venga arricchito se esprimono in forma devozionale il loro apprezzamento per questo ministero di Maria» (n. 73). L’ARCIC ritiene non vi sia alcuna ragione per respingere questa devozione, specificando che essa è una pratica lecita ma non necessaria.[7]

Analizzando il posto di Maria – un posto e un ruolo nelle devozioni di anglicani e cattolici – l’ARCIC conclude che la prassi di chiedere a Maria di pregare per noi non possa essere considerata divisiva per la comunione.

In Maria: grazia e speranza in Cristo, l’analisi dell’invocazione a Maria ha condotto a una «diversità riconciliata» perché: 1) il timore degli anglicani che la devozione cattolica contenga un’intrinseca usurpazione dell’espiazione di Cristo non ha fondamento, e parimenti non hanno sostanza i timori cattolici di un’antipatia degli anglicani verso Maria. Inoltre 2) l’accorata preoccupazione degli anglicani nel sottolineare la sufficienza della salvezza operata da Cristo non viene negata quando i cattolici mettono in evidenza come attraverso Cristo Dio abiliti altri come intercessori, né le riserve anglicane sulla necessità di rivolgersi a Maria contengono una delegittimazione dell’intento cattolico di dar corpo alla solidarietà della comunione dei santi.[8]

Non è qui necessario approfondire le conclusioni del documento Maria: grazia e speranza in Cristo, dal momento che l’ARCIC lo fa già in maniera breve, ma non per questo meno documentata, ai nn. 78-79.

 

2. Due aspetti di particolare interesse

Almeno due caratteristiche di Maria: grazia e speranza in Cristo rendono il documento unico fra quelli prodotti recentemente dalle commissioni ecumeniche bilaterali. L’interpretazione biblica da esso condotta va oltre i risultati dell’interpretazione storico-critica nel ricuperare il senso di Maria dal significato scritturistico riconoscibile al di là del messaggio intenzionale dell’autore biblico. Ciò suggerisce alcune precisazioni e perfino revisioni critiche. A proposito delle riflessioni teologiche sulla grazia di Dio nei primi istanti della vita di Maria e sulla sua condizione dopo la morte, l’ARCIC elabora creativamente una prospettiva escatologica offerta dalla rilevante importanza attribuita da Paolo alla salvezza che penetra le nostre esistenze umane.

La Scrittura alla luce della tradizione

L’ARCIC asserisce di utilizzare la Scrittura «cercando di attingere all’intera tradizione della Chiesa, con tutta la ricchezza e la varietà delle letture impiegate», e di integrare ciò che è valido di ciascun approccio (n. 7). In effetti, la diversità della «letture» viene dichiarata necessaria per correggere le carenze di una singolo metodo: «la tipologia può divenire eccessiva, l’enfasi della Riforma trasformarsi in riduzionismo, e i metodi critici in storicismo» (ibid.).

L’integrazione dei risultati dei metodi o «letture» diversi sembra presupporre il raggiungimento di un certo grado di interconnessione, così che l’esito è più di una semplice giustapposizione del racconto biblico e del differente significato «spirituale» di parole, eventi e persone.[9]

Tuttavia, va detto subito che gran parte di Maria: grazia e speranza in Cristo elabora in forma molto sobria una teologia sull’interazione fra Dio e il suo popolo e sul ruolo di Maria quale madre del Messia. La sobrietà caratterizza il credito attribuito a Mt 1-2 e Lc 1-2, quest’ultimo ulteriormente arricchito dall’attenzione riservata dal n. 15 del documento alle parole di Gabriele sullo Spirito che «stende la sua ombra» su Maria, in quanto richiamano la terminologia utilizzata dai Settanta nel descrivere i cherubini posti sull’Arca (Es 25,20), la presenza di Dio sulla Dimora (Es 40,35) e lo Spirito che aleggiava sulle acque (Gen 1,2).[10]Nella recezione rinnovata della testimonianza biblica, l’ARCIC acquisisce risultati interessanti senza impegnarsi in interpretazioni spirituali.

A proposito del quarto Vangelo, ai nn. 22-27 si osserva che una narrazione sobria lascia spazio al ricupero di significati simbolici, a cominciare dal vino nuovo di Cana, «simbolo della festa nuziale escatologica di Dio con il suo popolo e del banchetto messianico del Regno» (n. 23). «Non hanno più vino» viene letta come l’attribuzione di Giovanni a Maria della sete di salvezza del popolo messianico (n. 24), mentre l’ordine «Fate quello che vi dirà» è la parola di un credente ora inserito nella comunità messianica (n. 25). Ugualmente, il significato letterale di Gv 19,15-27 «ci invita a una lettura simbolica ed ecclesiale» della narrazione, nella quale Maria come «donna» viene interpretata in senso collettivo, o forse come antitipo di Eva, oppure, «sul piano spirituale», come madre di tutti i rinati dall’acqua e dallo Spirito (nn. 26-27).

Ho già espresso il mio apprezzamento su come il Gruppo di Dombes situi la propria riletturadei testi mariani del Nuovo Testamento nel contesto dei tre articoli del Credo che pongono Maria in relazione al Creatore, al Figlio incarnato giunto alla gloria attraverso la risurrezione, e allo Spirito Santo della Pentecoste.[11] Poiché i partecipanti ai dialoghi bilaterali agiscono in rappresentanza delle proprie Chiese, è lecito presumere che il loro studio biblico rispetti i modi nei quali i testi, nella sequenza degli effetti, sono stati recepiti dalle comunità di fede nel passato e nel presente.[12] Ma le Chiese hanno anche considerato necessario un ricupero regolamentato dei significati che l’autore biblico intendeva comunicare nell’assetto storico della prima redazione, agevolmente accessibile per un cattolico grazie alla Divino afflante Spiritu (1943) e gli studi recenti della Pontificia commissione biblica.

Un lavoro biblico, fruttuoso dal punto di vista ecumenico, non è tuttavia facile quando voglia rispondere ai due requisiti appena menzionati. La difficoltà è stata probabilmente percepita dai membri dell’ARCIC. Ad ogni modo, la Commissione non sembra aver pienamente acquisito i significati simbolici reperiti in Gv 2 e 19, dal momento che i reperti della sezione biblica, in Maria: grazia e speranza in Cristo al n. 30 e nella prima parte del n. 51, non menzionano affatto i simboli e i tipi, ma si limitano quasi esclusivamente ad alcune essenziali spigolature di Luca. I passaggi giovannei restano nel testo, ma i significati simbolici in essi riscontrati non hanno contribuito sostanzialmente all’apporto dottrinale centrale di questa fase del dialogo.

Maria nella grazia e nella speranza dell’economia salvifica

È lecito domandarsi come l’ARCIC abbia potuto approdare alle significative conclusioni dei nn. 58-59, che esprimono l’accordo sull’assunzione e sull’immacolata concezione di Maria. Una risposta si può trovare ai nn. 52-57, che articolano il «modello della grazia e della speranza» reso manifesto in Maria, ma conosciuto grazie allo sviluppo di questo modello in una fonte neotestamentaria centrale, cioè l’interpretazione eminentemente paolina di come la salvezza raggiunge le nostre esistenze umane.

Raccomando ai lettori dei nn. 52-57 di Maria: grazia e speranza in Cristo di tenere aperto il Nuovo Testamento per leggere e valutare i molti passaggi biblici ai quali si fa riferimento in questi paragrafi, in quanto tessono la rete di quella interpretazione teologica riguardante l’economia della grazia salvifica di Dio. Tali paragrafi costituiscono il cardine attorno al quale ruota l’argomentazione del documento, come conferma il titolo dell’insieme, ricavato da quanto affermato al n. 54: «Questo è il modello della grazia e della speranza che vediamo operante nella vita di Maria».

L’apporto di questo approccio proviene dalla priorità conferita alla prospettiva del destino ultimo degli esseri umani graziati, cioè una considerazione «alla luce di ciò che siamo destinati a diventare in Cristo (...). In tal modo vediamo l’economia della grazia nella storia “a partire dalla fine”, dal suo compimento in Cristo, piuttosto che “a partire dall’inizio”, dalla creazione caduta» (n. 52). L’attenzione a questa economia porta alla percezione della coerenza dell’opera salvifica di Dio, che non è frammentata in parti o elementi semplicemente giustapposti. Il futuro è specialmente rilevante, perché per fede noi siamo «un popolo della risurrezione» certi della gloria presente di Gesù Cristo, con il quale i credenti sono divenuti «coeredi» (Rm 8,17) già risorti con lui (Ef 2,6; Col 3,1), secondo la scelta di Dio prima della creazione del mondo (Ef 1,3-5).

C’è dunque un modello della grazia e della speranza nell’economia che si svela. Per grazia i credenti, e in modo particolare Maria, sono «opera di Dio, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto» (Ef 2,10, citato al n. 55). L’intento di Dio precede e la sua opera anticipa quanto diverrà storia. Come credenti noi viviamo nella speranza, saldamente fondati sui «primi frutti dello Spirito», cercando «la redenzione dei nostri corpi» (Rm 8,23, richiamato al n. 57), il che era nientemeno che la fondata speranza di Maria.

Così l’ARCIC ha assunto ciò che chiama una «prospettiva escatologica» (citata ai nn. 52, 54, 56, 59 e 63), per approfondire la sua interpretazione di Maria situandola entro un orizzonte di verità espresse nelle lettere del Nuovo Testamento ove è ben difficile rintracciare una qualunque menzione di lei. Questo sia per assumere Maria quale «il più pieno esempio umano della vita della grazia» (n. 65), sia, metodologicamente, volendo muoversi a partire dalla convinzione dell’unità fra le diverse opere del Nuovo Testamento. Dal momento che la raccolta costituisce un insieme coerente, è lecito lasciare che le Lettere illuminino la figura di Maria, conosciuta principalmente attraverso i Vangeli.

Il grande apporto di Maria: grazia e speranza in Cristo è dato dunque dall’aver reso fruttuosa per la comprensione dottrinale – e per il consenso – un’interpretazione biblica attenta all’«analogia della fede», come raccomanda la Dei Verbum (n. 12).[13]

 

3. Ulteriori considerazioni sulle fonti e sulla dottrina per il dialogo su Maria

I progressivi scambi ecumenici sulla dottrina mariana e sul posto di Maria nella preghiera, potrebbero, a mio parere, trarre vantaggio da altre due considerazioni sfiorate ma non sviluppate in Maria: grazia e speranza in Cristo.

Fonti liturgiche di dottrina e modelli di devozione

I recenti studi mariologici del Gruppo di Dombes comprendono l’osservazione che il detto lex orandi [est] lex credendi non è da riferire alla pietà popolare, ma alla preghiera liturgica ufficiale della Chiesa.[14] Maria: grazia e speranza in Cristo è d’accordo, quando richiama l’insistenza di Paolo VI nella Marialis cultus che il cuore della preghiera pubblica della Chiesa debba dare alla devozione mariana il posto che le compete (n. 48), e l’ARCIC nota come le feste mariane aggiunte di recente dagli anglicani siano per loro significative per via del «ruolo definitivo (...) dei testi e delle pratiche liturgiche» (n. 49).

Il nuovo documento nota che le forme liturgiche della preghiera che coinvolgono i santi non vengono rivolte ai santi come a sorgenti di grazia e aiuto, ma come a intercessori presso Dio nell’ottenere l’aiuto che da lui proviene (n. 70). Ancor di più si può dedurre, a vantaggio del dialogo, dalle preghiere liturgiche pronunciate nelle festività mariane.

I cattolici trovano un aiuto nel proseguire il dialogo su Maria prestando attenzione ai temi di fatto espressi nelle collette liturgiche delle feste mariane nel Messale romano. Studiando undici di queste preghiere, tutte indirizzate a Dio Padre, emergono tre ambiti tematici riguardanti Maria.[15]

1) Il 1° gennaio, le collette ordinaria e alternativa invocano l’incessante preghiera di Maria, chiedendo che possa essere sempre benefica e sia fonte di gioia per il popolo e per la Chiesa, ma ciò viene chiesto in riferimento al suo contributo nel far giungere a noi vita e salvezza attraverso Gesù, il figlio che ella ha concepito e partorito. La colletta alternativa del 25 marzo e quella vespertina del 14 agosto chiedono entrambe che «le preghiere di questa donna [possano] portare Gesù al mondo in attesa», mentre la colletta ordinaria del formulario più recente chiede che le sue preghiere possano condurci alla salvezza di Cristo e risuscitarci a vita eterna. Una sesta colletta, quella dell’8 dicembre, inizia chiedendo a Dio Padre: «Aiutaci, per le sue preghiere, a vivere nella tua presenza senza peccato». – Maria, che vive fra i redenti, davvero prega per il mondo e per la Chiesa ancora in via.

2) La colletta dell’8 settembre, per la Natività di Maria, inizia direttamente supplicando Diocon riferimento alla nascita sia di Gesù, sia di Maria: «Padre di misericordia, dona al tuo popolo aiuto e forza dal cielo. La nascita del Figlio della vergine Maria era l’alba della nostra salvezza. Possa questa celebrazione della sua nascita condurci più vicino alla pace duratura».

3) In queste collette, la forma più comune di richiesta è espressamente teocentrica. Questo è riconoscibile nella subordinazione della richiesta di particolari grazie o aiuto in forza di ciò che Dio ha compiuto in Maria e viene commemorato in un dato giorno. Il 31 maggio, festa della Visitazione, che ha occasionato il Magnificat, la menzione dell’ispirazione divina a Maria di recarsi in aiuto ad Elisabetta porta a chiedere: «Mantienici aperti all’azione del tuo Spirito e che con Maria possiamo lodarti in eterno».

Entrambe le collette per la vespertina del 14 agosto parlano dell’opera di Dio nel rendere Maria madre del Figlio di Dio – quella ordinaria aggiunge il suo coronamento nella gloria – prima di chiedere che le sue preghiere siano benefiche per il mondo e la Chiesa come indicato sopra al paragrafo 1). Le collette del giorno per il 15 agosto fanno riferimento all’assunzione di Maria nella gloria, che nella colletta ordinaria è direttamente opera di Dio («tu hai risuscitato...») e in quella alternativa l’azione di Dio viene espressa con un passivo teologico («ella è stata risuscitata...»), prima di chiedere che noi possiamo vedere il cielo, nostra meta definitiva (ordinaria) o possiamo seguire il suo esempio nel riflettere la santità di Dio e unirci al suo inno senza fine di vita e di lode (alternativa).[16]

L’8 dicembre, la colletta ordinaria narra l’azione di Dio («Tu hai preparato ... hai lasciato che condividesse anticipatamente ... l’hai esentata dal peccato») prima di chiedere che le sue preghiere ci aiutino a vivere senza peccato, mentre la colletta alternativa dell’Immacolata concezione offre l’abbondanza di dottrina, narrazione e invocazione, e perfino un richiamo al tempo d’Avvento nel quale la festa cade, come segue:

Padre, l’immagine della Vergine risplende nella Chiesa. Maria ebbe una fede che il tuo Spirito preparò e un amore che non conobbe mai peccato, poiché tu l’hai preservata dal peccato fin dal primo momento della sua concezione. Traccia nelle nostre azioni i segni del suo amore e nei nostri cuori la prontezza della sua fede. Una volta ancora, prepara un mondo per il tuo Figlio che vive e regna con te e lo Spirito Santo, un solo Dio, nei secoli dei secoli.

Queste preghiere teocentriche per le collette mariane esaltano l’iniziativa di Dio e l’estensione della sua azione nella vita e nella persona di Maria. Ciò può essere utile, insieme ai due ambiti tematici delle collette, per ulteriori contributi dei cattolici su Maria nei dialoghi ecumenici.

Il ruolo di Maria come partecipazione in Cristo

Quando il documento Maria: grazia e speranza in Cristo affronta l’intercessione e la mediazione di Maria cita il capitolo del Vaticano II su Maria: «La funzione materna di Maria verso gli uomini non oscura né in alcun modo sminuisce l’unica mediazione di Cristo, ma ne mostra piuttosto l’efficacia» (n. 67, che cita Lumen gentium, n. 60). Un’affermazione analoga ricorre poco dopo, a proposito dei ministeri che mediano la grazia di Dio: «Questi ministeri non si misurano con l’unica mediazione di Cristo, ma piuttosto sono a suo servizio, e trovano in essa la loro origine» (n. 68).

Queste affermazioni sollecitano ulteriori considerazioni su Cristo: «uno solo, infatti, è il mediatore fra Dio e gli uomini ... che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,5), «è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi» (Rm 8,34).

Il Vaticano II ha in effetti aperto un’ulteriore prospettiva sulla mediazione salvifica del Cristo risorto nel capitolo mariologico della Lumen gentium, in un testo denso che si sviluppa lungo tre tappe. Primo, il Concilio afferma l’unicità di Cristo. Successivamente offre due paragoni che suggeriscono dei percorsi di interpretazione della mediazione salvifica di Cristo: uno è la partecipazione al suo sacerdozio, l’altro l’irradiazione della bontà di Dio, che è diffusivum sui, attraverso la creazione. Terzo, la stessa affermazione sancisce, a proposito dell’opera salvifica di Cristo, un principio di partecipazione, cioè, una condivisione con ciascuno alla sua propria maniera di ciò che è perfetto in Cristo. Così si legge nella Lumen gentium:

«La creatura infatti non può mai addizionarsi al Verbo incarnato e redentore. Ma come accade per il sacerdozio di Cristo che viene partecipato in vari modi sia ai ministri sacri sia al popolo dei fedeli, e come accade per l’unica bontà divina che viene diffusa nelle creature in modi diversi; così anche l’unica mediazione del Redentore non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione, che è partecipazione dell’unica fonte (suscitat variam ... participatam ex unico fonte cooperationem)» (n. 62).

Cristo è l’unica, piena e perfetta mediazione, tanto che egli trasmette attivamente agli altri non solo i benefici della sua opera salvifica, ma dona loro anche una derivata e condivisa cooperazione alla sua mediazione. La grazia di Cristo risplende in mezzo alle creature umane, anzitutto come redenzione dal peccato, ma anche come potere di trasformazione. È un agire analogo. La grazia salvifica di Cristo ha sui credenti gli stessi effetti auspicati da Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5).

Qui è necessaria una consapevolezza vigile dei nostri stessi schemi di pensiero. In quanto persone completamente dipendenti, in ordine alla salvezza, dall’opera di Cristo, dobbiamo pensare e parlare dialetticamente, come ci ammonisce Paolo: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?» (1Cor 4,7). Ma una volta riconosciuta consapevolmente la nostra dipendenza, non dobbiamo tralasciare di considerare la ricchezza del dono, dove può essere introdotto un altro schema di pensiero: quello della partecipazione.

Mi viene in mente il commento di un astuto tomista del periodo della Riforma, quando rispose a un protestante che negava il valore meritorio e soddisfacente delle buone opere compiute dall’uomo in grazia. I rivali si sentivano costretti a questa negazione, perché non venisse messa in dubbio la piena e perfetta sufficienza del merito e della soddisfazione guadagnata dalla morte di Cristo per noi e per la nostra salvezza. La preminenza di Cristo andava difesa attraverso la negazione del ruolo creaturale. Ma il tomista, Tommaso de Vio, card. Cajetano, rispose che ascrivere dei meriti all’opera dei giustificati non comporta affermare un’insufficienza dalla parte di Cristo, ma anzi è possibile proprio in forza della singolare ricchezza dei meriti di Cristo (propter affluentiam). È infatti Cristo che dona alle sue membra di partecipare ai suoi meriti, per quanto nell’ordine delle cause secondarie e secondo il loro grado parziale e imperfetto.[17] La chiave è proprio lì: non si tratta di pensare che un sì a Cristo significhi semplicemente e solamente un no alle sue membra, dialetticamente, ma si tratta di ammettere parimenti che l’influenza di Cristo giunge a dare agli altri una forma di partecipazione, al livello loro proprio, a ciò che egli è e fa.

Perciò, l’intercessione di Maria per il mondo dipende dall’unica perfettissima mediazione del suo Figlio. Non è necessario aggiungere qualcosa all’intercessione di Cristo, come se necessitasse di completamento. È piuttosto una manifestazione, o addirittura una conferma, del supremo ruolo di Cristo per il quale egli incorpora altri, e prima fra tutti sua madre, nella sua incessante intercessione delle grazie dello Spirito per noi e per la nostra salvezza.

Certo, pensare «tomisticamente» non è certo scontato oggi, nemmeno per i cattolici, ma in questo contesto mariologico è un approccio di pensiero che può risultare proficuo.

 

 

 

 

[1] Quando l’ARCIC iniziò il suo nuovo studio su Maria, poté fare riferimento anche a due recenti documenti di dialogo: 1) L’unico Mediatore, i santi e Maria, dell’ottava fase di dialogo tra cattolici e luterani negli USA, e 2) Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi, del Gruppo di Dombes. Ho recensito questi contributi nell’articolo «The Virgin Mary in Recent Ecumenical Dialogues», in Gregorianum 81(2000), 25-75.

[2] Il dono dell’autorità, nn. 24-25. Il fatto – e la sua efficacia – che la recezione progressiva sia affermata dal Vaticano II, sia nella sua dottrina dello sviluppo positivo nella comprensione del significato della tradizione apostolica («Cresce la comprensione tanto delle cose quanto delle parole trasmesse ... Perciò ... la Chiesa nel corso dei secoli tende costantemente alla pienezza della verità divina»; Dei Verbum, n. 8), sia nel contrappeso dell’ammissione conciliare che per quanto riguarda la vita, la disciplina e la formulazione della dottrina: «La Chiesa pellegrinante sulla terra è chiamata da Cristo a questa perenne riforma della quale essa, in quanto istituzione umana e terrena, ha continuo bisogno» (Unitatis redintegratio, n. 6).

[3] Il testo si trova in Maria: grazia e speranza in Cristo, n. 39, nota 9.

[4] «Si devono credere con fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio, scritta o trasmessa per tradizione, e che vengono proposte dalla Chiesa, o con solenne definizione, o con il magistero ordinario e universale, come divinamente ispirate, e pertanto da credersi»; Concilio Vaticano I, Dei Filius, c. III; Denz 3011, citato da J. Neuner, J. Dupuis, The Christian Faith in the Doctrinal Documents of the Catholic Faith, 7a ed., Bangalore 2001, 45.

[5] L’evento Cristo, nella sua totalità, completa e perfeziona la rivelazione, la quale nel suo contenuto manifesta che «Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e per risuscitarci alla vita eterna» (Dei Verbum, n. 4).

[6] Maria: grazia e speranza in Cristo, n. 63, alla nota 13, cita due precedenti sul consenso di fede che ammette la persistenza di differenze nella formulazione: 1) la Dichiarazione cristologica comune fra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente del 1994, che riconosce una genuina fede cristologica, anche laddove Maria non viene associata all’appellativo Theotokos (Neuner, Dupuis, 277); 2) la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione fra luterani e cattolici del 1999, che sancisce una comune convinzione di fede, ma poi analizza le due argomentazioni teologiche per mostrare che le differenze non sono né reciprocamente esclusive né compromettono il consenso di fede (Neuner, Dupuis, 844-852). In entrambi i casi, due corpi dottrinali esistenti sono stati comparati approfonditamente e in dettaglio. Esiste in ambito anglicano un analogo corpo dottrinale mariano col quale sia possibile stabilire una relazione dialogica con l’insegnamento cattolico?

[7] Il teologo luterano Robert Jenson, in «A Place for God», discute l’invocazione dell’intercessione di Maria a partire dalla sua maternità divina in Carl E. Bratten, Robert W. Jenson (a cura di), Mary, Mother of God, Eerdmans, Grand Rapids 2004, 49-57.

[8] L’analisi di «paure e preoccupazioni» si è imposta come metodologicamente importante nella revisione delle condanne reciproche di cattolici e riformati sulla dottrina della giustificazione, condotta dal Gruppo di lavoro ecumenico tedesco. L’esito ha accertato una compatibilità di fondo, fondamentale per la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione di cattolici e luterani del 1999. Infatti, «la dottrina cattolica non trascura ciò che la teologia protestante sottolinea .. né insiste su ciò che la teologia protestante teme» in Karl Lehmann, Wolfhart Pannenberg (a cura di), The Condemnations of the Reformation Era. Do They Still Divide?, Fortress, Minneapolis 1990, 49). La natura e l’importanza di tale analisi dei reciproci timori viene approfondita nello studio dell’accordo sulla giustificazione condotto da Pawel Holc, Un ampio consenso sulla dottrina della giustificazione, Università Gregoriana, Roma 1999, 145s, con riferimento allo studio della cristologia copto-cattolica, e 244s. Lo stesso autore illustra la portata di questa analisi nel dimostrare l’esistenza di un «consenso differenziato» fra i partner ecumenici in «“Consenso differenziato” come categoria fondamentale nei dialoghi ecumenici», in Carmen Aparicio et al. (a cura di), Sapere teologico e unità della fede, studi in onore di J. Wicks, Università Gregoriana, Roma 2004, 434-450.

[9] L’approccio ecumenico a Maria con i metodi dello studio storico critico, allo scopo di ricuperare anzitutto il messaggio intenzionale dell’autore biblico nell’organizzare la propria redazione originale, viene esemplificato fruttuosamente in Raymond E. Brown et al. (a cura di), Mary in the New Testament, Fortress-Paulist, Philadelphia-New York 1978, uno studio incoraggiato dal dialogo luterano-cattolico negli USA.

[10] È possibile che un membro della Commissione abbia letto il greco di Lc 1,35 con una concordanza dei LXX nell’altra mano, come si è dimostrato fruttuoso in merito a Paolo nello studio di Richard B. Hays, Echoes of Scripture in the Letters of Paul, Yale University Press, New Haven 1989.

[11] «The Virgin Mary in Recent Ecumenical Dialogues» (cf. nota 1), 37-40, dove la somiglianza è stata notata nell’approccio alla Scrittura proposta da George Lindbeck, «Two Kinds of Ecumenism: Unitive and Interdenominational», in Gregorianum 70 (1989), 657-659, e in R.J. Neuhaus (a cura di), «Scripture, Consensus, and Community», in Biblical Interpretation in Crisis, Eerdmans, Grand Rapids 1989, 74-101.

[12] Un saggio recente mostra quanto sia fruttuoso dal punto di vista ecumenico mettere in relazione Maria al «Cristo della Scrittura» della fede ecclesiale, risorto ed esaltato, come è stato annunciato dal kerygma apostolico, e non a un presunto Gesù storico, celato dietro le allusioni dei nostri vangeli: David S. Yeago, «The Presence of Mary in the Mistery of the Church», in Mary, Mother of God (vedi nota 7), 59-63.

[13] L’espressione è spesso oscurata dai tentativi di spiegarla, ma è più comprensibile se riferita alla «coesione delle verità della fede tra loro e nella totalità del progetto della rivelazione» (Catechismo della Chiesa cattolica 114).

[14] Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi, n. 29.

[15] 1° gennaio, Maria Madre di Dio (colletta ordinaria e alternativa); 25 marzo, Annunciazione (colletta alternativa); 31 maggio, Visitazione; vespertina del 14 agosto, vigilia dell’Assunzione (colletta ordinaria e alternativa); 15 agosto (ordinaria e alternativa); 8 settembre, Natività di Maria; 8 dicembre, Immacolata concezione (colletta ordinaria e alternativa). La colletta iniziale per l’Annunciazione è focalizzata sull’incarnazione, senza menzionare Maria.

Ndt: le citazioni dai testi liturgici inglesi sono offerte in una nostra traduzione, in quanto i testi corrispondenti dell’edizione italiana attualmente in uso del Messale romano (1983) presentano significative variazioni e adattamenti.

[16] Maria: grazia e speranza in Cristo riconosce questo approccio nella definizione dell’assunzione di Pio XII: «Si noti che il dogma (...) celebra l’azione di Dio in lei» (n. 58).

[17] Cajetano, De fide et operibus, 12. È convinzione tomista che le cause create non competono con la causalità universale di Dio. Gli agenti umani e divini non sono in alternativa, per cui il contributo dell’uno delimiti quello dell’altro. La creatura non supplisce una carenza in Dio, né l’efficienza universale di Dio riduce la realtà delle azioni create. È invece frutto dell’abundantia divina che le creature siano rese attivamente partecipi della sua stessa causalità, come spiega s. Tommaso in Summa theologiae, I, 22, 3.