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ORIENTAMENTI E SUGGERIMENTI
PER L'APPLICAZIONE DELLA DICHIARAZIONE CONCILIARE
NOSTRA AETATE (n. 4)

 

Nota Introduttoria

Il documento viene pubblicato a  firma del Cardinal Willebrands, nella sua funzione di Presidente della nuova Commissione per i rapporti religiosi della chiesa cattolica con gli ebrei, istituita da Paolo VI il 22 Ottobre 1974. Il documento viene reso pubblico poco tempo dopo il IX anniversario della promulgazione di Nostra Aetate, la Dichiarazione della Chiesa con le religioni con cristiane.

Gli " Orientamenti e Suggerimenti", che si riferiscono al n.4 della Dichiarazione, si caratterizzano  per la loro natura quasi esclusivamente pratica e per la loro sobrietà.

Il carattere deliberatamente pratico del testo trova la sua giustificazione dal fatto che si tratta di un documento con valore esecutivo.  

Esso non propone una teologia cristiana dell’ebraismo, che certamente offrirebbe interesse per la ricerca e la riflessione degli specialisti, ma richiederebbe ancora lunghi studi. La nuova Commissione per i rapporti religiosi con gli ebrei dovrebbe poter giocare un ruolo nella maturazione di questo sforzo.

Il Preambolo del Documento richiama i principali insegnamenti del Concilio sulla condanna dell’antisemitismo e di ogni genere di discriminazione e sul dovere della mutua comprensione e di una stima reciproca rinnovata. Auspica anche una migliore conoscenza da parte dei cristiani dell’essenza della tradizione religiosa dell’ebraismo e del modo in cui gli ebrei si auto-definiscono.

Il testo propone poi una serie di suggestioni concrete. 

La sezione dedicata al dialogo invita al dialogo fraterno e alla promozione dell’approfondimento di una ricerca dottrinale. Viene proposta come modalità di incontro anche la preghiera in comune.

Riguardo alla liturgia, si ricordano i legami tra la liturgia cristiana e la liturgia ebraica e l’attenzione che è necessaria avere verso i commentari dei testi biblici, verso le spiegazioni e le traduzioni liturgiche.

La parte riguardante l’insegnamento e l’educazione consente di precisare le relazioni tra le due Alleanze, di fare allusione al problema del processo e della morte di Gesù e di insistere sull’aspetto dell’attesa che caratterizza sia la religione ebraica che quella cristiana. Gli specialisti sono invitati a condurre ricerche serie e si incoraggia, dove sia possibile, l’istituzione di cattedre di studi ebraici, così come la collaborazione con studiosi ebrei.

La sezione finale tratta la possibilità di un’azione sociale comune nel contesto di una ricerca della giustizia sociale e della pace.

La conclusione tocca, tra le altre cose, l’aspetto ecumenico del problema delle relazioni con l’ebraismo, le iniziative delle chiese locali in quest’area e le linee essenziali della missione della nuova Commissione istituita dalla Santa Sede.

La grande sobrietà del testo si nota anche nei suggerimenti concreti che esso propone. Ma sarebbe certamente sbagliato interpretare tale sobrietà come indicativa di un programma limitativo di attività. Il documento propone certamente, per alcuni settori chiave, dei suggerimenti limitati, ma è un documento destinato alla Chiesa universale e, in quanto tale, non può considerare tutte le situazioni particolari. I suggerimenti espressi intendono fornire idee a coloro che si sono chiesti come iniziare a livello locale quel dialogo che il testo invita a iniziare e a sviluppare. Questi suggerimenti sono menzionati per il loro valore di esempi. Essi sono fatti perché è sembrato che potessero trovare ampie applicazione e che le loro proposte allo stesso tempo costituissero un programma atto ad aiutare le chiese locali ad organizzare le loro attività, allo scopo di armonizzarle con il movimento generale della Chiesa universale in dialogo con l’ebraismo.  

Da un certo punto di vista, il Documento può essere considerato come documento iniziale della Commissione per la realizzazione delle relazioni religiose con l’Ebraismo. Sarà demandato alla nuova Commissione il compito di preparare e suggerire, quando necessario, gli ulteriori sviluppi che possano sembrare necessari affinché l’iniziativa del Concilio Vaticano Secondo in questa area importante possa continuare a portare frutti sia a livello locale che mondiale, per il beneficio della pace dei cuori e l’armonia dello spirito di tutti coloro che operano sotto la protezione dell’Unico Dio Onnipotente.

Il Documento, che invita ad uno sforzo di reciproca comprensione e collaborazione, coincide con l’apertura dell’Anno Santo, consacrato al tema della riconciliazione. È impossibile non percepire in tale coincidenza un invito a studiare e ad applicare in termini concreti in tutto il mondo i suggerimenti che il Documento propone. Allo stesso modo non si può mancare di sperare che anche i nostri fratelli ebrei possano trovarvi indicazioni utili per la loro partecipazione a un impegno che è comune.

 

Preambolo

La Dichiarazione del Concilio Vaticano Secondo Nostra Aetate  (28 ottobre 1965) «sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane» (n. 4), segna una svolta importante nella storia dei rapporti tra ebrei e cattolici.

Inoltre l’iniziativa conciliare è situata in un contesto profondamente modificato dal ricordo delle persecuzioni e dei massacri subiti dagli ebrei in Europa immediatamente prima e durante la seconda guerra mondiale.

Benché il cristianesimo sia nato nell’ebraismo e ne abbia ricevuto alcuni elementi essenziali della sua fede e del suo culto, la frattura tra le due religioni è divenuta sempre più profonda, fino a giungere quasi ad una reciproca incomprensione.

Dopo duemila anni, troppo spesso segnati da una ignoranza reciproca e da frequenti confronti, la dichiarazione Nostra Aetate dava l’occasione di instaurare o proseguire un dialogo rivolto ad una migliore conoscenza reciproca. Durante i nove anni trascorsi dalla promulgazione della Dichiarazione, numerose iniziative sono state prese in diversi paesi. Tali iniziative hanno permesso di enucleare più chiaramente le condizioni nelle quali le nuove relazioni tra ebrei e cristiani possono essere elaborate e sviluppate.

Sembra dunque giunto il momento di proporre, secondo gli orientamenti del concilio, dei suggerimenti concreti, basati sull'esperienza, nella speranza che aiutino ad attuare nella vita della Chiesa le intenzioni esposte nel documento conciliare.

Sulla base del Documento, bisogna qui ricordare semplicemente che i legami spirituali e le relazioni storiche che ricollegano la chiesa all'ebraismo condannano, come avversi allo spirito stesso del cristianesimo, tutte le forme di antisemitismo e di discriminazione che, d'altra parte, la dignità della persona umana è di per se stessa sufficiente a condannare. Non solo, ma questi legami e queste relazioni impongono il dovere di una migliore comprensione reciproca e di una rinnovata mutua stima. Praticamente è dunque necessario, in particolare, che i cristiani cerchino di capire meglio le componenti fondamentali della tradizione religiosa ebraica e apprendano le caratteristiche essenziali con le quali gli ebrei stessi si definiscono alla luce della loro attuale realtà religiosa.

Nella linea di queste considerazioni di principio, proponiamo semplicemente alcune prime applicazioni pratiche in diversi campi essenziali della vita della Chiesa, al fine di instaurare o sviluppare in modo sano le relazioni tra i cattolici e i loro fratelli ebrei.

 

I. Dialogo

C'è da dire che in verità le relazioni tra ebrei e cristiani, quando ce ne sono state, non hanno generalmente mai superato il livello di monologo: è importante ora stabilire un vero dialogo.

Il dialogo presuppone il desiderio di conoscersi reciprocamente e di sviluppare e approfondire tale conoscenza. Esso costituisce un mezzo privilegiato per favorire una più profonda conoscenza reciproca e, particolarmente per quanto riguarda il dialogo tra ebrei e cristiani, un mezzo per approfondire la ricchezza della propria tradizione. Condizione del dialogo è il rispetto dell'altro, così come è soprattutto rispetto della sua fede e delle sue convinzioni religiose.

In virtù della sua missione divina, la Chiesa per sua natura deve annunciare Gesù Cristo al mondo (ad Gentes, 2). Per evitare che questa testimonianza a Gesù Cristo non appaia agli ebrei come un'aggressione, i cattolici abbiano la cura di vivere ed annunciare la loro fede nel più rigoroso rispetto della libertà religiosa secondo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II (Dichiarazione Dignitatis Humanae). Essi si sforzino anche di comprendere le difficoltà che l'anima ebraica, giustamente impregnata d'una nozione molto alta e pura della trascendenza divina, prova davanti al mistero del Verbo incarnato.

Se è vero che in questo campo regna ed è ancora abbastanza diffuso un clima di sospetto dovuto all'influenza di un passato da deplorare, i cristiani da parte loro dovranno saper riconoscere la loro parte di responsabilità e trarre le conseguenze pratiche per l'avvenire.

Oltre che i colloqui fraterni, dovranno essere incoraggiati anche gli incontri di persone competenti per studiare i molteplici problemi connessi alle convinzioni fondamentali dell'ebraismo e del cristianesimo. Una grande apertura di spirito, la diffidenza verso i propri pregiudizi, il tatto sono le qualità indispensabili per non ferire, se pure involontariamente, l'interlocutore. Nelle circostanze in cui sarà possibile e reciprocamente augurabile, si potrà favorire un incontro comune davanti a Dio, nella preghiera e nella meditazione silenziosa, così efficace perché nasca quella umiltà e quell'apertura di spirito e di cuore, necessarie per la conoscenza profonda di sé stessi e degli altri. Lo si farà, in particolare, a proposito delle grandi cause, come quelle della giustizia e della pace.

 

II. Liturgia

Si dovranno ricordare i legami esistenti tra la liturgia cristiana e la liturgia ebraica. La comunità di vita nel servizio di Dio e dell'umanità per amore di Dio, proprio come si realizza nella liturgia, caratterizza la liturgia ebraica come quella cristiana. Per le relazioni ebraico-cristiane, è importante prendere conoscenza degli elementi comuni della vita liturgica (formule, feste, riti, ecc.) dove la Bibbia occupa un posto essenziale.

Ci si sforzerà di comprendere meglio ciò che, nell'Antico Testamento, conserva un valore proprio e perpetuo (cf. Dei Verbum 14-15), che non è cancellato dall'interpretazione ulteriore del Nuovo Testamento. Piuttosto, il Nuovo Testamento gli chiarisce il suo pieno significato, mentre sia l’Antico che il Nuovo trovano reciprocamente luce e spiegazione (cf. ibid., 16). Ciò è tanto più importante nella misura in cui la riforma liturgica mette in contatto sempre più frequentemente i cristiani con i testi dell'Antico Testamento.

Nei commenti dei testi biblici, senza minimizzare gli elementi originali del Cristianesimo, si metterà in luce la continuità della nostra fede con quella dell'Alleanza antica, nella linea delle promesse. Noi crediamo che esse sono state compiute al momento del primo avvento del Cristo; non è meno vero che siamo ancora in attesa del loro perfetto compimento nel momento del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi.

Per quanto riguarda le letture liturgiche, si avrà cura di darne, nell'omelia, una giusta interpretazione, soprattutto per quanto concerne quei passaggi che sembrano porre il popolo ebraico in quanto tale in una situazione sfavorevole. Ci si sforzerà di istruire il popolo cristiano in modo che giunga a comprendere ogni testo nel senso autentico, nel suo significato per il credente di oggi.

 Le commissioni incaricate delle traduzioni liturgiche saranno particolarmente attente nel rendere le espressioni ed i passaggi che possono essere interpretati in senso tendenzioso da parte di cristiani insufficientemente informati. È evidente che non si può cambiare il testo biblico, pur avendo la cura, in una versione destinata all'uso liturgico, di rendere esplicito il significato di un testo[i] tenendo conto degli studi esegetici.

Le osservazione che precedono si applicano anche alle introduzioni alle letture bibliche, all’ Oratio fidelium e ai commentari inseriti nei messali dei fedeli.

 

III. Insegnamento ed educazione

Sebbene rimanga ancora un vasto lavoro da svolgere, negli anni appena trascorsi si è giunti ad una migliore comprensione dell'ebraismo in sé e della sua relazione col cristianesimo, grazie agli insegnamenti della Chiesa, agli studi e alle ricerche degli esperti e al dialogo che si è potuto instaurare. A tale proposito meritano di essere ricordati i seguenti punti:

- È lo stesso Dio "ispiratore e autore dei libri dell’uno e dell’altro Testamento” (Dei Verbum, n. 16), che parla nell'antica e nella nuova Alleanza.

- Il giudaismo del tempo di Cristo e degli apostoli era una realtà complessa che assorbiva in sé tutto un mondo di tendenze, di valori spirituali, religiosi, sociali e culturali.

- L'Antico Testamento e la tradizione ebraica su di esso fondata non debbono essere considerati in opposizione al Nuovo Testamento, come se essi costituissero una religione della sola giustizia, del timore e del legalismo senza appello all'amore di Dio e del prossimo (cf. Dt 6,5; Lv 19, 18; Mt 22,34-40).

- Gesù, come i suoi apostoli e un gran numero dei suoi primi discepoli, è nato dal popolo ebraico. Egli stesso, rivelandosi come Messia e Figlio di Dio (cf. Mt 16,16), portatore di un nuovo messaggio, quello del Vangelo, si è presentato come il compimento e il perfezionamento della precedente rivelazione. E benché l'insegnamento di Cristo abbia un carattere profondamente nuovo, esso tuttavia si fonda a più riprese, sull'insegnamento dell'Antico Testamento. Il Nuovo Testamento è intimamente contrassegnato dalla sua relazione all'Antico. Come ha dichiarato il concilio Vaticano II: "Dio, il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo" (Dei Verbum, n. 16). E inoltre Gesù fa uso di metodi di insegnamento analoghi a quelli usati dai rabbini del suo tempo.

- Per quanto riguarda il processo e la morte di Gesù, il Concilio ha ricordato che “tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo” (Nostra Aetate, n.4).

- La storia dell'ebraismo non si è conclusa con la distruzione di Gerusalemme. Questa storia ha continuato a svolgersi sviluppando una tradizione religiosa la cui portata, pur assumendo - crediamo noi - un significato profondamente diverso dopo il Cristo, resta tuttavia ricca di valori religiosi.

- Con i profeti e con l'apostolo Paolo "la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e lo «lo serviranno sotto uno stesso giogo » (Sof 3,9) (Nostra Aetate, n.4).

L'informazione su queste questioni deve riguardare tutti i livelli d'insegnamento e di educazione del cristiano. Tra i mezzi di informazione, una particolare importanza rivestono quelli qui di seguito elencati:

 - manuali di catechesi;

- libri di storia;

- mezzi di comunicazione sociale (stampa, radio, cinema, televisione).

L'uso efficace di tali mezzi presuppone una specifica formazione degli insegnanti e degli educatori nelle scuole, come pure nei seminari e nelle università.

Si stimolerà la ricerca degli specialisti sui problemi relativi all'ebraismo e alle relazioni ebraico - cristiane, specialmente nei campi dell'esegesi, della teologia, della storia e della sociologia. Gli istituti superiori cattolici di ricerca, possibilmente in collaborazione con altri istituti cristiani analoghi, come pure gli specialisti, sono invitati a dare il loro contributo per la soluzione di tali problemi. Si istituiranno poi - dove ciò sia possibile - delle cattedre per studi ebraici, e si incoraggerà una collaborazione con studiosi ebrei.

IV. Azione sociale e comune

La tradizione ebraica e cristiana fondata sulla parola di Dio, è cosciente del valore della persona umana, immagine di Dio. L'amore per un medesimo Dio deve tradursi in una concreta azione in favore dell'uomo. In accordo con lo spirito dei profeti, ebrei e cristiani collaboreranno di buon grado nelle ricerca della giustizia sociale e della pace, a livello locale, nazionale e internazionale.

Questa azione comune può allo stesso tempo favorire largamente una stima e una conoscenza reciproche.

 

Conclusione

Il Concilio Vaticano II ha indicato la via da seguire per promuovere una profonda fraternità tra ebrei e cristiani. Ma un lungo cammino resta ancora da percorrere.

 Il problema dei rapporti tra ebrei e cristiani riguarda la chiesa come tale, poiché‚ è “scrutando il suo proprio mistero” che essa è posta di fronte al mistero di Israele.

Questo problema conserva dunque tutta la sua importanza anche in quelle aree dove non esistono comunità ebraiche.

Esso ha inoltre una implicazione ecumenica: il ritorno dei cristiani alle sorgenti e alle origini della loro fede, innestata sull’antica alleanza, contribuisce alla ricerca dell’unità in Cristo, pietra angolare.

In questo campo, nel quadro della disciplina generale della Chiesa e dell’insegnamento comunemente professato per mezzo del suo magistero, i vescovi sapranno prendere le opportune iniziative pastorali. Essi istituiranno, ad esempio, a livello nazionale o regionale delle commissioni o segretariati appositi, o nomineranno persone competenti con l’incarico di promuovere l’attuazione delle direttive conciliari e dei suggerimenti qui esposti.

A livello della Chiesa universale il Santo Padre ha istituito, in data 22 ottobre 1974, questa Commissione per le relazioni religiose con l’ebraismo, collegata al Segretariato per l’Unità dei cristiani. Creata allo scopo di promuovere e stimolare i rapporti religiosi tra ebrei e cattolici, con l’eventuale collaborazione di altri cristiani, questa commissione speciale, nei limiti delle sue competenze, è a disposizione di tutti gli organismi interessati per informarli ed aiutarli a realizzare i loro compiti, in conformità alle direttive della Santa Sede. La commissione auspica di sviluppare tale collaborazione per una realizzazione efficace e giusta degli orientamenti del Concilio.

 

Roma, 1 dicembre 1974

Johannes card. Willebrands – Presidente della Commissione

Pierre-Marie de Contenson, O.P. – Segretario della Commissione

 

 

 

 

[i] È così che in san Giovanni la formula «gli ebrei» designa a volte, a seconda del contesto, «i capi degli ebrei» o «gli avversari di Gesù», espressioni che meglio esprimono il pensiero dell’evangelista ed evitano di sembrare di mettere in causa il popolo ebraico come tale. Un altro esempio è nell’uso delle parole «fariseo» e «fariseismo» che hanno assunto una sfumatura soprattutto peggiorativa.