NELLO SPIRITO DI SANT´AGOSTNO,
SERVIRE LA PAROLA VIVENTE DI DIO

 

Omelia nella Santa Messa per il Festival Dei Verbum

 

(Basilica Concattedrale di San Siro, San Remo, 28 agosto 2023)

 

Le parole degli uomini e la Parola di Dio

Viviamo in un tempo in cui siamo inondati di parole. Nelle pubblicità e sui cartelloni, sui volantini e negli opuscoli, nei mass media e su Internet, ci viene offerta un’infinità di parole. Nel mondo di oggi, le parole sono ormai inflazionate. Non costano più nulla. Il numero di parole è aumentato incommensurabilmente, ma anche il loro valore è diminuito incommensurabilmente. Non c’è da stupirsi se continuiamo a dire: “Queste sono solo parole”.

A causa di una simile inflazione di parole, anche noi cristiani rischiamo di considerare persino le parole annunciate nella Chiesa come semplici parole che non costano nulla. In mezzo alle tante parole della vita quotidiana, ci risulta difficile ascoltare l’unica parola, che è la Parola di Dio. In realtà, la vita del cristiano e della comunità ecclesiale è fatta non semplicemente di parole, ma della Parola, che è “Parola di vita eterna” (Gv 6,68).

Ciò traspare dal significato originario del termine “vangelo”. In quel tempo, quando il vangelo di Gesù Cristo venne nel mondo, non aveva il tono gradevole e innocuo che ci piace così tanto oggi, ad esempio quando parliamo di “buona novella”. All’epoca di Gesù, il termine “vangelo” era piuttosto un termine politico e apparteneva alla “teologia politica” del tempo. Allora, tutti i decreti dell’imperatore erano definiti “vangeli”, anche nel peggiore dei casi, quando non contenevano alcuna “buona novella” per le persone interessate. “Vangelo” significava – tradotto semplicemente – il messaggio dell’imperatore. Era una buona notizia non principalmente per il suo contenuto, ma perché proveniva dall’imperatore e quindi dalla persona che – così si pensava – teneva in mano le sorti del mondo.

In questo senso, anche il messaggio di Gesù Cristo è vangelo, non perché risulti immediatamente piacevole o comodo o gratificante, ma perché viene da colui che non pretende più di essere Dio come faceva l’imperatore nel dichiarare i suoi messaggi vangeli, ma che è piuttosto lui stesso la Parola di Dio e quindi ha nel suo vangelo la chiave della verità e anche della vera gioia. Anche se a noi cristiani la verità del vangelo non sembra sempre facile - e infatti non lo è -, solo la sua verità rende liberi e felici, perché in questa parola del messaggio regale risuona la Parola di vita eterna.

Incontriamo la Parola di vita eterna soprattutto nelle Sacre Scritture. Il fatto di trovarla e di renderla feconda per la nostra vita dipende in gran parte da ciò che cerchiamo nelle Sacre Scritture. Se non vi cerchiamo niente, non vi troveremo niente. Se in esse cerchiamo solo fatti storici, vi troveremo solo fatti storici. Se nelle Scritture cerchiamo invece Dio, è Dio che vi troveremo. E quando cerchiamo la verità nelle Scritture, troveremo la verità, proprio la verità che Gesù promette nel Vangelo di Giovanni: “Io sono la via, la verità e la vita” (14,6).

 

L’appassionata ricerca della verità

Sorge dunque la fondamentale domanda di come noi cristiani oggi possiamo trovare nelle tante parole della vita quotidiana e anche nei tanti dibattiti ecclesiali il vangelo, la Parola di vita eterna, la “Dei Verbum”, e quindi la verità della nostra esistenza. In questo cammino ci può essere di grande aiuto il santo che la Chiesa ricorda oggi, sant’Agostino, il quale, nella sua appassionata ricerca della verità attraverso varie deviazioni, incontrò la verità di Dio anche nelle Sacre Scritture.

Secondo l’usanza ecclesiale del tempo, Agostino non ricevette inizialmente il battesimo, ma solo il sale dei catecumeni, e fu quindi accolto nella comunione della Chiesa in via provvisoria. In questo modo conobbe Cristo. Tuttavia, procedendo con gli studi, si convinse sempre più che, rispetto al grande sapere dell’alta scienza, la Bibbia poteva essere solo uno sciocco libro di storielle. Era deluso dalla lettura delle Scritture, principalmente perché trovava il loro contenuto insoddisfacente. Nei racconti veterotestamentari di guerre e di altri eventi fin troppo umani non scorgeva infatti la sottigliezza della filosofia e lo splendore della ricerca della verità in essa contenuto.

Agostino, però, non voleva vivere senza Dio. Cercava una religione che potesse corrispondere al suo desiderio di verità. In questa ricerca aderì all’eresia dei manichei, che si atteggiavano a cristiani e propugnavano una religione completamente razionale. In essa Agostino trovò la sintesi che desiderava di razionalità, ricerca della verità e amore per Gesù Cristo.

Agostino si presenta a noi come un uomo che, per tutta la vita, è alla ricerca di qualcosa e non è mai soddisfatto della vita così com’è. Egli fu sempre animato dal desiderio di verità, e più precisamente dalla domanda di cosa sia veramente l’uomo, da dove venga e dove vada, e come si possa trovare la vera - e non la presunta - felicità. Anche in quelle fasi in cui smarrì la via, dal punto di vista della fede e della morale, l’appassionata ricerca della verità rimase il centro pulsante della sua vita.

Per tale appassionata ricerca della verità, è probabile che, nonostante la grande distanza di tempo che da lui ci separa, oggi non vi sia alcun santo che sentiamo così vicino e che ci tocchi così direttamente come sant’Agostino. Egli è stato giustamente definito il primo uomo moderno, per il quale la fede non giunse in modo naturale, avendola egli cercata e trovata piuttosto attraverso tutti gli abissi umani.

 

La ricerca della verità e quindi di Dio

La ricerca della verità in tutta la sua vita condusse infine Agostino anche alla verità delle Sacre Scritture, perché la questione della verità dell’uomo era per lui strettamente legata alla questione di Dio. Egli era convinto che Dio esiste e che si prende cura dell’uomo. Ma conoscere veramente questo Dio e riconoscerlo insieme a tutte le implicazioni connesse fu la grande lotta che impegnò i primi anni della sua vita.

Studiando la filosofia di Platone, sant’Agostino comprese che all’inizio di tutto c’è la parola, il logos, il senso creatore da cui emerge il mondo intero. Ma la filosofia non poteva indicargli come raggiungere il Logos, che gli sembrava lontano, inavvicinabile, intangibile. Solo la fede della Chiesa gli rivelò la verità, ovvero che il Verbo, il Logos, si è fatto uomo. Agostino rifletté intensamente, nella sua vita successiva, sull’umiltà mostrata da Dio nell’incarnazione, e sempre più chiara si fece in lui la consapevolezza che possiamo rispondere a questa umiltà di Dio solo con l’umiltà della fede, come Gesù ci insegna anche nel vangelo odierno.

Questa presa di coscienza gli permise di leggere più a fondo le Sacre Scritture, come illustra l’episodio descritto dettagliatamente da sant’Agostino nelle sue “Confessioni”: egli riferisce che nel tormento delle sue meditazioni si era ritirato in un giardino quando improvvisamente udì la voce di un bambino che ripeteva cantando queste parole: “Tolle lege, tolle lege!” Nell’incontro con le Sacre Scritture, in particolare con le lettere di san Paolo, Agostino si rese conto che Dio, apparentemente così distante, in realtà non è affatto lontano, perché si è avvicinato a noi uomini, diventando uno di noi e ci ha mostrato il suo amore, come abbiamo sentito nel brano di Giovanni. Solo un Dio “tangibile” è infatti un Dio che si può pregare e con il quale e per il quale si può vivere.

In questo senso, la fede in Cristo testimoniata nelle Sacre Scritture portò a compimento la lunga ricerca della verità intrapresa da sant’Agostino. E in questo percorso, egli divenne uno dei più importanti esegeti della Bibbia nella storia della Chiesa, grazie soprattutto all’interpretazione tipologica dell’Antico Testamento che conobbe a Milano con il vescovo Ambrogio e che gli mostrò come l’Antico Testamento sia una via per giungere a Gesù Cristo. Nell’interpretazione tipologica Agostino ravvisò la chiave per comprendere la bellezza e la profondità filosofica anche dell’Antico Testamento e per trovare la vera sintesi tra filosofia, razionalità e fede in Cristo, il vero “Logos”, ovvero la Parola di vita eterna fattasi carne.

 

Parola di Dio e voce umana

Agostino dedicò tutta la sua vita all’annuncio del mistero di Cristo. Sulla base di questa esperienza, egli associò alla missione del predicatore della Parola di Dio un’immagine eloquente. Egli partì dalla constatazione che nel Nuovo Testamento Cristo è chiamato il la “Parola” mentre Giovanni Battista è chiamato la “voce”. Agostino riconobbe il compito del predicatore in questo rapporto tra parola e voce, sia per la sua grandezza sia per i suoi limiti. Da un lato, il bel compito del predicatore consiste nell’essere una voce percepibile e viva al servizio della Parola di Dio. Dall’altro, il suono sensoriale, cioè la voce che porta la parola da una persona all’altra, è destinato a scomparire, mentre la parola rimane. La voce umana non ha altro scopo che trasmettere la parola; dopodiché può e deve fare un passo indietro e tacere di nuovo in modo che la parola rimanga al centro dell’attenzione.

Sant’Agostino, riconoscendo in Giovanni Battista il modello del predicatore della Parola di Dio, suggerisce anche ai predicatori di oggi di concepire se stessi come puri precursori che restano indietro rispetto alla Parola che annunciano. Come Giovanni Battista non si riferiva mai a sé stesso, ma indicava sempre oltre, dirigeva l’attenzione verso il Cristo che viene come Parola vivente di Dio, così anche oggi i predicatori sono chiamati a rendersi disponibili come voce al servizio della Parola di Dio, affinché alla Parola di Dio sia dato lo spazio che le è dovuto. Ciò che conta infatti non è la voce, ma la Parola.

Solo quando, per la nostra missione, prendiamo come punto di riferimento Giovanni, la voce, e ci mettiamo al servizio della Parola di Dio in maniera credibile, la Parola di Dio torna ad occupare, al centro della vita ecclesiale, quel posto a cui si riferisce il poeta Heinrich Heine parlando della Parola di Dio tra gli ebrei: “Gli Ebrei, che conoscono bene ciò che è prezioso, sapevano esattamente quello che facevano quando, nell’incendio del secondo tempio, abbandonarono i vasi d’oro e d’argento per i sacrifici, i candelabri e le lampade, persino il pettorale del sommo sacerdote con le grandi pietre preziose, e salvarono solo la Bibbia. Questo era il vero tesoro del tempio.”[1]

Nella vita e nella missione della Chiesa, la Parola di Dio non può e non deve rivestire un ruolo inferiore rispetto a quello appena descritto. Solo così potremo aiutare coloro che ci sono affidati a percepire la Parola di Dio, che è la “Parola di vita eterna”, nelle infinite parole della vita quotidiana.

 

Lettura:   1 Giovanni 4,7-16

Vangelo: Matteo 23,8-12

 

 

 

[1] H. Heine, Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland. Vorrede zur 2. Auflage, in: Sämtliche Schriften. Band 5 (München 1976) 511.