L’INCORAGGIAMENTO AL MARTIRIO
E LA SUA CONSOLAZIONE CRISTIANA

 

Omelia durante la Commemorazione liturgica dei martiri armeni del genocidio armeno
nella chiesa di San Bartolomeo a Roma
27 aprile 2023

 

Le letture bibliche previste dalla liturgia per la commemorazione del “Metz Yegern”, il “Grande Male” che il popolo armeno dovette subire durante la prima guerra mondiale, offrono da un lato incoraggiamento e dall’altro consolazione. Il brano della lettera agli ebrei contiene un’esortazione a perseverare e un incoraggiamento a rimanere saldi nella fede e nella fiducia nella vita oltre la morte, un incoraggiamento dunque al martirio della pazienza. E il vangelo proclama la grande consolazione per il fatto che i cristiani che hanno dato la loro vita per la fede non sono caduti nel nulla, ma sono in buone mani presso Dio, perché nella casa del Padre celeste vi sono molte dimore.

 

Il martirio come supremo atto d’amore

Noi cristiani abbiamo bisogno di consolazione e di incoraggiamento anche oggi mentre gettiamo uno sguardo al mondo e alla storia del secolo scorso. Alla fine del secondo millennio e all’inizio del terzo, la cristianità è diventata ancora una volta una Chiesa martire, principalmente a causa delle dittature anticristiane e neopagane del nazionalsocialismo e del comunismo sovietico. La tragica storia del martirio di tanti cristiani è iniziata con l’armenocidio, il genocidio del popolo armeno all’inizio del XX secolo. Questo terribile evento ci ricorda quello che nella fede cristiana merita di essere chiamato martirio.

Un cristiano convinto non cerca il martirio di sua spontanea volontà, ma è disposto a subirlo quando diventa inevitabile e quando la fede deve essere testimoniata con il sacrificio della propria vita. Il martirio cristiano non è contrassegnato dal disprezzo della vita e dal desiderio di morte, ma dalla scelta della vita che Dio ci ha donato. La caratteristica che definisce il martirio cristiano è dunque l’amore: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). In queste parole di Gesù si riassume tutto il mistero del martirio cristiano.

Ciò vale innanzitutto per Gesù stesso, che ha trasformato in atto di amore la violenza esercitata dagli uomini su di lui e ha donato la sua vita sulla croce come sommo servizio di amicizia per noi uomini. La croce di Gesù Cristo è l’amore nella sua forma più radicale; e Gesù si pone davanti ai nostri occhi come il primo martire. La passione di Gesù come martirio originario è anche l’immagine modello del martirio di quanti lo seguirono quale partecipazione al mistero pasquale di Gesù Cristo. Questa forma cristologica di martirio è particolarmente chiara nella sofferenza e nella morte di San Policarpo di Smirne nel II secolo. Negli Atti, il suo martirio è conforme alla passione di Gesù fin nei minimi dettagli e si configura come una celebrazione eucaristica.

Come Gesù ha seguito in pieno la volontà di Dio a favore della vita e della salvezza degli uomini ed è morto sulla croce per il suo amore per noi, così anche il martire cristiano si caratterizza per il fatto che non cerca minimamente il martirio, ma lo accetta come conseguenza della sua lealtà alla propria fede. La tradizione cristiana quindi non vede il martirio già nell’essere uccisi. Non è la condanna o la morte in sé che fa del cristiano un martire, ma la ragione interiore del suo agire, come affermava sant’Agostino: “Christi martyrem non facit poena, sed causa”. Poiché il martire traduce nei fatti la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte, il martirio cristiano si rivela come atto supremo di amore verso Dio e verso i fratelli. Il martirio cristiano è la libera accettazione della morte per amore della fede.

Abbiamo un grande debito di gratitudine verso i cristiani armeni per aver testimoniato con la loro vita cosa significa il martirio. Questa parola deriva dal greco “martys” che significa “testimone”. Nel senso originario, essa si riferisce a ogni cristiano che testimonia con la vita e con la parola la fede nel Dio uno e trino e la sua autorivelazione in Gesù Cristo. Solo su questa base comune, il termine è usato nel senso specifico per designare il cristiano che è perseguitato a causa della sua fede e muore per essa. Poiché il martire è testimone della fede non solo con le proprie parole, ma anche con il proprio agire, egli è annoverato tra i più credibili testimoni della fede.

I martiri armeni ci hanno mostrato anche che tutte le Chiese cristiane, la Chiesa apostolica armena come pure la Chiesa cattolica armena, hanno i loro martiri della fede e, di conseguenza, che il martirio è ecumenico. Papa Giovanni Paolo II ha ravvisato nella testimonianza di tanti martiri del secolo scorso “la prova più significativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo”[1]. L’ecumenismo dei martiri, o come dice Papa Francesco, l’ecumenismo del sangue, è dunque senza dubbio il segno più convincente dell’ecumenismo odierno. La comunità dei martiri parla una lingua di gran lunga migliore rispetto alle divisioni che esistono tutt’oggi nel mondo cristiano.

 

Testimonianza credibile di speranza pasquale

I cristiani armeni, crudelmente perseguitati, hanno subito un grave martirio. Essi hanno anche mostrato che un simile martirio può essere sopportato solo se è sostenuto dalla fiducia nella promessa della fede cristiana, che si esprime nel vangelo di oggi con la bella immagine delle dimore. Gesù promette ai suoi discepoli di tornare al Padre per preparare loro una dimora. Questo è precisamente l’obiettivo della vita di un cristiano, ovvero il fatto che il suo pellegrinaggio terreno giunga alla meta quando gli sarà concesso di dimorare presso Dio e vivere in comunione con lui per l’eternità.

Noi cristiani siamo convinti che questa consolante promessa valga soprattutto per coloro che hanno seguito Cristo con tanta costanza, donando la loro vita per la fede, da aver ricevuto la possibilità di prendere parte al suo destino, ovvero i martiri. La serietà di questa promessa consiste nel fatto che essa si è avverata soprattutto per coloro che hanno subito esperienze evidenti di ingiustizia, di persecuzione e di sofferenza e in tali situazioni hanno rivolto il loro grido a Dio e alla sua forza salvifica. La triste ipotesi che ai persecutori, ai carnefici e agli assassini sia permesso di trionfare sulle loro vittime nell’eternità è del tutto in contrasto con la promessa cristiana delle dimore celesti. Questa ipotesi è assolutamente contraddetta dalla speranza cristiana nella vita oltre la morte.

Deve far riflettere noi cristiani il fatto che filosofi critici come Max Horkheimer, Theodor Adorno e Walter Benjamin, che per tutta la vita si sono chiesti come si possa ottenere più giustizia nel mondo di oggi, siano infine giunti alla conclusione che la vera giustizia richiederebbe un mondo in cui non solo la sofferenza degli uomini di oggi, “ma anche il passato irrevocabile venga revocato”[2]. A tal fine, non può bastare che noi uomini ricordiamo le vittime della storia; occorre piuttosto che i nomi delle vittime siano iscritti nella viva memoria di Dio. Non potrebbe dunque esserci giustizia senza la risurrezione dei morti.

La questione della giustizia per tutti gli uomini, inclusi soprattutto coloro che sono morti e che sono stati uccisi, è senza dubbio l’argomento più forte per la fede cristiana in una vita eterna nelle dimore celesti presso Dio. È dunque una coincidenza significativa il fatto che la commemorazione dei martiri armeni avvenga durante il tempo pasquale. La testimonianza della fede dei martiri rafforza infatti la speranza cristiana nella risurrezione dei morti e ne conferma la credibilità. Come cristiani possiamo vivere nella speranza che i martiri che hanno condiviso la passione di Gesù hanno anche condiviso la sua risurrezione e la vita eterna con il Padre.

Nella speranza che per i martiri si sia già adempiuta la promessa del vangelo odierno di aver ricevuto la loro dimora presso Dio, ci siamo riuniti questa sera nella chiesa di San Bartolomeo, che è dedicata in modo speciale alla memoria dei martiri. Raccomandiamo all’amore salvifico di Dio i cristiani armeni che sono stati uccisi. Ma a loro ci rivolgiamo anche come intercessori e chiediamo loro, nella loro dimora celeste, di accompagnarci oggi nella nostra testimonianza di fede con la loro preghiera e, soprattutto, di sostenere i tanti cristiani che nel mondo odierno sono perseguitati e devono subire il martirio.

In questo spirito orante, ringraziamo il popolo armeno per la sua testimonianza di fede, perché ha confermato credibilmente con la vita ciò che la prima lettera di Pietro, con parole incisive, ci esorta a fare in virtù della nostra vocazione, descrivendo l’atteggiamento fondamentale del martirio cristiano: siate “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male” (1 Pt 3,15-17). Amen.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 1.

 

 

[2] Th. Adorno, Negative Dialektik (1966), in: Gesammelte Schriften. Band 6 (Frankfurt a. M. 1973) 395.