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20 aprile 2023

È possibile una data di Pasqua comune?

Nel 2025 tutta la cristianità commemorerà il 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico della storia della Chiesa, un Concilio che si tenne a Nicea nel 325 e che, come risposta agli insegnamenti ampiamente diffusi del teologo alessandrino Ario, proclamò il credo secondo il quale Gesù Cristo come Figlio di Dio è “consustanziale al Padre”. Il Concilio ebbe luogo nel periodo in cui la Chiesa non era ancora ferita dai numerosi scismi che seguirono. La sua confessione cristologica unisce quindi ancora oggi tutte le Chiese cristiane e grande è la sua importanza ecumenica. Il 1700° anniversario sarà un’occasione propizia per commemorare questo Concilio in comunione ecumenica e per riaffermare la sua confessione cristologica, nella quale si fonda l’unità nella fede.[1] La sua rilevanza ecumenica risiede anche nel fatto che, oltre alla confessione cristologica, ha trattato questioni disciplinari e canoniche, di cui la più importante e insieme la più attuale è la data della Pasqua.[2] Ciò mostra che la data della Pasqua era già un punto controverso nella Chiesa primitiva ed esistevano diversi calcoli cronologici al riguardo. Pertanto, il 1700° anniversario del Concilio di Nicea è un'occasione speciale anche per riprendere e intensificare gli sforzi volti a trovare una data di Pasqua comune.[3]

1. Breve storia del problema del calendario

Chiediamoci innanzitutto i motivi per cui il Concilio di Nicea dovette affrontare la questione della data di Pasqua. La ragione determinante è senza dubbio il fatto che, nell’ottica del Nuovo Testamento, la Pasqua cristiana è strettamente legata alla Pasqua ebraica. Secondo i sinottici, Matteo, Marco e Luca, l’ultima cena di Gesù fu una cena pasquale e, secondo l’evangelista Giovanni, Gesù morì sulla croce il giorno stesso di Pasqua, proprio nell’ora in cui gli agnelli pasquali venivano sgozzati nel tempio di Gerusalemme. Conformemente alla legge biblica, la festa della Pasqua ebraica è il “quattordicesimo giorno del primo mese” (cfr. Lv 23,5; Num 28,16; Gsè 5,11), che porta il nome di “nisan” e inizia con il novilunio primaverile. Ciò significa che la Pasqua ebraica veniva celebrata alla prima luna piena dopo l’equinozio di primavera; la data della festa era quindi variabile. Come si può costatare dalle prime fonti, questa indicazione temporale faceva sì che i cristiani di diverse regioni celebrassero la Pasqua in date diverse: alcuni cristiani, soprattutto in Asia Minore, celebravano sempre la Pasqua in concomitanza con la Pasqua ebraica il 14 del mese di nisan, indipendentemente dal fatto che fosse una domenica oppure no; per questo, sono stati chiamati quartodecimani. Altri cristiani, soprattutto in Siria e in Mesopotamia, celebravano invece la Pasqua la domenica successiva alla Pasqua ebraica; a loro è stato quindi assegnato il nome di protopaschiti.

A causa di tali differenze di calendario, la ricerca di una data di Pasqua comune è iniziata già ai tempi della Chiesa primitiva. In questa difficile situazione, il merito del Primo Concilio Ecumenico di Nicea è aver trovato una regola uniforme, alla quale il Concilio si riferisce nella sua “Lettera agli egiziani” nel modo seguente: “Come buona notizia vi comunichiamo anche il consenso sulla Santa Pasqua: grazie alle vostre preghiere, anche su questo punto è stata raggiunta una felice soluzione. Tutti i fratelli e le sorelle d’Oriente che fino ad oggi hanno celebrato la Pasqua con gli ebrei, d’ora in poi celebreranno la Pasqua in accordo con i romani, con voi e con tutti noi che l’abbiamo celebrata con voi fin dai primi tempi.”[4] Benché gli atti originari del Concilio non esistano più, rapporti successivi documentano che esso impartì uno slancio decisivo alla ricerca di una data di Pasqua comune tra tutte le comunità cristiane dell’impero in quel momento, soprattutto in due modi: in primo luogo, il Concilio stabilì come data per la celebrazione pasquale la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. In secondo luogo, stabilì che il calcolo della data esatta non dovesse dipendere dal calcolo ebraico e decise che la Pasqua venisse celebrata dopo quella ebraica, abbandonando così la data comune tra cristiani ed ebrei. Entrambe le decisioni implicano la mobilità della data di Pasqua.

Grazie ai suoi famosi astronomi, la Metropoli egiziana di Alessandria divenne il centro più importante per il calcolo di una data di Pasqua conforme alle decisioni nicene. Tuttavia, poiché il Concilio di Nicea non specificava con quali metodi la luna piena dovesse essere definita, anche dopo il Concilio si ebbero calcoli diversi della data di Pasqua. In generale, tuttavia, venne utilizzato il cosiddetto calendario giuliano, che prende il nome da Gaio Giulio Cesare, il quale riformò il sistema romano di calcolo del calendario nell’anno 46.

Una nuova situazione sorse nella storia della cristianità nel XVI secolo con la fondamentale riforma del calendario di Papa Gregorio XIII, che introdusse il calendario gregoriano, secondo il quale la Pasqua si celebra sempre la domenica successiva al primo plenilunio di primavera. La necessità di implementare un nuovo calendario era dovuta alle imprecisioni che, nel corso dei secoli, il calendario giuliano aveva presentato. Tuttavia questo nuovo calendario più accurato provocò una rottura tra Oriente e Occidente per quanto riguarda il calcolo della data della Pasqua, nel senso che ora venivano utilizzate due diverse date di Pasqua. Da allora, le Chiese in Occidente calcolano la data di Pasqua secondo il calendario gregoriano, mentre le Chiese in Oriente continuano a celebrare la Pasqua secondo il calendario giuliano, che era usato in tutta la Chiesa prima della riforma del calendario gregoriano e sul quale si era basato anche il Concilio di Nicea nel 325.

2. La data di Pasqua nelle diverse Chiese oggi

Anche in Occidente l’adozione del calendario gregoriano richiese un certo tempo. Mentre venne introdotto molto rapidamente in Italia, in Francia, in Polonia e nell’impero asburgico, esso fu accettato relativamente tardi nel mondo anglicano e nelle regioni protestanti del continente europeo, a causa della loro reticenza a sottoporsi a un regolamento pontificio. Ad esempio, la corte e il parlamento d’Inghilterra pianificarono di attuare una riforma del calendario dopo il 1582; ma a ciò si opposero i vescovi anglicani, temendo che una riforma introdotta a così breve distanza da quella voluta dal Papa potesse equivalere a una sottomissione alla Chiesa di Roma. Nel tempo, però, il calendario gregoriano venne adottato anche nelle parti non cattoliche del mondo occidentale.

Per quanto riguarda la situazione nell’Ortodossia, Papa Gregorio XIII cercò un accordo con il Patriarca Geremia II di Costantinopoli sulla riforma del calendario, affermando principalmente che la sua riforma doveva essere attuata secondo le direttive del Concilio di Nicea. Negli anni che seguirono, tuttavia, vari sinodi locali di Costantinopoli respinsero il calendario gregoriano come un inammissibile rinnovamento. Nel 1920 il Patriarcato di Costantinopoli invitò e incoraggiò tutte le Chiese cristiane a formare una “Comunione di Chiese”, per rafforzare l’amore tra di loro e anche per celebrare le feste più importanti secondo un calendario comune. Tre anni dopo, una conferenza ortodossa decise che le Chiese ortodosse avrebbero dovuto adottare un calendario giuliano rivisto, che riguardava però solo le feste annuali fisse e non il ciclo pasquale variabile. Il cosiddetto “calendario meleziano”, dal nome del Patriarca Meletios IV (1921-1923), è un calendario misto che combina il calcolo del calendario gregoriano a quello della data di Pasqua secondo il calendario giuliano: da un lato, si adotta la precisione del primo, dall’altro, si rispetta la normativa della Chiesa delle origini sulla data di Pasqua. Il calendario meleziano è quindi, almeno a prima vista, identico al calendario gregoriano, ma la data di Pasqua si determina come se fosse ancora in vigore il calendario giuliano.

Per il fatto che, secondo il calendario meleziano, il ciclo pasquale corrisponde a quello del calendario giuliano, le Chiese ortodosse di rito bizantino - ad eccezione della Chiesa ortodossa in Finlandia, che ha adottato il calendario gregoriano nella sua interezza - celebrano la Pasqua nella stessa data delle Chiese ortodosse orientali, la maggior parte delle quali segue il calendario giuliano. La grande eccezione qui è il Catholicossato apostolico armeno di Etchmiadzin, che ha adottato il calendario gregoriano nel suo insieme, compreso il ciclo pasquale.

A proposito della Chiesa cattolica, vanno menzionate innanzitutto le Chiese cattoliche orientali, i cui fedeli - come i melchiti e i caldei in Medio Oriente - celebrano in molti luoghi la Pasqua nella stessa data degli ortodossi e degli ortodossi orientali, mentre in diverse regioni della diaspora occidentale aderiscono al calendario gregoriano. Un’importante eccezione sono i maroniti in Libano, che adottarono il calendario gregoriano già nel 1606. In Libano e in Siria, anche i melchiti, le comunità cattoliche siriane e la Chiesa cattolica armena celebrano la Pasqua secondo il calendario gregoriano. Alla base di tale pratica vi è la convinzione che la Chiesa cattolica dovrebbe adottare il calendario giuliano in quelle aree in cui gli ortodossi rappresentano la maggioranza, e mantenere invece il calendario gregoriano là dove i cattolici sono maggioritari, invitando gli ortodossi e gli ortodossi orientali a seguire la pratica cattolica. Ciò è costatabile, ad esempio, in Kerala in India, dove la Chiesa sira ortodossa e la Chiesa ortodossa sira, con il consenso del Patriarcato siro-ortodosso di Antiochia, hanno adottato il calcolo gregoriano della Pasqua, e festeggiano la Pasqua insieme ai siro-malabaresi, ai siro-malankaresi e agli anglicani.

Per tutta la Chiesa cattolica, il Concilio Vaticano Secondo si è espresso sulla questione della data di Pasqua in un’Appendice alla Costituzione sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium” approvata e promulgata nel 1963[5], “tenendo nel debito conto il desiderio di molti di veder assegnata la festa di Pasqua ad una determinata domenica e di adottare un calendario fisso, dopo aver preso accuratamente in esame le conseguenze che possono derivare dalla introduzione di un nuovo calendario”. Per definire un nuovo calendario vengono menzionati due criteri. In primo luogo, il Concilio si mostra disposto “a che la festa di Pasqua venga assegnata ad una determinata domenica nel calendario gregoriano”, a patto che “vi sia l’assenso di coloro che ne sono interessati, soprattutto i fratelli separati dalla comunione con la Sede apostolica”. In secondo luogo, il Concilio dichiara la propria disponibilità anche a “introdurre nella società civile un calendario perpetuo”, a condizione, ovviamente, che sia preservata e tutelata la settimana di sette giorni con la domenica “senza aggiunta di giorni fuori della settimana, in modo che la successione delle settimane resti intatta”. La disponibilità a trovare una data di Pasqua comune, a patto che tutte le Chiese cristiane siano d’accordo, esiste anche oggi. Papa Francesco si è espresso in questo senso in varie dichiarazioni. La stessa disponibilità è stata affermata da leader di altre Chiese cristiane, tra cui in particolare il Papa Patriarca copto-ortodosso Tawadros II.

3. roposte per una data di Pasqua comune

Per avvicinarsi all’obiettivo di una data di Pasqua comune, sono già state proposte e discusse varie soluzioni. Quella più semplice sarebbe senza dubbio prendere come data della morte di Gesù il 7 aprile del 30, in modo da celebrare la Pasqua sempre la seconda domenica di aprile. Oltre a questa data specifica, esistono altri suggerimenti per giungere a un’intesa sulla data di Pasqua, con l’obiettivo di trovare una data fissa che non si basi sul ciclo variabile della luna, ma rimanga immutabile. In questa direzione, nel corso del XX secolo diversi responsabili delle comunità protestanti e anche del Consiglio Ecumenico delle Chiese hanno proposto una data fissa per la Pasqua. Determinare una data in questo modo presenta sicuramente dei vantaggi, soprattutto per quanto riguarda la pianificazione a lungo termine. Esistono però argomenti teologici a sfavore di tale soluzione. Un primo inconveniente è la perdita del legame tra il calcolo della Pasqua ebraica e il calcolo della celebrazione della Pasqua cristiana. Un altro problema teologico risiede nel fatto che tale soluzione sarebbe contraria alle disposizioni del Concilio di Nicea. Non sorprende quindi che simili proposte a favore di una data di Pasqua fissa vengano respinte dalle Chiese ortodosse e ortodosse orientali. Come è emerso chiaramente durante la prima conferenza preconciliare pan-ortodossa tenutasi a Chambésy nel 1976, queste Chiese temono che potrebbero verificarsi scismi nell’Ortodossia se la regola di Nicea fosse abbandonata. Le Chiese ortodosse preferiscono quindi una data comune variabile, conformemente a quanto deliberato dal Concilio di Nicea.

Anche il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha incentrato il suo lavoro, in varie occasioni, sulla ricerca di una data di Pasqua comune. In collaborazione con il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, la Commissione Fede e Costituzione ha tenuto una consultazione ad Aleppo, in Siria, nel 1997, durante la quale è stata adottata la Dichiarazione “Towards a Common Date for Easter”. Questa Dichiarazione non solo sottolinea la centralità della risurrezione di Gesù Cristo come fondamento della fede comune a tutte le Chiese cristiane, ma formula anche proposte concrete, principalmente tenendo conto di due aspetti. In primo luogo, va rispettata e adottata la regola del Concilio di Nicea, che prevede che la Pasqua sia celebrata la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera. In secondo luogo, nel calcolare i dati astronomici necessari, dovrebbero essere applicati i metodi scientifici più accurati, prendendo come punto di riferimento il meridiano di Gerusalemme. La Dichiarazione di Aleppo è stata approvata e sostenuta anche dalla Lambeth Conference anglicana, dalla Federazione Luterana Mondiale, dai rappresentanti ufficiali della Chiesa cattolica e dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. A differenza del Patriarcato di Costantinopoli, altre Chiese ortodosse non hanno però reagito alla Dichiarazione di Aleppo, il che è tanto più sorprendente quanto l’obiettivo di questa Dichiarazione era trovare una via praticabile per attuare, nelle condizioni di oggi, le decisioni del Concilio di Nicea.

Una proposta più recente in merito alla questione del calendario è che la Chiesa cattolica adotti temporaneamente il calcolo ortodosso e ortodosso orientale per la data di Pasqua. Nello specifico, questa proposta significa che la Chiesa cattolica manterrebbe il calendario gregoriano per le feste fisse come il Natale e l’Epifania, ma celebrerebbe i cicli della Quaresima e della Pasqua secondo il calcolo giuliano. Tuttavia, anche questa proposta comporta seri problemi. Una prima difficoltà è che la differenza tra i due metodi di calcolo può arrivare fino a cinque settimane. Ciò significherebbe che, come talvolta accade nel calendario giuliano, la Pasqua verrebbe celebrata solo all’inizio di maggio; questo è difficilmente conciliabile con la regola del Concilio di Nicea, che indica per la Pasqua la prima domenica dopo il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Il secondo e più grave problema è il rischio di una nuova divergenza nelle date pasquali. Se la Chiesa cattolica celebrasse la Quaresima e la Pasqua secondo il calendario giuliano, ma le altre Chiese procedessero secondo calcoli più moderni e precisi, nascerebbe una nuova divisione all’interno della cristianità. Poiché l’obiettivo dell’ecumenismo può consistere soltanto nella ricerca, da parte di tutte le Chiese e Comunità ecclesiali cristiane, della loro unità in Gesù Cristo, la proposta di un comune cammino cattolico-ortodosso che non coinvolga le altre Chiese in Occidente non può essere una soluzione praticabile al problema del calendario, ma al massimo una soluzione temporanea, al fine di pervenire a una soluzione realmente comune.

 

4. Una sfida teologicamente e pastoralmente urgente

Questa breve panoramica sulla storia della data di Pasqua e sulle varie soluzioni proposte al problema del calendario mostrano che non è affatto facile trovare una data di Pasqua comune. Alla luce delle esperienze dolorose avute in particolare dalle Chiese ortodosse a causa degli scismi provocati dalle riforme del calendario, questa questione dovrebbe essere trattata con molta delicatezza. Per progredire verso una data di Pasqua comune occorrono ancora vari sforzi e, soprattutto, la disponibilità di tutte le Chiese e Comunità ecclesiali a non assolutizzare la propria storia e a non aspettarsi solo concessioni da parte degli altri; è necessario considerare in modo autocritico quale contributo può e deve apportare la propria Chiesa a una maggiore unità tra i cristiani.

Il 1700° anniversario del Concilio di Nicea, che ricorrerà nel 2025, è senza dubbio un’occasione speciale per intensificare gli sforzi tesi verso una celebrazione comune della Pasqua nelle Chiese d’Oriente e d’Occidente, anche perché quell’anno le Chiese d’Oriente e d’Occidente potranno ancora una volta festeggiare la Pasqua nello stesso giorno, e precisamente il 20 aprile 2025. L’anniversario del Concilio di Nicea, che ha formulato la confessione cristologica comune a tutti i cristiani, fornirà dunque un rinnovato impulso per riconsiderare la regola da esso stabilita circa la data comune della celebrazione della Pasqua e per riflettere, nelle condizioni di oggi, su questa questione.

Va menzionata una differenza importante rispetto alla situazione del passato, vale a dire il rapporto di questa questione con la festa della Pasqua ebraica, e quindi con le radici ebraiche della festa cristiana. Ciò che effettivamente si intendeva con la regola di Nicea, secondo la quale non si doveva celebrare la Pasqua “con” (“meta”) gli ebrei dell’epoca, non sembra più del tutto chiaro oggi. Le ricerche attuali presumono che i Padri Conciliari non ritenessero sufficientemente preciso il calcolo ebraico della Pasqua e quindi preferissero un metodo più esatto. La decisione del Concilio secondo cui il calcolo cristiano della Pasqua non doveva dipendere dal calcolo ebraico fu interpretata in maniera erronea nei secoli successivi come implicante l’intenzione di respingere qualsiasi influenza ebraica. Se così fosse, però, non si tratterebbe solo di un problema astronomico e quindi di calendario, ma sarebbero in gioco le stesse radici cristiane della Pasqua. Nella storia del cristianesimo, l’allontanamento dall’ebraismo si è fatto sempre più forte, tanto che il nesso tra la Pasqua cristiana e la Pasqua ebraica, in termini di tempo e di contenuti, poteva essere spezzato senza comportare probabilmente grossi problemi teologici. Oggi, tuttavia, quando si cerca una data di Pasqua comune, si dovrebbe assolutamente tenere conto del legame con la Pasqua ebraica. Non solo in considerazione della difficile storia tra ebrei e cristiani e della significativa svolta nel rapporto con il popolo ebraico resa possibile dal Concilio Vaticano Secondo con la Dichiarazione “Nostra Aetate”, ma anche nella consapevolezza della centralità dell’Antico Testamento nella ricca liturgia della Parola durante la celebrazione della Veglia pasquale, sarebbe un segno molto negativo se le radici ebraiche della Pasqua venissero sminuite o addirittura dimenticate quando oggi si cerca una soluzione alla questione del calendario.

Gli sforzi per trovare una data di Pasqua comune sono importanti dal punto di vista pastorale, in particolare nelle coppie e nelle famiglie di diverse confessioni e in vista della grande mobilità delle persone, specialmente durante le feste. Una data di Pasqua comune permetterebbe anche di esprimere in maniera più credibile la profonda convinzione di fede cristiana secondo cui la Pasqua non è solo la festa più antica, ma è anche quella più importante della cristianità: “Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (1 Cor 15,13s). Con queste parole già l’apostolo Paolo affermava con massima chiarezza che la fede cristiana sta o cade con il mistero pasquale. La Chiesa primitiva riassunse questa convinzione di fede fondamentale nella formula: “Togli la risurrezione e distruggerai immediatamente il cristianesimo.”[6] Considerata l’importanza centrale del mistero pasquale nella fede cristiana, è comprensibile che i cristiani desiderino festeggiarlo in una data comune.

Al di là di tutti gli sforzi compiuti per riformare il calendario, naturalmente non bisogna dimenticare che noi cristiani celebriamo il mistero pasquale non solo a Pasqua, ma che Cristo risorto è presente in ogni celebrazione dell’Eucaristia, specialmente la domenica come giorno della la sua risurrezione. D’altro canto, la Pasqua è la festa di tutte le feste cristiane; là il mistero pasquale trova la sua espressione più intensa a livello di liturgia della Chiesa cristiana. Questo senso profondo della Pasqua potrebbe essere messo maggiormente in luce da una data di Pasqua comune, che offrirebbe anche un forte impulso al cammino ecumenico verso il ripristino dell’unità della Chiesa in Oriente e in Occidente nella fede e nell’amore.

 


 

[1].       Vgl. K. Kardinal Koch, Auf dem Weg zu einer ökumenischen Feier des 1700. Jahrestags des Konzils von Nicaea (325-2025), in: P. Knauer, A. Riedl, D. W. Winkler (Hrsg.), Patrologie und Ökumene. Theresia Hainthaler zum 75. Geburtstag (Freiburg i. Br. 2022) 320-341.

[2].       Vgl. L. O. Lumma, Feiern im Rhythmus des Jahres. Eine kurze Einführung in christliche Zeitrechnung und Feste (Regensburg 2016), bes. 17-69: Der Kalender.

[3].       Wichtige Einsichten verdanke ich auch dem Vortrag von Basilius Jacobus Groen, Der beschwerliche Weg zu einem gemeinsamen Osterdatum, in: Nachrichtendienst Östliche Kirchen vom 7. April 2021: Hintergrund.

[4].       Brief der Synode von Nizäa an die Ägypter, in: Dekrete der Ökumenischen Konzilien. Hrsg. von J. Wohlmuth. Band 1: Konzilien des Ersten Jahrtausends (Paderborn 2002) 16-19, zit. 19.

[5].       Appendice, Costituzione sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”.

[6].       Zit. bei Leo Scheffczyk, Auferstehung. Prinzip des christlichen Glaubens (Einsiedeln 1976) 46, Anm. 49.