APPELLO SPIRITUALE ALL´UNITÀ[1]


Kurt Cardinale Koch

5 giugno 2020


La lettera agli Efesini, nel quarto capitolo di cui abbiamo appena ascoltato un brano (4, 1-16), contiene le più importanti affermazioni teologiche sulla Chiesa presenti nel Nuovo Testamento ed è un appassionato appello spirituale rivolto a tutti i battezzati a preservare l’unità nella Chiesa e della Chiesa. Con lodevole chiarezza esprime la convinzione che l’unità è una categoria fondamentale della fede cristiana ed è parte integrante della Chiesa, tanto che la fede cristiana rinuncerebbe a sé stessa se smettesse di cercare l’unità.

 

Un capo e un corpo

La serietà di questo appello di Paolo emerge già dal fatto che egli scrive dalla prigione, in cui si trova “a motivo del Signore” (4, 1). In una situazione di tale travaglio, infatti, non ci si occupa di quisquilie, ma si dà voce a ciò che davvero arde nella nostra anima. Quanto sia importante l’unità della Chiesa per Paolo risulta ancora di più dal fatto che egli ne individua il fondamento nella storia di Dio con la sua umanità: già prima della creazione del mondo, Dio ha scelto la Chiesa attraverso Cristo e l’ha chiamata a radunarsi come suo popolo. Nella Chiesa è nata una nuova famiglia umana, nella quale Cristo ha fondato la pace.

Da questa prospettiva basata sulla storia della salvezza, la seconda parte della lettera trae conclusioni etiche, la prima delle quali consiste nel dovere di “conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito… un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti” (4, 3-4). L’unità della Chiesa deriva dalla professione di fede in Gesù Cristo come unico Signore. La tradizione cristiana, basandosi sulla lettera agli Efesini, ha espresso questo stretto legame tra la professione di fede cristiana in Gesù Cristo come unico Signore della Chiesa e la professione di fede nell’unità della Chiesa designando la Chiesa come Corpo e Cristo come Capo.

La lettura dalla Sacra Scrittura ci invita a prendere molto seriamente l’immagine del Capo e del Corpo: da un lato, un corpo senza capo non è più un corpo ma un cadavere; la Chiesa diventa dunque una misera caricatura di se stessa se Cristo non è al suo centro. Dall’altro lato, Cristo, come Capo della sua Chiesa, ha un Corpo visibile e vuole essere presente nel suo Corpo, motivo per cui può esserci una sola Chiesa. Perché Cristo non ha molti corpi, ma è unito all’unico Corpo che è la Chiesa.

 

L’unità nel vento contrario della postmodernità

La forte enfasi sull’unità della Chiesa può sembrare oggi a molti cristiani un po’ esagerata. Ma se consideriamo l’intima unione tra Gesù Cristo e la sua Chiesa, che è il suo Corpo, allora risulta evidente un’incresciosa contraddizione nell’attuale situazione del cristianesimo: da una parte, tutti i cristiani concordano nel professare la fede in una Chiesa che è “una, santa, cattolica e apostolica”. Dall’altra, noi cristiani che professiamo la fede in un’unica Chiesa viviamo ancora in Chiese diverse e separate. Sorge così una domanda urgente: cosa significa per noi l’enfasi posta sull’unità della Chiesa nella lettura di oggi?

Questa domanda è ancora più urgente quando la ricerca ecumenica dell’unità della Chiesa è esposta a un forte vento contrario nello spirito del tempo pluralista e relativista diventato ormai comune oggi. In ciò si vede una chiara differenza con la tradizione cristiana, in cui l’unità era considerata come senso e fondamento della realtà, secondo il principio: “ens et unum convertuntur”. Oggi invece il pluralismo è al centro della cosiddetta esperienza postmoderna della realtà. La convinzione di base postmoderna afferma che non si può e non si deve cercare con il pensiero ciò che sta dietro la pluralità della realtà, se non si vuole essere sospettati di nutrire un pensiero totalitario. Poiché, in linea di principio, la postmodernità comporta un assenso alla pluralità e un sospetto verso tutto ciò che è al singolare, la ricerca dell’unità appare premoderna e antiquata. Questa mentalità postmoderna si è in parte diffusa anche nella situazione ecumenica odierna, laddove la pluralità e la diversità delle Chiese esistenti è considerata come una realtà positiva e ogni sforzo teso alla ricerca dell’unità della Chiesa è guardato con sospetto.

 

L’unità nella pluralità operata dallo Spirito

In questa situazione, la lettura di oggi ci esorta a mantenere viva la questione dell’unità della Chiesa con amorevole perseveranza. Ciò può avvenire in maniera convincente solo se prendiamo sul serio anche la preoccupazione provata oggi da non pochi cristiani che temono che non vi sia più spazio per la pluralità e la diversità a causa della forte enfasi posta sull’unità.

Questa paura, ovviamente, non ha alcun fondamento, come emerge dalla seconda parte della lettura odierna, nella quale viene descritta la varietà delle vocazioni e dei doni della grazia che, nella loro pluralità, servono a edificare l’unica Chiesa. La fede cristiana riguarda infatti una forma molto particolare di unità, vale a dire un’unità che vive nella diversità e una diversità che si raccoglie nell’unità. La fede cristiana è convinta che possiamo ricevere tale unità nella diversità solo come un dono dello Spirito Santo, come sottolinea Papa Francesco: “lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità. Solo lo Spirito Santo può suscitare la diversità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità.” [2]

Lo Spirito Santo ci dona questa unità nella diversità, perché ci conduce nel più intimo mistero di Dio professato dalla fede cristiana, nel mistero del Dio uno e trino, in cui si riconciliano la pluralità delle Persone divine e l’unità della sua natura. Il Dio uno e trino è in sé una comunione vivente nell’unità originaria relazionale dell’amore. Alla luce di questo mistero divino, la Chiesa appare come “un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” [3]. E la Chiesa è chiamata a rappresentare la comunione del Dio uno e trino nel mondo e a vivere come icona della Trinità.

 

Vivere l’unità già in cammino verso il suo compimento

In questo senso, per trovare unità nella diversità, noi cristiani, anche se ancora separati, possiamo già essere una sola cosa se estraiamo il veleno dalle divisioni, accettiamo ciò che c’è di fecondo in esse e accogliamo il lato positivo della diversità, sempre alla luce del mistero dell’amore trinitario, che papa Benedetto XVI ha descritto una volta con parole molto belle: “L’amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall’esterno, ma che dall’interno dà forma, per così dire, all’insieme.” [4]

Tutto ciò ci pone davanti agli occhi quell’unità della Chiesa che è possibile vivere già da oggi. La convivenza ecumenica consiste essenzialmente in uno scambio di doni. Nessuna comunità cristiana è infatti tanto povera da non poter offrire il suo specifico contributo alla più ampia comunità della cristianità. E nessuna comunità cristiana è tanto ricca da non aver bisogno di essere arricchita dalle altre, dato che si tratta di “raccogliere quello che lo Spirito ha seminato” nelle altre comunità cristiane “come un dono anche per noi” [5].

Tale unità nella diversità la possiamo vivere fin da oggi. Ma lo faremo in modo credibile solo se non ci fermeremo là, accontentandoci di vivere pacificamente gli uni accanto agli altro, ma se ci metteremo insieme in cammino per ritrovare l’unità perduta della Chiesa. Il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani è stato mosso da questa preoccupazione sin dall’inizio. Il suo 60mo anniversario è soprattutto un’occasione di ringraziamento: un ringraziamento rivolto a tutti coloro che hanno lavorato nel Pontificio Consiglio in questi lunghi anni e che hanno dedicato il loro tempo, il loro pensiero e soprattutto la loro vita al servizio dell’unità dei cristiani. Ringraziamo tutti i consultori e i membri delle varie Commissioni che cercano di studiare in una luce nuova e di superare le cause di molte divisioni. Ringraziamo tutti i Pontefici che si sono susseguiti, durante e dopo il Concilio Vaticano Secondo, ognuno dei quali ha avuto un cuore aperto alla causa ecumenica e nel cui mandato ci è concesso lavorare.

Ringraziamo lo Spirito Santo che muove i cuori, affinché si possano aprire alla volontà di Gesù Cristo: che tutti siano una cosa sola. Ora possiamo convogliare tutta la nostra gratitudine in quella grande celebrazione di resa di grazie che è la Santa Eucaristia, in cui ci è già stata data quell’unità così vividamente ritratta nella lettura odierna: “Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.” Amen.

 

[1] Omelia durante la celebrazione eucaristica in occasione del 60.mo annivesario dell’istituzione del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani nella Cappella del Governatorato il 5 giugno 2020.

[2]  Francesco, Omelia nella Cattedrale cattolica dello Spirito Santo a Istanbul, il 29 novembre 2014.

[3]  Lumen gentium, n. 4.

[4]  Benedetto XVI, Omelia per la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, il 25 gennaio 2006.

[5]  Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.