I FONDAMENTI DELLA VALIDITÀ PERMANENTE DELLA MISSIO AD GENTES

Conferenza per il Convegno Internazionale “Dalla Maximum illud alla Evangelii gaudium. Sull’urgenza della trasformazione missionaria della Chiesa” presso la Pontificia Università Urbaniana a Roma il 27 novembre 2019

Kurt Cardinale Koch

 

1. L’universalità della missione

Dopo la sua risurrezione, Gesù incontra i suoi discepoli in Galilea sul monte e dice loro: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 18-20). Il cosiddetto comandamento missionario del Risorto, riportato nel Vangelo di Matteo, documenta la prospettiva fondamentale che caratterizza già il grande slancio missionario della Chiesa dalle origini e che mira all’universalità, in un triplice senso.

È vero che, sul monte, Gesù manda per primi i suoi discepoli in missione; tuttavia, l’aver inserito in maniera significativa il comandamento missionario alla fine del Vangelo di Matteo suggerisce che tutti i battezzati sono inviati a rendere testimonianza, sono chiamati a vivere e a operare come testimoni missionari. La seconda forma di universalità si riferisce ai destinatari della missione, ovvero “tutti i popoli”. Il messaggio che i discepoli devono trasmettere a tutti i popoli riguarda, infatti, tutti i popoli e tutta l’umanità. Il Dio che noi cristiani testimoniamo non è solo il Dio dei cristiani, ma è il Dio di tutti gli esseri umani. Come confessiamo noi cristiani nel credo apostolico, egli è “creatore del cielo e della terra”. Nel messaggio cristiano, che è rivolto non solo a una determinata cerchia di persone, ma a tutti, risiede il motivo per cui il cristianesimo comprende se stesso come una religione a cui è affidata una missione universale e che ha un concetto molto marcato di missione, come sottolinea il teologo missionario Michael Sievernich: “Per il cristianesimo, la missione non è solo un segno di vitalità, ma è anche una caratteristica essenziale e indispensabile, senza la quale esso negherebbe il fondamento della sua esistenza.”[1]

La terza forma di universalità si manifesta nel contenuto del comandamento missionario del Risorto, in cui si possono distinguere quattro diverse dimensioni, che sono però strettamente collegate e che esprimono la pienezza globale della missione[2]. Il comandamento del Risorto ha una vera e propria dimensione missionaria: “andate [da]… tutti i popoli”; una dimensione pastorale: “fate discepoli tutti i popoli”; una dimensione liturgica: “battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”; e una dimensione profetica: “insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”.

 

2. La missione della Chiesa come proseguimento della missione di Cristo

Questa triplice universalità mette in luce il fatto che la missione non è e non deve essere una semplice appendice della Chiesa e della sua vocazione nel mondo, e non è dunque realizzata per suo semplice piacimento; essa riguarda piuttosto la natura stessa della Chiesa e determina il suo “essere o non essere”, come ha affermato in maniera pregnante l’ex vescovo del Limburgo, Mons. Franz Kamphaus: “Il cristianesimo esiste solo perché esiste la missione; altrimenti, sarebbe rimasto all’ebraismo.”[3] Mentre l’ebraismo non conosce la missione, nel cristianesimo la missione è, per così dire, l’anima della Chiesa, perché la Chiesa è chiamata a operare come sacramento della salvezza per tutto il mondo. Certamente essa può assolvere tale compito solo perché proclama il Cristo crocifisso e trasfigurato nella Pasqua, che è il sacramento originario della salvezza del mondo. Come illustra l’introduzione al comandamento della missione in Matteo – “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” - la vocazione alla missio ad gentes è profondamente radicata nella cristologia.

La parola e la realtà della Missio sono di fondamentale importanza per Gesù, perché toccano la sua stessa identità. Nelle Scritture, infatti, specialmente nel Vangelo di Giovanni, Gesù Cristo ci viene presentato come l’inviato di Dio. Gesù non solo porta il titolo di “inviato”; egli è “l’inviato” nella sua più intima essenza. Viene inviato nel mondo per portare Dio nel mondo e per testimoniare la sua verità, come confessa egli stesso al pretore Pilato: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18, 37). Poiché Gesù Cristo è il testimone fedele per eccellenza, il concetto di missione nel Nuovo Testamento caratterizza la persona e l’opera di Gesù Cristo a tal punto che tutta la sua esistenza consiste nell’essere inviato per dare testimonianza. Nella “missione del Figlio inviato dal Padre per la salvezza del mondo” va così ravvisata la “prima e più profonda giustificazione di ogni teologia della missione”[4].

Il fatto che essenza e missione coincidano in Gesù Cristo e che egli, in tutto il suo essere, sia l’inviato significa anche che la sua esistenza deriva interamente da Colui al quale si rivolge col termine di Padre, essendo egli il Figlio, come emerge chiaramente nella dichiarazione del Cristo giovanneo: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Gv 7, 16). La natura caratteristica del Figlio, che vive completamente in forza del Padre, davanti a cui non pone nulla di proprio, sapendo di essere il suo inviato, si estende anche, nei discorsi di addio presenti nel vangelo di Giovanni, allo Spirito Santo, del quale si afferma: “non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future” (Gv 16,13). È chiaro pertanto che la dimensione cristologica del concetto di missione si apre automaticamente alla sua dimensione trinitaria, lasciando affiorare la figura di un Dio Padre che, nella missione del Figlio, non solo si offre al mondo, ma si rivela anche come il bene supremo che viene condiviso, ovvero come amore che dona se stesso agli uomini.

Dai fondamenti trinitari della missio ad gentes emerge automaticamente anche la sua dimensione ecclesiologica. Di fatti, Gesù rende partecipi della sua missione soprattutto i dodici, con l’elezione dei quali egli suggerisce la propria missione in Israele, consistente nel radunare nuovamente la qahal veterotestamentaria e nel farne la radice della comunità dei suoi seguaci. La figura dei dodici creata da Gesù passa nel ministero degli Apostoli dopo la Pasqua, quando il Risorto coinvolge anche i discepoli nella sua missione: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Gv 20, 21). Come Gesù è l’inviato del Padre, così l’apostolo è l’inviato di Gesù Cristo. L’apostolato è quindi ancorato nel cuore della cristologia, come ha sottolineato Papa Benedetto XVI: “L’apostolato si presenta come un ministero che ha radici cristologiche; se la missione è la rappresentazione di colui che invia e in tal senso mediazione verso colui che invia, allora questo ministero centrale della Chiesa nascente è senza dubbio un ministero della mediazione.”[5] La natura di tale mediazione è dunque quella di reggersi o di cadere in base al non-egocentrismo dell’inviato, che opera esclusivamente come inviato di Gesù Cristo, e che quindi non annuncia se stesso, ma trasmette soltanto ciò che lui stesso ha ricevuto, confessando anch’egli così: “La mia dottrina non è mia”.

Pertanto, la missione del Figlio inviato dal Padre per la salvezza del mondo prosegue con la missione della Chiesa come Corpo di Cristo. In base al mandato di Cristo, la Chiesa stessa si rivela come “inviata” e come “missione” di testimonianza, secondo quanto il Cristo risorto ha promesso ai suoi discepoli: “di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (Atti 1, 8). In questa missione di testimonianza risiede il motivo per cui la Chiesa deve trascendere se stessa ed è sempre inviata agli uomini: “Essa non potrà mai essere sufficiente a se stessa; piuttosto, non cessa mai quel flusso di emanazione della divina bontà che si radica nella missione del Figlio, in questo ‘straripamento’ di amore.”[6] Se la missione della Chiesa, nella sua più intima essenza, è amore che si offre agli altri, come Dio ha dato il proprio Figlio all’umanità e Cristo ha fatto dono di se stesso, essa può realizzarsi solo nell’amore: “La missione non è una sorta di impresa di conquista per incorporare gli altri a sé. La missione è principalmente testimonianza dell’amore di Dio che si è rivelato in Cristo.”[7]

Se consideriamo come interrelate la dimensione cristologica, la dimensione trinitaria e la dimensione ecclesiologica della missione, allora individuiamo il fondamento più profondo della missione cristiana nell’origine divina dell’insegnamento di Gesù Cristo e nella convinzione di fede che questo insegnamento contenga la verità su Dio, sull’uomo e sul mondo. Questa convinzione fondamentale è stata richiamata alla memoria dalla Congregazione per la dottrina della fede durante l’Anno Giubilare del 2000 con la sua Dichiarazione “Dominus Iesus”, nella quale l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo viene associata consapevolmente a quella della Chiesa.[8]

Questa convinzione di fede s’imbatte, al giorno di oggi, in un grande ostacolo. Di fatti, nella società odierna, caratterizzata dalla multi-religiosità, vi è una forte tendenza a considerare le diverse religioni come espressioni relative di un assoluto sottostante a tutte quante esse. Da qui, l’assunto che Dio non si sia rivelato in maniera definitiva nella figura storica di Gesù di Nazareth, ma lo abbia fatto solo per una specifica cerchia culturale, il che spiega perché la convinzione che Gesù Cristo sia l’unico mediatore e, per questo, anche il mediatore universale della salvezza per tutti gli esseri umani sia diventata obsoleta. A causa di questa posizione religiosa pluralistica, che è presente persino all’interno della Chiesa, non solo è in gioco l’identità del cristianesimo e della Chiesa, ma vengono minate le fondamenta della missione stessa[9].

 

3. Missione come attuazione essenziale dell’identità della Chiesa

Per questo, all’orecchio di molte persone e anche di molti cristiani, la parola “missione della Chiesa” ha iniziato a suonare in modo sospetto. Molti collegano la parola e la pratica della missione immediatamente e quasi esclusivamente a brutti ricordi e ad associazioni negative, in particolare per quanto riguarda il legame problematico tra colonizzazione e missione riscontrabile nella storia. Con l’inizio dell’ultima fase di decolonizzazione alla metà del secolo scorso, questo legame è stato ribaltato, di modo che, con la fine del colonialismo, si è ritenuto che dovesse concludersi anche l’attività missionaria della Chiesa.

 

a) L’enfasi missionaria durante il Concilio Vaticano Secondo

Di fronte a questa crisi di fondo che l’idea di missione dovette attraversare alla metà del secolo scorso, il Concilio Vaticano Secondo ha ricordato che la missione è un’attuazione essenziale della Chiesa ed è parte integrante dell’identità più intima della fede cristiana. Il Concilio ha sottolineato il mandato missionario teologicamente indispensabile della Chiesa e ha impartito un rinnovato impulso all’evangelizzazione.[10] Se si getta anche solo un rapido sguardo ai documenti dottrinali del Concilio, risulta subito evidente che il tema della missione non è affatto una questione incidentale e neppure un singolo argomento che potrebbe essere trattato con una dichiarazione particolare: si tratta piuttosto di una questione che sta al centro delle preoccupazioni conciliari.

Questa importante prospettiva può essere innanzitutto chiarita prendendo brevemente in considerazione la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, “Gaudium et spes”. Il Concilio, dopo aver “penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini. A tutti vuol esporre come esso intende la presenza e l’azione della Chiesa nel mondo contemporaneo”[11]. Con questa affermazione programmatica, fin dall’inizio la Costituzione pastorale non solo introduce il suo tema fondamentale, che è quello della missione della Chiesa nel mondo, ma rivela anche il nesso di fondo con la Costituzione dogmatica sulla Chiesa, “Lumen gentium”, la quale spiega che la missione della Chiesa si realizza, per così dire, per cerchi concentrici[12]: la Chiesa rivolge la sua attenzione innanzitutto ai “fedeli cattolici”, poi a tutti “coloro che, essendo battezzati, sono insigniti del nome cristiano”, e infine a “quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo”. L’attività missionaria della Chiesa si riferisce a questo terzo cerchio, più esterno.

L’importanza fondamentale del tema della missione per il Concilio Vaticano Secondo traspare anche dal fatto che esso si è espresso sul compito missionario della Chiesa in quasi tutte le costituzioni, i decreti e le dichiarazioni[13]: nella Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione “Dei Verbum”, ad esempio, il Vangelo occupa un posto centrale, nel senso che l’evangelizzazione deve essere realizzata tramite la Parola e la vita intera della Chiesa. La Costituzione sulla sacra liturgia “Sacrosanctum concilium” definisce la liturgia come il luogo privilegiato per l’annuncio del Vangelo. La Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen gentium” intende la missione speciale di tutti i battezzati come un permeare il mondo con il fermento del Vangelo cristiano. E la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo “Gaudium et spes” si concentra proprio sulla testimonianza di fede della Chiesa nel mondo. Ciò che viene evidenziato in tutti questi importanti documenti dottrinali del Concilio in merito all’attività missionaria della Chiesa trova la sua enunciazione concisa nel Decreto sull’attività missionaria della Chiesa “Ad gentes”, che inizia con questa affermazione programmatica: “Inviata per mandato divino alle genti per essere « sacramento universale di salvezza »,  la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità ed all’ordine specifico del suo fondatore, si sforza di portare l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini.”[14]

L’onnipresenza del tema della missione nei documenti conciliari è dovuta essenzialmente al fatto che il Concilio Vaticano Secondo inscrive il compito missionario della Chiesa nell’ampio orizzonte del disegno salvifico universale di Dio per l’umanità, che mira al raduno escatologico di tutti i popoli promesso dai profeti dell’Antico Testamento: “L’attività missionaria non è altro che la manifestazione, cioè l’epifania e la realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia: con essa Dio conduce chiaramente a termine la storia della salvezza.”[15] Evidenziando il carattere epifanico della missione, il Concilio ricorda che la missione evangelizzatrice della Chiesa è parte integrante della sua natura più profonda e che la Chiesa esiste proprio per evangelizzare: “La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria.”[16]

Il Concilio definisce quindi l’opera evangelizzatrice come un “dovere fondamentale del popolo di Dio” e appella tutti i battezzati a un profondo rinnovamento interiore, affinché essi “avendo una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del Vangelo, prendano la loro parte nell’opera missionaria presso i pagani”[17]. Ciò dimostra che il tema della missione per il Concilio è di così fondamentale importanza che, secondo il suo pensiero, il contrario del termine “conservatore” non è “progressista” ma “missionario” e che il Concilio segna persino “il passaggio da un atteggiamento conservatore a un atteggiamento missionario”[18].

 

b) La nuova evangelizzazione come chiave musicale del Magistero petrino

I pontefici che si sono susseguiti dopo il Concilio Vaticano Secondo hanno posto al centro della vita della Chiesa la convinzione missionaria che aveva profondamente animato il Concilio e lo hanno fatto soprattutto nella prospettiva della nuova evangelizzazione, promuovendo ed approfondendo così, con eccezionale continuità e coerenza, la recezione del tema della missione, tanto caro al Concilio.[19]

Di fronte alle nuove sfide del mondo contemporaneo, Papa Paolo VI, in occasione del decimo anniversario della conclusione del Concilio, pubblicò nel 1975 la sua magnifica Esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, che ravvisa nell’attività evangelica della Chiesa la sua identità di fondo: “Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda.”[20] Avendo diagnosticato il vero dramma dell’attuale umanità come una profonda rottura tra il vangelo cristiano e la cultura secolare, Papa Paolo VI sperava che un nuovo zelo missionario avrebbe guarito questa frattura.

Papa Giovanni Paolo II, nel suo lungo pontificato, ha appellato a una nuova, estesa evangelizzazione a livello mondiale come via pastorale per la Chiesa del futuro, sottolineando con forza che non si tratta di una “rievangelizzazione” ma di una “nuova evangelizzazione”, nuova per un triplice motivo: “nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni”[21]. In particolare, nella sua enciclica circa la permanente validità del mandato missionario della Chiesa, “Redemptoris missio”, egli osserva che siamo all’inizio di una nuova fase della missione cristiana e che la missione di evangelizzare il mondo corrisponde alla più intima identità della Chiesa.

Al centro dell’impegno di Papa Benedetto XVI a favore della nuova evangelizzazione, vi è stato lo sforzo di riempire il contenuto del programma missionario con il kerygma cristologico, ravvivando in tal modo la testimonianza resa a Gesù Cristo. Per cementare e approfondire questo progetto, Papa Benedetto XVI ha istituito il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, nella convinzione che “alla radice di ogni evangelizzazione non vi è un progetto umano di espansione, bensì il desiderio di condividere l’inestimabile dono che Dio ha voluto farci, partecipandoci la sua stessa vita”[22].

Oggi, il programma della nuova evangelizzazione è portato avanti in maniera coerente da Papa Francesco, in gran parte sulla base degli impulsi missionari del messaggio rilasciato dalla Quinta Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, a cui l’allora Cardinale Bergoglio contribuì considerevolmente; non a caso, tale messaggio è stato definito l’ “Evangelii nuntiandi dell’America Latina” dallo stesso Papa Francesco, che ha voluto così rendere un omaggio particolare all’entusiasmo missionario di Papa Paolo VI. Con la sua Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, Papa Francesco esorta i fedeli cristiani a una “nuova tappa evangelizzatrice”[23], che consiste nell’operare una “trasformazione missionaria della Chiesa”, per una “Chiesa in uscita”[24].

 

4. Vie credibili per la missione

Alla luce delle indicazioni del Concilio e dei pontefici susseguitisi dopo il Concilio, è evidente che la missione della Chiesa corrisponde alla sua più intima identità e consiste in sostanza nel testimoniare l’amore di Dio nel mondo. Di fatti, come ha sottolineato il Concilio Vaticano Secondo, la Chiesa pellegrina è per sua natura missionaria, “in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine”; questo piano scaturisce a sua volta “dall’amore nella sua fonte”, nella quale la “carità di Dio Padre” ci incontra in maniera più autentica[25]. Il prossimo passo sarà dunque quello di chiedersi quali condizioni dovranno essere soddisfatte affinché la missione cristiana possa essere realizzata in maniera credibile.

 

a) Missione senza proselitismo

La prima condizione fondamentale è la consapevolezza che la dinamica missionaria è vitale solo se i cristiani trasmettono generosamente il messaggio del Vangelo come un grande dono che è stato loro affidato, e invitano gli altri a riceverlo, senza però imporlo in alcun modo. La missione cristiana è un processo completamente libero che interpella la libertà altrui senza esercitare pressioni. La missione è l’invito gratuito rivolto alla libertà degli altri, l’invito ad allacciare una comunicazione e ad impegnarsi in un dialogo stimolante. Qualsiasi forma di proselitismo è dunque del tutto contraria al pensiero cristiano.

Il termine “proselitismo” evoca un problema che ogni riflessione sulla teologia della missione deve affrontare, affinché la missione cristiana non rimanga gravata da un pesante fardello ereditato dal passato, con il quale il movimento ecumenico ha dovuto fare i conti fin dall’inizio. A partire dal documento di studio approvato dalla Plenaria del Consiglio Ecumenico delle Chiese a New Delhi nel 1961, in seno alla discussione ecumenica vengono intese, con il termine “proselitismo”, tutte quelle disposizioni di una comunità religiosa volte ad accaparrarsi nuovi membri ad ogni costo e con qualsiasi mezzo. Pertanto, nel documento sopracitato si legge: “il proselitismo non è qualcosa di totalmente diverso dalla testimonianza autentica; è l’immagine distorta della testimonianza. La testimonianza è distorta quando, in maniera subdola oppure apertamente, vengono impiegate strategie di persuasione, corruzione, pressioni illecite o intimidazioni per giungere ad una conversione apparente.”[26] A questa connotazione negativa, usata ormai nel movimento ecumenico in maniera prevalente, si era riallacciato anche il Concilio Vaticano Secondo, respingendo ogni forma di proselitismo nella sua Dichiarazione sulla libertà religiosa, “Dignitatis humanae”. In questo spirito, si afferma che “nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre pratiche religiose”, si deve evitare “ogni modo di procedere in cui ci siano spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti, specialmente nei confronti di persone prive di cultura o senza risorse”[27].

Con questa Dichiarazione, il Concilio si pone davanti alla questione tutt’altro che semplice di come poter conciliare il compito missionario della Chiesa con il principio della libertà religiosa e con il rifiuto, in essa fondato, di ogni forma di proselitismo.[28] Per evitare un possibile malinteso, ovvero l’impressione che, con la Dichiarazione sulla libertà religiosa, il Concilio abbia decretato anche la fine dell’attività missionaria, l’articolo 14 di “Dignitatis humanae” afferma in maniera inequivocabile: “per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana.”

La Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa non obbliga dunque in nessun modo a rinunciare alla testimonianza missionaria della verità della fede da parte della Chiesa; essa appella piuttosto, nell’attività missionaria, a rinunciare a quei mezzi che non corrispondono al lieto messaggio di Gesù Cristo e a utilizzare soltanto i metodi indicati dal Vangelo, ovvero l’annuncio della Parola e la testimonianza di vita, che si può spingere fino alla testimonianza resa col proprio sangue. La Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa ha dunque contribuito considerevolmente a rendere il lavoro missionario più vero e più puro. Nel contesto di vita odierno, segnato interamente dal desiderio di libertà dell’uomo contemporaneo, la missione non potrebbe avvenire diversamente, come ha sottolineato Papa Benedetto XVI durante l’inaugurazione della V Assemblea Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi ad Aparecida, il 13 maggio 2007: “La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per ‘attrazione’: come Cristo ‘attira tutti a sé’ con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della Croce, così la Chiesa compie la sua missione nella misura in cui, associata a Cristo, compie ogni sua opera in conformità spirituale e concreta alla carità del suo Signore.”[29] L’evangelizzazione “per attrazione”, estranea al proselitismo, è la dimostrazione reale di una missione credibile.

 

b) La missione e il dialogo interreligioso

La questione della compatibilità evangelica tra il compito missionario della Chiesa e il riconoscimento del principio di libertà religiosa, che il Concilio considera fondato sulla dignità della persona umana, si pone in maniera particolarmente acuta nelle società sempre più multi-religiose di oggi. Essa riguarda soprattutto il modo in cui la convinzione dell’assoluta verità della fede cristiana da cui deve partire ogni missione, in quanto indissolubilmente legata alla confessione dell’universalità salvifica di Gesù Cristo e del suo messaggio, può conciliarsi con la necessità del dialogo interreligioso: la missione e il dialogo interreligioso sono compatibili o la missione cristiana deve essere sostituita dal dialogo interreligioso?[30]

Per compiere la missione in maniera credibile, la Chiesa deve partire dal presupposto che l’universalità della fede cristiana non implica la rivendicazione dell’assolutezza di una verità fattuale che si situa esclusivamente all’interno della conoscenza umana, una verità che sarebbe nostro appannaggio e che potremmo far valere contro le altre religioni. L’universalità della fede cristiana è piuttosto l’opposto della polarizzazione o addirittura dell’esclusione, dell’autoaffermazione e dell’intolleranza. Di fatti, l’universalità della verità testimoniata dalla fede cristiana è la persona stessa di Gesù Cristo, che dice di sé: “Io sono la verità”. Ma questa verità è un amore personale puro, universale, che comprende tutti e tutto e che non esclude nessuno e niente, un amore che si è rivelato in Gesù Cristo, come ha evidenziato Papa Giovanni Paolo II nella sua Enciclica “Redemptoris missio”: “L’universalità della salvezza non significa che essa è accordata solo a coloro che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella chiesa. Se è destinata a tutti, la salvezza deve essere messa in concreto a disposizione di tutti.”[31]

Per principio, anche nel concerto odierno delle religioni, la Chiesa non può rinunciare a questa confessione dell’universalità della verità dell’amore di Dio manifestatosi in Gesù Cristo se non vuole rinunciare alla propria fede, e anche al suo servizio a favore dell’uomo. Il servizio non delegabile del cristianesimo nella sfera sociale pubblica consiste infatti nel riferirsi a Gesù Cristo e all’amore radicale e universale di Dio che in lui si è manifestato e che si è reso più chiaramente visibile sulla croce. Sulla croce, Gesù Cristo dimostra di essere il Buon Pastore proprio perché è diventato lui stesso l’agnello, si è schierato con gli agnelli, con coloro che sono calpestati e mandati al macello, ha dato la vita per loro e ha fondato la riconciliazione tra gli uomini. La croce di Gesù è il grande giorno di riconciliazione di Dio, lo Yom Kippur permanente e universale. La croce, che è il fulcro più intimo della fede cristiana, non ostacola quindi in alcun modo il dialogo interreligioso; piuttosto, mostra la via decisiva affinché ebrei e cristiani soprattutto, ma anche confessori di altre religioni possano accettarsi reciprocamente in profonda riconciliazione interiore e, nella loro reciproca riconciliazione, diventino fermento di pace per il mondo. Come cristiani, possiamo rendere il nostro servizio per il dialogo interreligioso se professiamo Gesù Cristo come il Buon Pastore e se annunciamo l’amore universale di Dio resosi puro sulla croce.

La confessione dell’universalità della persona di Gesù Cristo e dell’assoluta verità della fede cristiana nel Dio dell’amore è certamente un’alta rivendicazione, che a prima vista e a uno sguardo superficiale potrebbe sembrare il “maggiore ostacolo allo sviluppo di una relazione costruttiva tra le religioni”. Guardando le cose più in profondità, tuttavia, dobbiamo dar ragione al biblista cattolico Thomas Söding che ravvisa, al contrario, in questa rivendicazione “il dischiudersi della possibilità di un dialogo” che “va oltre il semplice scambio di cordialità”[32]. È solo a questo livello che la rivendicazione specifica della fede cristiana circa la verità universale può essere oggi difesa in modo credibile; ed è solo in questo approccio di fondo che la missione cristiana dimostra di non essere un ostacolo o addirittura una contraddizione rispetto al dialogo interreligioso, ma si rivela una via percorribile per conciliare con onestà fede cristiana e libertà religiosa.

 

c) La sinfonia di missione ed ecumenismo

Difendere la rivendicazione della verità da parte della fede cristiana e annunciare la salvezza di Dio per tutti gli uomini in un mondo in cui esistono così tante iniquità e divisioni si rivelerà credibile soltanto se la missione verrà realizzata in modo ecumenicamente riconciliato[33]. Questo ci porta a un altro banco di prova della credibilità del compito missionario della Chiesa, a cui Papa Benedetto XVI ha fatto riferimento nell’annunciare l’istituzione del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione: “la sfida della nuova evangelizzazione interpella la Chiesa universale, e ci chiede anche di proseguire con impegno la ricerca della piena unità tra i cristiani.”[34]

Lo stretto legame tra missione ed ecumenismo è evidente sin dall’inizio del movimento ecumenico, che è stato da sempre anche un movimento missionario. Il suo orientamento trovò particolare espressione nella prima Conferenza Mondiale sulla Missione tenutasi nel 1910 a Edimburgo, in Scozia. Allora ai partecipanti era ben chiaro lo scandalo insito nel fatto che le varie Chiese e Comunità ecclesiali si facevano concorrenza nel lavoro missionario e in tal modo minavano la credibilità dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo soprattutto nei continenti più lontani, poiché avevano portato in altre culture, insieme al Vangelo, anche le divisioni della Chiesa in Europa. I partecipanti alla Conferenza erano consapevoli che la mancanza di unità tra i cristiani costituiva il maggiore ostacolo alla missione nel mondo. Dato che una testimonianza credibile nel mondo è possibile solo quando le Chiese riescono a superare le loro divisioni nella fede e nella vita ecclesiale, ad Edimburgo soprattutto il vescovo anglicano missionario Charles Brent esigette che si compissero intensi sforzi per il superamento di quelle differenze relative alla dottrina della fede e all’ordinamento delle Chiese che ostacolano il cammino verso l’unità.

In virtù di queste intuizioni profetiche, non solo la prima Conferenza Mondiale sulla Missione è diventata il punto di partenza del movimento ecumenico moderno, ma il compito missionario della Chiesa ha acquisito una crescente importanza come tema all’ordine del giorno dell’ecumenismo. Da Edimburgo in poi, impegno missionario e obiettivo ecumenico si sono intrecciati sempre più strettamente; missione ed ecumenismo hanno dimostrato di essere gemelli che si sostengono e si necessitano reciprocamente, e questo secondo una logica interna. Poiché la missione cristiana significa in fondo il raduno dell’umanità nell’unico amore di Dio che, manifestatosi in Gesù Cristo, abbraccia tutto, essa è anche di per sé un “segno di unità”: “Come i peccati allontanano gli uomini gli uni dagli altri, così l’unica fede li riunisce nell’uomo nuovo: voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,28).”[35]

L’intuizione del legame inscindibile tra missione ed ecumenismo ha trovato anche una forma vincolante nel Concilio Vaticano Secondo, che ravvisa il motivo più profondo di questo nesso nella dimensione escatologica della missione cristiana. Nel secondo capitolo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen gentium”, che vede la Chiesa soprattutto come il popolo di Dio nel suo pellegrinaggio terreno tra il “già” e il “non ancora”, in cammino nella storia con il suo compito missionario, la Chiesa stessa è intesa come un movimento escatologico. In questa dinamica è integrato anche il movimento ecumenico, insieme al movimento missionario. Missione ed ecumenismo si mostrano dunque come le due forme fondamentali del cammino escatologico della Chiesa, come ha sottolineato il Cardinale Walter Kasper: “Una Chiesa missionaria deve essere anche una Chiesa ecumenica; una Chiesa impegnata ecumenicamente è il presupposto di una Chiesa missionaria.”[36]

Ancora oggi, la consapevolezza di una stretta correlazione tra missione ed ecumenismo non ha perso nulla della sua rilevanza, come ricorda con perseveranza Papa Francesco, soprattutto nella sua Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”. Anche oggi, la divisione nel mondo cristiano rappresenta il maggiore ostacolo ad una credibile evangelizzazione. Il Pontefice insiste dunque sul fatto che la credibilità dell’annuncio cristiano sarebbe molto più grande “se i cristiani superassero le loro divisioni”[37]: “Data la gravità della controtestimonianza della divisione tra cristiani, particolarmente in Asia e Africa, la ricerca di percorsi di unità diventa urgente. I missionari in quei continenti menzionano ripetutamente le critiche, le lamentele e le derisioni che ricevono a causa dello scandalo dei cristiani divisi.” Pertanto, per Papa Francesco “l’impegno per un’unità che faciliti l’accoglienza di Gesù Cristo smette di essere mera diplomazia o un adempimento forzato, per trasformarsi in una via imprescindibile dell’evangelizzazione”[38]. 

Lo stretto legame tra missione e ricerca ecumenica dell’unità dei cristiani è in realtà antico quanto antico è il cristianesimo stesso e risale al cenacolo, in cui Gesù, prima della sua passione e della sua morte, pregò per l’unità dei suoi discepoli: “perché… il mondo sappia che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Con questa proposizione finale contenuta nella preghiera del Signore, che è in fondo il suo testamento, l’evangelista Giovanni suggerisce che l’unità dei discepoli di Gesù non è un fine in sé, ma è al servizio di un annuncio convincente del Vangelo di Gesù Cristo ed è il presupposto irrinunciabile per la credibilità del messaggio cristiano. La preghiera per l’unità, come ha osservato Papa Benedetto XVI nella sua interpretazione della preghiera sacerdotale di Gesù, ha di mira proprio questo, che mediante l’unità dei discepoli la verità della sua missione si renda visibile agli uomini e che venga legittimato Gesù stesso: “Diventa evidente che Egli è veramente il ‘Figlio’.”[39]

 

5. La gioia come chiave musicale della missione cristiana

Quanto affermato finora ci permette di passare all’ultima considerazione, che è la più importante: al centro della missione cristiana vi è il Vangelo di Gesù Cristo, e, di conseguenza, la dinamica missionaria rimane in vita solo se nasce dalla gioia del Vangelo e la testimonia, per il desiderio di condividere con gli altri il dono inestimabile che Dio ci ha fatto. Nella fede, i cristiani ritengono che già la prima parola con la quale inizia la storia della salvezza nel Nuovo Testamento è una parola di gioia, vale a dire il saluto rivolto a Maria dall’Arcangelo Gabriele: “Chaire - rallegrati!” (Lc 1, 28). La gioia è il contenuto centrale del messaggio di Dio, che si chiama “vangelo”. La gioia non solo è contenuta nella parola “evangelium”, ma contagia tutti coloro che ascoltano, annunciano e vivono il Vangelo. Il fatto che la prima parola del Vangelo sia una parola di gioia dimostra chiaramente che il cristianesimo, nella sua più intima essenza, è gioia, ovvero è potenziamento alla gioia operato da Dio.

Il cristianesimo è la religione della gioia, perché annuncia in primo luogo la gioia di Dio per la sua creazione. Da ciò deriva la gioia che noi cristiani possiamo avere nei confronti di Dio. Annunciare questa gioia per Dio è la missione più importante del cristianesimo odierno, come Papa Benedetto XVI ha ripetutamente ricordato: “Risvegliare la gioia per Dio, la gioia per la rivelazione di Dio e per l’amicizia con Dio mi sembra un compito urgente della Chiesa nel nostro secolo. Anche per noi oggi sono assolutamente pertinenti le parole rivolte dal sacerdote Esdra al popolo scoraggiato dopo l’esilio: ‘la gioia del Signore è la nostra forza’ (Nee 8,10).”[40] Anche per Papa Francesco la gioia è una parola chiave, che egli ha fatto risuonare già nella sua prima esortazione apostolica: “Evangelii gaudium”. Di fatti, Papa Francesco è convinto che con Gesù Cristo “sempre nasce e rinasce la gioia” e che quindi abbiamo bisogno di una “nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia”[41].

La gioia è il motore più profondo della missione della Chiesa. La più semplice dimostrazione di ciò è il detto tedesco tratto dalla saggezza popolare che afferma: “La bocca trabocca perché il cuore è pieno di gioia”. Di questa verità facciamo noi stessi esperienza: quando le persone vivono qualcosa di molto bello, come ad esempio delle splendide vacanze, non c’è proprio bisogno di far loro domande o di spingerle a raccontare quello che hanno sperimentato: lo faranno spontaneamente. A volte le parole escono entusiaste dalla bocca, rendendoci partecipi delle esperienze altrui. “La bocca trabocca perché il cuore è pieno di gioia”: questa verità è ancora più valida per la fede cristiana quando riempie il cuore dei fedeli, tanto che essi iniziano spontaneamente ad annunciare il Vangelo, a parlare ad altri di Dio e a trasmettere la gioia di cui sono colmi.

La missione cristiana oggi non è dunque portata avanti mediante campagne pubblicitarie rivolte al consumatore, tramite montagne di documenti o attraverso i mass media. Lo strumento migliore per diffondere Dio sono i credenti stessi, che vivono la loro fede in modo credibile e conferiscono al Vangelo un volto personale. Se Cristo davvero ci illumina come luce del mondo, noi stessi brilleremo, saremo cristiani luminosi, come quelle famose candele finlandesi che bruciano dall’interno verso l’esterno per dare luce.[42] Un cristianesimo missionario ha bisogno soprattutto di battezzati i cui cuori siano stati aperti da Dio e la cui ragione sia stata illuminata dalla luce di Dio, affinché i loro cuori possano toccare i cuori degli altri e la loro ragione possa parlare alla ragione degli altri. Solo attraverso persone che si lasciano toccare da Dio, Dio può arrivare oggi alle persone.

Oggi abbiamo bisogno di un nuovo slancio missionario, al quale Papa Francesco ad esempio ha contribuito quando, in occasione del centenario della Lettera apostolica di Papa Benedetto XV “Maximum illud” sull’attività svolta dai missionari in tutto il mondo, ha proclamato il Mese Missionario Straordinario nell’ottobre del 2019, al fine di “risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale”. A questo appello possiamo rispondere solo tornando al fondamentale compito missionario dei cristiani e della Chiesa, che consiste nella testimonianza della fede e della vera gioia cristiana donataci dal Vangelo di Gesù Cristo.

 

 

[1] M. Sievernich, Die christliche Mission. Geschichte und Gegenwart (Darmstadt 2009) 7.

[2] Vgl. K. Kardinal Koch, Mission oder De-Mission der Kirche? Herausforderungen an eine notwendige Neuevangelisierung, in: G. Augustin / K. Krämer (Hrsg.), Mission als Herausforderung. Impulse zur Neuevangelisierung (Freiburg i. Br. 2011) 41-79, bes. 55-71: Dimensionen und Wege der Neuevangelisierung.

[3] F. Kamphaus, Die Welt zusammenhalten. Reden gegen den Strom (Freiburg i. Br. 2008) 125.

[4] J. Ratzinger, Considerationes quoad fundamentum theologicum missionis Ecclesiae. Überlegungen zur theologischen Grundlage der Sendung (Mission) der Kirche, in: Ders., Zur Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils. Formulierung – Vermittlung – Deutung = Gesammelte Schriften. Band 7/1 (Freiburg i. Br. 2012) 223-236, zit. 223.

[5] J. Ratzinger, Der Priester als Mittler und Diener Christi im Licht der neutestamentlichen Botschaft, in: Ders., Theologische Prinzipienlehre. Bausteine zur Fundamentaltheologie (München 1982) 281-299, zit. 288.

[6] J. Ratzinger, Considerationes quoad fundamentum theologicum missionis Ecclesiae. Überlegungen zur theologischen Grundlage der Sendung (Mission) der Kirche, in: Ders., Zur Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils. Formulierung – Vermittlung – Deutung = Gesammelte Schriften. Band 7/1 (Freiburg i. Br. 2012) 223-236, zit. 224.

[7] Ibid 225.

[8] La Dichiarazione Dominus Iesus a dieci anni dalla promulgazione. A cura di M. Gagliardi (Lindau 2010).

[9] Vgl. R. Schwager, Christus allein? Der Streit um die pluralistische Religionstheologie (Freiburg i. Br. 1996).

[10] Vgl. K. Koch, Evangelisierung aus der „quellhaften Liebe“ heraus, in: M. Delgado, M. Sievernich (Hrsg.), Die grossen Metaphern des Zweiten Vatikanischen Konzils. Ihre Bedeutung für heute (Freiburg i. Br. 2013) 355-372.

[11] Gaudium et spes, n. 2.

[12] Lumen gentium, nn. 14-16.

[13] Vgl. J. Ratzinger, Konzilsaussagen über die Mission ausserhalb des Missionsdekrets, in: Ders., Das neue Volk Gottes. Entwürfe zur Ekklesiologie (Düsseldorf 1969) 376-403, jetzt in: Ders., Zur Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils. Formulierung – Vermittlung - Deutung = Gesammelte Schriften. Band 7/2 (Freiburg i. Br. 2012) 919-951.

[14] Ad gentes, n. 1.

[15] Ad gentes, n. 9.

[16] Ad gentes, n. 2.

[17] Ad gentes, n. 35.

[18] J. Ratzinger, Weltoffene Kirche? Überlegungen zur Struktur des Zweiten Vatikanischen Konzils, in: Ders., Das neue Volk Gottes. Entwürfe zur Ekklesiologie (Düsseldorf 1969) 282-301, zit. 300, jetzt in: Ders., Zur Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils. Formulierung – Vermittlung - Deutung = Gesammelte Schriften. Band 7/2 (Freiburg i. Br. 2012) 980-1002, zit. 1001.

[19] Cfr. Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (ed.), Enchiridion della nuova evangelizzazione. Testi del Magistero pontificio e conciliare 1939-2012 (Città del Vaticano 2012).

[20] Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 14.

[21] Giovanni Paolo II, Discorso all’Assemblea del CELAM, Port-au-Prince (Haiti), 9 marzo 1983.

[22] Benedetto XVI, Motu proprio “Ubicumque et semper”.

[23] Francesco, Evangelii gaudium, n. 1.

[24] Ibid, nn. 19-23.

[25] Ad gentes, n. 2.

[26] F. Lüpsen (Hrsg.), Neu-Delhi-Dokumente (Witten 1962) 104-106.

[27] Dignitatis humanae, n. 4.

[28] Vgl. J. Hamer und Y. Congar (Hrsg.), Die Konzilserklärung über die Religionsfreiheit (Paderborn 1967).

[29] Benedetto XVI, Omelia durante la Santa Messa di inaugurazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, ad Aparecida, il 13 maggio 2007.

[30] Vgl. K. Koch, Glaubensüberzeugung und Toleranz. Interreligiöser Dialog in christlicher Sicht, in: Zeitschrift für Missions- und Religionswissenschaft 92 (2008) 196-210.

[31] Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n. 10.

[32] Th. Söding, Einheit der Heiligen Schrift? Zur Theologie des biblischen Kanons (Freiburg i. Br. 2005) 94.

[33] Vgl. K. Kardinal Koch, Die Bedeutung der Ökumene für die Neuevangelisierung, in: Catholica 69 (2013) 1-18.

[34] Benedetto XVI, Omelia nei Primi Vespri nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, il 28 giugno 2010.

[35] J. Ratzinger, Considerationes quoad fundamentum theologicum missionis Ecclesiae. Überlegungen zur theologischen Grundlage der Sendung (Mission) der Kirche, in: Ders., Zur Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils. Formulierung – Vermittlung – Deutung = Gesammelte Schriften. Band 7/1 (Freiburg i. Br. 2012) 223-236, zit. 234.

[36] Walter Kasper, Eine missionarische Kirche ist ökumenisch, in: Ders., Wege zur Einheit der Christen = Gesammelte Schriften. Band 14 (Freiburg i. Br. 2012) 621-634, S. 623.

[37] Francesco, Evangelii gaudium, n. 244.

[38] Ibid n. 246.

[39] J. Ratzinger- Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso di Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano 2011) 112.

[40] J. Kardinal Ratzinger, Die Kirche an der Schwelle des 3. Jahrtausends, in: Ders., Weggemeinschaft des Glaubens. Kirche als Communio (Augsburg 2002) 248-260, zit. 259.

[41] Francesco, Evangelii gaudium, n. 1.

[42]  Vgl. K. Kardinal Koch, Das Gute selbst ist kommunikativ – „bonum diffusivum sui“. Evangelisierung als Wirkung eines strahlenden Glaubens, in: G. Augustin (Hrsg.), Die Strahlkraft des Glaubens. Identität und Relevanz des Christseins heute (Freiburg i. Br. 2016) 45-67.