In occasione dell’incontro del Consiglio di Gestione del Comitato Cattolico
per la Collaborazione Culturale, nella Cappella della Domus Sanctae Marthae, Città del Vaticano, 4 gennaio 2017

 “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” [Gv 1,29]

 

Con la Festa del Battesimo del Signore, celebrata domenica scorsa, siamo tornati al tempo ordinario del calendario liturgico. Ma, subito dopo il Natale, guardando alla figura di Giovanni Battista presentataci nel Vangelo odierno, ovvero alla figura per eccellenza dell’Avvento, capiamo che anche dopo il Natale non possiamo lasciarci alle spalle l’Avvento, ma dobbiamo sempre ritornare ad esso. La Chiesa, infatti, non vive soltanto nelle quattro settimane che precedono il Natale, ma vive sempre nell’Avvento. La Chiesa è una comunità di fede che è segnata interamente dall’Avvento, e non ha altro compito se non quello di indicare, con la sua vita e con le sue parole, il Cristo che viene. Cristo ci precede sempre e noi possiamo solo seguirlo – come ha fatto Giovanni Battista che non ha mai indicato se stesso, ma ha sempre indicato colui che viene. E lo ha fatto con parole che esprimono la più profonda identità di Gesù Cristo: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo.”

 

La redenzione come venuta dell’agnello nel mondo

La descrizione di Gesù Cristo come agnello risulta, per l’uomo odierno, meno pregna di significato rispetto alla ricchezza di contenuto che le veniva invece attribuita nella Sacra Scrittura. L’Antico Testamento parla di agnello soprattutto nel contesto della tradizione della Pasqua: col sangue dell’agnello pasquale venivano cosparsi gli stipiti delle porte in segno di redenzione del popolo di Israele ed il pranzo pasquale simbolizzava l’uscita del popolo di Dio dalla schiavitù, con l’entrata nella terra promessa. Nel Nuovo Testamento, l’immagine dell’agnello viene riferita a Gesù Cristo, creduto e adorato come l’agnello pasquale sacrificato. In particolare, l’agnello è menzionato ventotto volte nell’Apocalisse di Giovanni, che annuncia ripetutamente che la redenzione “appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello” (Ap 7,10).

                In contrasto con il ricco significato che riveste nella Sacra Scrittura, l’immagine dell’agnello produce nell’uomo di oggi, al primo impatto, un effetto alquanto innocuo e si tinge forse di un certo romanticismo. Ma assume tutto il suo peso e la sua chiara importanza quando ci chiediamo cosa significa più precisamente il fatto che Gesù sia venuto nel mondo come agnello. Egli si è presentato a noi uomini come non ci aspettavamo minimamente. Di fatti, noi uomini non ci aspetteremmo come un agnello Gesù, colui che, secondo quanto ci annuncia Giovanni, toglie i nostri peccati e ci porta la redenzione, piuttosto ce lo aspetteremmo come un leone che, con la sua forza, scardina il mondo e le sue strutture e crea un mondo nuovo. Non è un caso che i sovrani del nostro mondo si siano sempre fregiati dell’immagine del leone, per celebrare in maniera dimostrativa la loro potenza ed il loro dominio. Eppure, Gesù non è venuto nel mondo come un leone. E neppure come una lupa, simbolo usato dall’antica Roma per presentare se stessa quale redentrice del mondo, con la potenza del suo ordine militare e giuridico. Giovanni Battista ci mostra piuttosto che la nostra redenzione non viene nel mondo grazie ad animali grandi e possenti, ma che Gesù viene a noi uomini come agnello, ovvero nella forza del suo amore indifeso, che è l’attuazione concreta della sua potenza. Gesù Cristo è il buon pastore degli uomini proprio perché egli stesso si è fatto agnello e si è schierato dalla parte degli agnelli oppressi: “Dio viene come agnello; questa è la redenzione del mondo.”[1]

                In questa figura indifesa risiede anche il motivo per cui la redenzione di Dio nel nostro mondo è sempre presente solo come realtà contestata. Cristo infatti, che è venuto come agnello, neanche oggi può essere sopportato da coloro che se lo aspettano come leone e come lupo. E non è apprezzato da coloro che sono, essi stessi, leoni e lupi. Essi non vedono in lui la redenzione, ma si gettano sull’agnello e lo fanno a pezzi. Del mistero di Gesù Cristo fa sempre parte, dunque, anche la croce. L’essere agnello e la croce sono inscindibilmente legati.

 

La frazione del pane eucaristico da parte dell’agnello

Nel momento del passaggio al tempo ordinario del calendario liturgico, ci troviamo davanti a questo mistero fondamentale della fede cristiana, che è al centro della festa del Natale, e siamo chiamati ad approfondirlo. Il luogo principale dove possiamo farlo è la celebrazione dell’Eucaristia, che riprende le parole pronunciate da Giovanni Battista nel Vangelo odierno: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” A queste parole si riferisce la liturgia nell’Agnus Dei, che accompagna la frazione del pane: “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo”. A sua volta, l’Agnus Dei sfocia nell’invito alla comunione, espresso con le parole. “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo” e “Beati gli invitati al pranzo nuziale dell’agnello.”

                L’immagine dell’agnello nella liturgia eucaristica richiama più precisamente il rito della frazione del pane: come nel pranzo pasquale ebraico l’agnello viene diviso e spartito tra tutti i partecipanti, così, nella celebrazione eucaristica, il pane dell’agnello sacrificato viene spezzato, a simboleggiare il fatto che il corpo stesso del Signore è stato spezzato nella morte in croce. La frazione del pane rende visibile ciò che proclamano le parole d’istituzione “Questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi”. Il pane viene spezzato nell’Eucaristia come è stata spezzata la vita di Gesù sulla croce. Nei tempi antichi, questo era espresso in maniera ancora più evidente nelle preghiere eucaristiche, ad esempio nell’anafora della Tradizione Apostolica all’inizio del III secolo, in cui si diceva: “Questo è il mio corpo che per voi sta per essere spezzato”. E nella preghiera eucaristica di Sant’Ambrogio di Milano nel IV secolo si diceva: Gesù spezzò il pane “e dette ciò che era stato spezzato agli apostoli e ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo che è stato spezzato per molti.” La frazione del pane nella celebrazione eucaristica è dunque immagine e rappresentazione della morte in croce di Gesù, che ha dato la sua vita per noi, affinché possiamo avere una vita nella pienezza e nella pace.

                Gesù Cristo è il vero agnello, il cui corpo è stato spezzato sulla croce per la remissione dei peccati, l’agnello che riceviamo nell’Eucaristia. Iniziamo dunque a capire che, sin dall’origine, la frazione del pane era l’azione più antica e più importante per prepararsi ad accogliere l’Eucaristia, tanto che al tempo degli apostoli essa dette il nome all’intera celebrazione eucaristica. Nella comunità primitiva, lo spezzare il pane divenne il segno decisivo di riconoscimento del Cristo risorto, come mostra in modo molto bello il racconto dei discepoli sulla strada di Emmaus: di ritorno da Emmaus “Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.” (Lc 24,35). E negli Atti degli Apostoli si dice, a proposito della giovane comunità cristiana: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (Atti 2,42).

 

La comunione nello spezzare il pane

Il gesto di spezzare il pane, per distribuirlo ai presenti, si rifà al simbolismo della frazione del pane conosciuto già presso il popolo di Israele. Sia durante il pranzo pasquale che durante il pranzo settimanale dello shabbat, lo spezzare il pane era un rito di apertura: il pane spezzato è segno della comunità raccolta intorno alla mensa. Ricevendo uno dei pezzetti del pane spezzato, il commensale entra a far parte di una comunità. Chi ha ricevuto un pezzetto di pane appartiene alla comunità benedetta da Dio. In senso analogo, anche il pane che viene frazionato durante la celebrazione eucaristica permette di partecipare al Corpo di Cristo, che è il vero agnello pasquale, e, attraverso la partecipazione al Corpo di Cristo, tutti vengono resi partecipi della Chiesa quale Corpo di Cristo. Anche questa realtà trova espressione, in maniera visibile, nell’azione liturgica della frazione del pane, in cui si realizza l’unità di tutti nell’unico Pane. Poiché questo pane viene diviso tra fratelli e sorelle, esso è segno efficace dell’amore fraterno che regna tra coloro che celebrano l’Eucaristia. La frazione del pane mostra che noi tutti mangiamo nella comunione dell’unico Pane di vita, che è Gesù Cristo, e diveniamo in tal modo noi stessi un unico Corpo.

                Se colui che ha ricevuto un pezzo del pane spezzato appartiene alla chabura, alla famiglia, è evidente allora che, nell’Antico Testamento, si considera come peggiore abuso di fiducia che possa essere commesso quello del tradimento di uno dei commensali da parte di un altro. Il tradimento di Giuda risulta particolarmente spregevole perché avviene dopo che Gesù gli ha offerto un pezzetto di pane, rendendolo così partecipe della comunione con lui. In questo senso, anche San Bernardo di Chiaravalle ha potuto dire che la più grande amarezza è stata recata alla Chiesa non dai sui nemici, ma dai suoi “compagni di casa” con la loro pace tollerante: “ecce in pace amaritudo mea amarissima”[2].

                Di questa amaritudo amarissima anche noi facciamo spesso l’esperienza nel lavoro ecumenico, quando ci sforziamo di giungere all’unità dei cristiani e tuttavia non possiamo realizzare la vera unità nella frazione del pane. Questo dolore è il motivo principale per cui non dobbiamo mai rassegnarci nel nostro lavoro ecumenico, ma dobbiamo impegnarci affinché tutti i battezzati nel nome del Dio uno e trino, insieme a Giovanni Battista, possano professare insieme, anche in riferimento all’Eucaristia: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo.” In questa celebrazione eucaristica, preghiamo l’agnello di Dio affinché tolga anche il peccato della divisione dei cristiani tuttora esistente, così che la frazione del pane non escluda più nessuno, ma riunisca tutti nella chabura di Dio.

 

Prima lettura:                Is 49,3.5-6

Seconda lettura:           1 Cor 1,1-3

Vangelo:                       Gv 1,29-34


 

[1].  J. Ratzinger, Freude in Christus, in: Ders., Gesammelte Schriften. Band 12: Künder des Wortes und Diener Eurer Freude. Theologie und Spiritualität des Weihesakramentes (Freiburg i. Br. 2010) 642-649, zit. 643.

[2].  Bernardo di Chiaravalle, Sermones super Cantica Cantorum 33.,16.