Per il Decimo Anniversario dell'Opera "Gesù di Nazaret" di Benedetto XVI
Auditorium Celestino V, Campobasso, 27 novembre 2017

 

Sinfonia di amore e verità nella libertà.
Joseph Ratzinger/Benedetto XVI testimone grato della fede pasquale

 

1.   Cammino cristiano dal Sabato Santo verso la Pasqua

Un detto popolare dice che bisogna celebrare le feste quando cadono. A volte cadono addirittura in una data particolarmente appropriata e significativa. Questo vale in modo particolare per il novantesimo compleanno del nostro Papa emerito Benedetto XVI che quest’anno coincide con il giorno di Pasqua. Si tratta di una bella coincidenza soprattutto perché con l’avvenimento pasquale della Risurrezione di Gesù Cristo stanno o cadono la fede cristiana e il suo annuncio, come Papa Benedetto XVI con particolare insistenza sottolinea nel suo libro su Gesù di Nazareth: «Gesù è esistito soltanto nel passato o esiste invece anche nel presente? L’una o l’altra risposta dipende dalla Risurrezione. Nel rispondere “sì” oppure “no” a quella domanda, non ci si pronuncia su di un singolo avvenimento accanto ad altri; ci si pronuncia sulla figura di Gesù come tale»[1]. La felice coincidenza del novantesimo compleanno con la festa della Risurrezione del Signore, la Festa di tutte le feste cristiane, ci riporta al contempo al primo giorno di vita di Joseph Ratzinger. Il giorno della sua nascita, il 16 aprile del 1927 era Sabato Santo, al mattino del quale egli fu subito battezzato con l’acqua pasquale appena benedetta. Joseph Ratzinger più tardi, in uno sguardo retrospettivo sulla sua vita, ha interpretato alla luce della fede il fatto di essere stato condotto, subito dopo la sua nascita, alla sua rinascita in Cristo con la nuova acqua della vita pasquale: «Personalmente sono sempre stato grato – scriverà – per il fatto che, in questo modo, la mia vita sia stata fin dall’inizio immersa nel mistero pasquale, dal momento che non poteva che essere un segno di benedizione»[2].

In questo modo si palesano al nostro sguardo spirituale due parole chiave che attraversano tutta la vita del cristiano e del teologo, del vescovo e del cardinale, del Papa e del Pontefice emerito: gratitudine e benedizione. Esse rappresentano le articolazioni più evidenti e credibili della vita cristiana nel mistero della Pasqua. Papa Benedetto XVI, che nacque e fu battezzato di Sabato Santo, nell’overture di Pasqua, sta di fronte a noi come testimone grato della fede pasquale. Fede che peraltro bisogna annunciare in un mondo in cui spesso si può percepire così poco della Pasqua e della vittoria divina della vita sulla morte e dell’amore sull’odio. Papa Benedetto XVI, nella sua predicazione e nella sua teologia, è stato sempre consapevole anche di questo sfondo oscuro della fede pasquale nel mondo. Ricordando la sua nascita e il suo battesimo egli ha espressamente sottolineato come non sia stato battezzato la Domenica di Pasqua ma il Sabato Santo e che proprio questo giorno caratterizza nel modo più profondo la natura dell’esistenza umana, «che ancora attende la Pasqua, non è ancora nella luce piena, ma fiduciosa si avvia verso di essa»[3].

L’esistenza cristiana si compie nel pellegrinaggio terreno, nel camminare dal Sabato Santo verso la Pasqua. Infatti nella storia della salvezza è sempre al contempo Domenica di Pasqua e Sabato Santo. E questo “al contempo” porta al cuore delle convinzioni di fede e del pensiero teologico di Papa Benedetto XVI[4], che consiste nella triade verità, amore e libertà.

 

2.   Il legame tra verità e amore nella libertà

«Solo se la verità e l’amore sono in accordo, l’uomo può essere felice: solo la verità rende liberi»[5]. Con queste parole nette, Joseph Ratzinger ha condensato in una formula il nucleo del suo pensiero teologico. In questo modo egli tiene unito quel che è inscindibilmente legato, ma che la mentalità odierna spesso separa quando considera amore e verità come contrapposti, collegando la libertà unicamente all’amore, ma non alla verità. E invece, per Papa Benedetto XVI, amore e verità hanno così bisogno l’uno dell’altra e si nutrono talmente l’uno dell’altra che egli può affermare: «L’amore, senza la verità, diviene cieco e si trasforma in caricatura di se stesso – la verità senza l’amore diviene crudele e perde la sua stessa natura»[6]. Agli occhi di Benedetto XVI, il cristianesimo effettivamente è la religione dell’amore non soltanto per la sua origine ma anche nella sua natura più profonda. Il cristianesimo deriva dall’amore di Dio, il quale ci ama e conduce noi uomini all’amore, che noi ridoniamo a Dio e che di conseguenza ci diamo reciprocamente. Questo amore, tuttavia, non è qualcosa di comodo e a buon mercato, ma esige che noi ci apriamo anche alla sua verità, che è impegnativa. Qui di seguito vorrei continuare a riflettere su quest’intimo legame tra amore e verità nel pensiero teologico di Joseph Ratzinger.

a)   Servizio alla verità della fede

Quando, nel 1977, l’allora professore di Teologia a Regensburg Joseph Ratzinger fu consacrato arcivescovo di Monaco e Frisinga, scelse come motto per il suo ministero episcopale le parole tratte dalla terza lettera di Giovanni (versetto 8): «Noi dobbiamo perciò accogliere tali persone per cooperare alla diffusione della verità»[7]. In questo modo egli non ha fatto altro che esprimere il modo in cui concepiva la sua vocazione di teologo: essere intellettualmente a servizio della verità che Dio ha rivelato nella sua storia con l’umanità.

L’idea-guida dell’essere cooperatore della verità rappresenta il filo rosso della vita e dell’opera di Joseph Ratzinger come cristiano e come teologo, come vescovo e come Papa; e testimonia l’intima e profonda continuità che attraversa l’intera sua biografia evidenziata a ragione da Sigrified Wiedenhofer nella sua approfondita esposizione della teologia di Joseph Ratzinger: «Tra le encicliche che scrisse da Papa e le sue prime interpretazioni teologiche dei contenuti centrali della fede cristiana non sussiste alcuna differenza in termini di principio, né nella forma né nel contenuto»[8]. Da un lato, Joseph Ratzinger ha inteso il suo pensiero teologico sempre e prioritariamente come un “pensare insieme a tutta la Chiesa”, dunque concependolo – in questo senso elementare – come servizio ecclesiale alla verità della fede della Chiesa oggettivamente data. Dall’altro, la chiamata all’ufficio di vescovo, di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede e di Papa non ha mai coinciso in lui con l’abbandono della teologia. La convinzione di essere stato chiamato in primo luogo a essere teologo, e con ciò servitore della verità, ha rappresentato una responsabilità alla quale egli è rimasto fedele anche da Papa. In un mondo come quello di oggi nel quale è grande il pericolo che l’uomo, a fronte della grandezza del suo sapere e delle sue capacità, capitoli di fronte alla questione della verità, egli ha visto e concepito la profonda natura del suo servizio di pastore nel «mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana, e a percepire così Gesù Cristo come la luce che illumina la storia e aiuta a trovare la via verso il futuro»[9].

Perciò, il ministero pastorale del Papa consiste nel servizio delegato di insegnamento della verità della fede e in particolar modo comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede, come Papa Benedetto XVI affermò nella Basilica Lateranense in occasione della presa di possesso della Cathedra di vescovo di Roma. Questa Cathedra per lui è simbolo di quella potestà d’insegnamento che non può essere altro che “potestà dell’obbedienza e del servizio” affinché la Parola di Dio, e perciò la verità, possa risplendere nel mondo e indicare agli uomini la strada della vita. Consistendo, la missione del vescovo di Roma, nel vincolare tutta la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio e nel dare prova di sè come di colui che è obbediente in modo esemplare, il suo servizio deve garantire l’obbedienza a Cristo e alla Sua verità; cosa che, con parole di Benedetto XVI, significa che il Papa «non deve proclamare le proprie idee, bensì – di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte a ogni opportunismo – vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio»[10].

La più profonda ragione dell’obbedienza della fede, che deve essere pretesa tanto dal teologo quanto dal Papa, agli occhi di Joseph Ratzinger risiede nel fatto che la verità – al cui servizio stanno sia il teologo sia il Papa – a loro è data. Nella teologia, la Parola di Dio precede sempre il pensiero. Il pensiero teologico è, nel senso migliore del termine, pensiero riflesso e riflessivo. La teologia cristiana è il riflettere disciplinato su quanto Dio ha precedentemente pensato e detto a noi, e in questo senso essa parte da una risposta che non ha trovato o addirittura inventato da sé, ma che è molto più grande del proprio pensare e a cui deve commisurarsi – come Papa Benedetto ha affermato in un discorso sull’eredità spirituale e intellettuale del grande teologo cattolico Romano Guardini: «Non è il nostro pensare il principio che stabilisce il metro di misura, ma Dio, che supera il nostro metro di misura e non può essere ridotto ad alcuna entità creata da noi. Dio rivela se stesso come la verità, ma essa non è astratta, bensì si trova nel concreto-vivente, nella figura di Gesù Cristo in ultima analisi»[11].

Da questo precedere, la Parola di Dio, il proprio pensiero, derivano due conseguenze che sono di fondamentale importanza per il pensiero teologico di Joseph Ratzinger. Dal momento che la Parola di Dio precede la teologia cristiana e insieme la rende possibile, per sua natura presuppone in primo luogo un’auctoritas, e più precisamente quell’autorità della verità che, nella fede cristiana, porta il nome di “Rivelazione”. La teologia cristiana nel suo nucleo essenziale è pensare la Rivelazione di Dio, un pensare che non trova esso stesso i propri contenuti ma li riceve dalla Rivelazione, «per poi comprenderli nel profondo rapporto che li lega e nella loro ragionevolezza»[12]. La teologia cristiana, nel suo senso più elementare, è teologia della Rivelazione[13]; e il concetto di Rivelazione è come il cono di luce nel quale tutte le altre realtà teologicamente significative devono essere osservate e comprese. A questo riguardo, nel pensiero di Joseph Ratzinger, il concetto di Rivelazione di Dio indica in primo luogo l’atto con il quale Dio si mostra all’uomo e si promette a lui come amore, e non il risultato oggettivizzato di questo atto.

A partire da qui emerge anche la seconda conseguenza che deriva dal precedere, la Parola di Dio, il proprio pensiero. Essa consiste nel fatto che la prima risposta alla Rivelazione di Dio non è la teologia, ma la fede e che – di conseguenza – la teologia intende correttamente se stessa solo se si compie nel servizio della fede. La verità che la teologia cristiana cerca di riconoscere è accessibile per noi solo nella fede. La fede è «un nuovo inizio del pensiero a noi donato, che non possiamo noi stessi porre oppure sostituire»[14]. Di conseguenza, misura e criterio della fede e del suo annuncio non può essere la teologia; è la fede vissuta e meditata, al contrario, che deve rappresentare la misura e il criterio della teologia.

È sulla base di questo primato della fede sulla teologia che Joseph Ratzinger, da teologo, da vescovo e da papa, si è sempre battuto per la difesa della fede dei semplici, vedendo la particolare responsabilità del magistero ecclesiale di essere avvocato della fede del Popolo di Dio, più esattamente di «incarnare la voce della fede semplice e delle sue semplici convinzioni originarie». In questo lottare per la comune fede battesimale Joseph Ratzinger scorge addirittura una «funzione democratica» dei vescovi[15]: «Non sono gli intellettuali il metro di misura dei semplici, ma i semplici quello degli intellettuali. Non sono le interpretazioni intellettuali il metro di misura della professione di fede battesimale, ma è la professione di fede battesimale, ­nella sua semplice letteralità, il metro di misura della teologia»[16].

Dietro questo schierarsi a favore della comune fede battesimale si cela non un disprezzo del semplice fedele ma, al contrario, una visione positiva dell’uomo, nel senso che Benedetto XVI è convinto che l’uomo è capace di conoscere e riconoscere la verità. Con sant’Agostino – la cui riflessione teologica è mossa dalla domanda di fondo su che cosa l’uomo desideri più fortemente se non la verità («Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem?»[17]) –, Joseph Ratzinger considera l’uomo non solo capace di verità, ma anche e soprattutto un essere vivente che ha bisogno della verità, la cui aspirazione più profonda è volta alla conoscenza della verità.

Con la parola verità si esprime il centro dell’interesse di Joseph Ratzinger teologo, predicatore e maestro della fede. L’opera dell’intera sua vita ruota intorno al carattere donato e riconoscibile della verità. Infatti appartiene alla natura della fede cristiana che essa vi cerchi la sua propria ragione, la ragionevolezza di tutto il reale e la ragione stessa; e che perciò avanzi la pretesa di essere vera. Chi fa propria questa pretesa elementare – e in questo consiste il peculiare compito della teologia cristiana – dovrà egli stesso avere a cuore e mettere al centro la credibilità della verità e la ragionevolezza della fede, e dunque la profondissima correlazione tra fede e ragione. Il dialogo tra fede e ragione è stato particolarmente a cuore al teologo Joseph Ratzinger e a Papa Benedetto XVI.[18] Perché egli è profondamente convinto che ambedue dipendono l’una dall’altra e che soltanto nel loro dialogo reciproco possono essere superate le malattie della fede e le patologie della ragione. Perché senza la ragione, la fede rischia di occultare la sua verità e di diventare fondamentalista; esattamente come, al contrario, la ragione senza la fede rischia di diventare unilaterale e unidimensionale.

b)   Il messaggio cristiano di Dio come logos e amore

Papa Benedetto XVI attribuisce così tanta importanza al dialogo critico tra fede e ragione perché Dio stesso è logos. Nella concezione cristiana della fede, Dio come logos non va inteso semplicemente come il fondamento di tutte le cose nel senso di una ragione matematica, ma anche e soprattutto come amore creatore con il quale Egli stesso si fa riconoscere dall’uomo, rivolgendosi e donandosi a lui. La fede cristiana ci presenta Dio come fondamento e origine creatrice di tutta la realtà e al contempo come Colui che ama con tutta la passione propria di un vero amore: Dio è logos e caritas, ragione creatrice e amore. In questo sta la specificità e la bellezza unica della fede cristiana, che Papa Benedetto XVI sintetizza in un’unica frase: «il cristianesimo è grande perché l’amore è grande»[19].

In questo modo si è toccato senza dubbio il tema decisivo e quanto mai vitale di Joseph Ratzinger teologo e annunciatore della Parola, che egli già ampiamente sviluppa in una delle sue prime opere, Introduzione al cristianesimo, e che poi si ritrova nella sua prima enciclica sull’amore cristiano, Deus caritas est, nella quale Papa Benedetto XVI rappresenta l’amore come l’autentico centro del cristianesimo, dell’idea cristiana di Dio come di un Dio in relazione con se stesso e dunque anche con l’uomo, insieme alla concezione dell’uomo come immagine di Dio che da essa deriva.

Dio è logos e amore, e questo nell’unità inscindibile della Rivelazione. Solo dove l’amore è identico alla verità e la verità è legata all’amore, esso si rivela come amore vero e amore per la verità. Quest’unità della Rivelazione di verità e amore si manifesta nel modo più chiaro nel mistero di Gesù Cristo, nel quale la verità di Dio risplende definitivamente e l’amore di Dio per noi uomini diviene carne. Infatti l’originario fondamento divino di tutto ciò che esiste nell’uomo Gesù di Nazareth si è mostrato concretamente, si è donato come amore e ha rivelato il suo vero volto. Gesù Cristo è «il volto di Dio per noi»[20], con il quale Dio amorevolmente si volge al nostro volto umano così che possa avvenire la vera comunicazione tra Dio e uomo, tra cielo e terra: «Il Figlio divenuto carne è la “comunione” tra Dio e l’uomo»[21].

Cristo inaugura la possibilità di questa comunicazione nient’altro che nella rappresentanza vicaria, in quanto egli, con la sua morte vicaria di amore, ha superato la morte di peccato dell’uomo e, con questo meraviglioso scambio di posto, ha operato la salvezza dell’uomo. Sulla croce, Gesù ha caricato su di sé la forza di gravità del peccato, a favore di noi uomini e per la nostra redenzione. Per questo l’amore di Dio si mostra nel modo più diretto e concreto sulla croce di Gesù, che rappresenta la più radicale conseguenza dell’amore di Dio per noi uomini. Sulla croce, Gesù Cristo, il Buon Pastore degli uomini, è diventato egli stesso agnello e si è messo dalla parte degli agnelli maltrattati, redimendoli: «Dio viene come agnello; è questa la redenzione del mondo»[22]. Nella croce di Gesù diviene chiaro che l’amore – se veramente deve redimere – non può darsi senza il sacrificio, senza dare perciò la propria vita a favore dell’altro. La Croce è il segno più evidente ed efficace che Dio non si accontenta di dichiarazioni d’amore a parole verso noi uomini, ma che ha pagato egli stesso un alto prezzo per il suo amore: sulla Croce ha versato il sangue del suo cuore per noi uomini e ci ha accolto definitivamente.

Quel che vale per la redenzione dell’uomo, a maggior ragione va affermato per il suo compimento escatologico. Infatti l’amore illimitato e infinito di Dio vuole l’eternità per ogni uomo. La fede cristiana dona a noi uomini questa certezza, se viviamo in quella grande speranza che solo Dio può essere, Lui che può anche donarci quel che da soli non siamo capaci di darci, e cioè la vita eterna. Papa Benedetto XVI ha descritto questa grande speranza con parole incisive: «Io sono definitivamente amato e qualunque cosa accada – io sono atteso da questo Amore»[23]. Si evidenzia così che l’uomo non può in nessun modo conquistare la vita eterna da sé, ma che essa è un dono del Dio che ama. L’immortalità non fa parte dell’uomo stesso e nemmeno è semplicemente un dato di fatto naturale, ma si fonda sulla relazione con chi è eterno e dona la vita eterna. La speranza cristiana di vita eterna presenta un carattere dialogico, che segna in modo speciale la riflessione escatologica di Joseph Ratzinger[24], rivelandosi segno inconfondibile di essa: «L’uomo non può più andare a fondo, perché è conosciuto e amato da Dio. Se ogni amore vuole l’eternità, l’amore di Dio non solo la vuole, ma la opera, ed è eternità esso stesso»[25].

c)    Testimone della libertà liberata nella verità e nell’amore

Dio è amore: questa è la verità centrale della fede cristiana; e solo questa verità rende liberi. Siamo così giunti alla terza parola chiave del pensiero teologico di Joseph Ratzinger: la libertà.[26] Questa parola costituisce, da un lato, la dignità dell’uomo, dall’altro è soggetta al pericolo di essere abusata soprattutto laddove la libertà si pone contro la verità sull’uomo e non è collegata alla verità. Per questo la libertà umana, specialmente nella modernità, è segnata da quell’ambivalenza[27] che Papa Benedetto XVI ha espresso in modo magistrale: «La libertà, potremmo dire, è un trampolino di lancio per tuffarsi nel mare infinito della bontà divina, ma può diventare anche un piano inclinato sul quale scivolare verso l’abisso del peccato e del male e perdere così anche la libertà e la nostra dignità»[28].

Alla base dell’analisi di quest’ambivalenza sta il convincimento di Papa Benedetto XVI che l’uomo non ha di per sé sic et simpliciter la libertà e non è libero per definizione, ma che è chiamato alla libertà, e perciò ha bisogno di essere liberato per avere la sua libertà. Poiché l’uomo di continuo è esposto alla tentazione di ricadere aldiquà della sua chiamata alla libertà e di abusarne in modo “carnale”, ha sempre bisogno di essere liberato dalla sua mancanza di libertà; e questo attraverso l’incontro personale con Dio quale fondamento assoluto della libertà. Infatti la libertà può crescere solo nell’incontro con la libertà, e con quella assoluta libertà di Dio che non è affatto in concorrenza, ma al contrario garante della libertà umana. L’uomo che si mette totalmente nelle mani di Dio non perde affatto la sua libertà, come incisivamente sottolinea Papa Benedetto XVI: «L’uomo che si abbandona totalmente nelle mani di Dio non diventa un burattino di Dio, un noioso essere che annuisce». Al contrario: «Solo l’uomo che si affida totalmente a Dio trova la vera libertà, la vastità grande e creativa della libertà del bene»[29].

Nell’incontro personale con Dio, il cristiano fa anche esperienza del fatto che la libertà non è affatto in contrasto con l’essere vincolati e la fedeltà, ma che piuttosto libertà e fedeltà hanno bisogno l’una dell’altra e si nutrono vicendevolmente: è realmente libero solo colui che sa anche essere fedele; e può essere veramente fedele solo chi è libero. La libertà è la ricompensa che la fedeltà ottiene; e la fedeltà è il prezzo da pagare per la libertà. Per questo, la vera espressione della libertà è «la capacità di decidersi per un dono definitivo, nel quale la libertà, donandosi, ritrova pienamente se stessa»[30]. Questo rapporto di reciproco condizionamento fra la libertà e l’essere vincolati, per papa Benedetto XVI vale soprattutto riguardo al carattere vincolante della verità. Perché non può esserci libertà che non si cura della verità, consistendo invece la vera libertà nel procedere sulla via della verità: «Solo quando la verità vale per se stessa e solo quando riconoscerla vale più di tutti i successi, solo allora siamo liberi. Perciò solo la libertà della verità è vera libertà»[31].

La riflessione sulla natura più intima della libertà ci ha ricondotto al legame tra amore e verità, che rappresenta il cuore dell’intera riflessione teologica di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI e che può essere considerato il cantus firmus della sua vita e del suo operare. Il mettere a tema logos e amore come pilastri di tutto il reale non rappresenta solo il filo rosso che attraversa tutta la sua opera teologica, ma anche il Leitmotiv di tutto il suo pontificato[32].

 

3.   Riforma interna a partire dal centro della fede

Su questa base non può stupire il fatto che l’amore abbia rappresentato anche l’autentica chiave musicale del suo ministero petrino. Benedetto XVI ha inteso il suo pontificato in primo luogo come primato del ministero di amore, vivendolo in base alle parole di sant’Ignazio di Antiochia che, nella Lettera ai Romani scritta intorno all’anno 100, aveva reso omaggio alla Chiesa del Vescovo di Roma definendola come quella che «presiede nella carità», nella convinzione che la presidenza del successore di Pietro nella fede e nel suo insegnamento e la sua presidenza nella carità siano indissociabili. Da un lato, il primato della carità si fonda sul primato della fede, al cui centro sta l’annuncio dell’amore di Dio per noi uomini e l’amore degli uomini tra loro. Dall’altro, il presiedere nella fede è inscindibilmente legato al presiedere nella carità, poiché l’insegnamento di fede della Chiesa può raggiungere gli uomini soltanto se li conduce alla carità e perchè «una fede senza amore non sarebbe più un’autentica fede cristiana»[33]. Il presiedere del Vescovo di Roma nella fede deve essere dunque un presiedere nella carità[34].

Il titolo onorifico del “presiedere nella carità” per Benedetto XVI fa emergere qualcosa di ancor più concreto e profondo. Infatti, nella Chiesa primitiva, la parola amore – “caritas” – designava al contempo il mistero dell’Eucaristia, nella quale è possibile fare esperienza nel modo più intenso dell’amore di Gesù Cristo per la sua Chiesa. Per Papa Benedetto XVI è di fondamentale importanza che il ministero petrino possa essere inteso in ultima analisi solo in riferimento a quella rete eucaristica mondiale che è la Chiesa, e che di conseguenza il primato del Vescovo di Roma non sia solo un elemento giuridico e ancora meno un’aggiunta esterna all’ecclesiologia eucaristica, ma sia fondato proprio in essa. Il ministero petrino è servizio all’unità eucaristica della Chiesa e di esso fa concretamente parte la missione di «attirare gli uomini in un abbraccio eucaristico – l’abbraccio di Cristo –, che supera ogni barriera e ogni estraneità, e crea la comunione dalle molteplici differenze»[35].

Alla luce di quest’affinità tra ministero petrino ed Eucaristia si evince quale importanza fondamentale assume la celebrazione dell’Eucaristia non solo nel ministero petrino ma in generale nel pensiero teologico di Joseph Ratzinger. L’Eucaristia, nella quale Cristo logos «è diventato per noi nutrimento, in quanto amore»[36], è per Benedetto XVI l’atto dell’adorazione più elementare e grande della Chiesa. Per Benedetto XVI, quel che vale per l’Eucaristica si deve dire in generale per la liturgia. Essa non è semplicemente il particolare compimento di un atto nella Chiesa e nemmeno un’espressione della vita della Chiesa fra le altre, bensì il suo elementare atto fondamentale; nel senso che la liturgia non solo edifica la Chiesa, ma la tiene anche in vita e la fa sempre rinascere di nuovo. La liturgia è come il cuore della Chiesa, dal quale sgorga il sangue della fede nella vita quotidiana della Chiesa.

Per una vita intera Joseph Ratzinger, come teologo, vescovo e papa, si è prodigato affinché la liturgia venisse celebrata nella sua bellezza: perché essa è la celebrazione della presenza e dell’opera del Dio vivo che vuole immetterci nel mistero di questo Dio[37]. Chi considera questo primato di Dio nella liturgia comprenderà come, per Papa Benedetto, è dalla liturgia che deve prendere le mosse anche ogni riforma della Chiesa, perché solo così una riforma potrà essere rinnovamento della fede a partire dal suo cuore pulsante. Nel senso originario del termine, infatti, riforma è un processo spirituale; essa è ri–forma, vale a dire ristabilimento e riacquisizione della vera forma della Chiesa.

Per Papa Benedetto XVI, il Concilio Vaticano II ha inteso e realizzato una riforma della Chiesa di questo genere. Il grande sforzo di Papa Benedetto XVI consiste proprio nel richiamare alla memoria questa riforma della Chiesa che il Concilio voleva e nel recuperare e realizzare gli obbiettivi fondamentali che esso si pose[38]. Egli si è speso intensamente per un’interpretazione autentica del Concilio e per la sua ricezione nella vita della Chiesa; e si è perciò battuto per una “ermeneutica della riforma” che punta alla riforma dell’unica Chiesa salvaguardando la sua continuità e identità di fondo, per rinnovare la Chiesa a partire dalle sue fonti e dunque da ciò che era all’origine[39]. Secondo papa Benedetto XVI, al Concilio fu demandato il compito di «far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia da noi può essere accolto soltanto nel nostro irripetibile oggi»[40]. Di conseguenza, il Concilio concentrò i suoi sforzi nell’approfondimento della questione di Dio e nella concretizzazione di essa nella cristologia, nella vita e nell’annuncio della Chiesa.

 

4.   La Chiesa come spazio vitale della fede e della teologia

Secondo Papa Benedetto XVI, centralità della questione di Dio e cristocentrismo furono anche le due principali istanze del riformatore Martin Lutero. Lo ha ricordato in occasione del discorso pronunciato, nel 2011, nell’ex-Convento degli Agostiniani di Erfurt. Nella vita e nell’opera di Lutero, Benedetto XVI ha reso omaggio alla sua appassionata ricerca di Dio: «Ciò che non gli dava pace era la questione su Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo cammino»[41]. Inoltre Papa Benedetto ha sottolineato come Lutero non credesse in un Dio qualsiasi, ma in quel Dio che ci ha mostrato il suo volto concreto nell’uomo Gesù di Nazareth e come Lutero abbia approfondito la sua appassionata ricerca di Dio, concretizzandola nel cristocentrismo della sua spiritualità e della sua teologia.

Se si collega quest’omaggio a Lutero all’istanza fondamentale propria del teologo e Papa Benedetto XVI, emerge anche la costante dimensione ecumenica che caratterizza il suo pensare e agire. Poiché totalmente cristocentrico, il suo magistero è stato anche un magistero coerentemente ecumenico[42], al cui centro sta il messaggio dell’amore di Dio che in Gesù Cristo è divenuto carne. Papa Benedetto lo ha testimoniato in modo particolare con la sua trilogia su Gesù di Nazareth, per la cui stesura egli ha speso tempo ed energia oltre al faticoso lavoro quotidiano del ministero petrino. Il necessario rinnovamento della fede e della Chiesa oggi, come anche la ricostituzione ecumenica della sua unità, infatti, è con il rinnovamento della cristologia che deve essere realizzato.

Teologia e pontificato di Benedetto XVI hanno avuto un indirizzo ecumenico anche perché egli ha concepito e compiuto la sua ricerca teologica sempre a servizio della Chiesa e come autentico servizio ecclesiale. Joseph Ratzinger ha molto contribuito al rinnovamento della dottrina cattolica sulla Chiesa, a partire dalla sua tesi di dottorato sul concetto di Chiesa in sant’Agostino[43] sino alla preparazione e alla ricezione dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II[44]. Per lui, tuttavia, la Chiesa non è in primo luogo tema della teologia, ma – quale «soggetto vivo e immutabile attraverso i mutamenti della storia» – essa è lo spazio vitale nel quale si compie la teologia in quanto è riflessione di fede[45]. La fede cristiana, infatti, è caratterizzata da due elementi: da un lato dal “tu”, dal rapporto personale del singolo cristiano con Dio, dall’altro dal “noi”, nel senso che la fede del singolo cristiano è sempre un “credere con” la fede della Chiesa e il singolo cristiano può vivere la sua fede solo all’interno della comunità di fede della Chiesa.

Anche questa doppia realtà è già iscritta nel compleanno di Joseph Ratzinger. In occasione del suo ottantesimo compleanno, egli vide nel dato biografico per cui nascita e rinascita gli erano state donate nello stesso giorno, all’inizio della festa di Pasqua, anche un segno del fatto che nascita e rinascita sono legate, come «famiglia terrena e grande famiglia di Dio» e che esse rappresentano «il grande dono delle molteplici misericordie di Dio, il fondamento sul quale ci appoggiamo»[46]. Nella vita di Joseph Ratzinger si è aggiunto un ulteriore dono, vale a dire la sua chiamata al servizio nella Chiesa: come sacerdote, come vescovo e come Papa. Queste diverse dimensioni nella biografia di Joseph Ratzinger – l’uomo in una famiglia terrena, il cristiano battezzato nella famiglia della Chiesa, il teologo al servizio della comunità di fede della Chiesa e il vescovo e Papa come pastore del gregge a lui affidato – sono talmente legate l’una all’altra da portare il teologo cattolico Thomas Marschler a esprimere il seguente giudizio: «Mai prima d’ora è stato possibile riconoscere a tal punto dietro il ministero petrino il teologo, il cristiano e addirittura l’uomo, come nel caso di Benedetto XVI»[47].

Il novantesimo compleanno di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI ci offre un’occasione gradita per esprimergli il nostro “grazie” di cuore per questa convincente sinfonia nella sua biografia e soprattutto per ringraziare il Dio trino per averci donato questo fedele testimone della fede pasquale.

 

 

 

[1].  J. Ratzinger, Gesù di Nazaret. La figura e il messaggio, vol. 6/1 della Opera omnia, Città del Vaticano 2013, 661.

[2].  J. Ratzinger, La mia vita. Ricordi (1927-1977), Cinisello Balsamo 1997, 6.

[3].  Ibid.

[4].  Cfr. K. Koch, Il mistero del granello di senape. Fondamenti del pensiero teologico di Benedetto XVI, Torino 2012.

[5].  J. Ratzinger, Glaube als Vertrauen und Freude – Evangelium, in Idem., Theologische Prinzipienlehre. Bausteine der Fundamentaltheologie, München 1982, 78-87, qui 84 (trad. it. Idem, Gesù di Nazaret. Scritti di cristologia, vol 6/2, Città del Vaticano 2015, 391.

[6].  J. Ratzinger, Gottes Wort ist niemandes Knecht. Zum Wesen christlicher Existenz. Predigt bei einem Gottesdienst am Hochfest des Hl. Korbinian im Freisinger Mariendom am 18. November 1981, München 1981, 7.

[7].  Cfr. J. Ratzinger, Vorwort, in Idem, Mitarbeiter der Wahrheit. Gedanken für jeden Tag, München 1979.

[8].  S. Wiedenhofer, Die Theologie Joseph Ratzingers / Benedikts XVI. Ein Blick auf das Ganze (= Ratzinger-Studien,  Band 10), Regensburg 2016, 27.

[9].  Benedetto XVI, Testo dell’allocuzione che il Santo Padre Benedetto XVI avrebbe pronunciato nel corso della Visita all’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma il 17 gennaio 2008.

[10].  Benedetto XVI, Omelia in occasione della Celebrazione eucaristica e della presa di possesso della Cattedra di Vescovo di Roma, Basilica Lateranense, il 7 maggio 2005.

[11].  Discorso del Santo Padre Benedetto XVI in occasione del Convegno promosso dalla Fondazione “Romano Guardini” di Berlino sul tema: “Eredità spirituale e intellettuale di Romano Guardini”,  il 29 ottobre 2010.

[12].  J. Ratzinger, Glaube, Philosophie und Theologie, in Idem, Wesen und Auftrag der Theologie. Versuche zu ihrer Ortsbestimmung im Disput der Gegenwart, Einsiedeln 1993, 11-25, qui 14.

[13].  Cfr. K. Koch, Offenbarung der Liebe Gottes und Leben der Liebe in der Glaubensgemeinschaft der Kirche, in Idem, Bund zwischen Liebe und Vernunft. Das theologische Erbe von Papst Benedikt XVI, Freiburg i. Br. 2016, 18-53.

[14].  J. Ratzinger, Vom geistlichen Grund und vom kirchlichen Ort der Theologie, in Idem, Wesen und Auftrag der Theologie, Einsiedeln 1993, 39-62, qui 48.

[15].  J. Ratzinger, Kirche und wissenschaftliche Theologie, in Idem, Theologische Prinzipienlehre. Bausteine zur Fundamentaltheologie, München 1982, 339-348, qui 348.

[16].  J. Ratzinger, Was ist Freiheit des Glaubens? Silvesterpredigt 1979, in Idem, Zeitfragen und christlicher Glaube, Würzburg 1982, 7-27, qui 21.

[17].  Sant’Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni 26,5.

[18].  Cfr. G. Cottini, L’Avvenimento della conoscenza. Un itinerario tra i discorsi di Benedetto XVI al mondo della cultura, dell’Università, della scienza. Con un’antologia di testi del Papa, Milano 2011.

[19].  J. Ratzinger, Gott und die Welt. Glauben und Leben in unserer Zeit. Ein Gespräch mit Peter Seewald, Stuttgart 2000, 190.

[20].  J. Ratzinger, «Wer mich gesehen hat, hat den Vater gesehen» (Gv 19, 4). Das Antlitz Christi in der Heiligen Schrift, in Idem, Unterwegs zu Jesus Christus, Augsburg 2003, 11-30, qui 26.

[21].  J. Ratzinger, Schauen auf den Durchbohrten. Versuche zu einer spirituellen Christologie, Einsiedeln 1984, 74-75.

[22].  J. Ratzinger, Freude in Christus, in: Idem, Annunciatori della Parola e servitori della vostra gioia. Teologia e spiritualità del sacramento dell’Ordine, vol. XII della Opera omnia, Città del Vaticano 2013, 717.

[23].  Benedetto XVI, Spe salvi 3.

[24].  Cfr. G. Nachtwei, Dialogische Unsterblichkeit. Eine Untersuchung zu Joseph Ratzingers Eschatologie und Theologie (Leipzig 1986); Idem (a cura di), Hoffnung auf Vollendung. Zur Eschatologie von Joseph Ratzinger (= Ratzinger-Studien Band 8, Regensburg 2015).

[25].  J. Ratzinger - Benedetto XVI, Schwierigkeiten mit dem Apostolicum. Höllenfarht – Himmelfahrt – Auferstehung des Fleisches, in Idem, Grundsatzreden aus fünf Jahrzehnten, Regensburg 2005, 43-60, qui 55.

[26].  Cfr. K. Koch, La libertà redenta nell’amore. Fede e libertà secondo Benedetto XVI, in: Idem, Il mistero del granello di senape. Fondamenti del pensiero teologico di Benedetto XVI, Torino 2012, 91-126,

[27].  Cfr. J. Ratzinger, Freiheit und Wahrheit, in Idem, Glaube – Wahrheit – Toleranz. Das Christentum und die Weltreligionen, Freiburg i. Br. 2003, 187-208.

[28] Benedetto XVI, Omelia in occasione della visita all’Istituto penale per minori “Casal del Marmo” di Roma, il 18 marzo 2007.

[29].  Benedetto XVI, Omelia in occasione della Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, il 8 dicembre 2005.

[30].  Benedetto XVI, Discorso all’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma su famiglia e comunità cristiana, il 6 giugno 2005.

[31].  J. Ratzinger - Benedikt XVI, Interpretation – Kontemplation – Aktion. Überlegungen zum Auftrag einer Katholischen Akademie, in:  Grundsatzreden in fünf Jahrzehnten, Regensburg 2005, 139-155, qui 146.

[32].  Cfr. K. Koch, L’enciclica “Deus caritas est” nel contesto del Pontificato di Papa Benedetto XVI, in: M. Graulich – R. Weimann (a cura di), “Deus caritas est” Porta di Misericordia. Atti del Simposio internazionale nel decimo anniversario dell’Enciclica, Città del Vaticano 2016, 9-31.

[33].  Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione eucaristica con i nuovi cardinali, il 19 febbraio 2012.

[34].  Cfr. K. Koch, Die Primatstheologie von Joseph Ratzinge / Benedikt XVI. in ökumenischer Perspektive, in M.C. Hastetter – Ch. Ohly (a cura di), Dienst und Einheit. Reflexionen zum petrinischen Amt in ökumenischer Perspektive. Festschrift für Stephan Otto Horn zum 80. Geburtstag, Sankt Ottilien 2014, 15-37.

[35].  Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione eucaristica con i nuovi cardinali, il 19 febbraio 2012

[36].  Benedetto XVI, Deus caritas est 13.

[37].  Cfr. J. Ratzinger, Das Fest des Glaubens. Versuche zur Theologie des Gottesdienstes, Einsiedeln 1981; Idem, Ein neues Lied für den Herrn. Christusglaube und Liturgie in der Gegenwart, Freiburg i. Br. 1995; Idem, Der Geist der Liturgie. Eine Einführung, Freiburg i. Br. 2000.

[38].  Cfr. K. Koch, Theologe und Papst des Konzils. Joseph Ratzinger - Papst Benedikt XVI. und das Zweite Vatikanische Konzil, in: Idem, Bund zwischen Liebe und Vernunft. Das theologische Erbe von Papst Benedikt XVI., Freiburg i. Br. 2016, 54-93.

[39].  Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, il 22 dicembre 2005. Cfr. K. Koch, Il Concilio Vaticano II tra innovazione e tradizione. L’ermeneutica della riforma tra l’ermeneutica di una discontinuità frammentaria e l’ermeneutica di una continuità astorica, in: Papa Benedetto XVI e il circolo degli studenti – Card. Kurt Koch, Il Concilio Vaticano II. L’ermeneutica della riforma, Città del Vaticano 2013, 21-80.

[40].  Benedetto XVI, Omelia in occasione della Santa Messa per l’apertura dell’Anno della Fede, 11 ottobre 2012.

[41].  Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti del Consiglio della “Chiesa Evangelica in Germania”, il 23 settembre 2011.

[42].  Cfr. K. Koch, Die Ökumenische Dimension im Pontifikat von Benedikt XVI., in J.-H. Tück (Hrsg.), Der Theologenpapst. Eine kritische Würdigung Benedikts XVI. (Freiburg i. Br. 2013) 313-331.

[43].  J. Ratzinger, Volk und Haus Gottes in Augustins Lehre von der Kirche, München 1951.

[44].  Cfr. J. Ratzinger, Kirche – Zeichen unter den Völkern = Gesammelte Schriften. Band 8/1 und 8/2, Freiburg i. Br. 2010.

[45].  J. Ratzinger, Zur „Instruktion über die kirchliche Berufung des Theologen“, in: Idem, Wesen und Auftrag der Theologie. Versuche zu ihrer Ortsbestimmung im Disput der Gegenwart, Einsiedeln 1993, 89-107, qui 93.

[46].  Benedetto XVI, Omelia durante la Santa Messa per il suo 80° compleanno, il 15 aprile 2017.

[47].  Th. Marschler, Der Papst in der ersten Person Singular, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, vom 20. März  2009, Seite 11.