Conferenza per il Dies Academicus dell’anno accademico 2016-2017,
Pontificia Università Gregoriana, Roma
15 marzo 2017

 

Cristiani uniti per un mondo in frantumi

 

Reverendo Padre Rettore,
Stimati docenti,
Cari studenti,
Signori e signore,

Vi ringrazio di cuore per avermi invitato al Dies Academicus dell’anno accademico 2016-2017. È per me un onore ed una gioia poter parlare in questa Università, alla cui opera si è riferito Papa Benedetto XVI durante la sua visita del 3 novembre 2006, non esitando a qualificarla “come uno dei più grandi servizi che la Compagnia di Gesù fa alla Chiesa universale”[1]. Come Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, trovo che sia un’occasione davvero particolare, nell’anno in cui ricorre il cinquecentesimo anniversario della Riforma, essere invitato a tenere una conferenza proprio nell’Università che fu fondata da Sant’Ignazio di Loyola nel 1551, all’inizio della Controriforma. La Controriforma dovrebbe essere definita in maniera più calzante “Riforma cattolica”, ad indicare che non esiste solo “una” Riforma e che lo stesso Sant’Ignazio dovrebbe essere considerato come un “riformatore” all’interno della Chiesa. Per questo, desidero innanzitutto lasciare la parola ad un gesuita, che, con il suo giudizio, ci conduce al centro della nostra tematica. Si tratta di Alfred Delp, ucciso a causa della sua opposizione all’ideologia nazionalsocialista il 2 febbraio 1945 a Berlino Plötzensee. In un articolo scritto all’inizio del suo ultimo anno di vita sul “Destino delle Chiese”, egli aveva profetizzato che la capacità, da parte della Chiesa, di trovare di nuovo una via verso gli uomini sarebbe dipesa da una questione basilare: “se le Chiese credono che l’umanità possa sopportare ancora una volta l’immagine di una cristianità litigiosa, hanno chiuso. Dobbiamo accettare di portare il peso della divisione sia come destino storico sia come croce. Nessuno di coloro che oggi sono in vita lo vorrebbe fare di nuovo. Al contempo, quella divisione deve essere anche la nostra permanente vergogna, perché non siamo stati in grado di conservare intatta l’eredità di Cristo, il suo amore.”[2] Alla luce di questa chiara diagnosi, è facile capire anche perché Alfred Delp, già durante la seconda guerra mondiale, sia giunto ad un’altra conclusione inequivocabile, affermando che noi siamo diventati terra di missione soprattutto in Europa e che dobbiamo prenderne atto[3]. Nel comprendere il nesso inscindibile tra missione ed ecumenismo, Alfred Delp ci introduce anche alle origini storiche del movimento ecumenico.

 

1.    La sinfonia di ecumenismo e missione

All’origine del movimento ecumenico nel secolo scorso vi è il movimento missionario, il cui orientamento trovò particolare espressione nella prima Conferenza Mondiale sulla Missione tenutasi nel 1910 ad Edimburgo in Scozia. Allora era ben chiaro lo scandalo insito nel fatto che le varie Chiese e Comunità ecclesiali si facevano concorrenza nel lavoro missionario ed in tal modo minavano la credibilità dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo soprattutto nei continenti più lontani, poiché avevano portato in altre culture, insieme al Vangelo di Cristo, anche le divisioni della Chiesa in Europa. I partecipanti alla Conferenza erano consapevoli che la mancanza di unità tra i cristiani costituiva il maggiore ostacolo alla missione nel mondo. Ma dato che una testimonianza credibile dei cristiani nel mondo è possibile solo quando le Chiese riescono a sanare le loro divisioni nella fede e nella vita ecclesiale, ad Edimburgo soprattutto il vescovo anglicano missionario Charles Brent esigette che si compiessero intensi sforzi per il superamento di quelle differenze relative alla dottrina e all’ordinamento delle Chiese che ostacolano il cammino verso l’unità. In virtù di questa presa di coscienza, da Edimburgo scaturirono due ulteriori movimenti che continuano tuttora ad accompagnare l’ecumenismo.[4]

                Il primo è il “movimento per un cristianesimo pratico” recante il nome di “Life and Work”. Fondato a Costanza nel 1914, esso si è prefisso come obiettivo quello di promuovere un’intensa collaborazione tra le Chiese, facendo fronte alle grandi sfide della società, tra le quali figurava in primo piano, all’epoca, lo sforzo di pervenire ad un’intesa e ad una pace tra i vari popoli. L’intento di tale movimento era soprattutto contribuire alla soluzione di problemi sociali, come pure offrire “un’anima cristiana” ai tentativi politici di riunificazione del mondo di allora, come ad esempio alla Società delle Nazioni, nella convinzione che i cristiani debbano agire insieme in un mondo minacciato da divisioni e da guerre.

                Da Edimburgo si sviluppò anche il secondo ramo del movimento ecumenico, ovvero “Faith and Order”, il movimento per la fede e la costituzione delle Chiese, che, nel 1948, diventò una Commissione indipendente all’interno del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Da Edimburgo in poi, è risultato infatti sempre più evidente che gli obiettivi pratici della collaborazione ecumenica possono essere realizzati soltanto se le Chiese riescono innanzitutto a giungere ad un’intesa sui problemi – fonte di divisione - relativi alla dottrina della fede e alle costituzioni teologicamente importanti delle Chiese. In questo secondo ramo del movimento ecumenico, di centrale rilevanza è dunque la ricerca dell’unità nella fede.

                I tre movimenti più sopra citati rappresentano le diverse sfide con le quali l’ecumenismo si deve confrontare. “Faith and Order” si occupa di questioni di fede specifiche all’ambito teologico, al fine di far avanzare la ricerca dell’unità delle Chiese nella professione di un’unica fede, nella comunione liturgica e nei sacramenti, nella costituzione delle Chiese e nel ministero. “Life and Work” affronta le sfide secolari dell’ecumenismo, concentrandosi sulla collaborazione tra le Chiese, che offrono il loro servizio al mondo. Il movimento missionario s’incentra sopratutto sulla testimonianza comune dei cristiani nel mondo e davanti al mondo. Da ciò risulta evidente non solo che il movimento ecumenico ha preso, sin dall’inizio, diverse direzioni e deve tuttora continuare a farlo, ma anche e soprattutto che il movimento ecumenico ed il movimento missionario sono inscindibili, come ha sottolineato giustamente il Cardinale Walter Kasper: “Una Chiesa missionaria deve essere anche una Chiesa ecumenica; una Chiesa impegnata ecumenicamente è il presupposto di una Chiesa missionaria.”[5]

                Dicendo questo, menzioniamo una delle priorità di fondo che era anche del Concilio Vaticano Secondo. Il Concilio individua infatti il motivo dello stretto legame tra missione ed ecumenismo nel fatto che la missione è un movimento escatologico, nel quale la Chiesa accoglie in sé le grandi eredità delle culture dei popoli, le purifica, le arricchisce e si lascia da loro arricchire. Poiché la Chiesa è, per sua natura, missionaria, il Concilio vede anche la Chiesa come un movimento escatologico, più precisamente come popolo di Dio nel suo pellegrinaggio terreno tra il “già” e il “non ancora”. In questa dinamica escatologica della Chiesa il Concilio ha integrato anche il movimento ecumenico, il quale consiste nel reciproco scambio di doni tra le Chiese divise, uno scambio che la Chiesa arricchisce e dal quale si lascia arricchire per riacquistare la sua vera pienezza cattolica. In questa prospettiva, il movimento missionario ed il movimento ecumenico sono strettamente interconnessi; missione ed ecumenismo si rivelano come le due forme della dinamica escatologica della Chiesa.

                Ciò che il Concilio ha risvegliato nella coscienza della Chiesa in maniera rinnovata per quanto riguarda lo stretto legame tra evangelizzazione e ricerca dell’unità dei cristiani è in realtà antico quanto antico è il cristianesimo stesso e risale alla preghiera pronunciata nel cenacolo da Gesù prima della sua passione e della sua morte, quando egli invocò l’unità dei suoi discepoli con un intento specifico: “perché… il mondo sappia che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Con questa proposizione finale della preghiera del Signore, l’evangelista Giovanni suggerisce che l’unità dei discepoli di Gesù non è un fine in sé, ma è al servizio della credibilità dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo. Facendo proprio l’intento di Gesù, il Concilio Vaticano Secondo ricorda che il compito missionario della Chiesa può essere assunto in maniera credibile soltanto se viene rivitalizzato l’obiettivo originario del movimento ecumenico, consistente nel ripristino dell’unità visibile dei cristiani separati. L’evangelizzazione deve avere una chiave di violino ecumenica, affinché la sua melodia non risulti cacofonica ma sinfonica, conformemente a quanto ha osservato in maniera pregnante Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”: “Data la gravità della controtestimonianza della divisione tra cristiani, particolarmente in Asia e Africa, la ricerca di percorsi di unità diventa urgente. I missionari in quei continenti menzionano ripetutamente le critiche, le lamentele e le derisioni che ricevono a causa dello scandalo dei cristiani divisi.” Pertanto, per Papa Francesco ”l’impegno per un’unità che faciliti l’accoglienza di Gesù Cristo smette di essere mera diplomazia o un adempimento forzato, per trasformarsi in una via imprescindibile dell’evangelizzazione”[6].

 

2.   Lo scandalo della divisione e la benedizione del movimento ecumenico

Missione ed ecumenismo sono strettamente legati anche in virtù del fatto che la missione cristiana si rivolge all’umanità intera e mira al raggiungimento dell’unità del genere umano. Rispetto a questo obiettivo, la Chiesa concepisce se stessa, conformemente a quanto evidenziato nel primo articolo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen gentium”, come sacramento della salvezza, ovvero come “il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”[7]. Si pone allora la cruciale questione di capire come la Chiesa possa essere sacramento di unità per l’umanità intera quando continua a mostrare al mondo il deplorevole spettacolo della sua stessa frammentarietà. Ecco il motivo più profondo per cui il Concilio Vaticano Secondo ha avuto il coraggio di denunciare la divisione tuttora esistente della cristianità come “scandalo al mondo” perché “danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura”[8].

                Per comprendere la posta in gioco del movimento ecumenico, dobbiamo far fronte a questo scandalo, in particolare nell’anno in cui commemoriamo l’inizio della Riforma di cinquecento anni fa. Di fatti, l’intento dei riformatori non era assolutamente quello di dividere la Chiesa, ma di rinnovarla. Tuttavia, dato che la Riforma della Chiesa non è riuscita, essa ha condotto alla fine alla rottura dell’unità della Chiesa e alla sua divisione. Le conseguenze della Riforma, certamente non volute ma aventi una reale incidenza, non sono il rinnovamento universale della cristianità e la sua unità conformemente alla Sacra Scrittura ed al messaggio degli apostoli, ma la frammentazione ed il confessionalismo con il suo carico di feroci ostilità e persino di guerre cruenti, guerre che hanno sconvolto l’Europa, come quella dei Trent’anni, che ha trasformato il continente europeo in un mar rosso di sangue.

                La pace di Augusta del 1555 contribuì, è vero, ad una certa pacificazione. Tuttavia, il principio di base del “cuius regio eius religio”, elevato a legge imperiale, condusse, come ripercussione a distanza, alla formazione di stati nazionali secolari con forti confini confessionali, sviluppo, questo, che va considerato come un pesante fardello ereditato dal tempo della Riforma. Spingendosi ancora oltre, la secolarizzazione moderna, intesa come processo che ha svuotato la fede cristiana della sua missione, per assicurare la pace sociale nel senso della fondazione, del mantenimento e del rinnovamento dell’ordine sociale, deve essere vista come conseguenza certamente non voluta e non prevista, ma pur sempre tragica e d’ampia portata, della divisione della Chiesa in occidente nel XVI secolo; va vista cioè come “privatizzazione per così dire ‘fatta in casa’ del cristianesimo”[9]. L’emancipazione del mondo culturale moderno innanzitutto dalle opposizioni tra le Chiese confessionali in lotta tra loro ed infine dal cristianesimo in generale è da ritenersi risultato e conclusione -per esaurimento- della divisione della Chiesa e delle sanguinose guerre di religione del XVI e del XVII secolo. Poiché, quale tragico effetto di tali guerre, il cristianesimo è stato percepito storicamente soltanto nella forma delle diverse confessioni che si sono osteggiate fino allo spargimento del sangue, questa costellazione storica ha comportato come inevitabile conseguenza il fatto che, per dare un nuovo fondamento alla pace sociale, non si e tenuto conto delle differenze confessionali ed in seguito del cristianesimo in generale, come ha evidenziato l’ecumenista protestante Wolfhart Pannenberg: “Là dove la secolarizzazione dell’epoca moderna ha preso la forma di un allontanamento dal cristianesimo, questo ha toccato le Chiese non come un destino dal di fuori, ma come conseguenza dei loro peccati contro l’unità, come la conseguenza della divisione della Chiesa del XVI secolo e delle inconcludenti guerre di religione del XVI e del XVII secolo, che non hanno lasciato altra scelta a coloro che abitavano in territori confessionalmente misti se non ricostruire la loro convivenza su un fondamento comune non insidiato dalle lotte confessionali.”[10]

                Questo giudizio implica, in senso inverso, che il ripristino della missione pubblica del cristianesimo quale servizio all’unità e alla pace sociale presuppone il superamento delle divisioni ereditate dal passato, in un’unità dei cristiani ritrovata. Se, di fatti, la privatizzazione moderna della fede cristiana è dovuta essenzialmente alla divisione della Chiesa in Europa, allora il cristianesimo, sopratutto in Europa, potrà nuovamente assumere un’importanza per tutta la società soltanto quando la divisione della Chiesa sarà superata. Il processo ecumenico non potrà dunque essere privo di conseguenze sul modo in cui la cultura secolare dell’epoca moderna si rapporta al tema della religione in generale e del cristianesimo in particolare. I motivi che hanno indotto, da un punto di vista storico, al rifiuto della religione e delle Chiese cristiane da parte della cultura moderna non potranno più essere fatti valere davanti ad una forma di cristianesimo che avrà superato le divisioni. Soltanto se risolverà le sue scissioni, il cristianesimo riuscirà dunque, soprattutto in Europa, ad affermare in maniera credibile la verità della religione davanti al secolarismo. Sarà possibile difendere la rivendicazione della verità da parte della fede cristiana ed annunciare la salvezza di Dio per tutti gli uomini in un mondo così pieno di sciagure soltanto se lo si farà in uno spirito ecumenico di riconciliazione.

 

3.   La capacità e la missione della Chiesa cristiana di promuovere la pace

Ricordare il complesso contesto storico che fa da sfondo alla situazione sociale odierna del cristianesimo può aiutare a comprendere meglio anche l’importanza fondamentale del movimento ecumenico nelle società moderne. Già al momento della sua nascita nel XX secolo, che è passato alla storia come uno dei secoli più brutali e disumani, il movimento ecumenico è apparso come un faro luminoso nel mare di sangue che sommergeva l’Europa e come un movimento di pace. Questa stessa importanza il movimento ecumenico la riveste anche e soprattutto nel mondo di oggi, oppresso da ingiustizie sociali, dalla tragedia umana dei migranti, da conflitti armati e da attacchi terroristici, un mondo in cui, come osserva Papa Francesco, ha luogo la terza guerra mondiali a pezzetti. Di fatti, soltanto un cristianesimo unificato al suo interno può rivelarsi esemplare per la convivenza degli uomini nella pace e nella giustizia; e soltanto un cristianesimo riconciliato ecumenicamente può assumere quella missione che ha descritto il Concilio Vaticano Secondo affermando che il cristianesimo, nella sua costituzione ecclesiale, è chiamato a vivere e ad operare come segno e strumento di unità degli uomini in un mondo così lacerato da divisioni, da ostilità e da interessi contrapposti. Nel processo di riunificazione ecumenica dei cristiani si può e si deve ravvisare dunque “il più ampio contributo del cristianesimo contemporaneo all’avvenire politico dell’umanità ed in particolare a quello del mondo occidentale”[11].

                Il movimento ecumenico può essere segno e strumento di unità per il genere umano soprattutto perché si trova di fronte allo stesso problema fondamentale che interessa tutte le società, ovvero la questione di come, nella vita sociale e politica, pluralità e tolleranza possano conciliarsi con l’esigenza fondamentale di uno spirito unitario che unisce tutti gli uomini a vantaggio del bene comune, senza cadere in un pluralismo anarchico o in un’uniformità monolitica. La storia dell’umanità ha dimostrato a sufficienza di essersi sempre mossa tra questi due estremi e di dover continuamente trovare una via di mezzo in grado di conciliarli.

                La missione ed il compito specifici dell’ecumenismo cristiano consistono precisamente nel superare questi due estremi e nel contribuire alla conciliazione tra i loro momenti di verità, dato che l’ecumenismo può avere successo soltanto nella forma di un’unità nella diversità e di una diversità nell’unità. L’obiettivo del movimento ecumenico è far sì che le varie Chiese, attraverso un processo di riconciliazione e di superamento di quelle differenze che sono tuttora causa di divisone della Chiesa, diventino un’unica Chiesa pur rimanendo Chiese e possano esprimere in maniera visibile questa unità nella diversità. Il movimento ecumenico è dunque chiamato a presentarsi in un certo senso come terza realtà, di fronte ad un pluralismo scollegato e ad una rigida uniformità, portando alla luce ciò che in entrambi gli estremi c’è di vero e di autentico. Questa terza realtà, in cui si conciliano la libertà del singolo e la necessità della collettività, è la Chiesa cristiana, ovvero “il popolo internazionale e universale che esiste in comunità riconoscibili di uomini, raggruppate in famiglie, e che non riconosce altra signoria se non quella della grazia di Dio.”[12]

                Quando questa terza realtà illumina la società, facendosi segno e strumento, allora il movimento ecumenico contribuisce alla riconciliazione tra unità e diversità e favorisce così la pace sociale. Il processo ecumenico di riunificazione dei cristiani dimostra, nel momento in cui si compie, la sua capacità e la sua volontà di essere promotore di pace nel mondo. Soltanto quando le Chiese cristiane riescono a riconciliarsi ed intraprendono questo necessario processo di purificazione, esse possono operare in maniera credibile ed efficace a favore del mantenimento, della promozione e del rinnovamento della pace nel mondo, come ha giustamente sottolineato il Vescovo protestante Wolfgang Huber: “Al superamento delle ostilità in campo politico e sociale, i cristiani e le Chiese possono contribuire soltanto se hanno la volontà e la capacità di abbattere i muri anche tra loro, ovvero di vivere ecumenicamente. Il loro contributo alla pace è inscindibile dalla loro capacità di vivere in pace.”[13]

 

4.   Vivere come messaggeri riconciliati della riconciliazione

L’ecumenismo cristiano può compiere questa missione di pace soltanto se è riconciliato al suo interno e se vive il binomio di unità e pluralità in una diversità riconciliata. L’ecumenismo deve continuamente sforzarsi e pregare affinché ciò sia realizzato, poiché tale riconciliazione può essere operata soltanto dallo Spirito Santo. L’esperienza ci mostra che noi cristiani siamo ripetutamente tentati, da un lato, di generare diversità, chiudendoci però in particolarismi ed esclusivismi e creando divisioni, e, dall’altro, di realizzare l’unità secondo la nostra prospettiva umana, producendo standardizzazione e uniformità. Al contrario, lo Spirito Santo -soltanto lui- può far scaturire diversità e pluralità e realizzare, al contempo, unità. Lo Spirito dona l’unità nella diversità o, più precisamente, l’unità nella diversità riconciliata. Per definire in maniera più particolareggiata questa forma specifica di unità, Papa Francesco fa ricorso alla figura matematica del poliedro, che descrive in questi termini nella sua Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”: il modello dell’unità non può essere la sfera, “dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro”. Il modello dell’unità è piuttosto il poliedro, “che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità”.[14]

                L’impegno ecumenico è essenzialmente un lavoro di riconciliazione. Questa dimensione fondamentale è stata richiamata all’attenzione dalla Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani del 2017, che si è ispirata alle parole scritte dall’apostolo Paolo nella sua lettera alla comunità di Corinto: “L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione”. Non è un caso che questo tema sia stato scelto dalla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Germania nell’anno della commemorazione della Riforma, nella consapevolezza che, se da un lato la Riforma ci ha permesso di riscoprire il vangelo della giustificazione dell’uomo per grazia divina, dall’altro essa è stata anche contrassegnata da dolorose divisioni e da terribili guerre confessionali. Entrambi gli aspetti sono stati evidenziati da Papa Francesco e dal Vescovo Mounib Younan, Presidente della Federazione Luterana Mondiale, nella loro Dichiarazione congiunta, firmata a Lund, in Svezia: “Mentre siamo profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma, confessiamo e deploriamo davanti a Cristo il fatto che luterani e cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa.”[15]

                Di fronte a questi due aspetti, la riconciliazione rappresenta il comandamento della situazione ecumenica attuale: innanzitutto, la riconciliazione tra i cristiani stessi, e poi il contributo che deve essere apportato dall’ecumenismo cristiano nel mondo di oggi così poco riconciliato. A ciò ci esorta Paolo nel già citato quinto capitolo della seconda lettera ai Corinzi: “Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (v. 20). Ecco quale è, per Paolo, la conseguenza logica, dal punto di vista della fede, della riconciliazione di Dio in Gesù Cristo. Se i cristiani accolgono il dono della riconciliazione e si lasciano riconciliare da Dio in Cristo, essi sono anche chiamati e tenuti ad annunciare la riconciliazione di Dio, a lavorare a favore della riconciliazione e ad operare come ambasciatori della riconciliazione nel mondo odierno, e questo per il compito ed il potere affidato loro da Gesù Cristo stesso. Come cristiani, siamo inviati a cancellare dal mondo ciò che è vecchio e antiquato, ovvero la colpa, e a portare ciò che è nuovo, ovvero il perdono. In questo consiste il compito della riconciliazione per il quale i discepoli di Gesù Cristo sono inviati nel mondo.

 

5.   L’ecumenismo come lavoro cristiano di riconciliazione

I cristiani possono contribuire in maniera credibile alla riconciliazione degli uomini soltanto se essi stessi si riconciliano tra loro e riescono a ripristinare quell’unità che è stata lacerata e che è andata persa a causa delle varie divisioni nel corso della storia. L’ecumenismo è, nel suo più intimo fulcro, lo sforzo di ripristinare l’unità dei cristiani e dunque, essenzialmente, un lavoro di riconciliazione, come è stato più volte mostrato nella storia del movimento ecumenico.

                In riferimento all’urgente necessità di riconciliazione tra oriente ed occidente nel mondo cristiano, diviso dall’XI secolo in poi, una pietra miliare decisiva è stata posta certamente dall’evento verificatosi il 7 dicembre 1965, quando, poco prima della conclusione del Concilio Vaticano Secondo, nella cattedrale del Fanar a Costantinopoli e nella basilica di San Pietro a Roma, fu letta la Dichiarazione comune dei più alti rappresentanti delle due Chiese, il Patriarca ecumenico Athenagoras ed il Beato Papa Paolo VI, con la quale si decideva di “togliere dalla memoria e dal mezzo della Chiesa” le reciproche sentenze di scomunica dell’anno 1054, per evitare che esse siano “un ostacolo al riavvicinamento nella carità”[16]. Con tale atto memorabile, il veleno della scomunica è stato tolto dall’organismo ecclesiale ed il simbolo della divisione è stato sostituito dal simbolo della carità. Questo atto è diventato il punto di partenza della riconciliazione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, il cui obiettivo fu descritto dal Patriarca ecumenico Athenagoras cinquant’anni fa, con le seguenti, appassionate parole: “È giunta l’ora del coraggio cristiano. Ci amiamo gli uni gli altri; professiamo la stessa fede comune; incamminiamoci insieme verso la gloria del sacro Altare comune, per fare la volontà del Signore, affinché la Chiesa rifulga, il mondo creda e la pace di Dio venga su tutti.”[17]

                La riconciliazione è altrettanto necessaria per quanto riguarda la grande divisione prodottasi nel mondo cristiano d’occidente nel XVI secolo. Poiché i riformatori intendevano rinnovare e non dividere la Chiesa, la Riforma deve essere considerata in senso positivo anche dai cattolici come un processo di riforma della Chiesa attraverso la riscoperta del Vangelo della grazia divina gratuita. Tuttavia, la Riforma non ha condotto al rinnovamento di tutta la Chiesa; piuttosto, la Chiesa si è divisa e sono scoppiate sanguinose guerre confessionali. Davanti a questo volto bifronte, da un lato siamo grati per i doni che ci sono stati offerti tramite la Riforma, dall’altro però abbiamo validi motivi per riconoscere apertamente le nostre colpe, per pentirci e per tentare di riconciliarci. Un simile cammino fu già intrapreso al tempo della Riforma da Papa Adriano VI nel messaggio rivolto alla Dieta di Norimberga nel 1522, quando il pontefice ammise e deplorò gli sbagli ed i peccati commessi dalle autorità della Chiesa cattolica. Durante e dopo il Concilio Vaticano Secondo, i vari papi che si sono susseguiti hanno chiesto più volte perdono per il male che i cattolici hanno causato ai membri delle altre Chiese. Al riguardo, ricordiamo in particolare il grande gesto penitenziale del Santo Papa Giovanni Paolo II che, durante le celebrazioni dell’Anno Santo, nella “Giornata del Perdono”, ha confessato le grandi colpe del passato, e ricordiamo anche Papa Francesco, il quale, in occasione della sua visita al tempio valdese di Torino, ha chiesto “perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani” che, nella storia, i cattolici hanno avuto nei confronti dei valdesi[18].

                Da parte protestante, va rammentata la Dichiarazione nella quale la Federazione Luterana Mondiale, durante la sua plenaria del 1979, ha affermato la sua disponibilità a riconoscere “come il giudizio dei riformatori nei confronti della Chiesa romano-cattolica e della teologia del suo tempo spesso non fosse privo di distorsioni polemiche, che, in parte, hanno ancora un impatto nel presente”, ed ha deplorato il fatto “che i nostri fratelli romano-cattolici, a causa di tali rappresentazioni polemiche, siano stati offesi e fraintesi”[19]. Degna di essere ricordata è anche l’ammissione delle proprie colpe fatta dalla Federazione Luterana Mondiale che riunita in plenaria, davanti agli anabattisti, ha riconosciuto il proprio “profondo rammarico e dolore per la persecuzione dei battisti perpetrata dalle autorità luterane” ed in particolare per il fatto “che i riformatori luterani hanno giustificato teologicamente tale persecuzione”. Questo riconoscimento delle proprie colpe è sfociato nel 2010 in un servizio liturgico penitenziale, con il quale la Federazione Luterana Mondiale e la Conferenza Mennonita Mondiale si sono riconciliate.

 

6.   L’ecumenismo cristiano al servizio dell’avvenire del mondo

La riconciliazione presuppone il riconoscimento della propria colpa, la disponibilità a fare penitenza e la purificazione della memoria storica, alla quale Papa Francesco ha esortato in particolare in riferimento alla commemorazione comune della Riforma: “Non possiamo cancellare ciò che è stato, ma non vogliamo permettere che il peso delle colpe passate continui ad inquinare i nostri rapporti. La misericordia di Dio rinnoverà le nostre relazioni.”[20] Misericordia e riconciliazione devono essere infatti le prospettive principali del cammino ecumenico, sul quale i cristiani vengono spinti dall’amore di Cristo. Per l’amore, le legittime differenze tra le varie confessioni non rappresentano più, come era il caso nel passato, soltanto degli ostacoli, ma anche la possibilità di un reciproco arricchimento nella fede. Il vero amore non cancella le differenze, ma le fa convergere riconciliate in una più profonda unità.

                Noi cristiani dobbiamo questa testimonianza al mondo odierno. Per poterci mettere al servizio della riconciliazione degli uomini e dei popoli, ci dobbiamo continuamente impegnare nella nostra stessa riconciliazione e dobbiamo fare di tutto affinché si realizzi la grande speranza che ha sempre animato il Santo Papa Giovanni Paolo II. Egli era convinto che, dopo il primo millennio della storia della Chiesa, che era stato il tempo della Chiesa indivisa, e dopo il secondo millennio, che aveva comportato in oriente tanto quanto in occidente profonde divisioni nella Chiesa, il terzo millennio avesse il grande compito di ripristinare la perduta unità dei cristiani. Giovanni Paolo II sapeva che noi cristiani dobbiamo essere “più disposti a imboccare il cammino di quell’unità per la quale Cristo pregò alla vigilia della Sua Passione”. Di fatti, il valore di questa unità è enorme: “Si tratta in un qualche senso del futuro del mondo, si tratta del futuro del Regno di Dio nel mondo. Le debolezze e i pregiudizi umani non possono distruggere ciò che è il disegno di Dio riguardo al mondo e all’umanità. Se valutiamo tutto questo, possiamo guardare al futuro con un certo ottimismo. Possiamo aver fiducia che «Colui che ha iniziato in noi quest’opera buona la porterà a compimento» (cfr. Fil 1,6).”[21]

                Se facciamo nostra questa convinzione di Papa Giovanni Paolo II, ci apparirà ancora più chiaramente l’importanza fondamentale che l’ecumenismo cristiano riveste nel mondo odierno. L’impegno cristiano a favore della riconciliazione nel mondo inizia con la riconciliazione dei cristiani e delle Chiese cristiane, per poter poi risplendere nella vita quotidiana e nella convivenza degli uomini e dei popoli. Il contributo decisivo che noi cristiani dobbiamo apportare per l’avvenire della nostra società consiste nel riconciliarci tra noi e nel vivere come persone riconciliate. Il superamento ecumenico delle divisioni del mondo cristiano è il presupposto indispensabile affinché il cristianesimo possa diventare segno e strumento di unità e di pace per l’umanità intera.

                Ciò vale in particolar modo davanti alla crescente globalizzazione, che, per noi cristiani, deve essere un ulteriore motivo per consolidare ed intensificare la collaborazione ecumenica al servizio del bene integrale di tutta la famiglia umana, come ha osservato Papa Francesco nel suo messaggio rivolto alla X Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese riunitosi a Busan in Corea nel novembre 2013: “Il mondo globalizzato nel quale viviamo esige da noi che rendiamo insieme una testimonianza comune della dignità riconosciuta da Dio ad ogni essere umano, in favore di una promozione concreta delle condizioni culturali, sociali e giuridiche che permettano agli individui, come pure alle società, di crescere nella libertà.”[22]

                Per questa importante missione, abbiamo bisogno di quella sapienza che ha trovato sede in Maria, come ci mostra lo stemma della Pontificia Università Gregoriana. Preghiamo allora Maria affinché ella interceda per tutti noi, aiutandoci a ricomporre l’unità dei cristiani e a diventare, così, segno e strumento di speranza per un mondo in frantumi.

 

[1].  Benedetto XVI, Discorso durante la visita alla Pontificia Università Gregoriana, il 3 novembre 2006.

 

 

[2].  A. Delp, Das Schicksal der Kirchen (1944/45), in: Gesammelte Schriften. Band IV: Aus dem Gefängnis, hrsg. von Roman Bleistein (Frankfurt a. M. 1984) 318-323, zit. 319.

 

 

[3].  A. Delp, Vertrauen zur Kirche, in: Gesammelte Schriften. Band I: Geistliche Schriften, hrsg. von Roman Bleistein (Frankfurt a. M. 1982) 263-283, zit. 280.

 

 

[4].  Vgl. W. Pannenberg, Entwicklung und (Zwischen-)Ergebnisse der ökumenischen Bewegung seit ihren Anfängen, in: H. Fries u.a., Das Ringen um die Einheit der Christen. Zum Stand des evangelisch-katholischen Dialogs (Düsseldorf 1983) 14-30, bes. 17-20.

 

 

[5].  Walter Kasper, Eine missionarische Kirche ist ökumenisch, in: Ders., Wege zur Einheit der Christen = Gesammelte Schriften. Band 14 (Freiburg i. Br. 2012) 621-634, S. 623.

 

 

[6].  Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.

 

 

[7].  Lumen gentium, n. 1.

 

 

[8].  Unitatis redintegratio, n. 1.

 

 

[9].  J. B. Metz, Glaube in Geschichte und Gesellschaft (Mainz 1977) 31.

 

 

[10].  W. Pannenberg, Einheit der Kirche als Glaubenswirklichkeit und als ökumenisches Ziel, in: Ders., Ethik und Ekklesiologie. Gesammelte Aufsätze (Göttingen 1977) 200-210, zit. 201. Zum Ganzen vgl. Ders., Christentum in einer säkularisierten Welt (Freiburg i. Br. 1988).

 

 

[11].  W. Pannenberg, Zukunft und Einheit der Menschheit, in: Ders., Ethik und Ekklesiologie. Gesammelte Aufsätze (Göttingen 1977) 166-186, zit. 185.

 

 

[12].  L. Weimer, Die Lust an Gott und seiner Sache, oder: Lassen sich Gnade und Freiheit, Glaube und Vernunft, Erlösung und Befreiung vereinbaren (Freiburg i. Br. 1981) 529.

 

 

[13].  W. Huber, Christlicher Glaube vor dem Problem militärischer Gewalt, in: Ders., Streit um die Wahrheit und die Fähigkeit zum Frieden. Vier Kapitel ökumenische Theologie (München 1980) 81-116, zit. 181

 

 

[14].  Francesco, Evangelii gaudium, n. 236.

 

 

[15].  Dichiarazione congiunta in occasione della commemorazione congiunta cattolico-luterana della Riforma, il 31 ottobre 2016.

 

 

[16].  Déclaration commune du pape Paul VI et du patriarche Athénagoras esprimant leur décision d’enlever de la mémoire et du milieu de l’Église les sentences d’excommunication de l’année 1054, in: Tomos Agapis. Vatican-Phanar (1958-1970) (Rome-Istanbul 1971), Nr. 127.

 

 

[17].  Télégramme du patriarche Athénagoras au pape Paul VI, à l’occasion de l’anniversaire de la levée des anathèmes le 7 décembre 1969, in: Tomos Agapis. Vatican-Phanar (1958-1970) (Rome – Istanbul 1971) Nr. 277.

 

 

[18].  Francesco, Discorso durante la sua visita pastorale al tempio valdese di Torino, il 22 giugno 2015.

 

 

[19].  Erklärung der Fünften Vollversammlung des LWB zum Besuch Kardinal Willebrands, in: Chr. Krause / W. Müller-Römheld (Hrsg.), Evian 1970. Offizieller Bericht der Fünften Vollversammlung des Lutherischen Weltbundes (Witten – Frankfurt – Berlin 1970) 207f.

 

 

[20].  Francesco, Omelia durante la celebrazione dei vespri nella solennità della conversione di San Paolo apostolo, nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, il 25 gennaio 2016.

 

 

[21].  Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza (Milano 1994) 164.

 

 

[22].  Francesco, Messaggio al Cardinale Kurt Koch per la X Assemblea plenaria del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Busan, in Corea, il 4 ottobre 2013.