Conferenza “Insieme nella testimonianza fino al martirio. Cattolici e Ortodossi
e le sfide del XXI secolo”, Pontificia Accademia di Scienze Sociali,
Casino Pio IV, Città del Vaticano, 24 maggio 2017

 

L’ecumenismo dei martiri. Segno di speranza nell’unità del Corpo di Cristo

 

1.    Il martirio come esperienza cristiana comune

Alla fine del secondo millennio ed all’inizio del terzo, la cristianità è diventata nuovamente, ma con una recrudescenza senza precedenti, una Chiesa di martiri. Ci sono addirittura più martiri oggi che al tempo delle persecuzioni cristiane dei primi secoli. L’ottanta per cento di tutti coloro che vengono perseguitati attualmente a causa della loro fede sono cristiani. La fede cristiana è, nel mondo odierno, la religione più perseguitata[1]. Questa triste realtà ci ricorda inesorabilmente che la Chiesa è sempre Chiesa nel martirio, in cui il battesimo nel nome di Gesù Cristo si radicalizza nel battesimo di sangue. Se l’essere cristiani è davvero sequela di Gesù Cristo, che si mostra a noi sulla croce come modello di primo martire, allora, per principio, l’essere cristiani non può eludere il martirio. In maniera realistica dobbiamo piuttosto partire dal presupposto che la sequela di Gesù Cristo può sempre comportare il martirio, che è il segno supremo dell’amore e della comunione. I martiri sono i testimoni più credibili della fede, poiché testimoniano la verità di Cristo con la loro intera esistenza, fino all’ultima goccia del loro sangue. Ed, al contempo, confermano che il martirio appartiene alla natura ed alla missione della Chiesa sin dalle origini: “I martiri della Chiesa non sono un fenomeno marginale, ma sono al centro stesso della Chiesa.”[2]

                Il martirio è un’esperienza fondamentale del cristianesimo nel mondo odierno, dove tutte le Chiese e le Comunità cristiane hanno i propri martiri. Oggi i cristiani non sono perseguitati perché appartengono ad una specifica comunità di fede cristiana, ma perché sono cristiani. Essendo oggi il martirio ecumenico, si deve parlare di un vero e proprio ecumenismo dei martiri[3]. In tutta la sua tragicità, esso contiene però anche una grande promessa: Come la Chiesa antica era convinta che il sangue dei martiri fosse seme di nuovi cristiani, anche noi oggi possiamo serbare la speranza e la salda fiducia che il sangue di così tanti martiri del nostro tempo un giorno sarà seme della piena unità ecumenica del Corpo di Cristo.

                Di questa speranza ha reso, ad esempio, una bella testimonianza l’esarca cattolico Leonid Fjodorow, quando ha espresso la sua profonda convinzione che “la riunificazione della Russia ortodossa con la Santa Sede Apostolica è una missione di ordine assolutamente sovrannaturale” e, come tale, non può essere concepita “senza martirio”[4]. La testimonianza che Fjodorow ha reso nel contesto della riconciliazione della Chiesa tra Oriente ed Occidente vale certamente anche per l’ecumenismo in generale, in quanto i martiri non soltanto sono un grande aiuto sul cammino verso l’unità in Cristo e nel suo Corpo, ma realizzano già questa unità ed offrono pertanto la forma suprema della testimonianza comune: il martirio è un “elemento unificante della communio cristiana”[5] in un senso molto profondo. In fondo, è un nostro dovere nei confronti dei martiri stessi approfondire il mistero del martirio cristiano.

 

2.   In cammino verso una visione ecumenica del martirio

“Noi siamo uniti sullo sfondo dei martiri, non possiamo non essere uniti.” Queste parole, pronunciate dal santo Papa Giovanni Paolo II al termine della “Via crucis” al Colosseo, il venerdì santo del 1994, esprimono il motivo di fondo alla base del suo grande impegno ecumenico. Per Papa Giovanni Paolo II, infatti, l’ecumenismo dei martiri è la forma più credibile dell’ecumenismo: “L’ecumenismo dei santi, dei martiri, è forse il più convincente. La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione.”[6] Nel porre questo accento sull’ecumenismo dei martiri, il Papa ha dimostrato anche di riconoscere esplicitamente, rendendo loro omaggio, i cristiani di altre Chiese e Comunità cristiane che hanno dato la vita per la loro fede in Gesù Cristo come martiri e testimoni della fede dell’unica, indivisa cristianità.

                Per comprendere l’importanza di questa pratica del mutuo riconoscimento dei martiri cristiani, diventata oggi normale, è utile gettare un breve sguardo alla storia, che ci mostra come, in realtà, per molto tempo vigesse la pratica contraria. Venivano riconosciuti come martiri soltanto coloro che, con la loro vita, rendevano testimonianza della verità integrale di Cristo. Poiché non si poteva ammettere che potesse esserci un simile Sì alla verità integrale di Cristo anche al di fuori della Chiesa cattolica, non era possibile riconoscere, come tale, il martirio avvenuto in altre Comunità cristiane. Questo atteggiamento contrassegnava già il cristianesimo dei primi tempi, quando venivano riconosciuti come martiri soltanto i testimoni della fede della Chiesa cattolica, mentre il sacrificio della vita di chi apparteneva a comunità eretiche era considerato privo di valore e nullo. Nello scontro con i donasti, ad esempio, Cipriano ed Agostino insistevano sul fatto che potevano esserci veri martiri solo nella Chiesa cattolica, mentre i seguaci di correnti eretiche perseguitati a causa della loro fede non potevano essere riconosciuti, per principio, come martiri.[7] Ancora più restrittivo è diventato il concetto di martirio dopo gli scismi nella Chiesa, quando i fedeli delle varie Chiese cristiane hanno dato la vita per rimanere fedeli alla professione di fede cristiana osservata nella propria confessione, non raramente uccidendosi gli uni gli altri; tuttavia, ciascuna comunità era solita riconoscere come martiri soltanto i propri testimoni della fede, seppure tutti concepissero il proprio martirio come testimonianza resa a Cristo. Questa situazione assolutamente paradossale ha condotto ad una “confessionalizzazione intra-cristiana” del concetto di martirio “che riconosceva solo i martiri della propria Chiesa come tali e che negava alla morte violenta degli altri cristiani la qualifica religiosa di martirio”[8].

                Questa visione confessionalmente restrittiva è stata superata con il Concilio Vaticano Secondo, grazie ad un nuovo sguardo rivolto a quelle Chiese cristiane e Comunità ecclesiali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma con le quali la Chiesa cattolica sa di essere “per più ragioni congiunta”[9]. Il motivo di questo legame è ravvisato dal Decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” innanzitutto nel battesimo, che costituisce “il vincolo sacramentale dell’unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati”[10] e che fa sì che ci sia “una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica”[11]. Il decreto sottolinea dunque che “tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica”, come “la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili”[12]. Tra questi elementi, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen gentium” annovera in modo particolare “una certa vera unione nello Spirito Santo, poiché anche in loro egli opera con la sua virtù santificante per mezzo di doni e grazie e ha dato ad alcuni la forza di giungere fino allo spargimento del sangue”[13]. Con queste importanti affermazioni del Concilio, è stata riconosciuta la realtà del martirio anche in altre Chiese cristiane. Già durante il Concilio, il beato Papa Paolo VI confermò tale nuova visione, quando, il 18 ottobre 1964, durante la 103.ma congregazione generale, proclamò santi i martiri dell’Uganda e rese omaggio così anche agli anglicani che avevano sperimentato le stesse sofferenze dei loro fratelli cattolici.

 

3.   L’unità come dono dei martiri

Il riconoscimento dei martiri di altre Chiese cristiane e la comune reverenza riservata loro stava particolarmente a cuore al santo Papa Giovanni Paolo II. Su questo aspetto egli aveva già attirato l’attenzione nella sua Lettera apostolica “Tertio millennio adveniente” del 1994, scritta in vista del Giubileo dell’Anno 2000, sottolineando con parole incisive: “Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri. Le persecuzioni nei riguardi dei credenti - sacerdoti, religiosi e laici - hanno operato una grande semina di martiri in varie parti del mondo. La testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti”[14]. All’ecumenismo dei martiri Giovanni Paolo II, nella sua appassionata enciclica sull’impegno ecumenico “Ut unum sint” del 1995, aveva già dedicato un’intera sezione, sottolineando che “in una visione teocentrica, noi cristiani già abbiamo un Martirologio comune”, che ci mostra “come, ad un livello profondo, Dio mantenga fra i battezzati la comunione nell’esigenza suprema della fede, manifestata col sacrificio della vita”[15]. Nell’ecumenismo dei martiri, Giovanni Paolo II ravvisava già un’unità di fondo tra i cristiani; egli espresse così la speranza che i martiri possano aiutarci a trovare la piena comunione. Mentre noi cristiani e noi Chiese viviamo ancora, su questa terra, in una comunione imperfetta, i martiri nella gloria dei cieli vivono già in una comunione piena e perfetta: “La testimonianza coraggiosa di tanti martiri del nostro secolo, appartenenti anche ad altre Chiese e Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica” sono, per Giovanni Paolo II, “la prova più significativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo”[16].

                La dimensione ecumenica del martirio è stata messa in evidenza da Papa Giovanni Paolo II soprattutto con la celebrazione comune tenutasi al Colosseo, luogo estremamente simbolico dal punto di vista storico, nel Giubileo dell’Anno 2000, quando, alla presenza di alti rappresentanti di varie Chiese e Comunità ecclesiali, il Papa commemorò i martiri del ventesimo secolo, ascoltandone le testimonianze di fede, tra cui quelle del metropolita ortodosso Serafim, del pastore protestante Paul Schneider e del padre cattolico Maximilian Kolbe. Tale celebrazione ha permesso di sperimentare la profonda comunione nella fede che unisce i cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali, nonostante le differenze e gli ostacoli tuttora esistenti. Di fatti, nella persecuzione comune, ad esempio nei campi di concentramento nazisti e nei gulag comunisti, i cristiani e le Comunità ecclesiali si sono ravvicinati, hanno scoperto ciò che li accomuna nella fede ed hanno allacciato un’amicizia.

                Lo sforzo di valorizzare l’importanza dell’ecumenismo dei martiri è stato proseguito da Papa Benedetto XVI, che ha accentuato soprattutto la dimensione cristologica del martirio: la “forza per affrontare il martirio” nasce “dalla profonda e intima unione con Cristo”. Il martirio e la vocazione al martirio “non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo”[17]. Papa Benedetto XVI, durante la sua visita nel 2008 alla Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, dedicata ai martiri del ventesimo secolo, ha osservato che apparentemente sembra “che la violenza, i totalitarismi, la persecuzione, la brutalità cieca” si rivelino più forti, mettendo a tacere la voce dei testimoni della fede, i quali “possono umanamente apparire come sconfitti della storia”, ma che Gesù risorto illumina la loro testimonianza, così che “la forza dell’amore”, che “sfida e che vince la morte”, si rivela vittoriosa “anche nell’apparente sconfitta”[18]. Il martirio è, in effetti, la „suprema testimonianza d’amore“[19].

                Anche Papa Francesco non si stanca mai di far riferimento all’ecumenismo dei martiri o, come lui lo definisce, all’ “ecumenismo del sangue”. Papa Francesco parte dalla costatazione che i cristiani oggi non vengono perseguitati perché sono protestanti od anglicani, cattolici od ortodossi, ma perché sono cristiani. Sono dunque soprattutto gli stessi persecutori a suggerirci l’ecumenismo del sangue. Infatti “per i persecutori, noi non siamo divisi, non siamo luterani, ortodossi, evangelici, cattolici… No! Siamo uno! Per i persecutori siamo cristiani! Non interessa altro. Questo è l’Ecumenismo del sangue che oggi si vive.”[20] Nell’ecumenismo dei martiri incontriamo anche una grande sfida, che Papa Francesco ha riassunto con questa frase incisiva: “Se il nemico ci unisce nella morte, chi siamo noi per dividerci nella vita?”[21] Non è allora una vergogna che i persecutori dei cristiani abbiano una migliore visione ecumenica di noi stessi, poiché hanno capito che i cristiani sono fondamentalmente una cosa sola? Essendo la sofferenza di così tanti cristiani nel mondo odierno un’esperienza comune, l’ecumenismo del sangue rappresenta per Papa Francesco addirittura il “segno più convincente” dell’ecumenismo oggi[22].

 

4.   Martiri per l’unità cristiana

La consapevolezza dell’importanza dei martiri cristiani odierni e la ricerca ecumenica dell’unità sono indissociabili: “I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un ‘ecumenismo del sangue’ che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo.”[23] Nell’ecumenismo dei martiri meritano di essere menzionati in particolare quei martiri cristiani che, consapevolmente, hanno dato la loro vita per la santa causa dell’unità dei cristiani. Come esempio tra i molti, si ricordi il sacerdote cattolico Max Josef Metzger[24], che già molto tempo prima dell’incarcerazione da parte dei nazisti si era impegnato a favore del movimento ecumenico, e che intese la sua incombente esecuzione come sacrificio espiatorio offerto al Signore per la pace nel mondo e per l’unità della Chiesa, priorità, queste, che egli aveva profondamente a cuore: “Sarei felice se con il dono della mia vita contribuissi a realizzare ciò a cui aspira la mia vita senza visibile successo.”[25] E poco tempo prima della sua esecuzione il 17 aprile 1944, egli scrisse parole che possono essere considerate il suo lascito: “Adesso il Signore vuole da me il sacrificio della vita. Pronuncio il mio lieto Sì alla sua volontà. Gli ho offerto la vita per la pace del mondo e per l’unità della Chiesa. La vuole. Possa egli benedirla!”[26]

                Max Josef Metzger può essere annoverato tra quei martiri cristiani a proposito dei quali Papa Giovanni Paolo II ha affermato che “la comunione più vera […] con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani (cfr. Ef 2,13)”[27] permette anche una più intensa comunione tra i cristiani. Come Gesù è andato incontro alla morte “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52), così quei cristiani hanno accettato consapevolmente il loro martirio per l’unità dei cristiani. Non soltanto sono diventati punti di riferimento credibili sul cammino verso l’unità visibile dei cristiani, ma hanno già realizzato questa unità. Infatti, in questi martiri, è presente la cristianità indivisa ed è già superata la divisione della Chiesa.”[28]

                In questa “Una Sancta in vinculis”, come il martire protestante Dietrich Bonhoeffer definì lo stretto legame ecumenico esistente tra i cristiani delle varie Chiese nella loro resistenza ai violenti regimi nazista e comunista, incontriamo la forma più credibile della testimonianza comune, sulla quale si basa la speranza nell’unità, testimonianza che ci esorta a continuare a costruire sul fondamento dell’unità posto dai martiri per l’unità cristiana e ad annunciare, rendendo una comune testimonianza, il Vangelo di Gesù Cristo nel mondo odierno: nell’umiltà e nell’amore.

 

 

 

[1].  Vgl. R. Backes, „Sie werden euch hassen“. Christenverfolgung heute (Augsburg 2005); R. Guitton, Cristianophobia. La nuova persecuzione (Torino 2009); Kirche in Not (Hrsg.), Christen in grosser Bedrängnis. Diskriminierung und Unterdrückung. Dokumentation 2016 (München 2016); A. Riccardi, Salz der Erde, Licht der Welt. Glaubenszeugnis und Christenverfolgung im 20. Jahrhundert (Freiburg i. Br. 2002).

[2].  P.-W. Scheele, Das Martyrium – verbindendes Element der christlichen Communio, in: G. Augustin und M. Schulze (Hrsg.), Freude an Gott. Auf dem Weg zu einem lebendigen Glauben. Festschrift für Kurt Kardinal Koch zum 65. Geburtstag (Freiburg i. Br. 2015) 185-202, zit. 185. Vgl. Ders., Zum Zeugnis berufen. Theologie des Martyriums (Würzburg 2008).

[3].  Vgl. Kardinal W. Kasper, Ökumene der Märtyrer. Theologie und Spiritualität des Martyriums (Norderstedt 2014); R. Prokschi / J. Marte (Hrsg.), Europa, vergiss Deine Märtyrer nicht! Aus jüdischer und christlicher Sicht (Klagenfurt 2006); K. Cardinal Koch,  Christenverfolgung und Ökumene der Märtyrer. Eine biblische Besinnung (Norderstedt 2016).

[4].  Vgl. I. Ossipowa, Wenn die Welt euch hasst… Die Verfolgung der katholischen Kirche in der UdSSR (Anweiler 2000) 69.

[5].  P.-W. Scheele, Das Martyrium – verbindendes Element der christlichen Communio, in: G. Augustin und M. Schulze (Hrsg.), Freude an Gott. Auf dem Weg zu einem lebendigen Glauben. Festschrift für Kurt Kardinal Koch zum 65. Geburtstag (Freiburg i. Br. 2015) 185-202.

[6].  Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, n. 37.

[7].  Vgl. P. Gemeinhardt, Märtyrer und Martyriumsdeutungen von der Antike bis zur Reformation, in: ZKG 120 (2009) 289-322, zit. 305.

[8].  E. Schockenhoff, Entschiedenheit und Widerstand. Das Lebenszeugnis der Märtyrer (Freiburg i. Br. 2015) 171.

[9].  Lumen gentium, n. 15.

[10].  Unitatis redintegratio, n. 22.

[11].  Unitatis redintegratio, n. 3.

[12].  Ibid.

[13].  Lumen gentium, n. 15.

[14].  Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, n. 37.

[15].  Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 84.

[16].  Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 1.

[17].  Benedetto XVI, Messaggio durante l’udienza generale, l’11 agosto 2010.

[18].  Benedetto XVI, Omelia durante la commemorazione dei martiri del XX e del XXI secolo nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina a Roma, il 7 aprile 2008.

[19].  Vgl. R. Weimann, Il martirio. Suprema testimonianza d’amore, in: Deus caritas est. Porta di Misericordia. Atti del Simposio internationale nel decimo anniversario dell’Enciclica. A cura di M. Graulich e R. Weimann (Città del Vaticano 2016) 123-141.

[20].  Francesco, Discorso ai membri della “Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships” il 31 ottobre 2014.

[21].  Francesco, Discorso al Movimento del Rinnovamento nello Spirito, il 3 luglio 2015.

[22].  Francesco, Messaggio in occasione del Global Christian Forum del 1 novembre 2015.

[23].  Dichiarazione comune di Papa Francesco e del Catholicos Karekin II ad Etschmiadzin, nella Repubblica armena, il 26 giugno 2016.

[24].  Vgl. J. Ernesti, Ökumene im Dritten Reich (Paderborn 2007) 182-219.

[25].  Ibid 137.

[26].  Ibid 218.

[27].  Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 84.

[28].  E. Schockenhoff, Entschiedenheit und Widerstand. Das Lebenszeugnis der Märtyrer (Freiburg i. Br. 2015) 157.