Papa Francesco nella Sinagoga di Roma e la Dichiarazione conciliare “Nostra aetate” (n. 4)
Rev.do Padre Norbert Hofmann, SDB
Segretario della Commissione per le relazioni con l'Ebraismo
Domani, 17 gennaio 2016, Papa Francesco visiterà per la prima volta la Sinagoga di Roma, che si trova non lontana dal Vaticano, sul Tevere. Si tratta di una breve distanza, che conduce dal centro della Chiesa cattolica universale al Tempio ebraico della città di Roma. Anche dal punto di vista spirituale, il cattolicesimo e l’ebraismo hanno sempre vissuto, a Roma, l’uno accanto all’altro; in questa città, possono guardare insieme ad una lunga storia comune. Questa storia è stata caratterizzata da periodi molto diversi, di pacifica e riuscita convivenza, ma anche di tensioni e di conflitti. Dall’epoca dei Maccabei, ovvero dal II secolo a.C., esiste la comunità ebraica di Roma, che risale dunque direttamente all’ebraismo del tempo del Secondo Tempio di Gerusalemme e che ha conservato tradizioni specifiche.
Il fatto che la visita di Papa Francesco avvenga il 17 gennaio è significativo ed emblematico. In questa data, infatti, la conferenza episcopale italiana, ormai dal 1990, celebra la “Giornata dell’ebraismo”, che vuole ricordare la relazione unica e speciale esistente tra ebraismo e cristianesimo in virtù delle radici ebraiche della fede cristiana e vuole fornire uno stimolo alla collaborazione attuale tra l’ebraismo e la Chiesa cattolica, incoraggiando iniziative comuni. Nel corso degli anni, anche altre Conferenze episcopali hanno inserito nel loro calendario una “Giornata dell’ebraismo”, come è già avvenuto in Austria, in Polonia, nei Paesi Bassi ed in Svizzera.
Non il primo, ma per la prima volta
Papa Francesco non è il primo Pontefice romano a visitare la comunità ebraica di Roma. Sulla scia dei suoi due predecessori, egli prosegue una bella tradizione, che sarà sicuramente portata avanti anche in futuro.
Papa Giovanni Paolo II fu il primo Papa ad essere accolto nella Sinagoga di Roma dal Rabbino Capo Elio Toaff, il 13 aprile 1986. Il loro abbraccio fraterno davanti alla Sinagoga rimane un gesto storico, un’immagine che ha fatto il giro del mondo. Nel suo discorso indimenticabile, il Santo Padre definì gli ebrei “i nostri fratelli maggiori”, a cui noi cristiani siamo legati in modo del tutto particolare: “La religione ebraica non ci è ‘estrinseca’, ma in un certo qual modo, è ‘intrinseca’ alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori.” Da allora, l’espressione “fratelli maggiori” è diventata comune ed è stata più volte ripresa dallo stesso Papa Francesco.
Papa Benedetto XVI si recò nella Sinagoga di Roma precisamente sei anni prima della visita che domani effettuerà Papa Francesco. Papa Benedetto coniò l’espressione “padri nella fede” riferendosi agli ebrei, poiché essi hanno ricevuto per primi il dono della fede con la rivelazione del Dio di Israele. Nel discorso del 17 gennaio 2010, il Pontefice mise in evidenza in particolare il patrimonio comune dei dieci comandamenti, che rappresentano il fondamento morale di ebrei e cristiani. Il Decalogo, come sottolineò Benedetto XVI, “costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei Cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un ‘grande codice’ etico per tutta l’umanità. Le ‘Dieci Parole’ gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana”.
La visita nel segno di “Nostra aetate” (n. 4)
La visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma segue di pochi mesi il 50º anniversario della promulgazione della Dichiarazione conciliare “Nostra aetate” (n. 4). Il 28 ottobre 1965, Paolo VI promulgò questo documento del Concilio Vaticano Secondo, decisivo per il dialogo con l’ebraismo. Cinquant’anni di dialogo sistematico tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo sono un buon motivo per rendere grazie al Dio di Israele, che è anche il Dio dei cristiani, per i tanti frutti della nostra collaborazione. La storia dell’impatto di “Nostra aetate” (n. 4) negli ultimi decenni è una storia di successo, perché partner nel passato scettici e diffidenti sono diventati, col passare del tempo, amici capaci di superare insieme anche le fasi più critiche. Sebbene le tensioni non siano mancate, negli ultimi cinquant’anni le relazioni tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo sono sensibilmente migliorate, dimostrando la loro solidità e robustezza.
Il 50º anniversario di “Nostra aetate” (n. 4), che rimane tuttora la bussola del dialogo con l’ebraismo, è stato celebrato in Vaticano in modo particolare. Mercoledì 28 ottobre 2015, secondo il desiderio di Papa Francesco, è stata organizzata un’udienza generale del tutto speciale, dedicata al dialogo interreligioso. A tale udienza hanno assistito anche numerosi rappresentanti di altre religioni. La loro presenza si spiega per il fatto che il testo conciliare ha segnato una svolta nell’atteggiamento della Chiesa cattolica verso le altre religioni e va dunque inteso come un plaidoyer a favore del dialogo interreligioso. La celebrazione del 50º anniversario di “Nostra aetate” (n. 4) ha avuto luogo dal 26 al 28 ottobre scorso, con una grande conferenza internazionale presso la Pontificia Università Gregoriana. Le oltre quattrocento persone presenti hanno poi assistito all’udienza papale del 28 ottobre, che è stata il culmine della commemorazione. In tale occasione, il Santo Padre ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso e della collaborazione tra le varie religioni davanti ai gravi problemi ed alle grandi sfide del tempo presente: “Il mondo guarda a noi credenti, ci esorta a collaborare tra di noi e con gli uomini e le donne di buona volontà che non professano alcuna religione, ci richiede risposte effettive su numerosi temi: la pace, la fame, la miseria che affligge milioni di persone, la crisi ambientale, la violenza, in particolare quella commessa in nome della religione, la corruzione, il degrado morale, le crisi della famiglia, dell’economia, della finanza, e sopratutto della speranza”. Il Papa ha anche evidenziato quanto “Nostra aetate” (n. 4) abbia contribuito all’avanzamento del dialogo con l’ebraismo: “Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria trasformazione che ha avuto in questi 50 anni il rapporto tra cristiani ed ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli. Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra aetate, ha tracciato la via: ‘sì’ alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; ‘no’ ad ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano”.
La Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo
Dopo il Concilio Vaticano Secondo, responsabile del dialogo con l’ebraismo fu all’inizio il “Segretariato per l’unità dei cristiani”. Ma il 22 ottobre 1974, Papa Paolo VI istituì la “Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo” per tradurre nella realtà gli orientamenti di “Nostra aetate” (n. 4), per fornire concretamente un rinnovato impulso alla collaborazione tra ebrei e cristiani e per contribuire all’approfondimento della loro amicizia. Di fatti, in questa “Magna Charta” del dialogo ebraico-cattolico, l’obiettivo fondamentale è menzionato chiaramente: “Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.” In ultima analisi, questo dialogo fraterno vuole incoraggiare ebrei e cattolici ad impegnarsi insieme in favore della riconciliazione, della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato. Sulla base di una crescente amicizia, è importante che ebrei e cattolici si conoscano e si apprezzino sempre di più, per testimoniare insieme la presenza e l’agire salvifico di Dio nel nostro mondo.
Nei suoi oltre quarant’anni di storia, la “Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo” ha pubblicato quattro documenti. Due di essi avevano come obiettivo quello di tradurre concretamente “Nostra aetate” (n. 4) nella vita della Chiesa. Il terzo era soprattutto una riflessione sulla Shoah. In occasione del 50º anniversario della promulgazione di “Nostra aetate” (n. 4), il 10 dicembre 2015, la Commissione ha pubblicato un quarto documento, intitolato “ ‘Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili’ (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche”, che intende approfondire la dimensione teologica del dialogo con l’ebraismo, alla luce del fatto che “Nostra aetate” (n. 4) è il primo documento della Chiesa cattolica che definisce chiaramente, da un punto di vista teologico, la relazione con l’ebraismo. Le riflessioni contenute in questo documento vogliono rendere atto, con gratitudine, di tutto ciò che è stato possibile realizzare nelle relazioni ebraico-cattoliche nel corso degli ultimi decenni ed al contempo fornire un rinnovato impulso per il futuro. Nel ribadire lo statuto speciale delle relazioni ebraico-cattoliche nel più ampio contesto del dialogo interreligioso, vengono affrontate questioni teologiche quali l’importanza della rivelazione, il rapporto tra l’Antica e la Nuova Alleanza, la relazione tra l’universalità della salvezza in Gesù Cristo e la convinzione che l’alleanza di Dio con Israele non è mai stata revocata, ed il compito evangelizzatore della Chiesa in riferimento all’ebraismo. Il nuovo documento offre una riflessione cattolica sui temi sopramenzionati, inserendoli in un contesto teologico, affinché il loro significato possa essere approfondito a vantaggio di entrambe le tradizioni di fede. Il testo non è un documento magisteriale o un insegnamento dottrinale della Chiesa cattolica, ma una riflessione preparata dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo su questioni teologiche sviluppatesi a partire dal Concilio Vaticano Secondo. Esso vuole essere un punto di partenza per un ulteriore approfondimento teologico, teso ad arricchire e ad intensificare la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico.
L'Osservatore Romano, 17 gennaio 2016