LE SCOMMESSE ECUMENICHE
DELLA QUESTIONE DEL SACERDOZIO

 

 

Conferenza per il Simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”

Roma, 18 febbraio 2022

 

 

1. Il ministero come vero nodo dell’ecumenismo

Negli ultimi sessant’anni, nei diversi dialoghi ecumenici che la Chiesa cattolica ha condotto e continua a condurre con varie Chiese e Comunità ecclesiali, sono stati raggiunti ampi consensi o quantomeno promettenti riavvicinamenti su molte questioni di fede. Una tematica che fino ad oggi si è rivelata essere una grossa pietra d’inciampo ecumenica è la questione del ministero. Come osserva il teologo cattolico Wolfgang Beinert, è “forse l’unico problema ecumenico che è ancora realmente lontano da una soluzione universalmente accettabile”[1]. La difficoltà traspare già dal fatto che la mancanza di comunione eucaristica tra le Chiese è dovuta non solo alle differenze nella dottrina dell’Eucaristia o della Cena del Signore, ma principalmente alle differenze nella dottrina del ministero, poiché, da un punto di vista cattolico, la celebrazione eucaristica richiede essenzialmente la presenza di un sacerdote. La difficoltà diventa ancora più fondamentale quando si tratta di definire e di valutare, nella prospettiva cattolica, l’ecclesialità delle Comunità ecclesiali non cattoliche.

Questa difficoltà era già emersa al momento del Concilio Vaticano Secondo. In riferimento alle Chiese ortodosse e ortodosse orientali, non sussiste alcun problema particolare nel definirle Chiese, perché esse prevedono il ministero episcopale nella successione apostolica e tutti i validi sacramenti, in particolare l’Eucaristia, e quindi presentano gli elementi ecclesiali essenziali che fanno di loro singole Chiese.[2]

Invece, per quanto riguarda le Comunità d’Occidente nate dalla Riforma, il problema si pone sulla possibilità o meno di utilizzare il termine “Chiesa” in senso teologicamente pregnante anche per quelle Comunità in cui non esiste, almeno non con certezza, un ministero episcopale nella successione apostolica e in cui si riconoscono solo alcuni sacramenti. Come riporta Johannes Feiner nel suo commento al Decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio”[3], vi era un grande dissenso tra quei Padri conciliari che volevano chiamare “Chiese”, seppur nel senso dell’analogia, le Comunità non cattoliche dell’Occidente, e gli altri Padri che obiettavano che una Comunità in cui non esiste un ministero episcopale nella successione apostolica non può essere definita “Chiesa”. Alla luce di questo grave dissenso, il Cardinale Franz König di Vienna avanzò nel dibattito conciliare la proposta[4], che alla fine ebbe la meglio, secondo la quale queste Comunità possono e devono essere chiamate “communitates ecclesiales”. Con tale termine si intendeva esprimere la presenza, da un lato, di una natura ecclesiale, e dall’altro l’assenza di elementi costitutivi e necessari per essere pienamente Chiesa. Il Decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” menziona al riguardo, come principali deficit, un “sacramenti ordinis defectus” e, di conseguenza, la mancata conservazione della “genuina ed integra sostanza del mistero eucaristico”[5].

Il ministero episcopale nella successione apostolica e la validità dell’Eucaristia sono quindi i criteri decisivi per il Concilio Vaticano Secondo quando si tratta di impiegare il termine “Chiesa” per le Comunità ecclesiali separate dalla Chiesa cattolica. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha ricordato questo fondamentale tema ecclesiologico durante il Giubileo dell’anno 2000 con la sua “Dichiarazione circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa” dal titolo “Dominus Iesus”[6]. In tale documento, le Chiese orientali sono definite “vere Chiese particolari”, mentre quelle comunità ecclesiali che “non hanno conservato l’Episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico” non sono considerate “Chiese in senso proprio”[7]. Questa differenza a livello di definizione tra le Chiese d’Oriente e le Comunità ecclesiali in Occidente ha reso evidente anche che la discussione ecumenica sulla questione del ministero deve essere condotta in modo distinto e diverso nei vari dialoghi ecumenici.

 

2. La questione del ministero nel dialogo cattolico-ortodosso

Durante il primo decennio, dal 1980 al 1990, la Commissione internazionale mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme si è occupata di questioni fondamentali di fede e di importanti temi teologici, su cui è stato possibile giungere ad ampie convergenze.[8] Dopo aver affrontato questioni attinenti alla comprensione teologica del concetto di Chiesa e del rapporto tra fede, sacramenti e unità della Chiesa, nel 1988 l’Assemblea plenaria a Nuova Valamo in Finlandia ha riflettuto sul significato teologico e sulla missione del ministero consacrato nella Chiesa e ha pubblicato l’importante documento intitolato: “Il Sacramento della consacrazione nella struttura sacramentale della Chiesa, in particolare l’importanza della successione apostolica per la santificazione e per l’unità del popolo di Dio”[9]. Come indica già il titolo, tra le due Comunità ecclesiali esiste un’ampia base comune di convinzioni di fede e, in particolare, una convergenza significativa riguardo al ministero consacrato.

 

a) Lo stretto legame tra ministero ed Eucaristia

Il motivo determinante di questo risiede nel fatto che in entrambe le Comunità si è conservata quella struttura di base ecclesiologica sviluppatasi a partire dal II secolo, vale a dire la struttura di base sacramentale-eucaristica ed episcopale della Chiesa, nel senso che in entrambe le Chiese l’unità nell’Eucaristia e l’episcopato nella successione apostolica come servizio all’unità sono considerati costitutivi dell’essere Chiesa. Papa Benedetto XVI ha parlato di questo ampio terreno comune in maniera precisa: “senza dubbio, fra le Chiese e le comunità cristiane, l’Ortodossia, teologicamente, è la più vicina a noi; cattolici ed ortodossi hanno conservato la medesima struttura della Chiesa delle origini; in questo senso tutti noi siamo ‘Chiesa delle origini’, che tuttavia è sempre presente e nuova.”[10]

Non sorprende allora che al centro del documento cattolico-ortodosso vi siano il ministero episcopale e il sacramento dell’Eucaristia, nel loro intrinseco legame. Di fatti, secondo l’ecclesiologia ortodossa, che è in senso stretto eucaristica, il ministero nella Chiesa è inteso principalmente a partire dall’Eucaristia. Ciò vale innanzitutto per il ministero episcopale, il cui fulcro è la celebrazione eucaristica: “Il ruolo del vescovo trova il suo compimento nel presiedere l’assemblea eucaristica” (n. 41). Il forte accento posto sul vescovo nella teologia ortodossa del ministero si basa sul fatto che al vescovo, nella consacrazione che avviene attraverso il dono dello Spirito Santo, è conferita la “pienezza del sacerdozio” (n. 28). Dal vescovo derivano dunque anche gli altri ministeri, in particolare il ministero del sacerdote, che, “consacrato dal vescovo e dipendente da lui”, è inteso anch’esso a partire dall’Eucaristia, come afferma già il primo documento del dialogo cattolico-ortodosso: “Uno dei compiti essenziali del sacerdote è collegare le comunità dei fedeli alla celebrazione eucaristica del vescovo e alimentarle con la fede apostolica di cui il vescovo è testimone e garante”.[11] Il diacono, infine, è al servizio del vescovo e del sacerdote e “funge da collegamento tra loro e l’assemblea dei fedeli” (n. 41).

Lo stretto legame tra ministero ed Eucaristia diventa pienamente comprensibile quando prendiamo coscienza del fatto che le affermazioni sul ministero consacrato della Chiesa nel dialogo cattolico-ortodosso si basano sulla presentazione del mistero della Chiesa come comunità di fede e sacramento, comunità che si mostra e si realizza in maniera suprema nella celebrazione eucaristica. Poiché la struttura della Chiesa ha carattere sacramentale, è evidente che anche il ministero ecclesiale è di “natura sacramentale”. Questa visione della sacramentalità del ministero consacrato si fonda sul fatto che Gesù Cristo è reso presente nella Chiesa per mezzo dello Spirito Santo; ciò implica che “il ministro è un membro della comunità dei fedeli a cui lo Spirito Santo conferisce funzioni e poteri speciali per radunare la comunità e presiedere in nome di Cristo gli atti con i quali la comunità celebra i misteri della salvezza” (n. 11).

Da ciò risulta anche evidente che il ministero consacrato è al servizio di tutta la Chiesa. Come non può esserci Chiesa senza i ministeri derivanti dallo Spirito Santo, così non esiste “alcun ministero senza Chiesa, ovvero al di fuori o al di sopra della comunità”; i ministeri trovano “il loro senso e la loro ragion d’essere” solo nella Chiesa (n. 5). Questa dimensione ecclesiale comporta anche il sacerdozio battesimale comune, in merito al quale il documento ecumenico afferma che tutti i membri della Chiesa, come membri del Corpo di Cristo, partecipano al suo sacerdozio. Questo a sua volta diventa particolarmente evidente ed efficace nella celebrazione eucaristica, dove l’intera assemblea, ciascuno al proprio posto, è il “liturge della koinonia”. Là il vescovo assume il “ministero di presiedere in unità l’assemblea dei fedeli” (nn. 24-25). E poiché è essenziale per la Chiesa, in virtù dell’Eucaristia, essere in comunione con le altre Comunità, l’unità della Chiesa locale è inscindibile dalla comunione complessiva delle Chiese, e questa comunione si manifesta e si realizza nel collegio dei vescovi.

 

b) L´unità di sacramento e giurisdizione

Questi pochi riferimenti dimostrano che non esistono quasi differenze tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse in merito al ministero consacrato, ma vi è un’ampia convergenza, che giunge fino all’esclusione della consacrazione delle donne: “Le nostre Chiese rimangono fedeli alla tradizione storica e teologica, nella quale solo gli uomini sono consacrati al sacerdozio” (n. 32). Il problema maggiore, oggi come ieri, continua ad essere la diversa comprensione del ministero del Vescovo di Roma, comprensione che però ha un impatto sull’interpretazione del ministero in generale. Ma anche in questo campo, è stato possibile realizzare passi verso l’ortodossia. Papa Benedetto XVI, in particolare, si è spinto fino ad affermare che le Chiese orientali sono “vere Chiese particolari”, sebbene non siano in comunione con il Papa, e in questo senso l’unità con il Papa “non è costitutiva per la Chiesa particolare”. Tuttavia, questa mancanza di unità è anche una “mancanza interna della Chiesa particolare” e, pertanto, la mancanza di comunione con il Papa è “un’insufficienza di questa cellula vitale”. In sintesi, il Papa sostiene: “Resta una cellula, può chiamarsi Chiesa, ma nella cellula manca un elemento, e cioè il collegamento con l’intero organismo” [12].

Il punto realmente controverso nel dialogo ecumenico risiede dunque nel fatto che, sebbene anche l’ortodossia riconosca il Vescovo di Roma come primo (protos) nella taxis delle sedi, come già stabilito dal Concilio di Nicea, dal punto di vista cattolico è fondamentale l’idea secondo cui “Il Papa è primo ed ha anche funzioni e compiti specifici”.[13] Alla base di questa differenza vi è un problema molto più profondo, che è di grande importanza per la questione del ministero da un punto di vista ecumenico. Il motivo per cui l’ortodossia vede nel primato del vescovo di Roma, soprattutto nello sviluppo storico che esso ha avuto nel corso del secondo millennio, uno sconvolgimento o addirittura una “distruzione della struttura ecclesiale in quanto tale”, “sulla cui scia qualcosa di diverso e di nuovo ha preso il posto della vecchia forma di Chiesa”[14], sta nel fatto che la teologia ortodossa considera fondamentale l’unità inscindibile di sacramento e giurisdizione, un’unità che ritiene violata nel papato, in quanto il papato non è sacramento, ma “solo” posizione giuridica, che però si impone al di sopra dell’ordinamento sacramentale. Una rinnovata riflessione sul rapporto tra sacramentalità e giurisdizione non è solo necessaria nel dialogo cattolico-ortodosso, ma può essere utile anche nella discussione ecumenica sul ministero consacrato con le Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma.

 

2. La questione del ministero nel dialogo cattolico-protestante

Nel dialogo ecumenico con le Comunità ecclesiali d’Occidente sono stati prodotti diversi documenti che affrontano il tema del ministero ecclesiale. Ciò vale soprattutto per il dialogo cattolico-luterano, che ha permesso la pubblicazione di numerosi documenti di consenso e di convergenza: il cosiddetto rapporto di Malta, “Il Vangelo e la Chiesa”, del 1972; “Il ministero spirituale nella Chiesa” del 1981; “L’apostolicità della Chiesa” del 2009; “Dal conflitto alla comunione” del 2013. A questi si aggiungono documenti che sono nati dai dialoghi con varie comunità protestanti, in particolare gli studi approfonditi del Gruppo di lavoro ecumenico di teologi protestanti e cattolici in Germania, come il testo “Condanne dottrinali – causa di divisione nella Chiesa?” sulla giustificazione, sui sacramenti e sul ministero, e “Il ministero ecclesiale nella successione apostolica” (2004-2008). Naturalmente, non possiamo ancora parlare di un consenso sostenibile in grado di aprire la strada al mutuo riconoscimento dei rispettivi ministeri, perché permangono questioni aperte che dovranno essere affrontate.

 

a) Il rapporto tra ministero sacerdotale ed episcopale

Partendo dalla questione del ministero espiscopale, la prima cosa che colpisce è che, durante la Riforma, pur riconoscendo fondamentalmente tale ministero si parla soprattutto del comportamento dei vescovi in ​​modo critico od ostile, cosa che si riflette anche nella Confessione Augustana. Sebbene là si trovino affermazioni positive sul ministero episcopale, l’intenzione principale dell’ampio articolo 28 consiste nella chiara distinzione tra i veri compiti spirituali del vescovo iure divino e i suoi poteri politici secolari iure humano, e più precisamente nella “differenza tra il potere della Chiesa e il potere della spada”. In merito alla chiara esigenza di non mescolare potere ecclesiale e potere politico, non può esserci alcuna differenza confessionale, e di fatti non vi poteva essere alcuna differenza neanche all’epoca, come dimostra l’affermazione di San Bernardo di Chiaravalle, che parlò alla coscienza di Papa Eugenio: “Non credere di essere il successore di Costantino; non sei il successore di Costantino, ma di Pietro. Il libro autorevole per te non è il Codice di Giustiniano, ma la Sacra Scrittura”.[15] Oggi questo tema ha perso comunque la sua rilevanza.

Anche nel contesto storico della Riforma, va considerata in primo luogo la questione della struttura del ministero ecclesiale, ovvero della sua ripartizione su tre livelli, alla luce della comprensione del tempo. Come è noto, i riformati erano convinti che il ministero episcopale fosse un compito uguale al ministero spirituale in generale, ma si situasse a un diverso livello ecclesiale. Seguendo tale convinzione, essi difesero anche la pratica delle ordinazioni effettuate dai pastori, invocando Girolamo, per il quale la distinzione tra vescovo e sacerdote era solo una distinzione attinente alla giurisdizione umana. Questa convinzione era ancora presente nel Medioevo, soprattutto in Pietro Lombardo, che ravvisava il vero potere conferito al momento dell’ordinazione nel potere della consacrazione, rispetto alla quale egli tuttavia non riteneva che vi fosse una differenza tra vescovo e sacerdote. Pertanto, la differenza non si situava a livello sacramentale, ma a livello giuridico, con la conseguenza che la consacrazione episcopale non era vista come sacramento, ma solo come sacramentale. Il Concilio Vaticano Secondo ha segnato invece una svolta significativa, insegnando che “con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine”, e che vengono conferiti pure, “con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare”[16]. Poiché, da un punto di vista cattolico, il ministero episcopale è visto come la forma piena del ministero consacrato e quindi come il punto di partenza per l’interpretazione teologica del ministero ecclesiale in generale[17], il ministero episcopale deve avere un posto speciale tra i temi trattati nei dialoghi ecumenici.

 

b) Il rapporto tra il sacerdozio battesimale di tutti i credenti e il ministero ecclesiale

Per poter affrontare la questione in modo adeguato, è naturalmente necessario andare più a fondo. Nel dialogo con le Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma, dobbiamo partire dal sacerdozio comune di tutti i credenti battezzati, che ha il suo fondamento biblico nel secondo capitolo della prima lettera di Pietro, in cui viene trasmessa un’antica catechesi battesimale. Per quanto riguarda il sacerdozio battesimale, vi è consenso sul fatto che tutti i battezzati partecipano del sacerdozio di Cristo e sono chiamati a proclamare il Vangelo. Le differenze emergono quando si tratta di capire il rapporto preciso che esiste tra il sacerdozio battesimale comune a tutti i credenti e il sacerdozio specifico ministeriale. A tal proposito, il Concilio Vaticano Secondo ravvisa la differenza tra le due forme di sacerdozio non al livello soggettivo-personale della vocazione, ma al livello oggettivo-teologico della missione: “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo.”[18]

La questione in sospeso che necessita ulteriori discussioni nel dialogo con le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma è capire se il ministero ecclesiale è costituito da una realtà specifica avente natura “ontologica” e si fonda su una consacrazione sacramentale, così che è propria del sacerdozio ministeriale un’identità sacramentale, conformemente alla visione cattolica, oppure se il ministero ecclesiale deriva direttamente dal sacerdozio battesimale comune a tutti i credenti essendo conferito dalla comunità dei fedeli e per questo si chiama “ordinazione”.

Quest’ultima prospettiva si è delineata in modo più marcato con l’introduzione dell’ordinazione delle donne nelle Chiese della Riforma, nella misura in cui in tali Chiese, a causa dello stretto legame esistente tra il sacerdozio battesimale comune e il ministero vincolato all’ordinazione, l’ordinazione delle donne è vista come un elemento talmente essenziale che, quando altre Chiese rifiutano di praticarla, si rimprovera loro un “defectus ordinis”. Tuttavia, anche tralasciando questa questione che è diventata cruciale nei dialoghi ecumenici, la teologia protestante sul ministero sostiene generalmente la derivazione del ministero ordinato dal sacerdozio battesimale comune, quando la specificità del ministero ordinato è ravvisata nel carattere pubblico, più precisamente nel compito pubblico della “proclamazione del Vangelo attraverso la parola e il sacramento all’interno della comunità”[19].

 

c) Un’istituzione divina o una delega della comunità dei fedeli?

Si pone quindi la questione, importante dal punto di vista ecumenico, se il ministero sia costitutivo dell’essere Chiesa e appartenga alla sua essenza, all’ “esse ecclesiae”, oppure se appartenga semplicemente al “bene esse” e sia quindi a discrezione della Chiesa. Se si considera la Confessio Augustana, lo scritto confessionale luterano di base, i fatti sono chiari. L’articolo sul ministero ecclesiale segue direttamente l’articolo sulla giustificazione e sottolinea che il ministero “che proclama il vangelo e amministra i sacramenti” è istituito in modo che possiamo acquisire la fede nella giustificazione: “La parola e i sacramenti sono infatti quei mezzi attraverso i quali è donato lo Spirito Santo. Esso opera la fede dove e quando piace a Dio”.[20]

Nell’articolo 7 della Confessio Augustana, fondamentale per l’ecclesiologia, la Chiesa è definita “assemblea di santi”, “in cui il Vangelo è insegnato in modo puro (“pure”) e i sacramenti sono amministrati correttamente (“recte”)”; si aggiunge poi che è “sufficiente” (“satis est”) per la vera unità della Chiesa, “che vi sia un consenso sull’insegnamento del Vangelo e sull’amministrazione dei sacramenti”. In termini ecumenici è importante il modo in cui viene interpretato questo “satis est”. Da un lato, si sottolinea che il “satis est” non suggerisce in alcun modo che il ministero e la sua responsabilità per l’ordinamento siano irrilevanti per l’unità della chiesa, ma si fa piuttosto presente che il ministero ecclesiale non è esplicitamente menzionato nell’articolo 7 relativo all’ecclesiologia, perché è stato già trattato nel quinto articolo come ministero di predicazione che trasmette la fede giustificante. In questo senso, Vinzenz Pfnür indica, come oggetto di consenso ecumenico, il fatto che il ministero “non è affatto da classificare tra le <cerimonie istituite dagli uomini>”, e conclude: “La CA, come gli scritti confessionali luterani in generale, ritengono che il ministero ecclesiale derivi non dal sacerdozio universale, ma dalla missione e dall’incarico di Dio.”[21] Sorge allora la questione di come possa conciliarsi la Concordia di Leuenberg, firmata anche dalle Chiese luterane, con la Confessio Augustana, se nell’articolo 2 della Concordia si legge: “La Chiesa si fonda unicamente su Gesù Cristo, che la raduna e la invia in missione rivolgendo ad essa la sua salvezza nella predicazione e nei sacramenti. Secondo la visione della Riforma, necessario e sufficiente per la vera unità della Chiesa è dunque il consenso sul giusto insegnamento del Vangelo e sulla giusta amministrazione dei sacramenti”. Ma qui, il “satis est” della Confessio Augustana non è forse interpretato come “necessario e sufficiente”, così che il ministero non è più considerato un elemento essenziale della Chiesa?[22]

Ciò solleva la questione, ancora più fondamentale, di capire se oggi esista un consenso ecumenico sul fatto che il ministero ecclesiale sia istituito da Dio. Ancora una volta si può affermare che lo situazione era chiara per i teologi della Riforma di Wittenberg. Martin Lutero ha parlato della “status del parroco istituito da Dio, che deve governare una comunità con prediche e sacramenti”[23]. Egli ha enfaticamente sottolineato che il ministero è stato istituito con la morte di Gesù Cristo: “L’ha davvero comprato a caro prezzo, affinché questo ministero fosse in tutto il mondo”.[24] Ecco perché Filippo Melantone poté definire l’ordinazione addirittura come un sacramento: “Ma se l’ordinazione è compresa a partire dal ministero della Parola, non saremmo riluttanti a chiamare l’ordinazione un sacramento. Il ministero della Parola ha infatti il mandato di Dio e si fa carico di grandi promesse”.[25] Nonostante queste chiare affermazioni, all’interno della teologia luterana, specialmente dal XIX secolo fino ad oggi, rimane in definitiva indecisa la questione se il ministero ordinato si fondi su un’istituzione divina o su una delega della comunità dei fedeli. È possibile pervenire a una risposta quando si interpellano le Chiese luterane oggi sul loro modo di interpretare l’ordinazione.

 

d) L’ordinazione come necessità teologica o come adiaphoron?

Al riguardo, vi è una grande varietà di posizioni, che va dalla definizione dell’ordinazione come necessità teologica per la comprensione del ministero, fino all’inclusione dell’ordinazione tra le cosiddette adiaphora, cioè quelle realtà che non sono né richieste né proibite dal Vangelo.[26] Per citare solo due esempi: nel 1990, i vescovi luterani svedesi hanno pubblicato una lettera sul ministero nella Chiesa intitolata “Vescovo, sacerdote e diacono nella Chiesa di Svezia”. In questa lettera, il ministero ecclesiale è indicato come “il dono e la dote di Dio”, che forma una “parte della struttura di base della Chiesa”, che è “tripartita”, che si trasmette “attraverso la preghiera e l’imposizione delle mani nell’ordinazione”, e che non può andare persa. L’ordinazione è intesa come “azione orante della Chiesa”, “nella quale la vocazione divina al ministero per tutta la vita trova la sua espressione e la sua conferma”.

In netto contrasto con ciò, nella Chiesa evangelica in Germania i vescovi o i presidenti di Chiesa sono visti come parroci con compiti di leadership sovraregionali affidati loro per un certo periodo di tempo, e che quindi non sono ordinati ma introdotti nel loro nuovo ministero. Una differenza ancora più evidente può essere ravvisata nella Chiesa evangelica luterana unita di Germania (VELKD), che nel 2006 ha pubblicato il suo documento “Ordnungsgemäss berufen”, dove si parte dal presupposto che vi sia una corrispondenza oggettiva tra l’ordinazione di teologi per lo più accademicamente formati e l’incarico affidato a predicatori altrettanto qualificati. Poiché l’impressione che ne deriva è che l’ordinazione sia un tipo particolare di incarico, viene esclusa un’interpretazione sacramentale dell’ordinazione, prevista invece nella Confessio Augustana 14, motivo per cui il documento della VELKD osserva espressamente: “Qualsiasi interpretazione della trasmissione del ministero nel senso di una consacrazione va respinta.”[27] Con Stefan Scholz, si dovrà vedere in ciò la “chiara confessione di un’interpretazione funzionale dell’ordinazione” e quindi una “via particolare del protestantesimo”[28].

Gli esempi menzionati evidenziano che nel luteranesimo non esiste un ampio e chiaro consenso sul modo di intendere l’ordinazione. Poiché nell’apologia della Confessio Augustana 13,11 l’ordinazione è definita in senso più ampio come una realtà sacramentale e poiché lo stesso Lutero ha usato entrambi i termini “ordinazione” e “consacrazione” in maniera sinonimica, è particolarmente sorprendente che anche le Chiese luterane più marcatamente confessionali, ovvero più fedeli al Libro di Concordia, qualifichino l’ordinazione addirittura come “adiaphoron”. C. F. W. Walther, il fondatore del Sinodo del Missouri, ha infatti scritto: “L’ordinazione è un adiaphoron, una via di mezzo, non fa né la vocazione né il ministero, ma li conferma solo, così come la copulazione ecclesiale non fa il matrimonio, ma solo conferma il matrimonio che è già stato concluso.”[29]

Da questi pochi accenni risulta evidente che, partendo dall’esame dell’interpretazione e della pratica dell’ordinazione, si dovrebbe tentare di chiarire il modo in cui il ministero ecclesiale è inteso nelle Chiese della Riforma e nei dialoghi ecumenici, come giustamente sottolinea Augustinus Sander: “Le decisioni teologiche finali vengono prese nel servizio divino della Chiesa. Alla presenza del Dio vivente, le nostre parole e le nostre azioni devono essere vere. Tutte le liturgie ecclesiali devono rispondere a questa esigenza, comprese le formule di ordinazione nel luteranesimo.”[30] Questo postulato è particolarmente pregnante quando si tratta di un possibile riconoscimento dei ministeri nelle Chiese della Riforma da parte della Chiesa romano-cattolica. In questo senso, l’ecumenista protestante Wolfhart Pannenberg ritiene tale riconoscimento possibile solo a condizione che “le Chiese protestanti comprendano la loro pratica di ordinazione nel senso degli scritti confessionali luterani, come espressione di una legge di emergenza non riconducibile al sacerdozio universale dei fedeli quale fonte di un potere ministeriale stabilito per delega; altrimenti, esse svilupperebbero un concetto alternativo di ministero e di ordinazione, incompatibile con la tradizione seguita al riguardo dalla Chiesa romano-cattolica.”[31]

 

4. Dialoghi ecumenici e impegno ecclesiale

Come risultato di quanto precede, si può affermare che occorre fare una distinzione tra i documenti ecumenici, che oggi per lo più affermano o postulano un ampio consenso sulla questione del ministero, e la realtà ecclesiale concreta nelle Chiese della Riforma, che spesso puntano in una direzione diversa, come mostra un esempio attuale: il Gruppo di lavoro ecumenico di teologi protestanti e cattolici in Germania ha recentemente presentato un voto, nel quale si postula “la partecipazione reciproca alle rispettive celebrazioni della Cena del Signore / Eucaristia nel rispetto di ciascuna tradizione liturgica, da considerarsi come teologicamente fondata”. Questo voto include anche il riconoscimento dei ministeri di guida ecclesiale, “come previsti dalla comunità celebrante che, nel nome di Gesù Cristo, invita i battezzati di altre confessioni a partecipare alla celebrazione”[32]. Questo voto si basa sulla convinzione che, in merito alla questione del ministero, sia stato raggiunto un consenso di vasta portata, che permette di considerare “il ministero ordinato nelle sue diverse manifestazioni confessionali come avente un fondamento apostolico”.

D’altro canto, il Consiglio della Chiesa evangelica in Germania (EKD), che accoglie e approva il voto, ha una visione completamente diversa del ministero ecclesiale. Infatti, esso sottolinea che la Riforma ha portato a un “ordinamento completamente nuovo di Chiesa”, consistente nel fatto che ogni cristiano “può in linea di principio amministrare i sacramenti, cioè amministrare il battesimo e distribuire la Cena del Signore” e che solo “per questioni di ordinamento” ci sono uomini e donne pastori “che esercitano in modo speciale i compiti affidati a tutti i cristiani, ovvero che sono qualificati e pubblicamente chiamati a farlo. La comunità dei fedeli assegna loro il ministero, che deve assicurare l’adeguatezza e la continuità della predicazione del Vangelo e dell’amministrazione dei sacramenti. I pastori non hanno una qualità spirituale speciale, ma hanno una vocazione speciale.”[33] Non è chiaro come questa posizione possa conciliarsi con il consenso postulato nel voto sulla questione del ministero.

Da queste osservazioni si può solo trarre la conclusione che i documenti delle Commissioni ecumeniche, per quanto lodevoli, non sono sufficienti per giungere a dichiarazioni vincolanti di consenso ecumenico anche e soprattutto sulla questione del ministero. Piuttosto, solo quei documenti che sono stati ricevuti nelle rispettive Chiese e accettati autorevolmente dai loro responsabili ecclesiali possono segnare svolte importanti per il futuro. Da ciò si comprende l’importanza speciale rivestita dalla “Dichiarazione Congiunta sulla dottrina della giustificazione”, che, concordata tra la Federazione Luterana Mondiale e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani a nome della Chiesa cattolica il 31 ottobre 1999 ad Augusta, rappresenta sicuramente una pietra miliare nelle relazioni ecumeniche tra la Chiesa cattolica e il luteranesimo.[34]

La formula usata nella Dichiarazione Congiunta “Consenso su verità fondamentali della dottrina della giustificazione” indica con onestà che non è stato ancora raggiunto un consenso, soprattutto sulle conseguenze di questa dottrina per la comprensione del concetto di Chiesa e per la questione del ministero.[35] Poiché le questioni ancora aperte sono legate a una comprensione più precisa del concetto di Chiesa e di missione del ministero ecclesiale, adesso le implicazioni che il consenso raggiunto presenta dal punto di vista dell’ecclesiologia e della teologia del ministero devono figurare all’ordine del giorno dei dialoghi ecumenici. La discussione di tali tematiche potrebbe essere un ulteriore passo in avanti sulla via dell’intesa ecumenica, che potrebbe portare all’elaborazione di una futura dichiarazione congiunta su Chiesa, Eucaristia e ministero, nel loro intrinseco legame,[36] analoga alla “Dichiarazione Congiunta sulla dottrina della giustificazione”.

Va costatato con gratitudine che questo argomento viene affrontato da vari dialoghi nazionali: il dialogo luterano-cattolico negli Stati Uniti ha già prodotto una “Dichiarazione in cammino: Chiesa, ministero ed Eucaristia”[37], e anche il dialogo nazionale in Finlandia ha pubblicato al riguardo l’ampia dichiarazione “Comunione crescente”[38]. Da una prospettiva ecumenica, sarà importante progredire basandosi sugli utili lavori preliminari. Infatti, una simile Dichiarazione congiunta su Chiesa, Eucaristia e ministero permetterebbe senz’altro di compiere un decisivo passo in avanti verso il chiarimento della questione del ministero da un punto di vista ecumenico, e ciò potrebbe rappresentare una tappa importante sulla via verso la visibile comunione ecclesiale ed eucaristica, obiettivo finale di tutti gli sforzi ecumenici.

 

 

[1] W. Beinert / U. Kühn, Ökumenische Dogmatik (Leipzig – Regensburg 2013) 557.
[2]  Ciò vale anche quando non vi è un rapporto vincolante con colui che esercita il ministero petrino quale fondamento gerarchico dell´unità tra le singole Chiese e la Chiesa universale, e dell´unità tra le singole Chiese.
[3] J. Feiner, Kommentar zum Dekret über den Ökumenismus, in: Lexikon für Theologie und Kirche. Band 13 (Freiburg i. Br. 1967) 40-126, bes. 50-58 und 92-93.
[4] Relatio König vom 19. November 1963, in: Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II / 5, 552-554.
[5] Unitatis redintegratio, n. 22.
[6] Dichiarazione Dominus Iesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa.
[7] Dominus Iesus, n. 17. Per evitare questa definizione, diventata motivo di aspre critiche nelle Comunità protestanti e anche in ambienti ecumenici, il Cardinale Walter Kasper ha suggerito di parlare di un tipo diverso di Chiesa. Cfr. Situation und Zukunft der Ökumene, in: Theologische Quartalschrift 181 (2001) 175-190, cit. 185. Anche Papa Benedetto XVI ha usato la stessa terminologia, quando ha sottolineato che le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma sono Chiese “in maniera diversa”: “non sono, come esse stesse affermano, Chiese inscrite nella grande tradizione antica”. Cfr. Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald (Città del Vaticano 2010) 140.
[8] Cfr. K. Cardinal Koch, Auf dem Weg zur Wiederherstellung der einen Kirche in Ost und West, in: D. Schon (Hrsg.), Dialog 2.0 – Braucht der orthodox-katholische Dialog neue Impulse? = Schriften des Ostkircheninstituts der Diözese Regensburg (Regensburg 2017) 19-41.
[9] Documentato in: H. Meyer, D. Papandreou, H. J. Urban, L. Vischer (Hrsg.), Dokumente wachsender Übereinstimmung. Band 2: 1982-1990 (Paderborn – Frankfurt a. M. 1992) 556-565. I numeri nel  testo si referiscono a questo documento.
[10] Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti delle Chiese ortodosse e ortodosse orientali, a Freiburg im Breisgau, il 24 settembre 2011.
[11] Das Geheimnis der Kirche und der Eucharistie im Licht des Geheimnisses der Heiligen Dreifaltigkeit, in: H. Meyer, D. Papandreou, H. J. Urban, L. Vischer (Hrsg.), Dokumente wachsender Übereinstimmung. Band 2: 1982-1990 (Paderborn – Frankfurt a. M. 1992) 531-539.
[12] Benedetto XVI, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald (Città del Vaticano, 2010) 133.
[13] Ibid 132.
[14] J. Kardinal Ratzinger, Die ökumenische Situation – Orthodoxie, Katholizismus und Reformation, in: Ders. Theologische Prinzipienlehre (München 1982) 203-214, zit. 204.
[15] Bernardo di Chiaravalle, De consideratione ad Eugenium papam IV 3, 6.
[16] Lumen gentium, n. 21.
[17] Cfr. K. Kardinal Koch, Der Bischof als Bindeglied der Katholizität. Die episkopale Dimension der katholischen Ekklesiologie, in: Ders., Gottes Freude und Freude an Gott. Perspektiven heutiger Glaubensverantwortung (Freiburg i. Br. 2020) 296-338.
[18] Lumen gentium, n. 10.2.
[19] Die Apostolizität der Kirche. Studiendokument der Lutherisch / Römisch-katholischen Kommission für die Einheit (Paderborn – Frankfurt a. M. 2009) Nr. 200.
[20] Confessio Augustana, articolo 5.
[21] V. Pfnür, Einig in der Rechtfertigungslehre? Die Rechtfertigungslehre in der Confessio Augustana (1530) und die Stellungnahme der katholischen Kontroverstheologie zwischen 1530 und 1535 (Wiesbaden 1970) 378f.
[22] Nel documento “La Chiesa di Gesù Cristo”, tuttavia, si sottolinea che le Chiese che hanno firmato la Concordia di Leuenberg o che vi hanno aderito concordano “che <il ministero ordinato> appartiene alla natura della Chiesa” (2.5.1.1). Si afferma anche che “il ministero della predicazione pubblica è conferito mediante l’ordinazione” (2.5.1.2). Cfr. Die Kirche Jesu Christi. Der reformatorische Beitrag zum ökumenischen Dialog über die kirchliche Einheit. Im Auftrag des Exekutivausschusses für die Leuenberger Kirchengemeinschaft hrsg. von W. Hüffmeier = Leuenberger Texte 1 (Frankfurt a. M. 1995). Poiché si tratta di un testo che è stato redatto e pubblicato dopo la conclusione della comunione di Chiese, non si può concludere da esso che le affermazioni in esso contenute sul ministero siano state realizzate in tutte le Chiese membro della Concordia di Leuenberg, tanto più che in esso si sostiene anche con fermezza che “nessuna forma di leadership ecclesiale e di struttura del ministero storicamente sviluppatasi può e deve essere applicata come precondizione per la comunione e per il mutuo riconoscimento” (2.5.1.1).
[23] M. Luther, An den christlichen Adel deutscher Nation, 1520, in: WA 6; 441, 24f.
[24] M. Luther, Eine Predigt, das man Kinder zur Schulen halten solle, 1530, in: WA 30/II; 526, 34.
[25] Ph. Melanchthon, Apologia Confessionis Augustanae XIII, in: Die Bekenntnisschriften der evangelisch-lutherischen Kirche (Göttingen 1976, 7. Auflage) 139-404, zit. 293, 42: „Si autem ordo de ministerio verbi intelligatur, non gravatim vocaverimus ordinem sacramentum.“
[26] Cfr. A. Sander OSB, Die Ordination im Luthertum. Bedenkenswertes und Bedenkliches, in: Heiliger Dienst 61 (2007) 249-261.
[27] Bischofskonferenz der VELKD, „Ordnungsgemäss berufen.“ Eine Empfehlung der Bischofskonferenz der VELKD zu Berufung zu Wortverkündigung und Sakramentsverwaltung nach evangelischem Verständnis (Hannover 2006) 17.
[28] S. Scholz, Viele sind berufen, aber nur wenige auserwählt? Ein Vorschlag zur Abschaffung der Ordination, in: Deutsches Pfarrerblatt 106 (2006) 246-248.
[29] C. F. W. Walther, Americanisch-Lutherische Pastoraltheologie (St. Louis 1875 Zweite Auflage 1875) 65.
[30] A. Sander OSB, Die Ordination im Luthertum. Bedenkenswertes und Bedenkliches, in: Heiliger Dienst 61 (2007) 249-261, zit. 261.
[31] W. Pannenberg, Systematische Theologie. Band 3 (Göttingen 1993) 440.
[32] Gemeinsam am Tisch des Herrn. Ein Votum des ökumenischen Arbeitskreises evangelischer und katholischer Theologen. Hrsg. von D. Sattler und V. Leppin (Freiburg i. Br. – Göttingen 2020) Nr. 8. 1 und 8. 3.
[33] Rechtfertigung und Freiheit. 500 Jahre Reformation 2017. Ein Grundlagentext des Rates der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD) (Gütersloh 2014) 90-91.
[34] Cfr. K. Kardinal Koch, Ein Meilenstein auf dem Weg zur Einheit der Kirche. Die Gemeinsame Erklärung zur Rechtfertigungslehre als ökumenische Errungenschaft und als bleibende Herausforderung, in: B. Oberdorfer, Th. Söding (Hrsg.), Wachsende Zustimmung und offene Fragen. Die Gemeinsame Erklärung zur Rechtfertigungslehre im Licht ihrer Wirkung (Freiburg i. Br. 2019) 371-402.
[35]  La Dichiarazione stessa menziona le questioni che esigono ulteriori chiarificazioni: “Esse riguardano, tra l´altro, la relazione esistente tra Parola di Dio e insegnamento della Chiesa, l´ecclesiologia, l´autorità nella Chiesa e la sua unità, il ministero e i sacramenti, e infine la relazione tra giustificazione e etica soziale.“ Dichiarazione Congiunta sulla dottrina della giustificazione, n. 43.
[36] Cfr.  K. Koch, Auf dem Weg zur Kirchengemeinschaft. Welche Chance hat eine gemeinsame Erklärung zu Kirche, Eucharistie und Amt? in: Catholica 69 (2015) 77-94.
[37] Bishop’s Committee for Ecumenical and Interreligious Affairs – United States Conference of Catholic Bishops and Evangelical Lutheran Church in America, Declaration on the Way: Church, Ministry and Eucharist (2015).
[38] Evangelical Lutheran Church of Finland, Catholic Church in Finland (Ed.), Communion in Growth. Declaration on the Church, Eucharist, and Ministry. A Report from the Lutheran-Catholic Dialogue Commission for Finland (Helsinki 2017).