Il percorso in senso sinodale
della Commissione congiunta anglicano-cattolica
Imparare gli uni dagli altri
Reverendo Anthony Currer
Officiale della sezione occidentale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani
Nel 1967, durante la seconda riunione della Commissione preparatoria congiunta anglicano-cattolica (la prima commissione di dialogo ufficiale tra le due comunioni), furono presentati quattro interventi sull’autorità nella Chiesa (gli interventi da parte cattolica erano quelli di Louis Bouyer e Johannes Willebrands). I verbali che annotano la discussione tenutasi in seguito alle presentazioni degli esperti iniziano con l’affermare: «C’era un accordo sul fatto che il sensus fidei di tutti i fedeli fosse l’autorità suprema». Si tratta di un accordo significativo. La Commissione preparatoria congiunta sapeva che non esisteva facile soluzione alle divergenze riguardanti il ministero del Vescovo di Roma. Tuttavia, questa affermazione costituì una base sulla quale andare avanti; essa offrì un approccio che permise sia agli anglicani sia ai cattolici di ricontestualizzare le decisioni del concilio Vaticano I in una cornice più ampia. Con il processo sinodale avviato nell’ottobre dello scorso anno, processo che esprime “il sensus fidei di tutti i fedeli”, la Chiesa cattolica continua ad approfondire la sua visione dell’autorità attraverso la lente della sinodalità. Sembra quindi un momento opportuno per guardare al contributo apportato sull’argomento dal dialogo ecumenico con la Comunione Anglicana.
La sinodalità nelle dichiarazioni di Arcic
La prima fase della Commissione internazionale anglicano-cattolica (Arcic I 1970-1981) ha prodotto due documenti sull’autorità, il primo dei quali, Authority in the Church I (1976), ha cercato di stabilire un consenso sui principi di base. Primo tra questi principi fondamentali concordati è la missione della Chiesa: condurre tutti «ad accettare l’opera salvifica di Dio in Cristo» (14). Per fare questo, prosegue il documento, «non basta che la Chiesa ripeta semplicemente le parole apostoliche originarie», ma è necessario che le «traduca profeticamente» affinché le persone di diverse culture nel mondo contemporaneo possano riceverle (15). Questo compito è di tutto il popolo di Dio: «La percezione di ciò che è la volontà di Dio per la sua Chiesa non appartiene solo al ministero ordinato, ma è condivisa da tutti i membri della Chiesa. Tutti coloro che vivono fedelmente all’interno della koinonia possono diventare sensibili alla guida dello Spirito ed essere portati verso una comprensione più profonda del Vangelo e delle sue implicazioni in diverse culture e in varie situazioni» (6).
Arcic descrive un continuo processo di riflessione per cui tutto il popolo di Dio discerne nella preghiera ciò a cui il Vangelo ci chiama oggi; i ministri ordinati danno un’espressione autorevole a questo discernimento, e poi la comunità valuta e risponde all’insegnamento offerto. Ciò che conferisce autorità a questo processo è la presenza dello Spirito Santo. È lo Spirito che permette alla Chiesa di giungere a un accordo per annunciare il Vangelo per la salvezza di tutti. L’autorità è data a individui e a organismi nella Chiesa per servire la koinonia, ovvero per rafforzare la comunione tra le Chiese e tra i singoli cristiani. Pertanto il primato, esercitato da un vescovo in una diocesi, o da un metropolita o dal Vescovo di Roma, ha il compito di «aiutare le Chiese ad ascoltarsi reciprocamente, a crescere nell’amore e nell’unità, e a tendere insieme verso la pienezza della vita e della testimonianza cristiana» (21). Nel concludere le sue riflessioni sull’autorità, Arcic ha rilevato l’esistenza di un accordo tra anglicani e cattolici sul fatto che «la Chiesa ha bisogno sia di un’autorità multipla e decentrata, nella quale tutto il popolo di Dio è attivamente coinvolto, sia di un primate universale come servitore e fulcro dell’unità visibile nella verità e nell’amore» (Authority in the Church, 33).
Nella loro prefazione ad Authority in the Church I , i co-presidenti di Arcic osservano che se la visione dell’autorità contenuta nel documento fosse accettata, avrebbe implicazioni significative per la vita di entrambe le comunioni. I co-presidenti sostengono che la visione della commissione richiede umiltà, carità e disponibilità di apprendimento e sottolineano in particolare che: «La Chiesa romano-cattolica ha molto da imparare dalla tradizione sinodale anglicana consistente nel coinvolgere i laici nella vita e nella missione della Chiesa» (Prefazione dei co-presidenti ad Authority in the Church I ). Quest’affermazione anticipa le parole di Papa Francesco in Evangelii gaudium; qui, il Santo Padre commenta la nostra necessità di raccogliere ciò che lo Spirito ha seminato negli altri cristiani e che è un dono anche per noi, e continua: «Solo per fare un esempio, nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità» (246). Se Papa Francesco cita un esempio di scambio di doni mediante il quale «lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene», Arcic ne offre un altro: possiamo infatti imparare la sinodalità sia dai nostri fratelli e sorelle ortodossi che dai nostri fratelli e sorelle anglicani.
La seconda fase della Commissione (Arcic II , 1983-2005) ha sviluppato la sua riflessione sull’esercizio dell’autorità nella dichiarazione del 1999, The Gift of Authority. Questo documento dedica un’ampia attenzione alla sinodalità. Riconoscendo la «reciproca interdipendenza di tutte le Chiese», il testo afferma che «le forme di sinodalità… sono necessarie per manifestare la comunione delle chiese locali e per sostenere ciascuna di esse nella fedeltà al Vangelo» (37). Il ruolo del vescovo è cruciale per queste forme sinodali, perché egli ha il compito di articolare il sensus fidelium della sua Chiesa locale in modo tale che la fede della Chiesa locale venga percepita nella comunione più ampia, e di articolare la fede della comunione più ampia in modo tale che la Chiesa locale possa imparare dalle altre Chiese (cfr. paragrafo 38).
Nei paragrafi conclusivi, The Gift of Authority menziona alcune delle sfide che riguardano le due comunioni. Le questioni poste ai cattolici sono legate al coinvolgimento di clero e laici negli organi sinodali, all’attuazione della visione espressa dal Vaticano II sulla collegialità dei vescovi, ai processi di consultazione tra il Vescovo di Roma e le Chiese locali, e al modo in cui vengono prese in considerazione le divergenti opinioni teologiche nel processo decisionale.
Più recentemente la Commissione, giunta alla sua terza fase, Arcic III (dal 2011 ad oggi), è tornata su questo tema nella dichiarazione Walking Together on the Way: Learning to be Church – Local, Regional, Universal. Questo documento illustra, in maniera più programmatica rispetto ai documenti precedenti, le strutture e gli “strumenti di comunione” che operano a livello locale, regionale e mondiale in ciascuna delle due tradizioni. Anche qui, la base su cui poggiano tutte queste strutture è ciò che il documento descrive come “il senso della fede” (sensus fidei fidelium) ricevuto nel battesimo. Tuttavia, mentre i precedenti documenti di Arcic parlano di questo sensus fidei principalmente riferendosi al ruolo riflessivo di valutare e ricevere gli insegnamenti dell’autorità religiosa, l’enfasi di Walking Together on the Way è posta sull’ascolto del sensus fidei fidelium e sui processi di consultazione. Il documento afferma che «l’indefettibilità della Chiesa, come pure l’esperienza del disaccordo nella Chiesa, richiede strutture che facilitino la condivisione più piena possibile dell’esperienza di Cristo e dei doni dello Spirito fra tutti i battezzati» (54). Walking Together on the Way adotta il metodo dell’ecumenismo ricettivo, chiedendosi che cosa ogni comunione può imparare, con integrità, dall’altra. Non potendo qui, per limiti di spazio, commentare tutto l’apprendimento ricettivo proposto nel documento, mi limiterò ad offrire due esempi di ciò che i cattolici possono imparare dai processi anglicani. Il documento suggerisce un potenziale apprendimento da parte dei cattolici in riferimento al ministero dell’arcivescovo di Canterbury, il cui compito è «quello di sintetizzare le discussioni degli strumenti di comunione in vista dell’articolazione del consenso, e quindi in larga misura egli è vincolato dai processi del discernimento comune» (145). Riflettendo sull’approccio anglicano al processo di discernimento e di insegnamento, il testo osserva che «occorre tempo prima che la Chiesa giunga a un giudizio finale» e si chiede se i cattolici debbano imparare a vivere con un maggiore senso di provvisorietà, lasciando «spazio a quegli strumenti che non possono dare giudizi della più alta autorità». Il testo prosegue: «imparare a vivere con un insegnamento che è migliorabile darebbe spazio alla sperimentazione e al discernimento dell’insegnamento proposto» (148).
Conclusione
Mentre alcuni cattolici temono che apprendere le vie della sinodalità da partner ecumenici possa portare ad alcune delle dolorose divisioni che queste comunioni mondiali hanno sperimentato, i documenti ecumenici chiariscono che l’apprendimento ecumenico ricettivo è un processo a doppio senso. I nostri partner riconoscono la necessità di apprendere mezzi di discernimento che siano meno divisivi, meno influenzati dai diversi schieramenti e più orientati verso il consenso. Questo spesso significa porre maggiore enfasi sui processi di ascolto (si veda ad esempio il metodo anglicano di indaba). Riflettendo su alcune delle loro esperienze più dolorose, i nostri interlocutori ecumenici giungono spesso ad apprezzare maggiormente il ministero del Vescovo di Roma al servizio della koinonia.
Il prossimo anno, mentre la Chiesa cattolica porterà avanti il proprio processo sinodale con la partecipazione dei nostri partner ecumenici, la Comunione anglicana mondiale terrà due importanti incontri sinodali. A marzo avrà luogo per la prima volta a Roma l’incontro dei Primati, che riunisce di solito a Canterbury, ogni due anni, i responsabili delle quaranta province anglicane. L’incontro intende seguire lo schema delle visite ad limina dei vescovi, comprendendo nel suo programma pellegrinaggi alle tombe degli apostoli, visite ad alcuni uffici della Curia romana e un’udienza con Papa Francesco. A luglio/agosto, tutti i vescovi della Comunione anglicana si incontreranno poi a Canterbury per la XV Conferenza di Lambeth. Ad essa parteciperà una delegazione di sette rappresentanti cattolici; altri cattolici dovrebbero essere invitati a prendere la parola come ospiti personali dell’arcivescovo di Canterbury. Questi eventi saranno una proficua occasione per anglicani e cattolici, spingendo le due comunioni a camminare insieme e permettendo a ciascuna di imparare da ciò che lo Spirito ha seminato nell’altra.
L'Osservatore Romano, 22 gennaio 2022