UNA STORIA DI SUCCESSO

Le relazioni con la Federazione luterana mondiale
e con la Comunità delle Chiese protestanti d'Europa*

 

Matthias Türk

Officiale della Sezione occidentale
Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani

 

Nel duomo evangelico-luterano di Lund, in Svezia, ormai da tempo, di nuovo vengono celebrate regolarmente messe cattoliche. Questo perché la parrocchia cattolica della città, la chiesa di San Tommaso, è chiusa temporaneamente per lavori di ristrutturazione. «Si tratta di una collaborazione davvero unica tra la comunità cattolica e la nostra comunità, un proseguimento dell’amicizia che si è sviluppata tra noi», spiega il pastore luterano della cattedrale, la reverenda Lena Sjöstrand.

In seguito alla storica celebrazione di Papa Francesco e dell’allora presidente della Federazione luterana mondiale, il vescovo Munib Younan, tenutasi alla presenza di numerosi rappresentanti ecumenici internazionali nel duomo di Lund, per inaugurare l’anno commemorativo della Riforma, il 31 ottobre 2016, le due comunità locali si sono progressivamente avvicinate l’una all’altra. 

Un altro esempio di questa cooperazione sono i vespri ecumenici celebrati ogni mese alternativamente nel duomo evangelico-luterano e nella chiesa cattolica di San Tommaso. Nello stesso spirito, il duomo luterano apre le porte ai fedeli cattolici per la celebrazione della messa cattolica domenicale; così facendo, si ricollega ai tempi che precedettero la Riforma, quando la cattedrale di Lund era dedicata a san Lorenzo. 

La messa cattolica nel duomo attuale protestante non è solo una soluzione pratica; per la comunità parrocchiale del duomo, questa collaborazione ecumenica è un modo di attuare concretamente il documento Dal conflitto alla comunione pubblicato nel 2013 dalla Commissione luterano-cattolica per l’unità, in preparazione all’anno commemorativo della Riforma. Tenendo conto della storia della separazione tra cattolici e luterani durata 500 anni, questo documento ecumenico fondamentale riflette sui 50 anni di amicizia e di dialogo intenso tra le due comunità. 

«L’incontro, durante il quale il vescovo Munib Younan, l’allora presidente della Federazione luterana mondiale, e Papa Francesco hanno firmato una dichiarazione congiunta per intensificare la cooperazione ecumenica, ha toccato tantissime persone; siamo lieti che non si tratti di un evento del passato, ma che vi sia una vera continuità che rafforza le nostre relazioni», è stato fatto osservare da parte luterana. A causa delle differenze che tuttora permangono nella dottrina sacramentale della Chiesa, nell’Eucaristia e nel ministero ordinato, cattolici e luterani non possono ancora celebrare insieme la santa messa nel duomo di Lund. Tuttavia, invece di concentrarsi su ciò che separa le due confessioni, essi intendono rafforzare ciò che hanno in comune. E questo esempio rispecchia una vera e propria storia di successo, che ha caratterizzato il dialogo luterano-cattolico per decenni. Non solo nel nord dell’Europa, ma in molte altre parti del mondo, le relazioni ecumeniche si sono sviluppate e sono diventate parte integrante della vita quotidiana. Nel mondo ecumenico già si parla del Lund event, dell’“evento di Lund”.

Oggi, volgendo lo sguardo al passato, possiamo guardare a oltre cinquant’anni di dialogo luterano-cattolico a livello internazionale. Già nel suo primo rapporto su «Chiesa e Vangelo» (1972), il dialogo raggiunse un consenso di significativa portata sulla comprensione della salvezza. Questo venne confermato dalla riflessione comune sul tema successivo, che portò al secondo rapporto, «Eucaristia» (1978). Risultò evidente ancora una volta che esisteva un consenso di base nella comprensione eucaristica e che solo la questione del ministero ecclesiale continuava a rappresentare un ostacolo. Il dialogo si concentrò pertanto su tale argomento. Il persistere di questioni irrisolte fu ricordato nel rapporto «Il ministero spirituale nella Chiesa» (1981). I partner coinvolti nel dialogo erano convinti che fosse necessario un passo ufficiale da parte delle più alte autorità ecclesiastiche per ricevere i risultati raggiunti. Una prima proposta venne pubblicata con il titolo «L’unità di fronte a noi» (1985). Seguirono ulteriori suggerimenti per elaborare una dichiarazione che enunciasse il consenso di base nella comprensione della salvezza e la necessità di revocare ufficialmente, da parte delle rispettive autorità ecclesiastiche, le condanne reciproche sollevate in questo campo nel XVI secolo. Ciò ha condotto alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, che è stata solennemente firmata dalla Chiesa cattolica e dalle Chiese della Federazione luterana mondiale il 31 ottobre 1999 ad Augusta. Questa importantissima dichiarazione è, sinora, l’unica a essere stata assunta come contenuto dottrinale dai partecipanti al dialogo. Con tale documento, ha preso avvio un processo tuttora in corso: la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione è diventata una tappa determinante sul cammino ecumenico degli ultimi tempi. Un altro contributo fondamentale apportato dalla Dichiarazione congiunta è di natura metodologica: il metodo ora ampiamente adottato è il “consenso differenziato” o “consenso differenziando” ed è strettamente correlato al concetto sottostante di unità. Se l’unità non è uniformità, allora il consenso, che porta a tale unità, deve adattarsi a questa e non contraddirla. Pertanto, il consenso non deve semplicemente sopportare in silenzio le legittime differenze che permangono, ma le deve specificatamente menzionare e accogliere come differenze riconciliate, non più cause di divisione. In questo senso, il consenso deve essere differenziato in se stesso. La Dichiarazione congiunta è proprio il miglior esempio di ciò. Essa evidenzia che esiste un consenso nella dottrina della giustificazione e che la stessa verità fondamentale viene espressa dai diversi partner in modi diversi. Dal momento che il termine “consenso differenziato” è spesso frainteso, come se ci si riferisse a un maggior o minor valore del consenso, preferiamo oggi parlare non di un differentiated consensusma di un differentiating consensus, ovvero di un “consenso che sa come differenziare”. Tale espressione rispecchia meglio ciò che è una possibilità fondamentale per molti dialoghi ecumenici. 

La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione è diventata nel frattempo una vera e propria storia di successo in campo ecumenico. Anche se non sono mancate voci critiche e note discordanti prima e dopo questo evento di ampia rilevanza teologica a livello internazionale e di grande impatto ecumenico, le principali Chiese e comunità cristiane d’occidente stanno convergendo ormai da quasi venti anni per apporre la propria firma a questo consenso su questioni fondamentali della fede cristiana. Oltre ai partner di dialogo cattolici e luterani della prima ora, il documento è stato firmato anche dal Consiglio metodista mondiale nel 2006 durante la sua assemblea generale a Seoul, nella Corea del Sud, e dal Consiglio mondiale delle chiese riformate nel 2017, a Wittenberg, in Germania. E l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, durante l’anno commemorativo della Riforma 2017, ha approvato il consenso da parte della Comunione anglicana, nel quadro di una solenne funzione religiosa ecumenica celebrata insieme ai rappresentanti dell’ecumenismo mondiale nell’abbazia di Westminster, a Londra. La Dichiarazione congiunta, nata nel 1999 come accordo bilaterale tra il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e la Federazione luterana mondiale, è diventata dunque un documento multilaterale, con ormai cinque partner ecclesiali riuniti in un consenso fondamentale della fede.

Nonostante ciò, rimane una certa critica che sostiene che l’unità dei cristiani ritrovata attraverso il consenso teologico si muove solamente su un piano astratto e teorico, e non ha alcun impatto concreto sull’attuale situazione pastorale vissuta localmente nelle varie comunità. Eppure, è vero anche il contrario. Accanto alla diffusione globale dei cosiddetti testi ecumenici di consenso, ormai tradotti in più di 30 lingue in tutto il mondo, il consenso, conseguito inizialmente a livello teologico, ha avuto e continua ad avere conseguenze pratiche nella pastorale quotidiana di chiese e comunità locali. Oggi i fedeli cristiani hanno coscienza dei rispettivi partner ecumenici e degli altri cristiani accanto a loro in modo più approfondito, in modo nuovo. Si è diffuso un interesse reciproco, che in molti luoghi si è trasformato in un vero e proprio senso di condivisione e di comunione. Di recente, lo stesso Papa Francesco, nel corso di una visita ai Paesi baltici, si è detto profondamente colpito dall’ecumenismo vissuto localmente, riferendosi alla preghiera comune e all’incontro fraterno nella cattedrale luterana di Riga: «Oserei dire che è un “ecumenismo vivo” e costituisce una delle caratteristiche peculiari della Lettonia». Non intaccati dalle esperienze più difficili, che sono inevitabili nelle relazioni ecumeniche, continuano a prosperare i casi di fiorente comunione ecumenica, dall’emisfero nord all’emisfero sud del mondo. Al riguardo, tanti esempi concreti sono stati menzionati recentemente dalla Federazione luterana mondiale, in riferimento agli stimoli forniti finora dal dialogo ecumenico: tra molte altre iniziative, ci sono azioni per esempio congiunte per lo sviluppo agricolo in Paesi lontani tra loro, come l’Estonia e l’Indonesia; comunità ecumeniche di preghiera nel nord della Germania e negli Stati Uniti; progetti sociali in favore dei disoccupati in Camerun e in Svezia; impegno politico e sociale in Brasile e nei Caraibi. Difatti, è proprio lo sforzo compiuto, a partire dai tempi del concilio Vaticano II, dal dialogo ecumenico ufficiale della Chiesa cattolica nel tentativo di pervenire a un consenso teologico che ha generato ripercussioni ecumeniche positive e molto concrete in tutti i campi della vita ecclesiale.

Al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani è affidato in modo particolare, dietro mandato diretto del Santo Padre, il compito di incoraggiare e mantenere il dialogo ecumenico bilaterale e multilaterale a livello mondiale. In questo contesto, una delegazione ecumenica della Finlandia, che, come ogni anno da decenni, si è recata in pellegrinaggio a Roma per la festa del santo patrono del Paese, san Henrik, guidata dall’ex vescovo luterano di Espoo e attuale arcivescovo di Turku, Tapio Luoma, e dal vescovo cattolico di Helsinki, monsignor Teemu Sippo, ha potuto incontrare Papa Francesco durante un’udienza privata il 25 gennaio 2018, e consegnargli il nuovo documento intitolato Communion in Growth. Declaration on Church, Eucharist and Ministry (“Comunione crescente. Dichiarazione su Chiesa, eucaristia e ministero”), prodotto dal dialogo teologico cattolico-luterano di Finlandia. I punti di convergenza contenuti nel testo a livello di comprensione sacramentale della Chiesa e di ordinazione costituiscono una solida base su cui proseguire la ricerca di una comunione eucaristica tra luterani e cattolici. Il consenso raggiunto in questo documento di studio dovrà essere introdotto dai partner di dialogo anche nelle conversazioni teologiche con le altre Chiese membro della Federazione luterana mondiale. Durante il soggiorno a Roma della delegazione finlandese, è stato dedicato a tale obiettivo un primo simposio internazionale tenutosi il 23 gennaio 2018 presso il Centro pro unione.

Anche il lavoro della quinta fase del dialogo della Commissione luterano-cattolica per l’unità tra la Federazione luterana mondiale e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani è ormai in fase di completamento e si propone di presentare nel 2019 un documento di studio su Battesimo e comunità ecclesiale crescente. La Commissione luterano-cattolica dovrà inoltre concentrarsi nei prossimi anni sul proseguimento del dialogo teologico sul tema «Chiesa, eucaristia e ministero», tenendo conto anche di altri risultati conseguiti sull’argomento a livello internazionale. 

Con la serie di consultazioni tenutesi dal 2013 al 2017 tra la Comunità delle Chiese protestanti in Europa (Ccpe) e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani su questioni attinenti all’ecclesiologia, la Chiesa cattolica è entrata per la prima volta in dialogo con una comunità di Chiese europee, che comprende, tra i protestanti, fedeli luterani, riformati, uniti e metodisti. L’aver allacciato a livello regionale un simile dialogo multilaterale con la Comunità di Chiese che fu fondata tramite la Concordia di Leuenberg è dovuto anche al fatto che la Ccpe si è accordata, per la prima volta dal tempo della Riforma, su un documento comune, il documento di studio del 1994 La Chiesa di Gesù Cristo, come un significativo contributo al dialogo ecumenico sull’unità. Sorprendentemente, è risultato evidente che, per quanto riguarda il tema «Chiesa e comunità ecclesiale», esistono maggiori convergenze di quelle immaginate precedentemente. Sulla base del nuovo rapporto finale sulle convergenze in materia di Chiesa e comunità ecclesiale, presentato nel corso dell’assemblea generale della Ccpe riunitasi dal 13 al 18 settembre 2018 a Basilea, è stato deciso, durante una liturgia solenne celebrata il 16 settembre 2018 nella cattedrale di Basilea, fra il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, Kurt Koch, e il presidente esecutivo della Ccpe, il reverendo Gottfried Locher, di avviare un dialogo ufficiale, al fine di approfondire le convergenze esistenti e conseguire, sulla loro base, ulteriori avvicinamenti. Al riguardo, è importante che i firmatari coordinino la futura linea di condotta con i loro partner confessionali.

Un dialogo ecumenico multilaterale, che va al di là del livello bilaterale, è stato considerato da parte cattolica come realizzabile, dal momento che precedenti colloqui preparatori, in forma di conversazioni dottrinali, hanno permesso di raggiungere un consenso concreto su questioni dottrinali, come è appunto avvenuto nel caso della Ccpe. 

Le buone relazioni bilaterali tra il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e la Federazione luterana mondiale sono state evidenti ancora una volta in occasione del commiato del presidente uscente del Comitato nazionale tedesco della Federazione luterana mondiale, il vescovo Ulrich, della Chiesa evangelica luterana del Nord, e l’entrata in funzione ufficiale del nuovo presidente, il vescovo July, della Chiesa evangelica luterana del Württemberg, il 3 dicembre 2018 ad Hannover. A tale evento erano presenti, oltre alla Federazione luterana mondiale, con il suo presidente, l’arcivescovo Panti Filibus Musa della Nigeria, il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, con il suo segretario, il vescovo Brian Farrell, e la Conferenza episcopale tedesca, con il vescovo Gerhard Feige. Nel suo intervento, monsignor Farrell ha presentato brevemente gli sviluppi promettenti che hanno avuto luogo di recente nel dialogo internazionale tra la Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica. Ha ringraziato il presidente uscente per il prezioso contributo apportato dai luterani tedeschi e dal Comitato nazionale tedesco della Federazione luterana mondiale al dialogo internazionale luterano-cattolico e ha trasmesso il caloroso saluto del cardinale Koch.

Nei dialoghi teologici, vengono affrontate quelle questioni che sono fonte di divisione tra le Chiese, e che rimangono ancora irrisolte tra le varie denominazioni. Tali dialoghi sono fondamentalmente diversi dai negoziati politici, finalizzati al compromesso. L’ecumenismo si occupa sempre di domande sulla verità. Per sua natura, la verità non ammette compromessi. È possibile, allora, arrivare a un accordo? La chiave per dare una risposta risiede nella distinzione tra la verità rivelata da Dio stesso, che è immutabile, e la nostra conoscenza, limitata nel tempo, di questa verità rivelata. È precisamente la distinzione tra la rivelazione divina e la conoscenza man mano più approfondita di tale rivelazione che costituisce uno dei contributi teologici ermeneutici fondamentali del concilio Vaticano II. 

I Padri conciliari hanno potuto affermare, nella costituzione dogmatica Dei Verbum: «Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, […] con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro […]. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio» (n. 8). 

Questa concezione è cruciale per i nostri dialoghi ecumenici. Ogni teologia ecumenica si basa sulla consapevolezza che ogni sistema teologico è in ritardo rispetto all’infinità di Dio e all’infinità della rivelazione divina. Proprio questa consapevolezza ci offre la possibilità di sviluppare congiuntamente, su una base ecumenica, una struttura teologica che risponda alle domande degli uomini del nostro tempo e che sia al contempo “trasparente” rispetto ai precedenti sistemi teologici delle diverse confessioni. Nel dialogo, non si mira principalmente a cambiare i propri interlocutori, ma si parte dal riconoscimento delle proprie mancanze. Se entrambi i partner si confrontano con franchezza, in questo spirito, il processo di unificazione si mette in moto acquisendo una propria dinamica. Uno dei grandi passi avanti realizzati dal concilio Vaticano II consiste nell’aver affermato con inequivocabile chiarezza, nel Decreto sull’ecumenismo, che «non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione» (Unitatis redintegratio, 7). Questo modello di conversione è di fondamentale importanza. La conversione non inizia con la conversione dell’altro, ma con la propria. Pertanto, è molto più proficuo riflettere sui passi da fare per andare incontro ai nostri partner di dialogo, piuttosto che aspettare che i nostri partner compiano passi che, al momento, non sono in grado di compiere. Questo atteggiamento è un vero e proprio carburante per l’ecumenismo: nell’osare la prima mossa, incoraggia l’altro a impegnarsi, a sua volta, in un rinnovato sforzo di avvicinamento.


* Articolo pubblicato ne L'Osservatore Romano, 21-22 gennaio 2019, N° 17, p. 6.