Omelia per la celebrazione eucaristica in occasione del Joint Coordinating Committee for the Joint International Commission for Theological Dialogue between the Roman Catholic Church and the Orthodox Church nella chiesa del Monastero di Bose il 13 novembre 2019

 

“Doctor eucharisticus” ed “elemosiniere”.
La testimonianza di vita ecumenica di San Giovanni Crisostomo

 

Sale della terra e luce del mondo

Tutta la vita si muove per tensioni. Ma queste tensioni sono sane e fruttuose solo se i diversi poli si sostengono e si arricchiscono a vicenda. Se invece vi è una forzatura, un’estensione eccessiva e i poli provocano una lacerazione, la stessa cessa. Anche Gesù nel Vangelo odierno parla di una tensione fondamentale, riferendosi alla vita dei suoi discepoli, ed esprime questa tensione con due immagini: si aspetta che i suoi discepoli siano “sale della terra” e “luce del mondo”.

La prima immagine del “sale della terra” evidenzia il rapporto di solidarietà che noi cristiani abbiamo con il mondo. Come nella vita di tutti i giorni il sale non serve molto se tenuto sulla mensola, ma diventa subito efficace se messo nella zuppa, così il sale del Vangelo non può avere un grande effetto se rimane in sagrestia; esso deve essere messo in diretto contatto con il mondo. Il Vangelo affida a noi cristiani un messaggio talmente prezioso che non possiamo serbarlo in maniera possessiva e autocompiaciuta solo per noi stessi. Questo tipo di possessività indicherebbe non solo che manca qualcosa alla fede, ma che manca la fede stessa. Pertanto noi cristiani siamo chiamati a tensione portare il Vangelo di Gesù Cristo nel mondo e a spargerlo come sale nelle varie sfere della vita degli uomini di oggi.

Diversamente, la seconda immagine della “luce del mondo” accentua il contrasto necessario tra noi cristiani e il mondo. Siamo infatti esortati a confessare la nostra identità, a delineare la nostra specifica fisionomia e a prendere posizione con voce profetica anche contro lo spirito del tempo. Nel necessario dialogo con il mondo di oggi, infatti, noi cristiani non dovremmo coprire con un secchio la luce della fede, ma dovremmo metterla sul candelabro. Possiamo però farlo in maniera credibile solo se ci lasciamo illuminare da Cristo come luce del mondo. Se crediamo davvero che Cristo è la luce del mondo, irradieremo noi stessi questa luce, saremo cristiani luminosi che vivono come candele finlandesi, note per il fatto che bruciano dall’interno verso l’esterno, riverberando.

Gesù si aspetta quindi dai suoi discepoli che, nel loro rapporto con il mondo, dimostrino sempre di essere e di rimanere sia “sale della terra”, capaci cioè di vivere in solidarietà con il mondo, sia “luce del mondo”, capaci di vivere in contrasto con esso. Noi cristiani non dovremmo essere o l’uno o l’altro, ma essere entrambi contemporaneamente in maniera riconciliata. Come francescani e benedettini vivono insieme nella stessa chiesa con tensioni fruttuose, così noi cristiani dovremmo essere al contempo il “sale della terra” francescano e la “luce del mondo” benedettina. Chiesa e mondo non devono essere né separati l’una dall’altro, né mescolati insieme. Piuttosto, devono comunicare tra loro, ed essere anche distinti: “non mescolati e non separati”. Solo allora la vita cristiana sarà piena di tensioni stimolanti.

 

La divina liturgia e la cura dei poveri

Siamo esortati a condurre una vita cristiana ricca di simili tensioni anche dal Santo che commemora oggi la Chiesa ortodossa e che anche noi commemoriamo in unione ecumenica con l’ortodossia in questa celebrazione eucaristica, vale a dire San Giovanni Crisostomo, grande vescovo di Costantinopoli nella transizione dal IV al V secolo. Nella sua vita, una tensione fondamentale si manifesta già nel fatto di aver vissuto sia l’ascetismo nell’isolamento, sia la missione nel ministero ecclesiale. Dopo il battesimo, Crisostomo passò alla vita ascetica. Dietro consiglio del suo maestro Diodoro di Tarso, decise di rimanere celibe per tutta la vita e si dedicò alla preghiera, al digiuno rigoroso e allo studio della Sacra Scrittura. In questo spirito, lasciò Antiochia per condurre una vita ascetica nel deserto siriano per sei anni e per scrivere trattati sulla vita spirituale. Dopo questo tempo trascorso nella solitudine, fu conquistato dall’ideale missionario tanto che, come diacono e sacerdote nella Chiesa di Antiochia e successivamente come Vescovo di Costantinopoli, si dedicò completamente al servizio dell’annuncio del Vangelo. Fu così in grado di donare alle persone ciò che lui stesso aveva ricevuto durante gli anni della sua vita da eremita.

In questa sinfonia di “luce” ascetica e di “sale” missionario si può ben ravvisare il motivo per cui la celebrazione della liturgia e la sequela di Cristo nella vita quotidiana, quale liturgia dopo la liturgia, costituissero per San Crisostomo un’unità inscindibile. Crisostomo coltivò una profonda devozione per l’Eucaristia, che nutriva sempre nella celebrazione della Divina Liturgia. Egli era infatti convinto che essa ponesse i fedeli, a livello spirituale, tra le realtà celesti e la vita terrena. Si comprende dunque perché una delle forme più belle della liturgia orientale porta il suo nome: “Divina liturgia di San Giovanni Crisostomo”. In questo spirito, Crisostomo esortò costantemente i fedeli ad avvicinarsi con rispetto all’altare del Signore, a partecipare devotamente ai riti della Divina Liturgia e a ricevere la comunione allo stesso modo.

D’altro canto, egli sottolineò anche le conseguenze etiche della partecipazione alla Divina Liturgia ricordando ai fedeli che la comunione con il Corpo e il Sangue del Signore li rendeva responsabili nei confronti dei poveri e degli affamati che vivevano tra loro e a cui dovevano prestare aiuto materiale. Egli esortò dunque i credenti a guardare oltre l’altare su cui viene offerto il sacrificio eucaristico e a riconoscere Cristo nei poveri. Per San Crisostomo, l’altare eucaristico è il luogo privilegiato dove possiamo percepire e accogliere i poveri e i bisognosi, come sottolinea in un sermone sulla Lettera agli Ebrei: “il bisognoso appartiene a Dio, anche se pagano o ebreo. Anche se non crede, è degno di aiuto.”[1] Il Vescovo di Costantinopoli era anche convinto che non bastasse distribuire l’elemosina ai poveri, ma che fosse soprattutto necessario creare un nuovo modello sociale, ispirato a quello della Chiesa primitiva. Per questo, San Crisostomo può anche essere considerato “uno dei grandi Padri della Dottrina sociale della Chiesa”[2].

Per la profondità e l’ampiezza della sua visione teologica della Divina Liturgia, Crisostomo è stato definito un luminoso “Doctor eucharisticus”. E per il suo “salato” impegno nei confronti dei poveri, è stato chiamato “elemosiniere”. Entrambi gli appellativi suggeriscono che per lui la conoscenza della vera dottrina, la pietà nella liturgia e la probità nella vita formavano un’unità inscindibile. La sua teologia non fu principalmente speculativa ma pastorale, guidata dalla preoccupazione di avere una credibile coerenza tra pensiero teologico e vita vissuta, come dimostrò specialmente durante le grandi controversie derivanti dalla negazione ariana della divinità di Gesù Cristo. Qui egli dette prova di sé quale testimone credibile e affidabile della fede della Chiesa tramandata secondo la Tradizione.

 

La passione per l’unità della Chiesa in Oriente e in Occidente

Alla luce di quanto appena detto, è anche comprensibile che San Crisostomo si sia impegnato con passione nella riconciliazione e nel ripristino della piena comunione tra i cristiani in Oriente e in Occidente. Inviando un’ambasciata a Roma a Papa Siricio, al tempo in cui fu ordinato Vescovo di Costantinopoli, contribuì in modo decisivo a mettere fine allo scisma che separava la sede episcopale di Antiochia da quella di Roma e delle altre Chiese occidentali. Dopo la ricomposizione della comunione tra le Chiese, il Vescovo di Roma, a sua volta, sostenne il Vescovo di Costantinopoli quando costui venne condannato due volte all’esilio dall’imperatore, a causa delle ostilità di potenti oppositori, sia in ambito ecclesiastico che imperiale. In questo modo Crisostomo condivise anche il destino del Servo del Signore di cui abbiamo sentito parlare nella lettura odierna. In tale situazione, Papa Innocenzo lo confortò e lo difese in alcune lettere rivolte ai Vescovi in ​​Oriente.

Questi fatti storici mostrano quanto intensamente Crisostomo lavorò a favore dell’unità della Chiesa, che è diffusa in tutto il mondo, come egli stesso annotava con pregnanti parole: “I fedeli, a Roma, considerano quelli che sono in India come membra del loro stesso corpo.”[3] Egli era profondamente convinto che il nome della Chiesa non fosse un nome di divisione, ma di unità e di concordia, e che quindi non ci fosse spazio per la divisione nella Chiesa, come osservò nella sua interpretazione della Prima lettera ai Corinzi: “La Chiesa esiste non perché quanti si sono riuniti si dividano, ma perché quanti sono divisi possano unirsi.”[4]

Con questa convinzione, Giovanni Crisostomo si impegnò anche a favore della riconciliazione e del ripristino della piena comunione tra i cristiani in Oriente e in Occidente. Questa è la sua eredità spirituale, che non ha perso nulla della sua rilevanza oggi; e questo è un esempio importantissimo che noi stessi dobbiamo seguire quando preghiamo e lavoriamo per la piena comunione della Chiesa in Oriente e in Occidente. Infatti, Crisostomo visse non solo al tempo della Chiesa indivisa, ma fa parte di quei padri e maestri della fede in cui troviamo, per così dire, la prima risposta della Chiesa alla parola del Vangelo; la loro teologia, che potrebbe essere definita in senso originario “teologia ecumenica”, è in grado di ispirare anche noi oggi nel nostro lavoro ecumenico.

Quando il Santo Papa Giovanni XXIII proclamò Giovanni Crisostomo patrono del Concilio Vaticano Secondo, egli voleva certamente presentarcelo anche come mecenate dell’impegno ecumenico. E restituendo una parte considerevole delle reliquie di San Crisostomo al Patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli, il 24 agosto 2004, il Santo Papa Giovanni Paolo II ci ha voluto ricordare che questo santo vescovo di Costantinopoli non si frappone in alcun modo tra la Chiesa in Oriente e la Chiesa in Occidente, ma ci invita a riscoprire l’unità. Prendiamo dunque l’odierna commemorazione del Santo come un’opportunità per ringraziare Dio per questo eccezionale testimone della fede e per chiedere al Signore, con l’intercessione di San Crisostomo, di accompagnare con la sua benedizione le nostre preghiere e il nostro lavoro a favore dell’unità, nella comunità di Bose e nella nostra Commissione Mista Internazionale, così che riconosciamo sempre più profondamente che solo nella comunione ecumenica noi cristiani possiamo essere credibilmente “sale della terra” e “luce del mondo”.

 

Lettura:    Is 50, 4-10
Vangelo:  Mt 5, 13-16

 

[1] Johannes Chrysostomos, In epistulam ad Hebraeos 10, 4.

[2] Benedetto XVI, Catechesi durante l’Udienza Generale del 26 settembre 2007.

[3] Johannes Chrysostomos, In Ioannem 65, 1.

[4] Johannes Chrysostomos, In Epistulam I ad Korinthos 1, 1.