Eredità comune, valori condivisi

 

Rev.do Padre Norbert Hofmann SDB

Segretario della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo

 

La “Giornata dell’ebraismo” che la Chiesa in Italia celebra oggi, 17 gennaio, è segno del grande apprezzamento da parte della Chiesa cattolica nei confronti del giudaismo. Questa giornata intende offrire ai cristiani l’opportunità di ricordare con gratitudine le radici ebraiche della loro fede, come pure di sensibilizzarli al dialogo attualmente in corso con l’ebraismo. La “Giornata dell’Ebraismo” si celebra il 17 gennaio oltre che in Italia anche in Polonia, in Austria e nei Paesi Bassi, introdotta dalle rispettive Conferenze episcopali. Questa giornata è una buona occasione per passare in rassegna gli eventi più significativi del dialogo ebraico-cattolico.

L’anno scorso ha avuto luogo un evento interreligioso di particolare rilievo che ha lanciato un messaggio importante: le tre religioni monoteiste condividono gli stessi valori. Lunedì 28 ottobre 2019, in occasione del 54° anniversario della Dichiarazione Nostra aetate, è stata firmata da rappresentanti della tradizione cristiana, ebraica e musulmana una dichiarazione comune, che si esprime in maniera decisa contro l’eutanasia e il suicidio assistito. La vita umana è un dono di Dio e, dall’inizio alla fine, deve essere protetta dagli interventi manipolatori dell’uomo. Questa è la convinzione comune di ebrei, cristiani e musulmani, firmatari del documento. L’incontro interreligioso è stato organizzato dalla “Pontificia Accademia per la Vita”, il cui direttore, S.E. Mons. Vincenzo Paglia, ha firmato il testo come rappresentante della Santa Sede. Da parte ebraica, la dichiarazione congiunta è stata ratificata da delegati del Gran Rabbinato di Israele; da parte musulmana da rappresentanti di un’organizzazione indonesiana e dal massimo giurista islamico degli Emirati Arabi Uniti. La dichiarazione condanna categoricamente l’eutanasia e il suicidio assistito come immorali e religiosamente riprovevoli. Nessuna pressione dovrebbe essere esercitata sulle istituzioni mediche affinché mettano termine in maniera artificiale alla vita umana, anche nel caso in cui ciò non contravvenisse la giurisdizione. Si dovrebbero rispettare le credenze religiose degli interessati e rafforzare le cure palliative. Ebrei, cristiani e musulmani, condividendo tali credenze di fondo, hanno mostrato chiaramente che le tre cosiddette religioni abramitiche hanno valori comuni, tra cui la protezione del fine vita. Il rabbino Abraham Steinberg, uno dei massimi esperti di bioetica in Israele, è stato il promotore dell’idea di questa dichiarazione congiunta. Egli è membro di una delegazione del Gran Rabbinato di Israele che dal 2002 intrattiene un dialogo con la Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo della Santa Sede, con riunioni che si svolgono in alternanza a Roma e a Gerusalemme. Nel novembre del 2018 il dialogo ha avuto luogo a Roma; in tale occasione, le due delegazioni sono state ricevute in udienza privata da Papa Francesco, il quale si è detto favorevole alla proposta di una dichiarazione comune, ed ha incoraggiato il rabbino Steinberg e S.E. Mons. Paglia a farsi carico della preparazione del relativo documento. È occorso un anno per la stesura del testo, che naturalmente ha coinvolto anche i partner musulmani. Dopo aver firmato la dichiarazione, Papa Francesco ha ricevuto tutti i partecipanti nel Palazzo Apostolico per esprimere il suo sostegno e la sua solidarietà.

Ebrei e cattolici hanno spesso riflettuto insieme, ad alti livelli, sul valore della vita umana. Il Gran Rabbinato di Israele è in costante dialogo con la Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo. Sin dall’inizio di questo dialogo nel 2003, fu affrontato come tema quello della “santità della vita”. In una dichiarazione congiunta, si afferma quanto segue: “La vita umana nel nostro mondo ha un valore unico e d’eccezione. Qualsiasi tentativo di distruggere la vita umana deve essere rifiutato. Occorrerebbe inoltre sforzarsi di promuovere insieme i diritti umani, la solidarietà fra tutti gli essere umani, il rispetto per la libertà di coscienza. … La nostra comune motivazione religiosa per questa affermazione centrale è fondata sull’affermazione biblica, che l’essere umano è creato a immagine del Dio vivente, a Sua somiglianza (cf. Genesi 1,26). Dio è l’Unico Santo e il Creatore della vita umana, e l’essere umano è benedetto e chiamato a corrispondere alla Sua santità. Di conseguenza ogni vita umana è santa, sacrosanta e inviolabile. Secondo il libro del Levitico (19,2), la santità di Dio fonda l’imperativo essenziale del comportamento umano: ‘Voi dovete essere santi perché Io, il Signore Dio vostro, sono Santo!’ … La difesa della vita umana è una evidente conseguenza etica di questa convinzione. Tutti i credenti, e in particolare le autorità religiose, dovrebbero collaborare per la protezione della vita umana” (n° 4, 26 febbraio 2003). La difesa della vita in tutte le sue fasi rappresenta quindi un valore comune sulla base di una stessa convinzione religiosa. In maniera più specifica, il 28 febbraio 2006 è stata tematizzata la protezione del fine vita, sulla quale si è giunti ad un’altra affermazione comune: “Noi affermiamo i principi delle nostre rispettive tradizioni religiose secondo le quali Dio è il Creatore e Signore di ogni vita, e la vita umana è sacra perché, proprio come insegna la Bibbia, la persona umana è creata secondo l’immagine divina (cf. Gen 1,26-27). Per il fatto che la vita è dono divino da rispettare e preservare, noi ripudiamo decisamente l’idea di un dominio umano sulla vita, e del diritto di decidere del suo valore o della sua durata da parte di qualsiasi persona o gruppo umano. Conseguentemente ripudiamo il concetto di eutanasia attiva (il cosiddetto mercy killing) in quanto illegittima pretesa dell’uomo sull’esclusiva autorità divina nel determinare il momento della morte della persona umana” (n° 2).

Ebraismo e cristianesimo, essendo particolarmente vicini dal punto di vista teologico, possono riconoscere facilmente valori comuni. Già in Nostra aetate (n. 4) si fa riferimento al fatto che ebrei e cristiani hanno un patrimonio comune per l’intrecciarsi della loro storia e delle loro radici: “essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune ai Cristiani e agli Ebrei, questo Sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un fraterno dialogo”. Il cristianesimo ha senza dubbio radici ebraiche, che costituiscono la nostra base spirituale comune, sia oggi che ai tempi di Gesù. Gesù nacque ebreo, visse nella tradizione ebraica della sua epoca e morì sulla croce come ebreo. Sua madre, i suoi più intimi compagni, che rese partecipi della sua missione come apostoli, erano tutti ebrei e provenivano dallo stesso ambiente, ovvero dall’ebraismo della Galilea nella prima metà del I secolo d.C. In virtù delle stesse radici, tra ebraismo e cristianesimo esistono molti punti in comune che possono essere esplorati nel dialogo ebraico-cristiano e che possono rivelarsi utili per una feconda collaborazione. Per i cristiani, il dialogo con gli ebrei non è un semplice passatempo per conoscersi e capirsi meglio; è piuttosto una questione di identità. Solo guardando alle proprie radici ebraiche, i cristiani potranno comprendere in maniera più approfondita le proprie origini e il proprio futuro e potranno rapportarsi in modo adeguato con l’ebraismo. Papa Francesco ha spesso sottolineato che un cristiano, per natura, non può essere antisemita, perché il cristianesimo ha radici ebraiche. Se un cristiano fosse antisemita, segherebbe il ramo su cui è seduto, rinuncerebbe alla sua identità originaria, si sradicherebbe e fluttuerebbe in uno spazio indefinito.

Il giudaismo e il cristianesimo poggiano soprattutto su una base etica comune che ha il suo fondamento ultimo in Dio stesso. Dio rivela all’uomo come relazionarsi in maniera corretta con se stesso e con gli altri, in modo che la sua vita possa essere feconda. L’insegnamento di Dio rivolto all’uomo non è un vincolo di assoggettamento, ma una linea guida per una convivenza vissuta nella libertà e nella responsabilità reciproca. L’essere umano diventa essere umano nel pieno senso della parola solo se ascolta Dio, se si fida di lui e alla fine si aspetta tutto da lui. Sia l’ebraismo che il cristianesimo conoscono l’imperativo etico di fondo, che è l’amore e il rispetto per Dio e per il prossimo. La base di ciò risiede nei valori comuni espressi nei “Dieci Comandamenti”. Il fondamento etico del cristianesimo, dunque, ha le sue radici nell’ebraismo, come ha osservato esplicitamente Papa Benedetto XVI nel discorso pronunciato durante la visita alla sinagoga di Roma il 10 gennaio 2010, con riferimento ai Dieci Comandamenti: “Il Decalogo – le ‘Dieci Parole’ o Dieci Comandamenti (cfr Es 20,1-17; Dt 5,1-21) – che proviene dalla Torah di Mosè, costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei Cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un ‘grande codice’ etico per tutta l’umanità. Le ‘Dieci Parole’ gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana”. … Le ‘Dieci Parole’ chiedono il rispetto, la protezione della vita, contro ogni ingiustizia e sopruso, riconoscendo il valore di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio. Quante volte, in ogni parte della terra, vicina e lontana, vengono ancora calpestati la dignità, la libertà, i diritti dell’essere umano! Testimoniare insieme il valore supremo della vita contro ogni egoismo, è offrire un importante apporto per un mondo in cui regni la giustizia e la pace, lo ‘shalom’ auspicato dai legislatori, dai profeti e dai sapienti di Israele” (n° 6).  I “Dieci Comandamenti”, che Dio ha rivelato per la prima volta al suo popolo Israele, sono dunque diventati un codice di condotta universale che avrà sempre validità. Se solo i “Dieci Comandamenti” venissero rispettati, avremmo sicuramente un mondo migliore in cui regnerebbero giustizia e pace.

 

Articolo pubblicato ne L'Osservatore Romano, 16 gennaio 2020, N° 11,  p. 6.