La tutela della vita umana alla fine della vita
nel dialogo ebraico-cattolico

 

Reverendo P. Norbert Hofmann, SDB
Segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo

 

La “Giornata dell’ebraismo” che la Chiesa in Italia celebra oggi, 17 gennaio, è segno del grande apprezzamento della Chiesa cattolica nei confronti del giudaismo. Questa giornata intende offrire ai cristiani l’opportunità di ricordare con gratitudine le radici ebraiche della loro fede, come pure di sensibilizzarsi al dialogo attualmente in corso con l’ebraismo. La “Giornata dell’ebraismo” si celebra il 17 gennaio oltre che in Italia anche in Polonia, in Austria e nei Paesi Bassi, introdotta dalle rispettive Conferenze episcopali.

L’anno scorso, dal 2 al 4 maggio 2023, una delegazione del Gran Rabbinato di Israele ha incontrato a Gerusalemme una delegazione della “Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo” per uno scambio di opinioni sul tema: “Considerazione ebraiche e cattoliche sulla cura nella malattia terminale: ciò che è proibito, consentito, obbligatorio”. Si è discusso dell’eutanasia passiva e attiva, come pure della cessazione o del proseguimento delle misure di prolungamento della vita in fase terminale. Già nel 2006, dal 26 al 28 febbraio, le due commissioni di dialogo avevano riflettuto, a Roma, sull'importanza della vita umana al suo termine, in riferimento alle moderne possibilità mediche e tecnologiche. Sia ebraismo che cristianesimo ribadiscono che Dio è il creatore della vita e che quindi essa non può essere manipolabile dagli esseri umani. Nella dichiarazione congiunta del 28 febbraio 2006 si legge: “Noi affermiamo i principi delle nostre rispettive tradizioni religiose secondo le quali Dio è il Creatore e Signore di ogni vita, e la vita umana è sacra perché, proprio come insegna la Bibbia, la persona umana è creata secondo l’immagine divina (cfr. Gen 1,26-27). Per il fatto che la vita è un dono divino da rispettare e preservare, noi ripudiamo decisamente l’idea di un dominio umano sulla vita, e del diritto di decidere del suo valore o della sua durata da parte di qualsiasi persona o gruppo umano. Conseguentemente ripudiamo il concetto di eutanasia attiva (il cosiddetto mercy killing) in quanto illegittima pretesa dell’uomo sull’esclusiva autorità divina nel determinare il momento della morte della persona umana”. L’eutanasia attiva è quindi fermamente respinta sia dall’ebraismo ortodosso che dalla Chiesa cattolica. Lo stesso vale per il “suicidio assistito”. Il 28 ottobre 2019, la “Pontificia Accademia per la Vita” ha firmato, insieme a rappresentanti del Gran Rabbinato di Israele, di alcune organizzazioni musulmane e della Santa Sede, un documento che prende espressamente posizione contro l’eutanasia attiva e il suicidio assistito. Il documento congiunto del 2006, firmato da una delegazione della Santa Sede e da una del Gran Rabbinato di Israele, si basa sul principio dell’inviolabilità della vita umana: “A questo proposito ribadiamo gli insegnamenti del nostro patrimonio tradizionale, secondo i quali ogni conoscenza e capacità umana deve servire a promuovere la vita e la dignità dell’uomo, e perciò dev’essere in accordo con i valori morali ... Di conseguenza bisogna che ci siano dei limiti nell’applicazione scientifica e tecnologica, riconoscendo il fatto che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente accettabile”.

La tradizione ebraica e quella cristiana hanno in comune la convinzione che la buona volontà di Dio è, in ultima analisi, responsabile della venuta al mondo di ogni singolo individuo, perché Dio è il Creatore di tutti e chiama personalmente all’esistenza ogni vita umana. L’essere umano è un “disegno di Dio” che evolve nel corso della vita. In senso biologico, ognuno di noi, fin dall’inizio, ha iscritto nel proprio DNA un progetto, che prende forma gradualmente. Eppure gli esseri umani non sono passivi o inerti davanti a questo disegno, in senso deterministico e automatico. Essi sono dotati di libertà e possono quindi usare la loro volontà per dare a questo disegno, almeno in parte, la direzione desiderata. Ci sono fasi e passaggi che richiedono tempo e che portano il progetto a crescente maturità. In realtà, è un processo che dura tutta la vita, che non si conclude mai e che diventa sempre più chiaro. Ma in senso spirituale, il “disegno dell’essere umano” significa che Dio lo ha progettato, voluto e gli ha conferito un senso. Dio ha creato ogni individuo personalmente e ha voluto che fosse così come è. Nelle pagine iniziali della Bibbia, nel primo racconto della creazione, è evidente che Dio non solo è Creatore, ma ha creato l’uomo a sua immagine. Nell’atto della creazione di tutti gli esseri viventi dice a se stesso: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza” (Genesi 1,26). E quando il lavoro è finito, viene affermato: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Genesi 1,27).

Per la persona, essere a immagine di Dio ha un impatto fondamentale sulla sua umanità. In quanto immagine di Dio, ogni singola persona è confermata e amata da Dio nella sua individualità e unicità insostituibili. Questo conferisce a ciascuno un senso di sicurezza. Comprendere ogni singola persona come immagine di Dio significa qualcosa di cruciale per la relazione tra gli esseri umani: tutti ricevono da Dio la stessa dignità personale, non manipolabile. Tutti hanno lo stesso valore e lo stesso status. Ognuno ha dunque un valore intrinseco. Per questo motivo nessun essere umano può servirsi di un altro essere umano come mezzo per raggiungere un fine. Tutti devono garantire all’individuo i diritti e le libertà fondamentali e rispettarli. E in particolare, a nessuno è consentito violare la vita di un altro essere umano: “Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello. Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché a immagine di Dio è stato fatto l’uomo” (Genesi 9,5-6). Togliere la vita a qualcuno è quindi incompatibile con la dignità dell’essere umano, conferitagli dal Creatore. Il Talmud ebraico lo esprime in modo ancora più forte, spingendosi fino ad affermare: “L’uomo è stato creato quindi unicamente per far comprendere che se qualcuno distrugge un’anima israelita, la Scrittura lo conta come se avesse distrutto un mondo intero, e se qualcuno accoglie un’anima israelita, la Scrittura lo conta come se avesse accolto un mondo intero” (Talmud, Mishnah Sanhedrin 4.5; edizione Goldschmidt del 1933). E ciò che vale per l’anima ebraica vale, in senso figurato, anche per ogni vita umana. L’idea sottostante è che, come Adamo, ogni persona è un mondo intero. Se il primo uomo-Adamo fosse stato ucciso, non ci sarebbe stata l’umanità, così chi uccide una sola persona uccide un mondo intero e chi salva una persona salva il mondo intero.

​Essere a immagine di Dio significa anche trovarsi in uno speciale rapporto vicario tra Dio e il creato. Tra tutti gli esseri viventi, solo all’uomo Dio si rivolge personalmente. Attraverso il suo essere persona, l’uomo rappresenta Dio nel mondo. Come rappresentante di Dio, l’uomo ha una responsabilità speciale verso se stesso, verso gli altri e verso l’ambiente. Questa responsabilità è chiaramente espressa nel duplice comandamento dell’amore per Dio e per il prossimo. Gli esseri umani si percepiscono essenzialmente limitati, finiti e impotenti. Vedono la propria vita come un dono che si ripete di continuo. Questa esperienza li colma di gratitudine verso Dio, perché si rendono conto di non dovere tale dono a se stessi. La chiamata dell’essere umano a partecipare alla vita di Dio è la base dell’amore universale verso tutti gli uomini. Intendere in modo dinamico l’uomo come immagine di Dio significa che tutti hanno la capacità di raggiungere la felicità completa in perfetta comunione con Dio. Questa vocazione comune unisce tutti gli esseri umani e li spinge ad amarsi gli uni gli altri.

Se non si crede che l’uomo sia necessariamente sorto dall’evoluzione o che sia stato gettato per caso sul “pianeta Terra”, ma se si presuppone piuttosto che sia una creatura di Dio e addirittura la sua immagine, allora si giungerà ad ulteriori conclusioni. La natura dell’uomo dovrà avere a che fare con Dio, dovrà essere in qualche modo simile a Dio. Dio ha, per così dire, impresso se stesso nell’uomo, i cui lineamenti non solo ricordano Dio, ma sono somiglianti a Dio. Come l’artista è presente nella sua opera, così Dio è presente nell’uomo. Il secondo racconto della creazione nella Bibbia lo mostra in modo ancora più bello e vivido. Dice: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Genesi 2,7). La vita umana è dovuta al soffio vitale di Dio; Dio stesso respira, per così dire, nel palpito della vita, è presente nell’esistenza dell’uomo. L’uomo è quindi indispensabile a Dio. Anche se è tratto dalla polvere della terra, ovvero il suo corpo appartiene alla sfera terrena, egli viene elevato alla sua vera vita grazie a un atto di Dio. L’uomo vive finché respira. Ma con il suo ultimo respiro, la vita terrena scompare. Il respiro è la forza vitale di Dio; tutta la vita ha origine da esso e ad esso ritorna. E poiché l’uomo viene da Dio e alla fine a lui ritorna, egli partecipa in modo speciale della realtà divina. La dignità inviolabile dell’uomo si fonda, in ultima analisi, sul fatto che egli è creatura di Dio, emana da Lui e partecipa della sua dignità. La dignità dell'uomo si fonda quindi sulla dignità di Dio, sulla sua gloria. Sant’Ireneo scrive: “Gloria dei vivens homo”. Tradotto letteralmente significa: “La gloria di Dio è l’uomo vivente”. In definitiva, l’uomo riflette nel suo volto la gloria di Dio; egli è il coronamento della creazione, il capolavoro di Dio. Dio si mette sempre in gioco con l’uomo perché egli è la sua creatura amata e voluta. Una persona non è un numero, non è un consumatore anonimo, non è uno dei tanti votanti alle prossime elezioni, non è un attore economico, non è un cliente. È l’immagine della gloria di Dio, un’opera d’arte, infinitamente amata. Anche la persona più misera e manchevole è e resta una creatura di Dio, dotata di sublime dignità, simile al Dio eternamente amorevole. Per questo, la vita umana è sacra, appartiene unicamente a Dio e solo da lui è donata. La vita è presa in prestito, non è un possesso dell’uomo e della sua volontà. All’essere umano non è permesso di disporre del dono della vita a suo piacimento, né di ergersi a padrone della vita e della morte. Poiché “vita e morte” appartengono a Dio, tutto rimane sotto il suo controllo benevolo e amorevole.

La vita umana deve quindi essere rispettata e tutelata in ogni forma e in ogni condizione. Non deve essere manipolata dall’uomo a suo piacimento, perché semplicemente non gli appartiene. Se l’essere umano si impadronisce della vita, finisce col mettersi al posto di Dio, eccede il limite che gli spetta e si erge a giudice della vita e della morte.

 

L'Osservatore Romano, 17 gennaio 2024