2022 ASSEMBLEA PLENARIA
MESSA DI APERTURA

 

L’unità nella fede apostolica

Omelia del Cardinale Kurt Koch

3 maggio 2022

 

 

 

Trasmettere ciò che è stato ricevuto dagli apostoli

Nel grande credo di Nicea-Costantinopoli, tutti i cristiani professano insieme la “Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”. Così facendo, esprimono la loro convinzione di fede che la Chiesa è edificata sul fondamento degli apostoli e che la sua unità si basa su questo fondamento e che quindi l'unità distrutta e perduta in numerose divisioni della storia può essere ritrovata. Di fatti, l’unità ricercata in ogni sforzo ecumenico non può essere altro che l’unità nella fede apostolica e quindi in quella fede che è trasmessa e affidata a ogni nuovo membro del Corpo di Cristo nel rito del battesimo.

Potremo ripristinare l’unità della Chiesa se rimarremo fedeli a questa fede apostolica e se, come Paolo ci esorta a fare nella lettura odierna, accetteremo il Vangelo che ci ha annunciato come fondamento su cui poggiare. Paolo stesso confessa di aver trasmesso solo ciò che anche lui ha ricevuto. Egli esprime questa significativa convinzione in due importanti contesti, in cui affronta le verità fondamentali della tradizione cristiana. Nella lettura odierna, il contesto è la fede nella risurrezione del Signore: “che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1 Cor 15,3-5). Ritroviamo questa stessa formula della Tradizione nella prima Lettera ai Corinzi, nel capitolo sulla corretta celebrazione dell’Eucaristia: “Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me” (1 Cor 11,23-25).

In entrambi i contesti, Paolo afferma inequivocabilmente che non ha inventato né ideato lui stesso, ma ha ricevuto, la parte essenziale della fede cristiana, ovvero il messaggio della risurrezione di Gesù e la celebrazione dell’Eucaristia, e che entrambi i misteri della fede sono inscindibilmente legati, in quanto la risurrezione del Signore è resa presente in ogni celebrazione eucaristica. Paolo raccomanda anche a noi oggi di trasmettere fedelmente ciò che abbiamo ricevuto dagli apostoli, al fine di ritrovare, su questa via, l’unità nella fede apostolica. Questa è la sfida ecumenica cruciale nel cammino verso la celebrazione, nel 2025, del 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea.

 

Il mistero dell’eccedenza del dono anche nell’ecumenismo

Oggi la nostra Chiesa celebra la festa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo. San Filippo in particolare può mostrarci come la trasmissione di ciò che gli apostoli ci hanno affidato può ispirare i nostri sforzi ecumenici per ritrovare l’unità. Il Vangelo di Giovanni ci parla di Filippo, che tra l’altro viene da Betsaida, ovvero dalla stessa città dei fratelli Pietro e Andrea, e ci narra gli incontri importanti tra l’apostolo e Gesù Cristo.

Un primo incontro avviene prima dell’evento della moltiplicazione dei pani, quando Gesù pone a Filippo la domanda sorprendente di dove comprare il pane perché chi lo segue possa mangiare. Filippo risponde: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo” (Gv 6,7). Il forte realismo mostrato da Filippo con la sua risposta rende innanzitutto visibile la grandezza del miracolo della moltiplicazione che Gesù compie con due pesci e cinque pani d’orzo dopo aver recitato la preghiera di ringraziamento: eucaristhsas. Con questa importante parola, Giovanni suggerisce che nella moltiplicazione dei pani Gesù realizza già in anticipo il nucleo più profondo dell’Eucaristia.

Come allora i discepoli fornirono due pesci e cinque pani, così oggi, nella celebrazione dell’Eucaristia, veniamo con i nostri doni, che la rinnovata liturgia interpreta come “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”. Portiamo pane e vino davanti al Signore, ed Egli trasforma i doni nel pane della vita eterna. Qui si realizza la straordinaria eccedenza del dono, come nel caso della moltiplicazione dei pani: il nostro pane diventa il suo Corpo, affinché il suo Corpo diventi il nostro pane. Anche oggi Cristo ha bisogno del nostro contributo per operare il miracolo della sua presenza. E il miracolo è questo: a ciò che è sproporzionato – i nostri doni e il miracolo della moltiplicazione del pane nell’Eucaristia – vengono date buone proporzioni grazie alla trasformazione che opera Cristo sul frutto della terra e del lavoro dell’uomo. È qui che avviene la grande moltiplicazione dei pani nell’Eucaristia e si svela il mistero dell’eccedenza del dono.

Nel mistero dell’eccedenza del dono nella moltiplicazione eucaristica del pane, possiamo percepire anche il nucleo più profondo della nostra responsabilità ecumenica. I nostri sforzi ecumenici, in tutte le loro forme, sono i cinque pani e i due pesci che dobbiamo portare, affinché Dio operi il miracolo dell’unità. Perché proprio come allora i discepoli portarono solo pani e pesci, così anche noi cristiani oggi non possiamo compiere il miracolo dell’unità da soli e deciderne la forma e il tempo. Noi cristiani siamo bravi a produrre divisioni, come dimostra bene la storia passata e, purtroppo, anche presente. Ma possiamo accogliere l’unità solo come un dono, un dono di Dio.

La migliore preparazione per ricevere l’unità come dono di Dio è la preghiera. La preghiera per l’unità dei cristiani è il segno decisivo di ogni sforzo ecumenico. Senza preghiera non può esserci unità, come più volte è stato osservato da Papa Francesco: “L’impegno ecumenico risponde, in primo luogo, alla preghiera dello stesso Signore Gesù e si basa essenzialmente sulla preghiera.”[1] Poiché sappiamo nella fede che l’unità è un dono di Dio per il quale dobbiamo costantemente pregare, diventiamo anche consapevoli del compito ecumenico di “preparare le condizioni, di coltivare il terreno del cuore, affinché questa straordinaria grazia venga accolta”[2]. Anche nel compito ecumenico occorre il chiaro realismo dimostrato da Filippo e insieme la disponibilità a lasciarsi sorprendere dal miracolo della moltiplicazione dei pani e quindi dal mistero dell’eccedenza del dono.

 

La testimonianza cristocentrica nell’ecumenismo

Passiamo ora a un altro episodio della vita di san Filippo. Giovanni racconta che Filippo, subito dopo la chiamata da parte di Gesù, si reca da Natanaele e testimonia: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret” (Gv 1,45). Alla reazione molto scettica di Natanaele: “Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?”, Filippo risponde in modo diretto e chiaro: “Vieni e vedi”. A quanto pare, Filippo non si accontenta di annunciare la buona novella di Gesù di Nazaret solo come un messaggio teorico, né vuole semplicemente trasmetterla come una novità interessante. Piuttosto, si rivolge di persona a Natanaele e gli suggerisce direttamente di sperimentare lui stesso ciò che gli viene annunciato: “Vieni e vedi”.

Filippo rivolge queste parole anche a noi oggi. Anche noi possiamo trasmettere ciò che abbiamo ricevuto solo se abbiamo conosciuto Gesù di Nazaret personalmente e se viviamo con lui un’amicizia personale. Possiamo scoprire e testimoniare la vera identità di Gesù Cristo solo vivendo in una profonda intimità con Lui. Solo allora potremo conformare la nostra vita a quella dei dodici apostoli, a proposito dei quali l’evangelista Marco narra che Gesù li chiamò a vivere con Lui: “Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni” Mc 3,14). Vivere vicino a Gesù è la base per poter trasmettere in modo credibile il suo vangelo. La vita apostolica dei discepoli insieme a Gesù è il presupposto indispensabile della missione apostolica: “Vieni e vedi”.

Ciò che Filippo suggerisce a Natanaele, lo sperimenta poi lui stesso, come si può apprendere dal Vangelo odierno. Durante l’Ultima Cena, Gesù dice ai suoi discepoli che conoscerlo significa conoscere anche il Padre suo. A tali parole, Filippo reagisce in modo un po’ ingenuo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8). Gesù gli risponde allora con tono di rimprovero, ma amorevole, e ci spiega ancora una volta il mistero più profondo della sua persona, il fatto che Dio stesso abbia assunto un volto umano e che ci sia concesso di riconoscere questo volto nel suo volto. L’evangelista non ci dice se Filippo ha capito questo messaggio profondo dopo aver ascoltato le parole di Gesù. Ma sappiamo da varie testimonianze che l’apostolo ha testimoniato con la propria vita questo messaggio, quando, durante il suo ministero evangelizzatore in Frigia, ha subito la morte per esecuzione a Hierapolis.

“Vieni e vedi”. Anche questa è una chiara indicazione per il nostro compito ecumenico. Quanto più ci rivolgeremo a Gesù Cristo, vivendo un’intima amicizia con Lui e testimoniando con la nostra vita che Egli è “la via, la verità e la vita”, e che nessuno viene al Padre se non per mezzo di lui (cfr. Gv 14,6), tanto più riusciremo ad avvicinarci gli uni agli altri e a ritrovare l’unità tra noi. Quanto più cristocentrico sarà il nostro pensare e agire ecumenico, tanto più ecumenico esso sarà. Questa è la breve formula ecumenica suggeritaci dal Concilio di Nicea con la sua confessione cristologica che professa Gesù della stessa sostanza del Padre:

“Crediamo in un solo Signore, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito, cioè dall’essenza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, vero Dio da vero Dio, generato, non creato, consustanziale con il Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create, sia quelle nel cielo sia quelle sulla terra; per noi uomini e per la nostra salvezza discese e si è incarnato; morì ed è risuscitato il terzo giorno ed è salito nei cieli; e verrà per giudicare i vivi e i morti.”[3]

 

 

 

 

[1] Francesco, Discorso ai partecipanti al colloquio ecumenico di religiosi e religiose promosso dalla Congregazioni per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, il 24 gennaio 2015.
[2] Francesco, Discorso alla delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, il 28 giugno 2013.
[3] Concilio di Efeso, Dichiarazione dei 318 Padri.