2018 ASSEMBLEA PLENARIA
PROLUSIO DEL CARDINALE PRESIDENTE

 

PENTECOSTALI, CARISMATICI ED EVANGELICALI:
IMPATTO SUL CONCETTO DI UNITA'[1]

 

Kurt Cardinale Koch

 

1. Una ricerca appassionata dell’unità

“Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II.”[2] Con questa frase iniziale, il Decreto conciliare sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” non delinea solamente l’obiettivo dell’ecumenismo, ma evidenzia anche uno degli intenti principali del Concilio Vaticano Secondo, ovvero la ricerca appassionata della ricomposizione dell’unità dei cristiani che è andata persa. Sarà bene soffermarsi ora, con una prima riflessione, su questa convinzione fondamentale.

L’orientamento appena menzionato traspare già chiaramente nella visione che il santo Papa Giovanni XXIII aveva del Concilio Vaticano Secondo e che nacque in lui, non a caso, durante la Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani. I due obiettivi che spinsero il Pontefice ad indire il Concilio erano infatti strettamente legati: il rinnovamento della Chiesa cattolica e la ricomposizione dell’unità dei cristiani. Papa Giovanni XXIII era convinto che la Chiesa cattolica potesse essere rinnovata soltanto se fosse stato riconosciuto all’obiettivo ecumenico un ruolo prioritario. Tale convinzione si concretizzò anche e soprattutto nel momento in cui il Papa, già due anni prima dell’inizio del Concilio, il 5 giugno del 1960, istituì il Segretariato per l’unità dei cristiani, affidandone la guida al Cardinale gesuita tedesco Augustin Bea, il quale fu in seguito giustamente definito “il Cardinale dell’unità” ed il “Cardinale dell’ecumenismo e del dialogo”[3], e di cui ricorrerà il cinquantesimo anniversario della morte il 16 novembre prossimo.

Dello stretto legame tra il rinnovamento della Chiesa e la promozione dell’unità dei cristiani era convinto anche il grande Papa conciliare, il beato Paolo VI. L’obiettivo ecumenico era per lui un importante leitmotiv anche e precisamente per il rinnovamento della Chiesa cattolica e per il modo in cui essa concepiva se stessa, tanto che possiamo parlare di una vera e propria interrelazione tra apertura ecumenica della Chiesa cattolica e rinnovamento della sua ecclesiologia[4]. In questo senso, Papa Paolo VI, già all’inizio della seconda sessione del Concilio, nel suo fondamentale discorso d’inaugurazione al quale l’allora consultore conciliare Joseph Ratzinger riconobbe un “vero carattere ecumenico”[5], sottolineò che l’avvicinamento tra i cristiani e le Chiese separati era uno degli intenti principali, ovvero il dramma spirituale, alla base della convocazione del Concilio.[6]

Su questa scia, anche i Pontefici che si sono susseguiti dopo il Concilio, il santo Papa Giovanni Paolo II[7] e Papa Benedetto XVI[8], hanno continuato a promuovere ed hanno approfondito l’impegno a favore dell’ecumenismo. Lo stesso Papa Francesco, nello stile che gli è proprio, prosegue sulla via del dialogo ecumenico.[9] Negli ultimi due anni, a partire dall’ultima Plenaria del nostro Consiglio, il suo appassionato sforzo di ricomporre l’unità dei cristiani si è espresso chiaramente soprattutto in due eventi straordinari.

Il primo di questi eventi è stato la partecipazione di Papa Francesco alla Commemorazione luterano-cattolica della Riforma nella cattedrale luterana di Lund, il 31 ottobre 2016. In tale occasione, nella dichiarazione congiunta firmata insieme al Vescovo Munib Jounan, Presidente della Federazione Luterana Mondiale, Papa Francesco ha riconosciuto apertamente: “Mentre siamo profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma, confessiamo e deploriamo davanti a Cristo il fatto che luterani e cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa.”[10] Dietro questa espressione di gratitudine e di dolore vi è la comune convinzione che lo stesso Martin Lutero non mirava assolutamente alla rottura con la Chiesa cattolica ed alla fondazione di una nuova Chiesa; piuttosto, desiderava il rinnovamento di tutta la cristianità nello spirito del Vangelo. Egli auspicava una riforma complessiva della Chiesa e non una riforma che comportasse la rottura dell’unità della Chiesa, come è stato più volte ribadito dall’ecumenista protestante Wolfhart Pannenberg: “Lutero voleva una riforma dell’intera cristianità; il suo obiettivo era tutt’altro che una Chiesa luterana separata.”[11] Alla luce del fatto che, all’epoca, non fu possibile attuare gli obiettivi riformatori di Lutero conformemente alle sue intenzioni, e che si assisté piuttosto alla nascita di singole Chiese protestanti, Pannenberg è giunto alla conclusione che tali sviluppi non vanno considerati come il “risultato riuscito” della Riforma, il cui vero successo sarà soltanto il superamento delle divisioni ed il ripristino dell’unità della Chiesa rinnovata nello spirito del Vangelo[12]. Ecco perché l’obiettivo della ricerca ecumenica dell’unità dei cristiani coincide con il compimento della riforma stessa, per la quale luterani e cattolici devono impegnarsi in ugual misura. Il senso più profondo della Commemorazione comune della Riforma è dunque l’impegno a favore della ricomposizione dell’unità tra luterani e cattolici in modo nuovo.

Il secondo evento significativo nel quale Papa Francesco ha promosso energicamente la ricomposizione dell’unità dei cristiani è stata la visita resa al Consiglio Ecumenico della Chiese a Ginevra il 21 giugno 2018, in occasione del 70.mo anniversario della sua istituzione. In tale circostanza, il Papa ha posto una forte enfasi sul tema del pellegrinaggio e del cammino. Nella convinzione che l’unità cresce cammin facendo e che l’essere in cammino insieme significa già vivere l’unità, Papa Francesco ha calorosamente esortato i diversi cristiani e le diverse comunità ecclesiali a progredire verso l’unità, camminando, pregando e lavorando insieme: “Ecco la nostra strada maestra di oggi”. In maniera altrettanto appassionata, egli ha anche ricordato di essersi recato a Ginevra come “pellegrino in cerca di unità e di pace”: “Questa strada ha una meta precisa: l’unità. La strada contraria, quella della divisione, porta a guerre e distruzioni. Basta leggere la storia. Il Signore ci chiede di imboccare continuamente la via della comunione, che conduce alla pace. La divisione, infatti, «si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura» (Unitatis redintegratio, 1). Il Signore ci chiede unità; il mondo, dilaniato da troppe divisioni che colpiscono soprattutto i più deboli, invoca unità.”[13]

Con questo accorato plaidoyer in favore dell’unità, Papa Francesco ha evidenziato allo stesso tempo il motivo più profondo ed essenziale della ricerca dell’unità, ovvero la volontà del Signore così come ci è stata testimoniata nel messaggio neotestamentario. L’espressione più eloquente di tale volontà di unità si trova senza dubbio nella lettera agli Efesini, nell’appello di Paolo rivolto a tutti i battezzati affinché preservino l’unità all’interno della Chiesa e l’unità della Chiesa: “Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,4-6). Quanto seriamente Paolo intenda questo appello lo si capisce già dal fatto che egli scrive dalla prigione, dove è incarcerato “a motivo del Signore” (4,1). In una situazione di tale difficoltà, infatti, non ci si occupa di cose secondarie o di scarsa importanza, ma si esprime ciò che di più urgente si ha in animo. In questo spirito, Paolo nomina le “colonne portanti dell’unità”[14] e le presenta alla comunità come i motivi più solidi alla base dell’unità, ovvero l’unità con il solo Signore Gesù Cristo, l’unità nella fede comune, il riconoscimento comune del battesimo, la professione di fede nell’unico Corpo di Cristo e la professione di fede nello Spirito Santo.

 

2. La ricerca dell’unità davanti alla molteplicità dei concetti di unità

Con questa rapida panoramica sull’impegno ecumenico dei diversi Pontefici e sul fondamento biblico di tale impegno si è voluto mettere in luce che l’unità è e deve rimanere una categoria fondamentale della fede cristiana e della vita della Chiesa e che fa parte dell’essere Chiesa in maniera così essenziale che la fede cristiana rinuncerebbe a se stessa senza l’unità e senza la ricerca dell’unità della Chiesa là dove l’unità è messa a repentaglio o addirittura è andata persa. Mantenere sveglia la ricerca dell’unità con amorevole tenacia è una sfida importante nella situazione ecumenica odierna, nella quale si constata un duplice fenomeno. Da un lato, nelle fasi del movimento ecumenico succedutesi finora, è stato possibile pervenire a consensi ampi e incoraggianti su molte delle questioni controverse relative alla comprensione della fede ed alla struttura teologica della Chiesa. Dall’altro lato, però, la maggior parte delle divergenze tuttora esistenti continuano a dipendere, come nel passato, da concezioni diverse dell’unità ecumenica della Chiesa. In questo duplice fenomeno va ravvisato oggi il vero e proprio paradosso del movimento ecumenico, di cui il Vescovo Paul-Werner Scheele offre una diagnosi precisa: “Si è in accordo sul perché dell’unità e in disaccordo su quale unità.”[15]

Uno dei motivi fondamentali della pluralizzazione dei concetti di unità è l’entrata in scena di nuovi partner ecumenici di dialogo. Il fatto che, nel corso della storia, l’obiettivo del movimento ecumenico sia diventato sempre più confuso va visto, d’accordo con quanto afferma lo storico della Chiesa protestante Cristoph Markschies, anche come conseguenza – certamente non voluta – del successo del movimento ecumenico: “Adesso così tante persone sono impegnate nel movimento ecumenico che gli obiettivi, già diversi all’inizio, si sono ulteriormente pluralizzati semplicemente a causa della grande quantità di cristiani interessati all’ecumenismo.”[16]

Questa costatazione trova una conferma anche nel fatto che gli incontri e i dialoghi ecumenici a livello mondiale non avvengono più soltanto tra le grandi Chiese storiche principalmente dell’Occidente, ma si svolgono anche con molte nuove comunità cristiane e movimenti cristiani, soprattutto in campo evangelico. Questo riguarda in particolare i paesi dell’emisfero meridionale. Là, le divisioni nella Chiesa sono arrivate primariamente come eredità europea e dunque, in parte, come eredità coloniale, dato che, all’origine, è in Europa che si sono perlopiù prodotte. A motivo di tali sviluppi storici, la sfida principale nel Sud del mondo non è più rappresentata dai dialoghi ecumenici con le Chiese storiche. La vera sfida ecumenica risiede piuttosto nella rapida crescita in termini numerici di Chiese libere autoctone, di gruppi evangelicali e carismatici e di movimenti pentecostali nell’emisfero meridionale, come pure, nel frattempo, in altri continenti.[17] In particolare il pentecostalismo, con i suoi 500 milioni di fedeli, è “la seconda più grande famiglia confessionale dopo la Chiesa romano-cattolica”[18]. Si tratta di un fenomeno in così ampia espansione che è lecito parlare oggi di una “pentecostalizzazione del mondo cristiano”[19] e ravvisarvi una nuova “quarta forma fondamentale dell’essere cristiani”[20], accanto alle Chiese ortodosse ed ortodosse orientali, alla Chiesa cattolica ed alle Chiese e Comunità cristiane nate dalla Riforma.

La rapida crescita delle cosiddette Chiese pentecostali evidenzia che, nel corso degli ultimi decenni, la geografia mondiale della cristianità è cambiata profondamente e la situazione ecumenica odierna non è sicuramente più semplice, ma più confusa. In ciò va ravvisata una delle sfide fondamentali dell’ecumenismo attuale, a cui già Papa Benedetto XVI non a caso ha fatto riferimento nel discorso pronunciato durante l’incontro con i rappresentanti del Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania nell’ex-convento degli Agostiniani di Erfurt, nel settembre 2011, con queste eloquenti parole: “Davanti ad una forma nuova di cristianesimo, che si diffonde con un immenso dinamismo missionario, a volte preoccupante nelle sue forme, le Chiese confessionali storiche restano spesso perplesse. È un cristianesimo di scarsa densità istituzionale, con poco bagaglio razionale e ancora meno bagaglio dogmatico e anche con poca stabilità. Questo fenomeno mondiale – che mi viene continuamente descritto dai vescovi di tutto il mondo – ci pone tutti davanti alla domanda: che cosa ha da dire a noi di positivo e di negativo questa nuova forma di cristianesimo? In ogni caso, ci mette nuovamente di fronte alla domanda su che cosa sia ciò che resta sempre valido e che cosa possa o debba essere cambiato, di fronte alla questione circa la nostra scelta fondamentale nella fede.”[21]

 

3. Le sfide ecumeniche comportate dalle nuove comunità

Con le osservazioni e le domande menzionate più sopra, Papa Benedetto XVI ha nominato chiaramente quelle che sono le sfide dell’ecumenismo riferendosi al fenomeno mondiale dei movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali, ed ha formulato alcune tematiche prioritarie da trattare nel corso degli incontri ecumenici. D’altronde è chiaro che, nei dialoghi ecumenici con questi movimenti, figurano all’ordine del giorno questioni diverse rispetto a quelle affrontate con le Chiese storiche. Il tema principale su cui intendiamo soffermarci nella Plenaria del nostro Pontificio Consiglio di quest’anno è il concetto di unità che ispira questi nuovi movimenti cristiani e le conseguenze che ne derivano per la definizione dell’obiettivo del dialogo ecumenico condotto con loro. Infatti, dopo che abbiamo riflettuto nel corso delle Plenarie precedenti sull’unità quale obiettivo del movimento ecumenico, rivolgendo la nostra attenzione soprattutto alle grandi Chiese storiche, ho ritenuto che fosse giunto il momento di occuparci del tema dell’unità in riferimento ai nuovi movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali. Al riguardo, sarà utile trattare il tema in tre passi: vedere, valutare, agire. Abbiamo invitato tre esperti che introdurranno l’argomento. La Prof.ssa Teresa Rossi ci offrirà una panoramica storica sulle comunità pentecostali, carismatiche ed evangelicali e sul loro impatto sul movimento ecumenico in vari contesti. P. Jorge Scampini esaminerà poi l’ecclesiologia di questi movimenti e la sfida che essi rappresentano per la visione cattolica dell’unità dei cristiani. Come terzo passo, Mons. Usma-Gomez presenterà una proposta ecumenico-pastorale di risposta cattolica ai movimenti pentecostali, carismatici ed evangelicali.

a) Vedere: la grande diversità dei nuovi movimenti

Non rientra nei compiti della prolusio anticipare le preziose informazioni che ci verranno offerte. Mi limiterò piuttosto a menzionare alcuni aspetti introduttivi di cui si dovrà tener conto quando ci occupiamo di questi fenomeni relativamente nuovi. In merito al primo passo, quello del vedere, va ricordato innanzitutto che la definizione ormai comune di “Chiese pentecostali” o “movimenti pentecostali” comprende fenomeni molto diversi, per cui ci troviamo di fronte ad un gran numero di comunità cristiane. Questa pluralità dipende anche dal fatto che le cosiddette Chiese pentecostali sono più movimenti che realtà ecclesiali istituzionalizzate e che, di conseguenza, con esse fa la sua comparsa un nuovo tipo di Chiesa, nella quale la dimensione carismatica della fede e della vita della fede nella comunità svolge un ruolo predominante. Albert-Peter Rethmann, descrivendo in maniera precisa questa tipologia, osserva che, con i nuovi movimenti, è apparso un nuovo tipo di Chiesa “che si basa sulla decisione individuale e che percepisce se stessa non tanto come organizzazione e gerarchia quanto come movimento, ovvero – in termini cristiani – come comunità di fratelli e sorelle”[22]. Tenendo presente la struttura ecclesiale delle grandi Chiese storiche, Rethmann parla addirittura di “due modelli di Chiesa contrastanti”, che dovrebbero confrontarsi l’uno con l’altro e, senza dubbio, diventare oggetto di riflessione nel dialogo ecumenico. All’interno di questo dialogo, le Chiese storiche, che pongono da sempre un forte accento sull’istituzionalizzazione ecclesiale della fede e della vita cristiana, dovrebbero rimettersi in discussione davanti all’esperienza dei nuovi movimenti, senza rinunciare alla convinzione biblica fondamentale che consiste nel credere indissociabili la relazione con Cristo e la relazione con la Chiesa, poiché l’essere in Cristo e l’essere nel Corpo di Cristo formano in ultima analisi un’unità indivisibile. In questo contesto risulta chiaro che l’ecclesiologia e la ricerca dell’unità ecumenica sono interdipendenti.

I movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali rappresentano un nuovo tipo di Chiesa anche perché, secondo la loro stessa auto-percezione, non hanno radici dirette nella Riforma del XVI secolo, ma si considerano come il frutto di una nuova effusione dello Spirito Santo. Di conseguenza, essi attribuiscono un’importanza fondamentale alla fede nell’opera dello Spirito Santo, all’esperienza dello Spirito nella vita concreta di tutti i giorni ed al cosiddetto battesimo nello Spirito che suggella tale fede e tale esperienza. Questo battesimo trova non di rado espressione in un concetto olistico di salvezza e di guarigione, che, da un lato, si concretizza in riti di guarigione e, dall’altro, a volte alimenta forme liturgiche realmente estatiche. Alla luce di ciò, già Papa Giovanni Paolo II osservava che questi nuovi fenomeni non vanno considerati in maniera soltanto negativa, poiché, nonostante la problematicità di alcune loro singole espressioni, in essi si manifestano una grande fame e una grande sete di esperienze spirituali, che le Chiese storiche dovrebbero prendere molto sul serio. Di fatti, la forte enfasi posta dai nuovi movimenti sull’opera dello Spirito Santo solleva senza dubbio impellenti domande sul perché la fede nello Spirito Santo, nella vita delle Chiese storiche, continui non di rado ad essere relegata nell’ombra. Le Chiese storiche dovrebbero ripetutamente contrastare l’oblio dello Spirito, tuttora costatabile, evitando di vedere nella pneumatologia una tendenza avversa alla cristologia, poiché è possibile riconoscere lo Spirito Santo proprio dal fatto che esso conduce sempre l’uomo a Cristo, e non lo allontana mai da Lui. Altrettanto seriamente le grandi Chiese storiche devono prendere la libertà dei singoli cristiani fondata sull’esperienza dello Spirito, senza rinunciare alla convinzione biblica essenziale secondo la quale la libertà dello Spirito non agisce accanto alla communio ecclesiale, ma opera al suo interno e per il suo tramite.

b) Valutare: il discernimento degli spiriti

Con ciò, siamo passati dal vedere al valutare. Nella valutazione, si pone una questione ancora più fondamentale. All’interno della vasta gamma dei movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali, esistono infatti anche forme di religiosità che, nel passato, sono state definite “sette”. In tempi recenti, però, si è voluto giustamente esprimere grande cautela e riserbo nei confronti di questa terminologia. In linea di principio, si evita il termine “setta”, preferendo parlare in maniera più generale e neutra di “nuovi movimenti religiosi”. Tuttavia, il confronto ecumenico con la grande varietà dei movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali non può esimersi da un basilare discernimento degli spiriti, per capire in particolare quali fenomeni possono essere considerati come nuove forme fondamentali di cristianesimo e quali devono continuare ad essere giudicati come “sette”. Sia la storia che il presente mostrano infatti che non esistono soltanto forme religiose positive ed utili, ma anche espressioni malate e nocive di religiosità.

Il discernimento degli spiriti è urgente soprattutto in campo ecumenico. Al riguardo, è determinante il criterio della possibilità o non possibilità di condurre con simili gruppi e movimenti un dialogo ecumenico. Con le comunità che assumono un atteggiamento apertamente anticattolico e difendono posizioni antiecumeniche, praticando dunque una politica proselitistica, un dialogo è alquanto difficile, se non addirittura impossibile. Non si può imporre un dialogo a nessuno senza tradire la natura stessa del dialogo. Ma l’esperienza del nostro Pontificio Consiglio mostra che è possibile allacciare un dialogo ecumenico basato sul rispetto e sulla fiducia reciproci con movimenti e gruppi evangelicali, carismatici e pentecostali. Il discernimento degli spiriti è necessario anche perché un dialogo ecumenico ha senso soltanto se intrapreso con partner con cui è raggiungibile un accordo su un fondamento di fede cristiana comune; altri gruppi caratterizzati da un forte sincretismo religioso rappresentano una sfida pastorale piuttosto che ecumenica.

c) Agire: l’evangelizzazione in un ecumenismo credibile

Per quanto riguarda il terzo passo, quello dell’agire, si dovrà seguire l’orientamento fornito dal Concilio Vaticano Secondo, secondo il quale l’essenza del dialogo ecumenico non consiste semplicemente in uno scambio di idee e di teorie, ma si basa su uno scambio di doni[23], attraverso cui i partner si arricchiscono vicendevolmente interpellandosi, di modo che, nel dialogo ecumenico, i punti di forza dell’uno rendono visibili le debolezze dell’altro e viceversa. Ciò significa che, in un primo passo, la sfida ecumenica consiste nell’esporsi in modo autocritico alle domande che sorgono nell’incontro con i gruppi evangelicali, carismatici e pentecostali, cercando di rispondere anche a quella già formulata dal Cardinale Walter Kasper nel corso di una delle precedenti Plenarie del PCPUC: “Cosa rende questi movimenti così attraenti? Perché così tanti fedeli lasciano la nostra Chiesa? Cos’è che manca loro da noi?  Cosa possiamo e dobbiamo cambiare dal punto di vista pastorale per rispondere alla sete spirituale e alla fame di esperienze concrete, come alle concrete difficoltà sociali?”[24]

Intendo trattare brevemente queste domande, esemplificandole all’interno di un contesto tematico che comprende importanti questioni. Uno dei principali punti di forza dei movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali è senza dubbio la loro chiara coscienza evangelizzatrice. Le grandi Chiese storiche possono imparare molto da questa, senza tuttavia cedere alla tentazione di assumere anche i metodi di evangelizzazione in parte problematici di tali movimenti. Al riguardo, va evitata soprattutto la tendenza basilare ad alterare il Vangelo cristiano nel senso di una “teologia de la prosperidad” molto problematica, riducendolo all’annuncio di una promessa di felicità contingente e soprattutto economica, che ribalterebbe l’opzione per i poveri e per i deboli e la trasformerebbe nel suo contrario.

Anche in virtù di questa forte coscienza evangelizzatrice i sopramenzionati movimenti non hanno difficoltà, a quanto pare, a rivolgersi ai membri delle Chiese istituzionali per conquistarli. Rispetto a ciò, è invece fondamentale che le Chiese storiche si adoperino affinché l’evangelizzazione cristiana sia un processo assolutamente libero che interpelli la libertà degli altri senza voler imporre loro la fede e che, pertanto, sia contrario ad ogni forma di proselitismo cristiano.

Il dialogo ecumenico con i movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali dovrà dunque concentrarsi su una pratica comune di evangelizzazione che non comporti proselitismo. In questo dialogo si deve innanzitutto far presente che il termine “proselitismo” può essere utilizzato in senso diverso.[25] In un’accezione positiva o quantomeno neutra, può indicare tutti quegli sforzi intrapresi da una comunità religiosa per attirare nuovi membri. Nella discussione ecumenica prevale tuttavia, da molto tempo, la connotazione negativa della parola, che suggerisce la pratica messa in atto da una comunità religiosa per guadagnarsi nuovi affiliati ad ogni costo e con ogni mezzo. Quest’accezione negativa del termine “proselitismo” è diventata comune all’interno del movimento ecumenico, in particolare da quando, nel 1961, è stata approvata dalla Plenaria del Consiglio Ecumenico delle Chiese la dichiarazione di New Delhi, dove si legge: “il proselitismo non è qualcosa di totalmente diverso dalla vera testimonianza; è l’immagine distorta della testimonianza. La testimonianza è distorta quando, in maniera subdola oppure apertamente, vengono impiegate strategie di persuasione, corruzione, pressioni illecite o intimidazioni per giungere ad una conversione apparente.”[26] Nello stesso spirito, anche il Concilio Vaticano Secondo, nella sua Dichiarazione sulla libertà religiosa, “Dignitatis humanae”, ha respinto ogni forma di proselitismo, affermando: “nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre pratiche religiose, si deve evitare ogni modo di procedere in cui ci siano spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti, specialmente nei confronti di persone prive di cultura o senza risorse”[27].

Per il Concilio è naturalmente evidente che il principio della libertà religiosa ed il rifiuto, in esso ancorato, di ogni forma di proselitismo non rimettono in discussione il compito missionario della Chiesa, come sottolinea l’articolo 14 di “Dignitatis humanae”: “per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana.” La Dichiarazione conciliare non esorta dunque in nessun modo a rinunciare alla testimonianza missionaria della verità del Vangelo da parte della Chiesa; essa appella piuttosto, nella missione evangelizzatrice, a rinunciare a quei mezzi che non corrispondono al lieto messaggio di Gesù Cristo e ad utilizzare soltanto i metodi indicati dal Vangelo, ovvero l’annuncio della Parola e la testimonianza di vita, che si può spingere fino alla testimonianza resa col proprio sangue. La Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa contribuisce dunque, come ha osservato giustamente il Cardinale Johannes Willebrands, secondo Presidente del PCPUC, “ad approfondire il lavoro missionario, rendendolo più vero e più puro”[28].

Nel contesto di vita odierno, segnato interamente dal desiderio di libertà dell’uomo contemporaneo, l’evangelizzazione non potrebbe avvenire diversamente. Va aggiunto al riguardo che il compito evangelizzatore può liberarsi da ogni forma di proselitismo soltanto se presenta una dimensione ecumenica di fondo, se viene realizzato in uno spirito ecumenico e se, di conseguenza, missione ed ecumenismo formano le due facce di una stessa medaglia. Una Chiesa missionaria deve essere infatti anche una Chiesa ecumenica; ed una Chiesa che opera e che vive in maniera ecumenica è il presupposto di una Chiesa missionaria. La missione evangelizzatrice deve avere una chiave musicale ecumenica, affinché la sua melodia non risulti cacofonica ma si diffonda come una sinfonia, in cui i partner ecumenici si sostengono vicendevolmente. I movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali possono e devono ricordare costantemente alla Chiesa cattolica che il Vangelo è un dono così prezioso che non può essere trattenuto in modo autocompiaciuto. Dal canto suo, la Chiesa cattolica può e deve far presente a tali movimenti che il Vangelo non va imposto, ma può essere solo ritrasmesso in dono, invitando gli altri ad avvicinarvisi. Ecco perché Papa Francesco si è espresso insistentemente contro il proselitismo, richiamandosi ad una profonda affermazione di Papa Benedetto XVI pronunciata durante l’inaugurazione della V Assemblea Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi ad Aparecida, il 13 maggio 2007: “La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per ‘attrazione’: come Cristo ‘attira tutti a sé’ con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della Croce, così la Chiesa compie la sua missione nella misura in cui, associata a Cristo, compie ogni sua opera in conformità spirituale e concreta alla carità del suo Signore.”[29]

 

4. I criteri della ricerca dell’unità

Questi tre passi del vedere, valutare, agire devono aiutarci, nel dialogo con i movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali, a chiarire concretamente il concetto di unità. Davanti alla grande varietà di interpretazioni, per affrontare la presente tematica occorrono criteri che ci aiutino a capire come viene motivata, nei diversi movimenti, la ricerca dell’unità. Due di tali criteri saranno menzionati brevemente qui di seguito.

a) Concetti di unità aventi natura confessionale

In primo luogo, si deve prendere coscienza del fatto che la questione dell’unità non può presentarsi in maniera astratta o neutra, perché è sempre condizionata da fattori preliminari di natura confessionale. Nel dibattito ecumenico, questi fattori vengono nominati chiaramente soprattutto in riferimento alla Chiesa cattolica. L’insistenza appassionata della Chiesa cattolica sull’unità visibile quale obiettivo del movimento ecumenico viene spesso percepita come motivata dal suo intenso sforzo di preservare o ristabilire l’unità all’interno del suo stesso spazio vitale, essendo essa una comunità di fede mondiale, così che la Chiesa cattolica sarebbe tentata di trasporre il proprio ideale di unità sul piano dell’obiettivo del movimento ecumenico. Essa viene dunque criticata a causa della sua forte enfasi sull’unità perlopiù con l’argomento che l’unità non deve comportare uniformità e che il pressante accento posto sull’unità rischia di mettere a repentaglio l’unità stessa. Non di rado tali recriminazioni si radicalizzano con la conseguente proposta di abbandonare del tutto la categoria dell’unità. In questo senso si è espresso ad esempio Konrad Raiser, ex-Segretario Generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese: “Nel corso della storia della Chiesa, coloro che la pensavano diversamente rispetto all’appello all’ ‘unità della Chiesa’ sono stati ripetutamente esclusi o violentemente perseguitati. Sì, è lecito sostenere la tesi secondo cui la maggior parte delle divisioni nella storia della Chiesa sono conseguenze di un pensiero eccessivamente concentrato sull’unità; ogni volta, la pluralità viene percepita come problematica soltanto quando la si rapporta ad una forma normativa di unità. Allora dobbiamo chiederci se il dibattito ecumenico non debba rinunciare all’idea di ‘unità’ della Chiesa per il carattere fuorviante e staticamente astratto di questo concetto.”[30]

Konrad Raiser vede un’alternativa in un “concetto orizzontale di unità” che, diversamente da quanto avveniva con il paradigma precedente, “sfacciatamente verticale nel suo discorso sull’unità della Chiesa”, si impone adesso come “mediazione tra varie tradizioni e posizioni”, così che “la conciliazione, ovvero l’equilibrio delle differenze tra le tradizioni ecclesiali, da un punto di vista realistico rappresenta il livello massimo di unità ecumenica che è possibile raggiungere”[31]. Se riflettiamo su questo obiettivo del movimento ecumenico, ci rendiamo conto rapidamente che esso è tanto poco neutro quanto quello cattolico, e che è piuttosto un riflesso della storia del protestantesimo. La grande divisione all’interno della Chiesa del XVI secolo ha infatti originato, nel corso della storia, ulteriori fratture, così che le Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma si sono trasformate, con il passare del tempo, in un pluriverso poco comprensibile. All’interno di questo pluriverso protestante anche al giorno d’oggi gli sforzi tesi ad una maggiore unità sono estremamente rari; nel protestantesimo mondiale assistiamo piuttosto all’insorgere ed al moltiplicarsi di frammentazioni. Tale situazione spiega perché non poche Chiese e Comunità ecclesiali nate dalla Riforma perorano fondamentalmente la differenza e la pluralità e riconoscono come obiettivo del movimento ecumenico non più l’unità visibile nella fede, nei sacramenti e nei ministeri ecclesiali, ma il mutuo riconoscimento delle molteplici realtà ecclesiali come Chiese e dunque parti dell’unica Chiesa di Gesù Cristo.

Questa costellazione tipicamente protestante si è ulteriormente radicalizzata a causa dei nuovi movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali. È dunque opportuno chiedersi cosa comporti questa situazione problematica per la ricerca dell’unità. In un primo passo, occorre prendere coscienza del fatto che la molteplicità degli obiettivi ecumenici e i diversi plaidoyer ecumenici a favore dell’unità oppure a favore della pluralità sono dovuti a presupposti di natura confessionale-ecclesiologica, per cui sarà necessario trovare vie percorribili di conciliazione, come ha osservato la teologa cattolica Eva-Maria Faber: “Il bisogno di completezza delle singole tradizioni confessionali non può essere ignorato. La parzialità delle varie posizioni e le durevoli tendenze all’unilateralità renderanno necessaria una conciliazione delle differenze in un’unità futura, se non si vuole che esse abbiano nuovamente effetto.”[32]

Anche Papa Francesco si orienta verso questo tipo di conciliazione, ispirandosi alla pneumatologia. Per lui, infatti, lo Spirito Santo dona non solo l’unità, ma anche la diversità: “lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità. Solo lo Spirito Santo può suscitare la diversità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità”. La sua opera infatti mira ad un’unità che vive nella diversità, e a una diversità che si raccoglie in unità. In ciò consiste la differenza tra l’opera dello Spirito e lo sforzo di noi uomini. Da un lato, noi uomini vogliamo un’unità conforme ai nostri disegni umani e siamo continuamente esposti alla tentazione di produrre uniformità ed omologazione. Dall’altro, vogliamo la diversità e la molteplicità e finiamo spesso col chiuderci nei nostri particolarismi ed esclusivismi. Diversamente, lo Spirito Santo suscita la diversità ed opera l’unità, perché, come ha affermato Basilio il Grande con parole molto belle, lo Spirito di Dio è armonia, “ipse harmonia est”.[33]

b) Le varie cause ed origini delle divisioni nella Chiesa

Un secondo criterio di cui si deve tener conto nella ricerca di un solido concetto di unità è la percezione sensibile di quei fattori che, nel corso della storia, hanno condotto alle divisioni nella Chiesa e dunque alla perdita dell’unità. Lo sforzo di ricomporre l’unità dovrà infatti considerare anche quei fattori storici che hanno in gran parte causato la divisione.

Le prime grandi divisioni nella storia del cristianesimo, nel IV e V secolo, si produssero perché alcune comunità, non avendo accettato le decisioni dottrinali del Concilio di Efeso e soprattutto del Concilio di Calcedonia, si separarono dalla Chiesa dell’impero. Il motivo teologico di tali divisioni fu quindi la disputa intorno ad una giusta formulazione della professione di fede cristologica. I dialoghi ecumenici sono tuttavia giunti all’incoraggiante conclusione che questa controversia scaturiva essenzialmente da un problema terminologico, nel senso che si impiegarono concetti filosofici diversi di persona e di natura, ma si voleva in fondo testimoniare la stessa fede ecclesiale in Cristo.[34] Al riguardo, durante la visita resa a Papa Giovanni Paolo II dal Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, Ignatius Zakka I Iwas, nel giugno del 1984, i due capi di Chiesa affermarono in una dichiarazione comune che “le confusioni e gli scismi avvenuti tra le loro Chiese nei secoli successivi in nessun modo intaccano o toccano la sostanza della loro fede, poiché tali confusioni e scismi avvennero solo a causa di differenze nella terminologia e nella cultura e a causa delle varie formule adottate da differenti scuole teologiche per esprimere lo stesso argomento”. Alla luce di ciò, non c’è oggi alcuna base reale “per le tristi divisioni e per gli scismi che avvennero poi tra di noi circa la dottrina dall’incarnazione”[35].

Anche nel caso del grande scisma dell’XI secolo tra la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’Oriente erano naturalmente in gioco serie questioni teologiche. Eppure, se si guardano le cose nel loro insieme, le vere cause della successiva divisione vanno piuttosto rintracciate in un progressivo e reciproco allontanamento culturale[36], nel quale le diverse forme di spiritualità hanno svolto un ruolo di non scarsa importanza, provocando spesso incomprensione e diffidenza e cristallizzandosi in parte intorno a questioni che oggi consideriamo come differenti disposizioni disciplinari oppure come espressioni di una legittima diversità all’interno dell’unità, quali ad esempio l’uso del pane lievitato o del pane senza lievito nella celebrazione eucaristica o altre divergenze nel culto o nel calendario liturgico. Pertanto, interpretazioni diverse e spiritualità diverse hanno fortemente contribuito alla divisione nella Chiesa, come osserva giustamente il Cardinale Walter Kasper: “Essenzialmente, la cristianità non si è divisa a causa delle sue discussioni e non si è spaccata intorno a formule dottrinali diverse, ma si è divisa nel modo di vivere.”[37]

Indubbiamente più varie e complesse sono le cause e le origini della divisione del XVI secolo nella Chiesa d’Occidente. In questo contesto, è necessario tener presente non solo la reticenza della Chiesa cattolica nei confronti di una riforma, ma anche importanti fattori politici. Ad esempio, mentre il riformatore Martin Lutero aspirava inizialmente ad un movimento intraecclesiale di rinnovamento dell’intera cristianità nello spirito del Vangelo, la divisione nella Chiesa e la conseguente nascita di una Chiesa protestante separata sono soprattutto il risultato di sviluppi politici, in quanto lo stesso Lutero cercò in parte l’appoggio delle forze politiche e, con il tempo, venne sempre più strumentalizzato da singoli principi per i loro interessi particolari. Nel protestantesimo mondiale, altre ancora sono le cause e le origini della comparsa dei movimenti evangelicali, carismatici e pentecastoli. Di fatti, le radici di questi movimenti non affondano tanto nello scisma della Chiesa del XVI secolo quanto nei tradizionali movimenti pentecostali e carismatici della fine del XIX secolo, da cui si sono sviluppati.

 

5. Le forme della ricerca ecumenica dell’unità

Come hanno mostrato questi pochi esempi, le cause e le origini delle divisioni nella Chiesa sono molto diverse. Ne consegue che sarà necessario individuare modi diversi per ritrovare e per ricomporre la perduta unità, tanto più che il Concilio Vaticano Secondo afferma esplicitamente che la responsabilità ecumenica riguarda tutti i cristiani: “La cura di ristabilire l’unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca ognuno secondo le proprie possibilità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi teologici e storici.”[38] Affinché tutti i battezzati possano prendere parte all’impegno ecumenico, la ricerca ecumenica dell’unità deve assumere forme differenti anche e soprattutto nelle relazioni con i nuovi movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali.

a) L’ecumenismo spirituale: la preghiera e il martirio

In primo luogo va menzionato l’ecumenismo spirituale, definito dal Concilio Vaticano Secondo “l’anima di tutto il movimento ecumenico”[39]. La preghiera per l’unità dei cristiani è infatti la forma fondamentale dell’ecumenismo. Con la preghiera, noi cristiani esprimiamo la nostra convinzione di fede consistente nel riconoscere che gli uomini non possono né fare l’unità né stabilirne la forma o il tempo di realizzazione. Noi uomini produciamo piuttosto divisioni, come mostrano sia il passato che il presente. L’unità, invece, la possiamo soltanto ricevere in dono dallo Spirito Santo, che è la sua sorgente e il suo motore divino, come sottolinea Papa Francesco: “La nostra unità non è primariamente frutto del nostro consenso, o della democrazia dentro la Chiesa, o del nostro sforzo di andare d’accordo, ma viene da Lui che fa l’unità nella diversità, perché lo Spirito Santo è armonia, sempre fa l’armonia nella Chiesa.”[40] La migliore preparazione al dono dell’unità da parte dello Spirito Santo è la preghiera per l’unità. E la preghiera, a sua volta, è e rimane il segno distintivo di ogni sforzo ecumenico.

Una forma particolare di ecumenismo spirituale è quella definita “ecumenismo dei martiri” da Papa Giovanni Paolo II ed “ecumenismo del sangue” da Papa Francesco. Tale forma si richiama al tragico fatto che oggi moltissimi cristiani sono vittime di massicce persecuzioni, persecuzioni che superano addirittura quelle perpetrate nei primi secoli del cristianesimo, al punto che le Chiese cristiane sono diventate Chiese di martiri. Di fatti, oggi tutte le Chiese e le Comunità cristiane hanno i propri martiri, tanto che è lecito parlare di un vero e proprio ecumenismo dei martiri.[41] I cristiani non vengono più perseguitati perché sono ortodossi o cattolici, protestanti o pentecostali, ma vengono perseguitati perché cristiani. Eppure, nonostante la tragedia di questa realtà, nell’ecumenismo dei martiri si cela una grande promessa: come la Chiesa primitiva era convinta che il sangue dei martiri sarebbe stato seme di nuovi cristiani, così anche noi oggi dobbiamo nutrire la speranza che il sangue di così tanti martiri del nostro tempo sarà un giorno seme della piena unità ecumenica del Corpo di Cristo. E dobbiamo essere certi addirittura che, nel sangue dei martiri, siamo già diventati una cosa sola. Poiché la sofferenza di così tanti cristiani nel mondo di oggi è un’esperienza comune che si rivela più forte delle differenze che tuttora separano le Chiese cristiane, a mio parere il martirio comune dei cristiani è oggi il segno più convincente dell’ecumenismo.

b) L’ecumenismo pratico: l’azione comune e la comune testimonianza ecumenica

L’ecumenismo spirituale si dimostra credibile soltanto se accompagnato da quella forma di ecumenismo definita ecumenismo pratico. Questo significa che si deve fare insieme tutto ciò che è possibile fare insieme, poiché nell’ecumenismo le vie che conducono all’unità sono importanti tanto quanto l’obiettivo finale. È dunque fondamentale che tutti i cristiani e le diverse Comunità ecclesiali si mettano in cammino insieme verso l’unità, animati da quella convinzione che Papa Francesco ha espresso con parole incisive: “L’unità non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino.”[42]

L’azione comune delle varie Chiese e Comunità ecclesiali è urgente soprattutto alla luce delle grandi sfide che oggi dobbiamo affrontare, come l’assistenza ai poveri, la tutela del creato, la promozione della pace e della giustizia sociale, il particolare impegno a favore dei giovani e degli anziani nella società odierna, la difesa del diritto alla vita in tutte le sue fasi e le sue dimensioni, il rafforzamento della libertà religiosa e la protezione delle istituzioni del matrimonio e della famiglia. Anche e soprattutto la crescente globalizzazione deve essere per i cristiani un’ulteriore spinta a consolidare ed intensificare la collaborazione ecumenica al servizio del bene dell’intera famiglia umana. Se in questo spirito i cristiani e le Chiese riescono a parlare con una sola voce in merito alle questioni fondamentali riguardanti la vita umana e la coesistenza sociale, non soltanto la voce cristiana risuonerà con maggiore forza nella vita pubblica, ma la testimonianza ecumenica sarà più credibile.

La collaborazione ecumenica tra i cristiani e tra le Chiese comporta anche una testimonianza comune della verità del Vangelo. Le divisioni tuttora esistenti nel cristianesimo danneggiano la credibilità dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo nel mondo di oggi. Tale credibilità sarebbe sicuramente maggiore se i cristiani riuscissero a superare le loro divisioni e a rendere una testimonianza comune, come osserva giustamente Papa Francesco: “l’impegno per un’unità che faciliti l’accoglienza di Gesù Cristo smette di essere mera diplomazia o un adempimento forzato, per trasformarsi in una via imprescindibile dell’evangelizzazione.”[43]

c) L’ecumenismo della carità: l’incontro fraterno attraverso le parole e i gesti

Il prerequisito basilare dell’ecumenismo pratico è il dialogo ecumenico della carità, della fratellanza e dell’amicizia. In esso è stata riscoperta la “fraternità” tra i cristiani e tra le Comunità cristiane, annoverata da Papa Giovanni Paolo II tra i frutti più importanti dell’impegno ecumenico.[44] I numerosi incontri, i vari colloqui e lo scambio di visite tra le diverse Chiese hanno creato una rete di relazioni amichevoli, che rappresentano il solido fondamento di ogni ulteriore sforzo ecumenico.

L’ecumenismo della carità contribuisce soprattutto alla riconciliazione tra le Chiese, che si concretizza nella rispettiva richiesta di perdono per i peccati commessi nel passato e che si esprime spesso in gesti pregnanti, più eloquenti di molte parole. Pensiamo, al riguardo, a Papa Paolo VI, il cui vocabolario ecumenico comprendeva simili gesti. Nel 1973, ad esempio, egli si inginocchiò nella Cappella Sistina davanti al Metropolita Meliton, inviato dall’allora Patriarca Ecumenico Demetrios, e chiese perdono per i peccati commessi nel passato nei confronti dei cristiani ortodossi. E ricordiamo anche le ripetute richieste di perdono di Papa Giovanni Paolo II, in particolare quella espressa durante la liturgia della prima domenica di Quaresima nel Grande Giubileo dell’Anno 2000. Lo stesso Papa Francesco ha compiuto un grande passo sul cammino della riconciliazione durante la visita privata resa al pastore pentecostale Giovanni Traettino a Caserta nel luglio 2014. Riferendosi alla persecuzione messa in atto in Italia contro le Chiese pentecostali durante il fascismo, alla quale parteciparono anche alcuni cattolici che ritenevano i membri di tali Chiese “entusiasti” e “pazzi”, Papa Francesco si è sentito in dovere di chiedere perdono: “Io sono il pastore dei cattolici: io vi chiedo perdono per questo! Io vi chiedo perdono per quei fratelli e sorelle cattolici che non hanno capito e che sono stati tentati dal diavolo e hanno fatto la stessa cosa dei fratelli di Giuseppe. Chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscere e di perdonare.”[45] Menzionando il racconto veterotestamentario di Giuseppe e dei suoi fratelli, il Papa ha voluto sottolineare che i cristiani che vivono e che operano nei movimenti evangelicali e pentecostali sono fratelli che abbiamo ritrovato, così come i figli di Giacobbe ritrovarono in Egitto il loro fratello Giuseppe.

Simili gesti traducono nella vita concreta una delle convinzioni fondamentali del Decreto conciliare sull’ecumenismo, ovvero che “non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione” e che, per conversione, si deve intendere primariamente non la conversione degli altri, ma la propria, che comporta anche la disponibilità a riconoscere in maniera autocritica le proprie debolezze e confessare, con umiltà, i propri peccati[46]. Questo ecumenismo della conversione è una forma particolarmente credibile dell’ecumenismo della carità.

d) L’ecumenismo della verità: il paziente superamento delle differenze teologiche

Soltanto all’interno dello spazio vitale della carità è possibile anche l’ecumenismo della verità, ovvero lo studio teologico di quei fattori che sono tuttora fonte di divisione tra le Chiese. Ma, per essere credibile, il dialogo della verità ha bisogno delle altre forme di ecumenismo. Ecco perché Papa Francesco relativizza l’importanza del dialogo teologico della verità, sottolineando che l’unità dei cristiani “non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere l’altro della fondatezza delle proprie opinioni. Verrà il Figlio dell’uomo e ci troverà ancora nelle discussioni.”[47]

I dialoghi teologici sono comunque indispensabili, perché avvicinano l’obiettivo ecumenico dell’unità. Infatti, se si vuole realizzare l’unità, non si può prescindere dalla verità della fede. È per questo che Papa Francesco riconosce di continuo anche il ruolo necessario, nelle relazioni ecumeniche, del dialogo teologico, che sostiene come importante contributo alla promozione della piena unità dei cristiani. Ad esempio, nella dichiarazione comune rilasciata nel maggio 2014 a Gerusalemme insieme al Patriarca Ecumenico Bartolomeo, il Papa ha affermato che “il dialogo teologico non cerca un minimo comune denominatore teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull’approfondimento della verità tutta intera, che Cristo ha donato alla sua Chiesa e che, mossi dallo Spirito Santo, non cessiamo mai di comprendere meglio.”[48]

Il dialogo teologico della verità è affidato in modo particolare al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Con questo compito, intendiamo riflettere, nel corso della nostra Plenaria, sull’importanza ecumenica dei movimenti evangelicali, carismatici e pentecostali e sul loro impatto sul concetto di unità cristiana, al fine di conoscere meglio quella parte di cristianità che all’inizio del XXI secolo sta registrando la crescita più dinamica, come pure di individuare nuove vie percorribili verso la riconciliazione e l’unità.

 

NOTE

[1] Prolusio per la Plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il 25 settembre 2018.

[2] Unitatis redintegratio, n. 1.

[3] S. Schmidt, Il Cardinale dell’unità (Roma 1987); Idem, Agostino Bea. Cardinale dell’ecumenismo e del dialogo (Roma 1996).

[4] Vgl. H. J Pottmeyer, Die Öffnung der römisch-katholischen Kirche und die ekklesiologische Reform des 2. Vatikanums. Ein wechselseitiger Einfluss, in: Paolo VI e l‘Ecumenismo. Colloquio Internazionale di Studio Brescia 1998 (Brescia – Roma 2001) 98-117.

[5] J. Ratzinger, Das Konzil auf dem Weg. Rückblick auf die zweite Sitzungsperiode des Zweiten Vatikanischen Konzils (Köln 1964) 21.

[6] Ench. Vat. Vol 1 Documenti del Concilio Vaticano II, 104. f.

[7] Cfr. K. Koch, L’attività legislativa di Giovanni Paolo II e la promozione dell’unità dei cristiani, in: L. Gerosa (Ed.), Giovanni Paolo II: Legislatore della Chiesa. Fondamenti, innovazioni e aperture. Atti del Convegno di Studio (Città del Vaticano 2013) 160-177.

[8] Vgl. K. Kardinal Koch, Dienst an der vollen und sichtbaren Einheit. Das Ökumeneverständnis von Joseph Ratzinger / Papst Benedikt XVI., in: M. C. Hastetter / St. Athanasiou (Hrsg.), „Ut unum sint“. Zur Theologie der Einheit bei Joseph Ratzinger / Papst Benedikt XVI. = Ratzinger-Studien. Band 13 (Regensburg 2018) 10-38.

[9] Vgl. H. Destivelle, Le pape Francois: un oecuménisme en chemin, dans: Idem, Conduis-la vers l´unité parfaite. Oecuménisme et synodalité (Paris 2018) 115-152.

[10] Dichiarazione congiunta in occasione della commemorazione congiunta cattolico-luterana della Riforma, il 31 ottobre 2016.

[11] W. Pannenberg, Problemgeschichte der neueren evangelischen Theologie in Deutschland (Göttingen 1997) 25.

[12] W. Pannenberg, Reformation und Einheit der Kirche, in: Ders., Ethik und Ekklesiologie. Gesammelte Aufsätze (Göttingen 1977) 254-267, zit. 255.

[13] Francesco, Discorso durante la Preghiera ecumenica al Centro Ecumenico del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra, il 21 giugno 2018.

[14] A. Wikenhauser und  O. Kuss (Hrsg.), Regensburger Neues Testament. 7. Band: Paulusbriefe II (Regensburg 1959) 146.

[15] P.-W. Scheele, Ökumene – wohin? Unterschiedliche Konzepte kirchlicher Einheit im Vergleich, in: St. Ley, I. Proft, M. Schulze (Hrsg.), Welt vor Gott. Für George Augustin (Freiburg i. Br. 2016) 165-179, zit. 165.

[16] Ch. Markschies, Neue Chance für die Ökumene? in: Nach der Glaubensspaltung. Zur Zukunft des Christentums, in: Herder Korrespondenz Spezial (Freiburg i. Br. 2016) 17-21, zit. 20.

[17] Vgl. J. Müller – K. Gabriel (Eds.), Evangelicals, Pentecostal Churches, Charismatics. New religious mouvements as a challenge for the Catholic Church (Quezon 2015).

[18] U. H. J. Körner, Ökumenische Kirchenkunde (Leipzig 2018) 261.

[19] B. Farrell, Der Päpstliche Rat zur Förderung der Einheit der Christen im Jahre 2003, in: Catholica 58 (2004) 81-104, zit. 97.

[20] M. Eckholt, Pentekostalismus: Eine neue „Grundform“ des Christseins. Eine theologische Orientierung zum Verhältnis von Spiritualität und Gesellschaft, in: T. Kessler / A.-P. Rethmann (Hrsg.), Pentekostalismus. Die Pfingstbewegung als Anfrage an Theologie und Kirche = Weltkirche und Mission. Band 1 (Regensburg 2012)  202-225, zit. 202.

[21] Benedetto XVI, Discorso durante l’incontro con i rappresentanti del Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania nell’ex-monastero degli Agostiniani di Erfurt, il 23 settembre 2011.

[22] H.-P. Rethmann, Die geschichtliche Entwicklung der Pfingstbewegung und ihre Praxis. Anfragen an Theologie und Kirche, in: T. Keller, H.-P- Rethmann (Hrsg.), Pentekostalismus. Die Pfingstbewegung als Anfrage an Theologie und Kirche (Regensburg 2012) 15-33, zit. 30.

[23] Unitatis redintegratio, n. 4.

[24] W. Kasper, Ökumene im Wandel. Einführung bei der Vollversammlung des Päpstlichen Rates für die Einheit der Christen am 13. November 2006, in: Ders., Wege zur Einheit der Christen = Gesammelte Schriften. Band 14 (Freiburg i. Br. 2012) 498-518, zit. 512.

[25] Cfr. S. Ferrari, Proselytism and human rights, in: J. Witte, Jr. and F. S. Alexander (Ed.), Christianity and Human Rights. An Introduction (Cambridge 2010) 253-266.

[26] F. Lüpsen (Hrsg.), Neu-Delhi-Dokumente (Witten 1962) 104-106.

[27] Dignitatis humanae, n. 4.

[28] J. Kardinal Willebrands, Religionsfreiheit und Ökumenismus, in: Ders., Mandatum Unitatis. Beiträge zur Ökumene (Paderborn 1989) 54-69, zit. 63.

[29] Benedetto XVI, Omelia durante la Santa Messa di inaugurazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, ad Aparecida, il 13 maggio 2007.

[30] K. Raiser, Ökumene im Übergang. Paradigmenwechsel  in der ökumenischen Bewegung (München 1989) 120.

[31] Ibid 119f.

[32] E.-M. Faber, „Sich ausstrecken auf das Kommende“. Plädoyer für eine antizipatorische Struktur der Ökumene, in:  A. Birmelé / W. Thönissen (Hrsg.), Auf dem Weg zur Gemeinschaft. 50 Jahre internationaler evangelisch-lutherisch / römisch-katholischer Dialog (Leipzig-Paderborn 2018) 209-234, zit. 226.

[33] Francesco, Omelia durante la Santa Messa nella Cattedrale cattolica dello Spirito Santo a Istanbul, il 29 novembre 2014.

[34] Vgl. Th. Hainthaler, „Jesus der Christus im Glauben der Kirche“. Christologische Forschungen und ökumenischer Dialog mit Kirchen des Ostens, in: Catholica 71 (2017) 183-204.

[35] Dichiarazione Comune di Papa Giovanni Paolo II e del Patriarca siro d’Antiochia Moran Mar Ignatius Zakka I Iwas, il 23 giugno 1984.

[36] Vgl. Y. Congar, Zerrissene Christenheit. Wo trennten sich Ost und West? (Wien 1959).

[37] W. Kardinal Kasper, Wege der Einheit. Perspektiven für die Ökumene (Freiburg i. Br. 2005) 208.

[38] Unitatis redintegratio, n. 5.

[39] Unitatis redintegratio, n. 8.

[40] Francesco, Discorso durante l’Udienza Generale del 25 settembre 2013.

[41] Vgl. K. Cardinal Koch, Christenverfolgung und Ökumene der Märtyrer. Eine biblische Besinnung (Norderstedt 2016).

[42] Francesco, Omelia durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2014.

[43] Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.

[44] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 41-42.

[45] Francesco, Discorso durante la visita privata a Caserta per l’incontro con il Pastore evangelico Giovanni Traettino, il 28 luglio 2014.

[46] Unitatis redintegratio, n. 7.

[47] Francesco, Omelia per la celebrazione dei Vespri nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2015.

[48] Dichiarazione comune di Papa Francesco e del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, durante l’incontro privato nella Delegazione Apostolica di Gerusalemme, il 25 maggio 2014.