DISCORSO DI BENVENUTO ALL´INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA INTITOLATA "CHE SIANO TUTTI UNO” (Gv 17, 21)

 

Pontificia Università Gregoriana
Roma, 20 ottobre 2023

 

Eccellenze,
Signore e Signori,

sono lieto di darvi il benvenuto all’inaugurazione della mostra intitolata “Che siano tutti uno” (Gv 17, 21). Questa mostra è stata organizzata dall’Ambasciata di Lituania presso la Santa Sede, sotto il patrocinio del Presidente del Parlamento della Repubblica di Lituania, dell’Arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica in Ucraina e dell’Arcivescovo metropolita di Vilnius in occasione del 400° anniversario del martirio di San Giosafat Kuncewycz, la cui vita e la cui opera legano molti Paesi, in particolare l’Ucraina, la Lituania, la Polonia e la Bielorussia.

Nato nell´attuale Ucraina nel 1580 da genitori ortodossi, San Giosafat si trasferì da giovane a Vilnius in Lituania dove fu accolto nella Chiesa greco-cattolica. Entrò a far parte del monastero della Santissima Trinità e successivamente fondò l’Ordine di San Basilio Magno. Quando nel 1618 fu nominato Arcivescovo di Polock, mise la sua vita innanzitutto al servizio dell’unità della Chiesa in comunione con la Sede di Roma. Questo gli valse l’ira dei suoi oppositori, finché il 12 novembre 1623 fu picchiato a morte con un’ascia dagli oppositori dell’Unione a Vitebsk, nell’attuale Bielorussia, durante una sua visita. Nel 1867, Giosafat fu canonizzato come primo rappresentante di una Chiesa dell’Oriente in comunione con Roma e come “Martire dell’Unità”.

San Giosafat dedicò la sua vita al servizio dell’unità tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. Tuttavia, dovette pagare con la sua stessa vita il suo appassionato impegno per il ristabilimento dell’unità, venendo ucciso dai cristiani ortodossi. Questa è la vera tragedia del suo martirio, che purtroppo si ripete oggi in circostanze diverse, come in Ucraina, nella terribile e insensata guerra di aggressione della Russia, dove ancora una volta i cristiani uccidono altri cristiani e persino i cristiani ortodossi uccidono i loro stessi compagni di fede. In questo si deve vedere una terribile perversione della comprensione del martirio cristiano. Perché nel mondo di oggi siamo chiamati e obbligati in senso opposto a percepire nei martiri la più limpida testimonianza dell’unità dei cristiani. È per questo motivo che Papa Giovanni Paolo II ha parlato di un “ecumenismo dei martiri” e che Papa Francesco sottolinea instancabilmente che l’ecumenismo del sangue è il “segno più convincente” dell’ecumenismo di oggi.

Questo ci dimostra che oggi viviamo in una situazione molto diversa dal martirio di San Giosafat, una situazione in cui il cristianesimo è tornato a essere una Chiesa di martiri. La fede cristiana è infatti oggi la religione più perseguitata al mondo. Ci sono ancora più martiri oggi che durante le persecuzioni dei cristiani nei primi secoli. Il martirio è un’esperienza comune del cristianesimo nel mondo di oggi, dove tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali hanno i loro martiri. Infatti, oggi i cristiani non sono perseguitati perché appartengono a una particolare confessione cristiana, perché sono ortodossi o cattolici, luterani o anglicani, ma perché sono cristiani. Il martirio oggi è ecumenico e dobbiamo parlare di un vero e proprio ecumenismo dei martiri. In esso possiamo già percepire un’unità fondamentale tra noi cristiani e sperare che i martiri della cristianità ci aiutino a ritrovare la piena comunione. Mentre noi cristiani sulla terra siamo ancora in comunione imperfetta tra di noi, i martiri nel mondo celeste vivono già l’unità della fede fondata in Gesù Cristo.

Anche se il martirio di San Giosafat è avvenuto in circostanze molto diverse, possiamo vedere in lui, che ha messo tutta la sua vita e il suo lavoro al servizio dell’unità dei cristiani ed è stato giustamente canonizzato come “martire dell’unità”, un’anticipazione dell’ecumenismo dei martiri di cui dobbiamo essere grati, ma che contiene anche una grande sfida, espressa da Papa Francesco in questa memorabile frase: “Se il nemico ci unisce nella morte, chi siamo noi per dividerci nella vita?”[1] Non è forse vergognoso che i persecutori dei cristiani non di rado abbiano una visione ecumenica migliore di quella di noi cristiani, sapendo che noi cristiani siamo profondamente uno tra di noi? Poiché la sofferenza di tanti cristiani del mondo odierno costituisce un’esperienza comune, l’ecumenismo dei martiri è la responsabilità kairologica di noi cristiani di oggi, che dobbiamo realizzare nella comunione ecumenica.

Il martirio di San Giosafat ce lo ricorda. Allo stesso tempo, ci riporta alla consapevolezza della fede cristiana che il martirio fa parte della natura e della missione della Chiesa fin dal suo inizio. I martiri della Chiesa non sono un fenomeno marginale, ma sono al centro della Chiesa. La Chiesa primitiva era già convinta che il sangue dei martiri fosse il seme di nuovi cristiani, come espresso dallo scrittore cristiano Tertulliano: “Sanguis martyrum – semen christianorum”. In questo senso profondo, il martirio è la forma più alta di testimonianza cristiana. Poiché i martiri non sono solo testimoni di parole ma anche di fatti, sono giustamente annoverati tra i testimoni più credibili della fede. Il martirio è l’atto supremo dell’amore cristiano, come sottolinea il Concilio Vaticano II: “Il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salvezza del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità.”[2]

Noi cristiani abbiamo tutte le ragioni di essere grati per la testimonianza dei martiri e per venerarli nella nostra comunità cristiana. Il 400° anniversario del martirio di San Giosafat è una gradita occasione per mantenere la sua testimonianza di fede nella nostra memoria e anche per incoraggiarci a una testimonianza credibile della verità e della bellezza della nostra fede e a una ricerca appassionata dell’unità di tutti i cristiani. La vita e l’opera di San Giosafat ci mostrano che la sequela di Gesù Cristo anche oggi può includere il martirio, che è la più alta testimonianza di amore e comunione. Nel fatto che noi cristiani rimaniamo sempre consapevoli di questo, intravedo anche l’importante significato della mostra che inauguriamo oggi e che porta il nome promettente: “Che siano una cosa sola” (Gv 17,21). Ringrazio gli organizzatori della mostra e i suoi patrocinatori per questa preziosa iniziativa e mi auguro che essa attiri molti visitatori riconoscenti e attenti.

 

[1] Francesco, Discorso al Movimento del Rinnovamento nel Spirito il 3 luglio 2015.
[2] Lumen gentium, Nr. 42.