COMMEMORAZIONE LITURGICA DEI MARTIRI DEL GENOCIDIO ARMENO
CHIESA DI SAN BARTOLOMEO ALL'ISOLA (ROMA), 25 APRILE 2021

 

LA DIMORA ETERNA DEI MARTIRI PRESSO DIO

 

Kurt Cardinale Koch

 

La casa in cui abitiamo riveste un ruolo significativo nella vita di noi uomini. Di solito la arrediamo in modo che si adatti ai nostri gusti, che ci sentiamo a nostro agio e che possiamo godere della qualità della vita. La casa è come una parte di noi stessi, è di così fondamentale importanza che il vangelo di oggi ce ne parla direttamente, e noi siamo grati per la promessa fatta da Gesù ai suoi discepoli, quando egli dice loro che nella casa del Padre suo ci sono molti posti. Questo indica chiaramente l’obiettivo della vita umana, ovvero il fatto che il nostro pellegrinaggio terreno giungerà a compimento quando potremo dimorare presso Dio e vivere in comunione con lui per l’eternità.

Come cristiani crediamo che questa promessa si sia già adempiuta per coloro che hanno seguito Gesù con tale costanza da aver preso parte al suo destino: mi riferisco cioè ai martiri. Gesù ha trasformato la violenza esercitata su di lui in amore e ha dato la sua vita sulla croce per noi uomini. La sua croce è amore nella forma più radicale; Gesù è per noi il primissimo martire. Come martirio originario, la Passione di Gesù è allo stesso tempo l’archetipo del martirio di chi lo segue, cioè la partecipazione al suo mistero pasquale, come è stato già evidente nel protomartire Stefano. Di fatti, il martirio di Stefano è narrato nelle Sacre Scritture come rappresentazione della Passione di Gesù, fino alle parole del perdono. Come l’evangelista Luca riporta la preghiera di Gesù al Padre prima della sua morte: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34), così si dice che Stefano, prima di morire, innalzò questa preghiera: “Signore, non imputare loro questo peccato” (Atti 7,60).

Come Gesù si conformò interamente alla volontà di Dio per la vita di noi uomini e morì a causa del suo amore per noi, così anche il martire cristiano si caratterizza per il fatto che non cerca il martirio in sé, ma lo assume come conseguenza della sua fedeltà alla fede in Gesù Cristo. Il segno distintivo del martirio cristiano è dunque l’amore. Poiché il martire mette in pratica la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte, il martirio cristiano si manifesta come atto supremo di amore per Dio e per i fratelli e le sorelle, come ha sottolineato il Concilio Vaticano Secondo: “il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità” (Lumen Gentium, n. 42).

Il Concilio riconosce questa “suprema prova di carità” non solo nei martiri nella Chiesa cattolica, ma anche in quelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali cristiane. Questo profondo riconoscimento si è diffuso sempre più tra noi cristiani, in particolare nell’ultimo secolo, all’inizio del quale si è verificato il grande e sanguinoso martirio dei cristiani armeni durante il genocidio di questo popolo, nella cui memoria ci siamo riuniti oggi in preghiera. Da allora, il cristianesimo è diventato sempre più una chiesa di martiri in misura incomparabile. Di fatti, ci sono oggi ancora più martiri che durante la persecuzione dei cristiani nei primi secoli. L’ottanta per cento di tutti coloro che vengono perseguitati per la loro fede oggi sono cristiani. La fede cristiana è oggi la religione più perseguitata nel mondo.

Questa situazione comporta il fatto che oggi tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali cristiane hanno i loro martiri. I cristiani oggi non sono perseguitati perché sono ortodossi o ortodossi orientali, cattolici o protestanti, ma perché sono cristiani. Il martirio oggi è ecumenico, e si deve parlare di un vero e proprio ecumenismo dei martiri. Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato nella sua significativa enciclica sull’ecumenismo “Ut unum sint” che noi cristiani abbiamo già un “Martirologio comune”, che mostra “come, ad un livello profondo, Dio mantenga fra i battezzati la comunione nell’esigenza suprema della fede, manifestata col sacrificio della vita” (UUS, n. 84). Nell’ecumenismo dei martiri possiamo percepire un’unità di fondo tra noi cristiani e sperare che i martiri della cristianità ci aiutino a ritrovare la piena comunione. Proprio come la Chiesa primitiva esprimeva la sua convinzione di fede con la breve ma incisiva affermazione che il sangue dei martiri è il seme di nuovi cristiani (“Sanguis martyrum semen Christianorum”), così possiamo sperare con fiducia che il sangue di tanti martiri odierni diventi seme per la futura unità dell’unico Corpo di Cristo lacerato da tante divisioni.

I martiri armeni ci hanno aperto gli occhi su questa profonda visione, all’inizio del cruento ventesimo secolo segnato dalle due sanguinose guerre mondiali. Ci hanno ricordato che il martirio non è un fenomeno marginale nel cristianesimo, ma è il fulcro stesso della Chiesa. Il martirio è una caratteristica essenziale del cristianesimo, motivo per cui non può esserci cristianesimo esente dal martirio. Piuttosto, si deve realisticamente partire dal fatto che la sequela di Gesù Cristo può sempre comportare il martirio, che è la suprema testimonianza d’amore, principalmente amore per Cristo. Il martire cristiano, infatti, non muore semplicemente per un’idea, neanche per la nobilissima idea della dignità umana. Piuttosto, viene crocifisso “con Cristo” e muore “con qualcuno che è già morto per lui” (Hans Urs von Balthasar).

 

I martiri armeni hanno testimoniato in modo speciale questa dimensione cristologica. Come membri di uno stato che fu il primo stato cristiano nella storia, sono rimasti fedeli alla loro fede apostolica e hanno dato la vita per Cristo. Sono nel senso originale della parola greca “martys”, vale a dire testimoni, certamente non solo testimoni a parole, ma anche testimoni di fatto della fede. I martiri possono quindi essere annoverati tra i testimoni più credibili della fede.

Nella fede siamo convinti che in loro si è adempiuta in modo speciale la promessa del vangelo odierno, ovvero che è stata concessa loro una dimora presso Dio e che dimoreranno con lui per l’eternità. Abbiamo quindi tutte le ragioni per rivolgerci a loro come intercessori e per chiedere loro di accompagnare anche oggi noi cristiani nel nostro pellegrinaggio terreno, di sostenerci con la loro preghiera nella nostra testimonianza nel mondo odierno e di rafforzare la nostra speranza che Gesù Cristo prepari anche a noi un posto nella casa del Padre. Oggi, nel ricordare particolarmente i martiri armeni e nel chiedere la loro intercessione, esprimiamo la nostra gratitudine per la preziosa testimonianza di Cristo che ci hanno offerto con la loro vita.