“QUANTA EST NOBIS VIA?”
Sulla situazione ecumenica un quarto di secolo dopo “Ut unum sint”
Kurt Cardinale Koch
Valencia (Spagna), 24 novembre 2021
1. Impegnarsi con passione a favore dell’unità della Chiesa
Quanta strada “ci separa ancora da quel giorno benedetto in cui sarà raggiunta la piena unità nella fede e potremo concelebrare nella concordia la santa Eucaristica del Signore”?[1] Ecco la domanda con la quale Papa Giovanni Paolo II apre la sua enciclica sull’impegno ecumenico “Ut unum sint”, da lui pubblicata un quarto di secolo fa. La commemorazione di questo documento merita un’attenzione speciale non solo perché per la prima volta nella storia un Papa ha scritto un’ampia enciclica sull’ecumenismo, ma anche perché, per Giovanni Paolo II, rafforzare l’attenzione rivolta al movimento ecumenico dal Concilio Vaticano Secondo, a trent’anni dalla sua conclusione, e riattualizzare il suo cruciale testo magistrale sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” era un importante obiettivo, nella convinzione espressa proprio all’inizio di “Ut unum sint”: “Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all’ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i <segni dei tempi>.”[2]
Questa convinzione mostra come Papa Giovanni Paolo II sia stato fortemente influenzato, nel suo impegno ecumenico, dal Concilio Vaticano Secondo, al quale partecipò lui stesso come cardinale[3]; egli visse il Concilio come una pietra miliare sulla via del rinnovamento della Chiesa, vedendovi “qualcosa della Pentecoste”[4] e considerandolo “un grande dono per la Chiesa”, “una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”[5]. L’influenza esercitata dal Concilio sul Cardinale Karol Wojtyla traspare anche dal fatto che egli si sforzò di attuarlo nella diocesi di Cracovia in Polonia affidatagli a quel tempo, e che a tal fine scrisse lo “Studio sull’attuazione del Concilio Vaticano II” con il titolo significativo di “Alle fonti del rinnovamento”, testo nel quale egli osservava, in riferimento all’ecumenismo: “Secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, l’emergere dell’atteggiamento ecumenico e il suo ordinato sviluppo sono uno dei segni principali e, allo stesso tempo, una delle prove del rinnovamento della Chiesa.”[6]
Una ragione ancora più profonda dell’impegno ecumenico di Papa Giovanni Paolo II va ravvisata nella convinzione che, dopo il primo millennio del cristianesimo, che fu il tempo della Chiesa indivisa, e dopo il secondo millennio, che portò tanto in Oriente quanto in Occidente a profonde divisioni nella Chiesa, al terzo millennio spettasse il grande compito di ristabilire l’unità perduta. Papa Giovanni Paolo II aveva già espresso questa speranza nel 1994, in vista della commemorazione bimillenaria della nascita di Gesù Cristo, nel suo libro “Varcare la soglia della speranza” con le commoventi parole: “Dobbiamo affrontare l’anno 2000 quanto meno con più unità e più disponibilità; dobbiamo essere maggiormente pronti a seguire il cammino di quella unità per la quale pregò Cristo la sera prima della sua passione. Il valore di quest’unità è enorme. In un certo senso c’è in gioco il futuro del mondo, c’è in gioco il Regno di Dio nel mondo.”[7]
In tale convinzione, Papa Giovanni Paolo II ha vissuto anche il suo ministero di Vescovo di Roma. Fin dal primo giorno del suo pontificato si espresse a favore dell’avvicinamento ecumenico tra i cristiani, fin dall’inizio intese il suo ministero di unità come un servizio reso anche al di là dei confini della Chiesa cattolica a favore della più ampia unità ecumenica di tutti i cristiani, e dichiarò il compito ecumenico una delle sue priorità pastorali. Egli era infatti convinto che il compito affidato al successore di Pietro fosse il ministero dell’unità e che tale ministero si esplicasse “in particolare nel campo ecumenico”[8]. In quest’ottica, Papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica “Ut unum sint”, dedicò lungimiranti riflessioni al ministero dell’unità, affidato in modo speciale al Vescovo di Roma, e invitò l’intera comunità ecumenica a unirsi a lui per avviare un “dialogo fraterno paziente” sul primato del Vescovo di Roma, con l’obiettivo di trovare una forma di esercizio del primato che, “pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova” e, più precisamente, permetta a questo ministero di “realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri”[9].
Conformemente allo spirito del Concilio Vaticano II, Papa Giovanni Paolo ritenne importante consolidare l’ecclesiologia del Concilio e quindi anche l’obbligo giuridico da esso sancito circa la partecipazione di tutta la Chiesa al movimento ecumenico. Per questo volle rafforzare il legame tra l’ecclesiologia conciliare e la codificazione del diritto ecclesiale universale anche e soprattutto in riferimento all’impegno ecumenico. L’obiettivo del ripristino dell’unità dei cristiani fu per lui uno dei motivi decisivi alla base della promulgazione del nuovo Codex Iuris Canonici del 1983 e del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium del 1990.[10] Tali codici contemplano un esplicito obbligo giuridico della Chiesa cattolica di partecipare al movimento ecumenico.
Anche l’enciclica “Ut unum sint” si unisce ai vari sforzi intrapresi da Papa Giovanni Paolo II a favore dell’ecumenismo. Al riguardo, il Cardinale Joseph Ratzinger, come suo stretto collaboratore, affermò che Papa Giovanni Paolo II aveva riportato alla coscienza della Chiesa “la ricerca dell’unità dei battezzati secondo il comando del Signore, secondo la logica intrinseca della fede, che è stata inviata nel mondo da Dio come forza di unità”, con “tutta la forza della sua passione ecumenica”[11]. A proposito del fondamento di tale impegno, Ratzinger osservò: “Il Papa ha sentito fin dall’inizio e continua a sentire la divisione della cristianità come una ferita che lo riguarda molto personalmente, fino al dolore fisico”; pertanto, egli considerava suo dovere “fare tutto il possibile per arrivare a una svolta verso l’unità. Per questo ha messo nel testo tutta la sua passione ecumenica.”[12]
2. Prospettive ecumeniche di “Ut unum sint” nella situazione odierna
Senza questa profonda sensibilità personale per la causa ecumenica, non si possono realmente comprendere i grandi sforzi ecumenici di Papa Giovanni Paolo II in generale, e la sua enciclica “Ut unum sint” in particolare. Questo sofferto coinvolgimento è ciò che rende il testo sempre attuale e stimolante. Infatti, come non può esserci vero amore tra noi esseri umani senza sofferenza e dolore, così non possiamo ritrovare l’unità tra noi cristiani senza la dolorosa percezione della tragedia delle divisioni nella Chiesa. Senza il dolore causato dalla disunione, l’ecumenismo non è un cammino irreversibile, come lo ha definito e voluto Papa Giovanni Paolo II. Con questa stessa sensibilità si ripropone anche a noi oggi la domanda su quanta est nobis via. Affrontiamo allora questa domanda riflettendo sugli aspetti e sulle prospettive più importanti dell’enciclica “Ut unum sint” e chiedendoci come vengono percepiti nell’odierna situazione ecumenica.
a) Fraternità ritrovata e ricerca dell’unità
Tra i frutti degli sforzi ecumenici, Papa Giovanni Paolo II annovera in primo luogo la “fraternità ritrovata”. Essa si manifesta soprattutto nel fatto che i cristiani appartenenti a diverse comunità ecclesiali non si considerino più gli uni gli altri come stranieri o nemici, ma si vedano persino come fratelli e sorelle, e che si siano “convertiti ad una carità fraterna che abbraccia tutti i discepoli di Cristo”, al punto che la “fraternità universale dei cristiani è diventata una ferma convinzione ecumenica”.[13]
Nella fraternità ritrovata, Papa Giovanni Paolo II riconosce in modo speciale i frutti dei dialoghi ecumenici, di cui parla in maniera approfondita ed elogiativa nella seconda parte della sua enciclica. Di fatti, gli incontri significativi, lo scambio di visite e le numerose conversazioni che hanno avuto luogo tra le diverse Chiese hanno creato una rete di relazioni amichevoli che costituiscono la solida base dei dialoghi ecumenici. La Chiesa cattolica ha allacciato nel frattempo dialoghi con quasi tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali cristiane, dialoghi che porta avanti tuttora: con la Chiesa assira dell’Oriente, con le Chiese ortodosse orientali, come ad esempio i copti, gli armeni e i siriani, con le Chiese ortodosse di tradizione bizantina e slava, con le Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma, come i luterani e i riformati, con la Comunità anglicana mondiale, con i veterocattolici e le varie Chiese libere, con le comunità evangelicali e pentecostali, cresciute esponenzialmente soprattutto nel XX e all’inizio del XXI secolo. Da questi dialoghi è stato possibile trarre molti frutti positivi, come ha illustrato il Cardinale Walter Kasper nel suo libro “Harvesting the Fruits”[14] (“Raccogliere i frutti”).
Tutti questi risultati positivi, tuttavia, non devono farci scordare che non è ancora stato raggiunto il vero obiettivo dell’ecumenismo, definito da Papa Giovanni Paolo II in questi termini: “Il fine ultimo del movimento ecumenico è il ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati.”[15] Con ciò arriviamo al punto tuttora più difficile e spinoso della situazione ecumenica, che più precisamente consiste nella mancanza, all’interno del movimento ecumenico, di un consenso realmente solido sull’obiettivo ecumenico.[16] La sfida fondamentale va ravvisata in questa duplice realtà: da un lato, nelle fasi del movimento ecumenico succedutesi finora, è stato possibile pervenire a consensi ampi e incoraggianti su molte delle questioni controverse relative alla comprensione della fede ed alla struttura teologica della Chiesa. Dall’altro lato, però, la maggior parte delle divergenze tuttora esistenti continuano a dipendere, come nel passato, da concezioni diverse dell’unità stessa della Chiesa. In questa duplice realtà deve essere individuato oggi il vero e proprio paradosso del movimento ecumenico, di cui il Vescovo Paul-Werner Scheele offre una diagnosi precisa: “Siamo d’accordo sulla necessità dell’unità, ma non su cosa essa sia.”[17]
Una delle ragioni principali di questa situazione paradossale consiste nel fatto che concetti confessionali di Chiesa e di unità della Chiesa, tra loro molto diversi, coesistano tutt’oggi l’uno accanto all’altro, non riconciliati. Poiché ogni Chiesa e ogni Comunità ecclesiale ha un concetto specifico del suo essere Chiesa e della sua unità, e lo attua, essa si sforza di trasferire questo concetto confessionale anche al livello dell’obiettivo del movimento ecumenico; ne consegue che esistono fondamentalmente tanti obiettivi ecumenici quante sono le ecclesiologie delle varie confessioni.[18] Ciò significa che la mancanza di un accordo sull’obiettivo del movimento ecumenico è dovuta in gran parte alla mancanza di un accordo ecumenico sulla natura della Chiesa e sulla sua unità.
Per chiarire il problema, dovrò limitarmi qui a poche osservazioni: la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse sono rimaste fedeli all’obiettivo, originariamente comune, dell’unità visibile nella fede, nei sacramenti e nei ministeri ordinati. Varie Chiese e Comunità ecclesiali nate dalla Riforma hanno invece in gran parte rinunciato a questo concetto di unità e lo hanno sostituito con il postulato del reciproco riconoscimento delle diverse realtà ecclesiali come Chiese, e quindi come parti dell’unica Chiesa di Gesù Cristo.
Questa ridefinizione dell’obiettivo ecumenico dal punto di vista protestante ha senza dubbio trovato la sua espressione più chiara nella Concordia di Leuenberg del 1973, con la quale è stato realizzato il modello protestante di comunione di Chiese, che si concepisce espressamente come comunità di Chiese di confessioni diverse.[19] Poiché le Chiese nate dalla Riforma vedono nella Concordia di Leuenberg non solo il modello di unità dei protestanti, ma anche il modello delle relazioni ecumeniche con le altre Chiese cristiane, e in particolare con la Chiesa cattolica[20], il compito del nuovo dialogo ecumenico tra il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e la Comunità delle Chiese Evangeliche in Europa (CCEE) sarà quello di esaminare se e in quale misura la Concordia di Leuenberg potrà fungere da modello di unità ecumenica anche nelle discussioni con la Chiesa cattolica. In ogni caso, non è ancora chiaro come il pluralismo ecclesiologico sostenuto oggi dal protestantesimo possa conciliarsi con i principi cattolici dell’ecumenismo.[21]
Tale dialogo, affinché possa avere successo, dovrà comportare un chiarimento ecumenico del concetto di Chiesa e di unità. Un aiuto in tal senso viene offerto dallo studio teologico della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, intitolato “La Chiesa. In cammino verso una visione comune”. Esso si sforza di pervenire a una “visione globale, multilaterale ed ecumenica della natura, dello scopo e della missione della Chiesa” e può essere considerato come una preziosa dichiarazione ecclesiologica in-via da un punto di vista ecumenico[22]. Tuttavia, anche questo studio certamente lodevole non riesce a spingere l`accordo teologico sulla maggior parte dei temi ecclesiologici precedentemente controversi oltre la formulazione di questioni ancora aperte. Il chiarimento ecumenico di cosa sia la Chiesa e di come la sua unità debba essere intesa e realizzata rappresenta quindi un desideratum di grande peso, che deve essere affrontato con urgenza per poter raggiungere un nuovo consenso sull’obiettivo del movimento ecumenico. In caso contrario, vi è il rischio che le varie Chiese si muovano in direzioni diverse per poi scoprire di essere ancora più distanti le une dalle altre rispetto a prima.
Per scongiurare questo pericolo, sarà opportuno riprendere e approfondire le convinzioni di fondo espresse dal decreto conciliare sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” e l’enciclica di Giovanni Paolo II che le riattualizza, documenti che incoraggiano a mantenere sveglia, con amorevole insistenza, la questione dell’unità. Senza la ricerca dell’unità, infatti, la fede cristiana rinuncerebbe a sé stessa, come enuncia con significativa chiarezza la lettera agli Efesini: “Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,4-6). Poiché l’unità è e rimarrà una categoria fondamentale della fede cristiana, i cristiani devono avere il coraggio e l’umiltà di affrontare a viso aperto lo scandalo persistente di un cristianesimo diviso e di ricomporre l’unità perduta della Chiesa.
b) Il Battesimo come fondamento dell’ecumenismo cristiano
Torniamo dunque alla riscoperta della fraternità nell’ecumenismo. Per Papa Giovanni Paolo II, essa è importante anche perché non è semplicemente “la conseguenza di un filantropismo liberale o di un vago spirito di famiglia”, ma si radica piuttosto “nel riconoscimento dell’unico Battesimo e nella conseguente esigenza che Dio sia glorificato nella sua opera”. Il mutuo riconoscimento del battesimo va ben al di là “di un atto di cortesia ecumenica e costituisce una basilare affermazione ecclesiologica”[23].
Lo sforzo del movimento ecumenico è stato dunque quello, fin dall’inizio, di porre il battesimo comune come punto di partenza e base di tutti gli sforzi ecumenici. Pertanto, il battesimo comune costituisce la porta d’ingresso al movimento ecumenico, che mira alla ricomposizione della comunione ecclesiale vincolante nel senso dell’unità visibile della Chiesa e al ripristino della comunione eucaristica. Il battesimo e il suo mutuo riconoscimento sono il dato fondamentale di ogni impegno ecumenico, al punto che l’ecumenismo cristiano nella sua più intima essenza è e deve essere “ecumenismo battesimale”[24].
Il mutuo riconoscimento del battesimo, sancito nel frattempo da numerosi accordi tra partner ecumenici, ha notevolmente favorito lo sviluppo e l’approfondimento di una comune spiritualità battesimale. Lo stesso non può ancora essere detto della pietà eucaristica, sebbene sia stato possibile conseguire importanti convergenze sulla comprensione dell’Eucaristia. Un motivo sostanziale alla base di questa differenza risiede nella diversa comprensione del rapporto tra battesimo ed Eucaristia: per le Chiese della Riforma, il battesimo, insieme al suo mutuo riconoscimento, costituisce il presupposto decisivo per l’invito a partecipare alla Cena del Signore ed è il fondamento del loro concetto di comunione nella Cena del Signore. Al contrario, la Chiesa cattolica vede una differenza non trascurabile tra il battesimo e l’Eucaristia. Da un lato, il decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” ravvisa nel battesimo il motivo per cui tutti i cristiani appartengono alla Chiesa, sottolineando: “Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica”[25]. Tra tutti coloro che sono rigenerati per mezzo del battesimo, il battesimo crea dunque “il vincolo sacramentale dell’unità”[26]. In questo senso, il mutuo riconoscimento del battesimo mostra che, nonostante tutte le divisioni che tuttora permangono, esiste già una comunione fondamentale, la quale a sua volta suggerisce che le divisioni non hanno intaccato la radice. Dall’altro lato, il decreto sull’ecumenismo fa notare anche che il battesimo “è soltanto l’inizio e l’esordio”, poiché per sua natura mira “all’acquisto della pienezza della vita in Cristo” ed è ordinato “all’integra professione della fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, quale Cristo l’ha voluta, e infine alla piena inserzione nella comunità eucaristica”[27].
Il comune vincolo battesimale garantisce dunque una comunione fondamentale ma imperfetta. Il battesimo è il vincolo dell’unità e il fondamento della comunione. Ma è ordinato alla comune professione della fede apostolica e alla celebrazione dell’Eucaristia. Ecco perché solo la comunione eucaristica è l’autentica espressione della comunione ecclesiale, che comprende anche il ministero e, concretamente, la comunione dei vescovi. Da ciò si comprende perché, dal punto di vista della Chiesa cattolica, il battesimo e il suo mutuo riconoscimento ancora non possono costituire una base sufficiente per la comunione eucaristica, come afferma chiaramente anche il teologo cattolico Gisbert Greshake: “Per questo motivo, nel modo di intendere cattolico, non ci può essere neppure una comune (liturgica) celebrazione eucaristica (comunione nella Cena del Signore) che non significhi anche eo ipso, concretamente, unità ecclesiale.”[28] Poiché, dal punto di vista cattolico, il fine reale e ultimo dell’Eucaristia è l’unità del Corpo di Cristo, realizzata nell’Eucaristia e per mezzo dell’Eucaristia da Cristo, e poiché, di conseguenza, la comunione eucaristica non è da intendersi e da compiersi solo personalmente come partecipazione del singolo credente a Cristo morto e risorto, ma anche ecclesialmente come comunione dei credenti in Cristo, non può esserci comunione eucaristica senza comunione ecclesiale. Il Cardinale Karl Lehmann ha messo giustamente in guardia contro il rischio di “dissolvere e, in un certo senso, frammentare una certa armonia e convivenza tra unità ecclesiale e comunione eucaristica”, traendo la seguente conclusione: “La Cena comune si realizza alla fine e non all’inizio degli sforzi ecumenici.”[29]
Nell’ottica cattolica, alla base dell’inscindibile legame tra la comunione eucaristica e l’unità di confessione ecclesiale vi è proprio questa ecclesiologia eucaristica.[30] La sua definizione del legame tra battesimo ed Eucaristia permette di determinare con precisione dove si colloca l’ecumenismo oggi. L’ecumenismo si situa oggi tra la comunione fondamentale nel vincolo sacramentale del battesimo da un lato, e la comunione non ancora possibile nell’Eucaristia dall’altro. Alla luce di ciò, tutti i cristiani e tutte le Chiese sono tenuti a maturare, nel riavvicinamento ecumenico sulla base del fondamento comune del battesimo e a considerare le sue implicazioni e conseguenze ecclesiologiche[31], affinché possa arrivare quel “giorno benedetto”, agognato anche da papa Giovanni Paolo II, “in cui sarà raggiunta la piena unità nella fede e potremo concelebrare nella concordia la santa Eucaristica del Signore”[32]. Il fatto che questo non sia ancora possibile oggi rappresenta una ferita profonda nel Corpo di Cristo, alla quale non dobbiamo assuefarci, ma davanti alla quale non dobbiamo neppure chiudere gli occhi fingendo che non esista. Questa ferita sanguina per amore della verità della fede e ci esorta a proseguire con costanza sul cammino che conduce alla ricomposizione della Chiesa una e unica di Gesù Cristo.
c) L’approfondimento dell’ecumenismo spirituale e la comunione dei martiri
Tra i fattori che determinano lo stato attuale dell’ecumenismo vi è anche l’esperienza di quei cristiani che, in varie Chiese, subiscono oggi il battesimo di sangue, ovvero il martirio. A cavallo tra il secondo e il terzo millennio, la cristianità è diventata nuovamente una chiesa di martiri, a livelli senza precedenti. Il numero dei martiri cristiani oggi è infatti superiore a quello dei primi secoli. L’ottanta per cento dei credenti perseguitati a causa della loro fede sono cristiani.[33] Tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali cristiane hanno i loro martiri. I cristiani oggi sono perseguitati non perché appartengono a una specifica confessione cristiana, non perché sono ortodossi o cattolici, luterani o anglicani, ma perché sono cristiani. Il martirio oggi è ecumenico, tanto che si deve parlare di un vero e proprio ecumenismo dei martiri.[34]
L’ecumenismo dei martiri stava molto a cuore a Papa Giovanni Paolo II, che ad esso ha rivolto una particolare attenzione nella sua enciclica ecumenica “Ut unum sint”. Di fatti, nell’ecumenismo dei martiri, nonostante la grande tragedia delle persecuzioni dei cristiani, egli vedeva anche un messaggio positivo, ravvisandovi già una fondamentale unità tra i cristiani: mentre noi cristiani e noi Chiese su questa terra viviamo ancora in una comunione imperfetta, i martiri nella gloria celeste vivono già in una comunione piena e perfetta. Il sangue che i martiri versano oggi per Cristo non ci separa, ma ci unisce. Come la Chiesa primitiva era convinta che il sangue dei martiri fosse seme di nuovi cristiani (“Sanguis martyrum semen christianorum”), così anche noi oggi possiamo nutrire la speranza che il sangue di così tanti martiri del nostro tempo sarà seme della piena unità ecumenica del Corpo di Cristo ferito dalle molte divisioni. E dobbiamo essere certi che noi cristiani siamo già diventati una cosa sola nel sangue dei martiri. L’ecumenismo dei martiri, che con Papa Francesco prosegue assumendo la definizione di “ecumenismo del sangue”, si rivela indubbiamente l’aspetto più credibile dell’ecumenismo odierno.
Nell’enciclica di Giovanni Paolo II, l’ecumenismo dei martiri si collega anche all’esortazione a proseguire e ad approfondire l’ecumenismo spirituale, definito dal Concilio Vaticano Secondo “l’anima di tutto il movimento ecumenico”[36], nella chiara consapevolezza che al centro di tutti gli sforzi ecumenici deve esserci la preghiera per l’unità. Con la preghiera, esprimiamo infatti la nostra convinzione di fede secondo la quale l’unità della Chiesa non potrà attuarsi primariamente, e ancora meno esclusivamente, per mezzo dei nostri sforzi: noi non possiamo creare da soli l’unità, né decidere la forma e il tempo in cui si realizzerà. Possiamo solo riceverla in dono dallo Spirito Santo; e la migliore preparazione a questo dono è la preghiera per l’unità. Secondo Papa Giovanni Paolo II, la preghiera deve essere presente nella vita della Chiesa e in ogni attività che abbia lo scopo di favorire l’unità dei cristiani: “È come se noi dovessimo sempre ritornare a radunarci nel Cenacolo del Giovedì Santo, sebbene la nostra presenza insieme, in tale luogo, attenda ancora il suo perfetto compimento, fino a quando, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiale, tutti i cristiani si riuniranno nell’unica celebrazione dell’Eucaristia.”[36]
È evidente che, per Papa Giovanni Paolo II, la ricerca ecumenica dell’unità della Chiesa si fonda su profonde basi cristologiche. Infatti, nella vita di Gesù, l’unità è “al centro stesso della sua opera”, e deve pertanto essere anche al centro della comunità della Chiesa fondata da Gesù, come sottolinea il Papa in maniera incisiva: “Credere in Cristo significa volere l’unità; volere l’unità significa volere la Chiesa; volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta l’eternità. Ecco qual è il significato della preghiera di Cristo: ‘Ut unum sint’.”[37]
Approfondire e rinnovare la fede cristologica è una particolare sfida ecumenica in vista del 2025, anno in cui ricorderemo il 1700° anniversario del Concilio di Nicea, il primo concilio ecumenico della storia della Chiesa, e la sua confessione di Gesù Cristo quale Figlio di Dio “della stessa sostanza del Padre”. L’importanza ecumenica di questo credo è indubbia. Per ripristinare l’unità della Chiesa, è necessario essere concordi sui contenuti essenziali della fede, non solo con le altre Chiese e Comunità ecclesiali di oggi, ma anche con la Chiesa del passato e, soprattutto, con le sue origini apostoliche. Il credo cristologico di Nicea ha quindi a che fare, in modo particolare, con la pretesa di validità universale nella Chiesa. Esso è stato recepito in maniera vincolante già dalla Chiesa primitiva come valido per tutti i cristiani, e rappresenta dunque il più forte legame ecumenico della fede cristiana. Per tale motivo, è auspicabile che tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali cristiane celebrino il 1700° anniversario del Concilio di Nicea, facendolo proprio, in uno spirito ecumenico.
3. Nuove sfide nella situazione ecumenica odierna
In questa luce vanno segnalati due sviluppi nella situazione ecumenica odierna, che non sono stati citati o sono stati menzionati solo di passaggio nell’enciclica di Giovanni Paolo II, ma hanno acquisito una crescente rilevanza negli ultimi decenni.
a) Una geografia mutata della cristianità e nuovi partner ecumenici
Dopo la pubblicazione dell’enciclica di Papa Giovanni Paolo II sull’ecumenismo, la geografia globale della cristianità si è ampiamente e profondamente trasformata, soprattutto per la comparsa di nuovi partner ecumenici. Questo fenomeno trova una significativa conferma nella rapida e forte crescita di movimenti evangelicali e pentecostali. In termini numerici, il pentecostalismo oggi è la seconda comunità cristiana per grandezza dopo la Chiesa cattolica.[38] Si tratta di un fenomeno in così rapida espansione che si deve parlare di una “pentecostalizzazione” odierna del cristianismo, ravvisando in esso una nuova quarta forma dell’essere cristiani e dell’essere Chiesa, accanto alle Chiese ortodosse e ortodosse orientali, alla Chiesa cattolica e alle Chiese e Comunità ecclesiali nate dalla Riforma.[39]
È dunque evidente che il dialogo teologico con questi nuovi movimenti si svolgerà in modo diverso e con accenti tematici diversi rispetto al dialogo condotto con le Chiese storiche della Riforma. Basti rilevare un aspetto essenziale: la forza delle comunità pentecostali deve indubbiamente essere ascritta alla loro marcata coscienza evangelizzatrice, dalla quale le grandi Chiese storiche potrebbero trarre insegnamento. Da un lato, queste ultime farebbero bene a interrogarsi in maniera autocritica sul perché così tanti credenti lascino le loro comunità per passare a questi nuovi movimenti. Dall’altro, dovrebbero evitare la tentazione di adottare gli stessi metodi di evangelizzazione, a volte discutibili, di questi movimenti, la tentazione più elementare essendo quella di ridurre il Vangelo cristiano ad una alquanto problematica “teología de la prosperidade”, una promessa economica di felicità che ribalta l’opzione cristiana a favore dei poveri nel suo opposto. La sfida posta dall’incontro ecumenico con i movimenti pentecostali dovrà quindi comportare la capacità di attuare l’attività attrattiva evangelizzatrice nello spirito di comunione ecumenica e senza proselitismo[40]. Ecumenismo e missione si legano infatti in maniera inscindibile solo se una Chiesa missionaria è anche una Chiesa impegnata ecumenicamente, e se una Chiesa impegnata ecumenicamente è il presupposto di una Chiesa missionaria.
La comparsa di nuovi partner ecumenici comporta un’ulteriore sfida sulla quale richiama l’attenzione lo storico della Chiesa protestante Christoph Markschies: “Adesso così tante persone sono impegnate nel movimento ecumenico che gli obiettivi, già diversi all’inizio, si sono ulteriormente pluralizzati semplicemente a causa della grande quantità di cristiani interessati all’ecumenismo.”[41] Questo forte aumento di interlocutori ecumenici, aumento che, in sé, è un fatto positivo, ha favorito la pluralizzazione sopra menzionata. Alla luce di ciò, la ricerca di un solido consenso sull’obiettivo del movimento ecumenico si rivela necessaria e particolarmente urgente.
b) Controversie ecumeniche sull’etica e sull’antropologia
I dialoghi ecumenici attuali devono far fronte a un’altra grande sfida, consistente essenzialmente nell’insorgenza di considerevoli divergenze e tensioni nel campo dell’etica, acuitesi nel corso degli ultimi anni e decenni. Ciò ha comportato un serio cambiamento della situazione ecumenica. Nelle prime fasi del movimento ecumenico, vigeva il motto: la fede divide i cristiani, l’azione e l’etica li uniscono. Nel frattempo, questo motto si è capovolto, e in modo piuttosto paradossale. Mentre i dialoghi ecumenici del passato sono riusciti in gran parte a superare le vecchie differenze di fede confessionali o quantomeno ad operare un riavvicinamento, oggi esistono divergenze non trascurabili nel campo dell’etica, soprattutto per quanto riguarda le questioni bioetiche relative all’inizio e alla fine della vita umana da un lato, e i problemi etici legati al matrimonio, alla famiglia, alla sessualità, specialmente nell’orizzonte dell’odierno gender-mainstream, dall’altro.
Tali sviluppi pongono indubbiamente una sfida particolare all’ecumenismo cristiano di oggi. Va notato con gratitudine che questa sfida comincia ad essere riconosciuta e affrontata nelle discussioni ecumeniche. Ciò traspare, ad esempio, in vari documenti, tra cui: “Prospettive dell’etica sociale ecumenica” redatto da teologi viennesi[42]; il dizionario “Antropologia teologica”[43], pubblicato congiuntamente da esperti romano-cattolici e ortodossi russi; lo studio “Dio e la dignità dell’essere umano”, prodotto da un gruppo di lavoro bilaterale della Conferenza dei vescovi tedeschi e della Chiesa evangelica luterana unita, allo scopo di mostrare come le divergenze etiche possono essere affrontate nei dialoghi ecumenici[44].
Abbiamo urgente bisogno di continuare a lavorare in questa direzione. Di fatti, se le Chiese e le Comunità ecclesiali cristiane non saranno in grado di parlare con una sola voce a proposito delle grandi questioni etiche relative alla vita umana e alla convivenza sociale, la voce cristiana si affievolirà sempre più nelle società secolarizzate, specialmente in Europa; e ciò danneggerà la credibilità dell’ecumenismo sia all’interno del mondo cristiano, sia all’interno della società civile. L’ecumenismo cristiano deve quindi affrontare anche le questioni eticamente controverse e cercare nuovi consensi. E poiché diventa sempre più chiaro che dietro le divergenze etiche si celano soprattutto questioni che riguardano l’immagine dell’uomo, un compito importante dell’ecumenismo odierno sarà quello di mettere a punto un’antropologia cristiana ecumenicamente condivisibile.[45] In tal senso dovrebbe crescere la consapevolezza che si tratta di una sfida comune, dal momento che l’antropologia cristiana viene messa in discussione nel dibattito sociale con sempre maggiore veemenza.
4. Ricezione e proseguimento di “Ut unum sint”
Questa panoramica della situazione ecumenica attuale, seppur breve e sommaria, mostra chiaramente che un quarto di secolo dopo la pubblicazione dell’enciclica “Ut unum sint” il movimento ecumenico non ha affatto raggiunto il suo obiettivo. Sorge piuttosto la stessa domanda di allora: “Quanta est nobis via?” - “Quanta strada dobbiamo ancora fare?”[46] Nell’enciclica di Giovanni Paolo II, sono state presentate molte importanti prospettive, che rimangono tuttora da affrontare. È dunque opportuno e utile considerare le sfide dell’ecumenismo di oggi e di domani alla luce dell’enciclica.
Una sfida fondamentale è fare in modo che i risultati conseguiti dai dialoghi ecumenici vengano ricevuti da tutta la Chiesa, come sottolinea Papa Giovanni Paolo II: “Essi non possono rimanere affermazioni delle Commissioni bilaterali, ma debbono diventare patrimonio comune.”[47] Alle Commissioni ecumeniche, nella loro responsabilità teologica ed ecclesiale, spetta pertanto l’importante compito di preparare consensi ecumenici così solidi da favorire la loro accettazione da parte delle Chiese. Infatti, per produrre affermazioni vincolanti di consenso ecumenico, i documenti delle Commissioni ecumeniche, per quanto lodevoli, non sono sufficienti. Piuttosto, aprono la strada al futuro solo quei documenti che - come la “Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione” - sono stati ricevuti nelle rispettive Chiese e accettati autorevolmente dai loro leader.
Papa Giovanni Paolo II riconosce un importante ruolo alle Facoltà teologiche, che sono responsabili della formazione ecumenica.[48] Essa è il modo più sicuro per far sì che l’ecumenismo di oggi e di domani venga percepito come un sacro dovere e che il movimento ecumenico raggiunga il suo obiettivo, ravvisato da Papa Giovanni Paolo II nel “ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati”[49]. Con gioia prendo atto che la Facoltà Teologica San Vicente Ferrer di Valencia – che ha organizzato il Simposio odierno in collaborazione con l’Istituto di Studi Ecumenici della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino di Roma - è impegnata in questo compito di formazione ecumenica, e sono profondamente grato a entrambe le istituzioni.
Con il loro lavoro, esse testimoniano che non c’è assolutamente alternativa all’ecumenismo. L’ecumenismo è necessario alla credibilità della fede cristiana e alla missione della Chiesa nel mondo di oggi, corrisponde alla volontà del Signore ed è frutto dello Spirito Santo. Daremmo prova di scarsa fede se non ci fidassimo dello Spirito e non lo credessimo capace di portare a compimento – certamente secondo le sue modalità e i suoi tempi – ciò che lui stesso ha iniziato in maniera così promettente. Prestargli ascolto è il comandamento dell’ecumenismo dei nostri tempi. Questo è quanto ricordava Papa Giovanni Paolo II alla Chiesa cattolica e a tutto il movimento ecumenico con la sua pionieristica enciclica “Ut unum sint”. E a questo orientamento rimaniamo fedeli anche noi oggi.
[1] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 77.
[2] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 3.
[3] Cfr. R. Skrzypzak, Karol Wojtyla al Concilio Vaticano II. La Storia e i Documenti (Verona 2011).
[4] Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza (Milano, 1994) 164.
[5] Giovanni Paolo II, Novo Millennio ineunte, n. 57.
[6] K. Wojtyla, Quellen der Erneuerung. Studie zur Verwirklichung des Zweiten Vatikanischen Konzils (Freiburg i. Br. 1981) 284.
[7] Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza (Milano, 1994) 164.
[8] Giovanni Paolo II, Ibid 168.
[9] Giovanni Paolo II, Un unum sint, n. 95-96.
[10] Cfr. K. Koch, L’attività legislativa di Giovanni Paolo II e la promozione dell’unità dei Cristiani, in: L. Gerosa (ed.), Giovanni Paolo II: Legislatore della Chiesa. Fondamenti, innovazioni e aperture. Atti del Convegno di Studio (Città del Vaticano 2013) 160-177.
[11] J. Ratzinger – Benedetto XVI, La fede rifugio dell‘umanità. Le 14 encicliche di Giovanni Paolo II, in: Idem, Giovanni Paolo II. Il mio amato predecessore (Cinisello Balsamo 2007) 33-49, cit. 43.
[12] J. Ratzinger – Benedetto XVI, L’unità di missione e persona nella figura di Giovanni Paolo II, in: Idem, Giovanni Paolo II. Il mio amato predecessore (Cinisello Balsamo 2007) 9-32, cit. 30.
[13] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 42.
[14] Cardinal W. Kasper, Harvesting the Fruits. Basic Aspects of Christian Faith in Ecumenical Dialogue (London – New York 2009).
[15] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 77.
[16] Vgl. K. Kardinal Koch, Lob der Vielfalt – Gerät den christlichen Kirchen die Einheit aus dem Blick? in: St. Kopp / W. Thönissen (Hrsg.), Mehr als friedvoll getrennt? Ökumene nach 2017 (Freiburg i. Br. 2017) 15-40.
[17] P.-W. Scheele, Ökumene – wohin? Unterschiedliche Konzepte kirchlicher Einheit im Vergleich, in: St. Ley, I. Proft, M. Schulze (Hrsg.), Welt vor Gott. Für George Augustin (Freiburg i. Br. 2016) 165-179, zit. 165.
[18] Vgl. G. Hintzen / W. Thönissen, Kirchengemeinschaft möglich. Einheitsverständnis und Einheitskonzepte in der Diskussion (Paderborn 2001); F. W. Graf / D. Korsch (Hrsg.), Jenseits der Einheit. Protestantische Ansichten der Ökumene (Hannover 2001).
[19] Vgl. H. Meyer, Zur Entstehung und Bedeutung des Konzeptes „Kirchengemeinschaft“. Eine historische Skizze aus evangelischer Sicht, in: J. Schreiner / K. Wittstadt (Hrsg.), Communio Sanctorum. Einheit der Christen – Einheit der Kirche (Würzburg 1988) 204-230.
[20] Vgl. U. H. J. Körtner, Die Leuenberger Konkordie als ökumenisches Modell, in: M. Bünker / B. Jaeger (Hrsg.), 40 Jahre Leuenberger Konkordie. Dokumentationsband zum Jubiläumsjahr 2013 der Gemeinschaft Evangelischer Kirchen in Europa (Wien 2014) 203-226.
[21] Zur kritischen Auseinandersetzung mit dem Einheitsmodell der Leuenberger Konkordie vgl. K. Koch, Kirchengemeinschaft oder Einheit der Kirche? Zum Ringen um eine angemessene Zielvorstellung der Ökumene, in: P. Walter u. a. (Hrsg.), Kirche in ökumenischer Perspektive. Festschrift für Kardinal Walter Kasper (Freiburg i. Br. 2003) 135-162.
[22] Die Kirche auf dem Weg zu einer gemeinsamen Vision. Eine Studie der Kommission für Glauben und Kirchenverfassung des Ökumenischen Rates der Kirchen (ÖRK) (Gütersloh – Paderborn 2015).
[23] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 42.
[24] E.-M. Faber, Baptismale Ökumene. Tauftheologische Orientierungen für den ökumenischen Weg, in: D. Sattler / G. Wenz (Hrsg.), Sakramente ökumenisch feiern. Vorüberlegungen für die Erfüllung einer Hoffnung (Mainz 2005) 101-123.
[25] Unitatis redintegratio, n. 3.
[26] Unitatis redintegratio, n. 22.
[27] Unitatis redintegratio, n. 22.
[28] G. Greshake, … wie man in der Welt leben soll. Grundfragen christlicher Spiritualität (Würzburg 2009) 53-54.
[29] K. Lehmann, Einheit der Kirche und Gemeinschaft im Herrenmahl. Zur neueren ökumenischen Diskussion um Eucharistie- und Kirchengemeinschaft, in: Th. Söding (Hrsg.), Eucharistie. Positionen katholischer Theologie (Regensburg 2002) 141-177, zit. 171-172.
[30] Vgl. K. Koch, Eucharistie und Kirche in ökumenischer Perspektive, in: Ders., Eucharistie. Herz des christlichen Glaubens (Freiburg/Schweiz 2005) 89-124; Ders., Die Kirche feiert Eucharistie – Die Eucharistie baut Kirche auf, in: G. Augustin (Hrsg.), Eucharistie und Erneuerung. Aufbruch aus der Mitte des Glaubens (Freiburg i. Br. 2021) 11-35.
[31] Vgl. W. Kardinal Kasper, Ekklesiologische und ökumenische Implikationen der Taufe, in: A. Raffelt (Hrsg.), Weg und Weite. Festschrift für Karl Lehmann (Freiburg i. Br. 2001) 581-599.
[32] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 77.
[33] Vgl. R. Backes, „Sie werden euch hassen“. Christenverfolgung heute (Augsburg 2005); R. Guitton, Cristianophobia. La nuova persecuzione (Torino 2009); Kirche in Not (Hrsg.), Christen in grosser Bedrängnis. Diskriminierung und Unterdrückung. Dokumentation 2016 (München 2016); A. Riccardi, Salz der Erde, Licht der Welt. Glaubenszeugnis und Christenverfolgung im 20. Jahrhundert (Freiburg i. Br. 2002).
[34] Vgl. W. Kasper, Ökumene der Märtyrer. Theologie und Spiritualität des Martyriums (Norderstedt 2014); K. Cardinal Koch, Christenverfolgung und Ökumene der Märtyrer. Eine biblische Besinnung (Norderstedt 2016).
[35] Unitatis redintegratio, n. 8.
[36] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 23.
[37] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 9.
[38] Vgl. K. Krämer und K. Vellguth (Hrsg.), Pentekostalismus, Pfingstkirchen als Herausforderung in der Ökumene = Theologie der einen Welt. Band 15 (Freiburg i. Br. 2019); J. Müller – K. Gabriel (eds.), Evangelicals, Pentecostal Churches, Charismatics. New religious mouvement as a challenge for the Catholic Church (Ouezon 2015).
[39] M. Eckholt, Pentekostalismus. Eine neue „Grundform“ des Christseins. Eine theologische Orientierung zum Verhältnis von Spiritualität und Gesellschaft, in: T. Kessler / A.-P. Rethmann (Hrsg.), Pentekostalismus. Die Pfingstbewegung als Anfrage an Theologie und Kirche = Weltkirche und Mission. Band 1 (Regensburg 2012) 202-225, zit. 202.
[40]Vgl. K. Kardinal Koch, Das Evangelium der Liebe Gottes in der Welt bezeugen. Besinnung auf den missionarischen Grundauftrag der Kirche, in: G. Augustin und N. Eterovic (Hrsg.), Mission in säkularer Gesellschaft. Ein Herzensanliegen (Freiburg i. Br. 2020) 30-52.
[41] Ch. Markschies, Neue Chance für die Ökumene? in: Nach der Glaubensspaltung. Zur Zukunft des Christentums, in: Herder Korrespondenz Spezial (Freiburg i. Br. 2016) 17-21, zit. 20.
[42] I. Gabriel, A. K. Papadetos, U. J. Körtner, Perspektiven ökumenischer Sozialethik. Der Auftrag der Kirchen im grösseren Europa (Mainz 2005).
[43] B. Stubenrauch, A. Lorgus (Hrsg.), Handwörterbuch „Theologische Anthropologie. Römisch-katholisch – Russisch-orthodox (Freiburg i. Br. 2013).
[44] Bilaterale Arbeitsgruppe der Deutschen Bischofskonferenz und der Vereinigten Evangelisch-Lutherischen Kirche Deutschlands, Gott und die Würde des Menschen (Leipzig – Paderborn 2017).
[45] Vgl. K. Kardinal Koch, Der Mensch als ökumenische Frage. Gibt es (noch) eine gemeinchristliche Anthropologie? in: B. Stubenrauch, M. Seewald (Hrsg.), Das Menschenbild der Konfessionen. Achillesverse der Ökumene? (Freiburg i. Br. 2015) 18-32.
[46] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, Capitolo III.
[47] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 80.
[48] Cfr. Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità die cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo (1993), soprattutto III Formazione all’ecumenismo nella Chiesa cattolica, e: La dimensione ecumenica nella formazione di chi si dedica al ministero pastorale (1998).
[49] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 77.