LE SFIDE DELL´ECUMENISMO ODIERNO

Conferenza presso l’Associazione Internazionale Carità Politica, Roma, 4 dicembre 2019

Kurt Cardinale Koch

 

“Promuovere il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II.”[1] Con queste parole inizia il Decreto del Concilio Vaticano Secondo sull’ecumenismo, “Unitatis redintegratio”, indicando così, come sfida fondamentale per il cristianesimo, il ripristino dell’unità dei cristiani che si è frantumata in varie divisioni nel corso della storia. In questo obiettivo ecumenico risiede il motivo per cui, nella coscienza pubblica, l’ecumenismo viene ampiamente identificato con il dialogo teologico della verità, cioè con l’elaborazione teologica di quei fattori che sono stati all’origine delle divisioni tuttora esistenti nella Chiesa.

 

1. L’ecumenismo della verità: elaborazione paziente delle differenze teologiche

Il dialogo teologico della verità è necessario per potersi avvicinare all’obiettivo ecumenico dell’unità. Non può esserci infatti unità che trascuri la verità della fede. In questo senso, il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I e Papa Francesco, nella loro dichiarazione comune rilasciata a Gerusalemme nel maggio 2014, hanno sottolineato che “il dialogo teologico non cerca un minimo comune denominatore teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull’approfondimento della verità tutta intera, che Cristo ha donato alla sua Chiesa e che, mossi dallo Spirito Santo, non cessiamo mai di comprendere meglio”[2].

La Chiesa cattolica, dal Concilio Vaticano Secondo in poi, ha avviato simili dialoghi teologici con quasi tutte le Chiese e le Comunità cristiane: a cominciare dalla Chiesa assira d’Oriente e le Chiese ortodosse orientali come quella copta, l’armena e la siriaca, le Chiese ortodosse di tradizione bizantina e slava, le Chiese e le Comunità nate dalla Riforma, come i luterani e i riformati e la Comunione Anglicana Mondiale, la Chiesa veterocattolica e le diverse libere Chiese fino alle comunità evangelicali e pentecostali, che sono cresciute enormemente soprattutto nel XX e all’inizio del XXI secolo. Da questi dialoghi sono stati raccolti molti frutti positivi, come ha spiegato il Cardinale Walter Kasper nel suo libro “Harvesting the Fruits”[3].

Nonostante i numerosi risultati positivi ottenuti, non possiamo tacere il fatto che l’obiettivo vero e proprio del movimento ecumenico, che è il ristabilimento dell’unità della Chiesa, ovvero della piena comunità ecclesiale, non è stato ancora raggiunto. Bisogna continuare a lavorare per il conseguimento di questo obiettivo nella direzione indicata dal Decreto sull’ecumenismo. Il Decreto ha analizzato con maggiore attenzione due “principali categorie di scissioni che hanno intaccato l’inconsutile tunica di Cristo”[4], ossia lo scisma nella Chiesa tra Oriente ed Occidente nell’XI secolo e la frattura avvenuta nella Chiesa occidentale nel XVI secolo. Si tratta di tipi diversi di divisione, che, per questo, sono affrontati in dialoghi ecumenici diversi.

Il lavoro teologico è affidato in modo particolare al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani; non è comunque mia intenzione soffermarmi sull’argomento in questo contesto. Il dialogo teologico della verità presuppone, per essere credibile, altre forme di ecumenismo a cui ora ci rivolgeremo.

a) L’ecumenismo della carità: incontri fraterni con parole e segni

In primo luogo va menzionato il dialogo ecumenico della carità, della fraternità e dell’amicizia. Esso è il presupposto imprescindibile e lo spazio vitale organico per poter condurre un dialogo della verità. Il dialogo della carità ha permesso di riscoprire tra i cristiani e le comunità cristiane la “fraternità”, che Papa Giovanni Paolo II ha annoverato tra i frutti più importanti dello sforzo ecumenico.[5] I numerosi incontri, i colloqui e le reciproche visite hanno fatto nascere infatti tra le diverse Chiese una rete di rapporti amichevoli, che costituiscono una solida base anche per tutte le altre relazioni ecumeniche.

L’ecumenismo della carità serve soprattutto alla riconciliazione tra le Chiese, che si esprime in richieste di perdono per i peccati commessi nel passato e non di rado si accompagna a gesti significativi, spesso più eloquenti di tante parole. Pensiamo soprattutto a Papa Paolo VI, che usava tali gesti come parte integrante del suo vocabolario ecumenico. Tra gli eventi memorabili da ricordare, va menzionato l’incontro che egli ebbe con il Patriarca ecumenico Athenagoras il 5 e 6 gennaio 1964 a Gerusalemme, quando entrambi si scambiarono un bacio fraterno. I due capi di Chiesa, il 7 dicembre 1965, stabilirono il superamento definitivo degli anatemi del 1054. Con questi atti fu possibile togliere il veleno della scomunica dall’organismo della Chiesa e sostituire il “simbolo della divisione” con il “simbolo della carità”[6].

A partire da questa svolta storica nel rapporto tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, si è instaurata la bella tradizione dello scambio di visite tra la Chiesa di Costantinopoli e la Chiesa di Roma in occasione delle rispettive feste patronali o di altri eventi particolarmente importanti. È diventata una significativa consuetudine per i vari papi, nei primi tempi del loro pontificato, recarsi al Phanar a Costantinopoli per rendere visita al Patriarca ecumenico. A sua volta, la partecipazione del Patriarca ecumenico Bartolomeo I alla cerimonia d’inaugurazione del pontificato di Papa Francesco a Roma è stata un bellissimo segno di matura amicizia e può essere considerato come il primo evento incoraggiante nelle relazioni ecumeniche tra Roma e Costantinopoli.

Come altro segno memorabile dell’ecumenismo della carità, ricordiamo ancora una volta Papa Paolo VI, che, nell’incontro avuto nel 1966 nella basilica di San Paolo fuori le Mura con il Primate degli Anglicani, l’Arcivescovo Michael Ramsey di Canterbury, si tolse l’anello simbolo del suo potere episcopale e lo infilò al dito dell’Arcivescovo. Non vanno dimenticate neppure le richieste di perdono di Papa Giovanni Paolo II, soprattutto durante la liturgia della prima domenica di Quaresima nell’anno del grande Giubileo del 2000. Un grande passo di riconciliazione è stato compiuto nel giugno del 2015 da Papa Francesco, che si è recato a Torino per incontrare, come primo Papa, la comunità dei Valdesi nel Tempio Valdese. Là ha ritenuto di dovere chiedere perdono a questa comunità con parole commoventi: “Da parte della Chiesa Cattolica vi chiedo perdono. Vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo perdonateci!”[7]

Tali gesti traducono nella realtà una delle idee fondamentali del Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano Secondo, ovvero che “non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione”. Non si tratta innanzitutto della conversione degli altri, ma della propria, che comprende anche la disponibilità a vedere in modo autocritico le proprie debolezze e a confessare umilmente i propri peccati[8]. Questo ecumenismo della conversione è una forma credibile dell’ecumenismo della carità e una sfida importante per la riconciliazione dei cristiani in cammino verso l’unità.

 

3. L’ecumenismo della vita: collaborazione e testimonianza ecumenica

L’ecumenismo della carità, da parte sua, si rivela credibile solo se è supportato da quella forma di ecumenismo che può essere definita ecumenismo della vita, la quale si concretizza nella cura pastorale delle persone e nel servizio al mondo, attraverso il confronto sensibile con i grandi problemi attuali e mediante lo scambio culturale. Al riguardo, il “Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo” sottolinea che il contributo che i cristiani danno “in ogni campo della vita umana in cui si manifesta il bisogno di salvezza” è più efficace “quando lo danno tutti insieme e quando si vede che sono uniti nell’operare”. La sfida dell’ecumenismo della vita è quindi, per i cristiani, “compiere insieme tutto ciò che è consentito dalla loro fede”[9].

a) L’ecumenismo culturale: superare le differenze culturali

Innanzitutto merita di essere menzionato l’ecumenismo culturale, che è molto importante per progredire sul cammino dell’unità. Dalla ricerca ecumenica sappiamo che, nelle varie divisioni avvenute nel corso della storia della Chiesa, i fattori culturali, a partire dalle differenze linguistiche, hanno svolto un ruolo determinante. Ciò può essere esemplificato dalla relazione storica tra cristianità occidentale e cristianità orientale. Dalla cristianità occidentale e da quella orientale, di fatti, il Vangelo di Gesù Cristo è stato ricevuto sin dall’inizio in modo diverso, ed è stato vissuto e trasmesso secondo diverse tradizioni e forme culturali. Con tali differenze, le comunità ecclesiali in Oriente e in Occidente vissero nel primo millennio all’interno dell’unica Chiesa. Tuttavia, esse si estraniarono sempre più l’una dall’altra dal punto di vista culturale, riuscendo a capirsi sempre meno.[10] Furono soprattutto le diverse sensibilità interpretative e le diverse forme di spiritualità a causare in larga misura lo scisma tra Oriente e Occidente, come giustamente ha fatto osservare il Cardinale Walter Kasper: “La cristianità non si è divisa principalmente a livello di discussioni su formule dottrinali differenti, ma si è divisa piuttosto a livello di vita.”[11]

Data la grande importanza che i fattori culturali hanno avuto per le divisioni nella Chiesa, si comprende la sfida ecumenica consistente nella necessità di familiarizzarsi con la cultura degli altri cristiani e delle altre Chiese al fine di comprendere meglio il modo in cui percepiscono e vivono il Vangelo di Gesù Cristo. Attraverso la conoscenza reciproca e lo scambio culturale, può crescere la consapevolezza che i cristiani appartenenti a comunità ecclesiali separate condividono la stessa fede ma la esprimono in modi diversi a seconda dei doni specifici e delle tradizioni di ogni popolo. Per promuovere l’unità dei cristiani in campo culturale, esiste ad esempio un gruppo di lavoro congiunto tra la Santa Sede e il Patriarcato di Mosca per il coordinamento di progetti culturali come mostre d’arte e concerti comuni.

Il più importante di tali progetti è senza dubbio l’organizzazione e la realizzazione di visite di studio di giovani sacerdoti ortodossi a Roma e di giovani sacerdoti cattolici a Mosca. Visite di studio simili tra Roma e le Chiese ortodosse orientali sono attualmente in fase di programmazione. Queste esperienze offrono ai giovani sacerdoti delle varie Chiese l’opportunità unica di superare eventuali pregiudizi e di conoscere più da vicino i doni degli altri, come ha affermato Papa Francesco: “Un’autentica riconciliazione tra i cristiani potrà realizzarsi quando sapremo riconoscere i doni gli uni degli altri e saremo capaci, con umiltà e docilità, di imparare gli uni dagli altri - imparare gli uni dagli altri -, senza attendere che siano gli altri a imparare prima da noi”[12].

b) L’ecumenismo pastorale: la cura comune dell’uomo

Nella cura pastorale delle persone, specialmente di coloro che vivono in Chiese ancora separate ma in un matrimonio comune, i percorsi verso l’unità sono importanti tanto quanto l’obiettivo. È dunque fondamentale che i diversi cristiani e le diverse Comunità ecclesiali siano in cammino verso l’unità nella vita concreta e nella cura pastorale, con la stessa convinzione espressa più volte da Papa Francesco con la triade: “Camminare insieme, pregare insieme e lavorare insieme”. In particolare, la cooperazione pastorale tra i cristiani e tra le Chiese implica una testimonianza comune della verità del Vangelo. Le divisioni che ancora permangono nella cristianità minano infatti la credibilità dell’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi. Tale credibilità sarebbe sicuramente maggiore se i cristiani superassero le loro divisioni. A ciò, l’ecumenismo pastorale può apportare un contributo significativo.

Una particolare sfida ecumenica nel campo pastorale è rappresentata dal fatto che, negli ultimi anni e decenni, sono affiorate nel panorama ecumenico enormi tensioni e divergenze nel campo etico. Questo ha comportato un forte cambiamento della situazione ecumenica: mentre nelle fasi precedenti del movimento ecumenico vigeva lo slogan secondo cui “la fede separa, e l’agire unisce”, adesso tale convinzione si è ribaltata. Nei dialoghi ecumenici del passato, infatti, è stato possibile a volte superare vecchie differenze confessionali di fede o quantomeno giungere a convergenze. Oggi invece insorgono grandi differenze soprattutto nelle questioni etiche, e specialmente in quelle legate, da un lato, alla bioetica come l’inizio e la fine della vita umana e, dall’altro, al matrimonio, alla famiglia e alla sessualità nel contesto del “gender-mainstream”.

Questo sviluppo rappresenta una sfida particolare per l’ecumenismo cristiano di oggi. Se le Chiese e le Comunità ecclesiali cristiane non riescono infatti a parlare con una sola voce sulle grandi questioni etiche della vita umana e della vita sociale, la voce cristiana diventerà sempre più debole nelle società secolarizzate. Pertanto, la comunità ecumenica cristiana deve affrontare anche le questioni eticamente controverse e cercare nuovi consensi. E poiché alla base delle differenze etiche vi sono principalmente questioni riguardanti l’immagine dell’uomo, uno dei grandi compiti che spettano oggi all’ecumenismo è quello di mettere a punto un’antropologia cristiana comune.[13]

c) L’ecumenismo pratico: l’azione pubblica comune

Da qui, il passo è breve verso quel tipo di ecumenismo che può essere definito ecumenismo pratico, che si riferisce alla collaborazione ecumenica di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, come ad esempio l’impegno a favore dei poveri e la tutela del creato, la promozione della pace e della giustizia sociale, la difesa della libertà religiosa e la protezione delle istituzioni sociali del matrimonio e della famiglia. L’ecumenismo deve ascoltare soprattutto le voci che si alzano disperatamente nel mondo di oggi, vale a dire la voce dei poveri, la voce di coloro che soffrono a causa di gravi malnutrizioni e di una crescente disoccupazione, la voce delle molte vittime dei conflitti nelle varie parti del mondo e la voce dei giovani, che spesso vivono senza speranza, sfiduciati e rassegnati. La crescente globalizzazione deve anche e soprattutto permettere ai cristiani di consolidare e intensificare la collaborazione ecumenica al servizio del bene olistico della famiglia umana, come si legge nel messaggio di Papa Francesco rivolto alla X Assemblea Generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese tenutasi a Busan in Corea nel novembre 2013: “Il mondo globalizzato in cui viviamo ci esorta a testimoniare insieme la dignità conferita da Dio a ogni essere umano e a promuovere in maniera efficace le condizioni culturali, sociali e giuridiche che permettono agli individui e alle comunità di crescere nella libertà.”[14]

Alla luce di queste sfide, è ancora più evidente lo scandalo insito nelle divisioni tuttora esistenti nella cristianità. Poiché nuocciono alla credibilità dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, esse sono uno scandalo e un grande ostacolo alla proclamazione del Vangelo della redenzione del mondo, come ricorda Papa Francesco, soprattutto nella sua Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”: “Data la gravità della controtestimonianza della divisione tra cristiani, particolarmente in Asia e in Africa, la ricerca di percorsi di unità diventa urgente. I missionari in quei continenti menzionano ripetutamente le critiche, le lamentele e le derisioni che ricevono a causa dello scandalo dei cristiani divisi.” Per Papa Francesco “l’impegno per un’unità che faciliti l’accoglienza di Gesù Cristo smette di essere mera diplomazia o un adempimento forzato, per trasformarsi in una via imprescindibile dell’evangelizzazione”[15].

 

4. L’ecumenismo spirituale: preghiera e martirio

Quando evidenziamo l’impegno per l’unità dei cristiani nelle varie forme dell’ecumenismo, non dobbiamo scordare la forma più importante, ovvero l’ecumenismo spirituale, definito dal Concilio Vaticano Secondo “l’anima di tutto il movimento ecumenico”[16]. La preghiera per l’unità è infatti la base stessa dell’ecumenismo. Con la preghiera, noi cristiani esprimiamo la nostra convinzione di fede secondo la quale noi uomini non possiamo fare l’unità né determinarne il momento o la forma. Noi uomini riusciamo a creare scissioni: la storia e anche il presente ce ne forniscono purtroppo la prova. Ma l’unità possiamo solo riceverla dallo Spirito Santo, che è la fonte divina e la forza motrice dell’unità, come rileva Papa Francesco: “La nostra unità non è primariamente frutto del nostro consenso, o della democrazia dentro la Chiesa o del nostro sforzo di andare d’accordo, ma viene da Lui che fa l’unità nella diversità, perché lo Spirito Santo è armonia, sempre fa l’armonia nella Chiesa.”[17]

La migliore preparazione per poter ricevere l’unità come dono dello Spirito Santo è la preghiera per l’unità. La centralità della preghiera per l’unità nell’impegno ecumenico si è concretizzata presto, già all’inizio del movimento ecumenico, quando fu introdotta la Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, che è stata sin dall’origine un’iniziativa ecumenica. Fu la preghiera per l’unità dei cristiani a spianare la strada del movimento ecumenico, che nella sua essenza più profonda è un movimento di preghiera. Fedele a queste sue origini, la Preghiera per l’unità è e rimane anche oggi il segno decisivo che contraddistingue ogni sforzo ecumenico.

Una forma particolare di ecumenismo spirituale è quella che Giovanni Paolo II ha definito “l’ecumenismo dei martiri” e che Papa Francesco chiama “ecumenismo del sangue”. Con ciò, ci si riferisce al fatto drammatico che nel mondo odierno moltissimi cristiani sono sottoposti a massicce persecuzioni e che, alla fine del secondo millennio e all’inizio del terzo, le comunità cristiane sono tornate ad essere, in una misura senza precedenti, Chiese di martiri. Di fatti, i martiri di oggi sono più numerosi dei martiri uccisi al tempo delle persecuzioni contro i cristiani nei primi secoli del cristianesimo. L’ottanta per cento di tutti coloro che sono perseguitati oggi a causa della loro fede sono cristiani. La fede cristiana è attualmente la religione più perseguitata.[18]

Questo triste fenomeno rappresenta una sfida fondamentale per la solidarietà ecumenica, specialmente oggi che tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali hanno i loro martiri, tanto che si deve parlare di un vero e proprio ecumenismo dei martiri.[19] Oggi infatti i cristiani sono perseguitati non perché appartenenti a una particolare comunità cristiana, ortodossa o cattolica, protestante o anglicana, ma perché cristiani.

Nell’ecumenismo dei martiri – malgrado la sua tragicità – è racchiusa una grande promessa: come la Chiesa antica era convinta che il sangue dei martiri fosse seme di nuovi cristiani, così anche oggi possiamo sperare che il sangue di tanti martiri del nostro tempo diventi seme della piena unità. E possiamo addirittura confidare nel fatto che, nel sangue dei martiri, noi siamo già diventati una sola cosa.

Ma l’ecumenismo dei martiri ci pone anche davanti a una grande sfida, espressa da Papa Francesco con una frase incisiva: “Se il nemico ci unisce nella morte, chi siamo noi per dividerci nella vita?”[20] Non è infatti deplorevole che i persecutori dei cristiani abbiano una visione ecumenica migliore rispetto a noi stessi cristiani? Loro infatti sanno che noi cristiani siamo una cosa sola. Nell’ecumenismo dei martiri colgo il nucleo centrale di ogni sforzo ecumenico per l’unita della Chiesa. Poiché la sofferenza di così tanti cristiani nel mondo odierno è un’esperienza comune, più forte rispetto alle differenze che tuttora separano le Chiese cristiane, il martirio comune dei cristiani, a mio parere, è il segno più convincente dell’ecumenismo oggi.

 

5. Ecumenismo e missione

I martiri sono i testimoni più credibili del Vangelo di Gesù Cristo. Dato che tutti i battezzati sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede, occorre menzionare un’ultima sfida ecumenica, legata al profondo mutamento geografico della cristianità globale dovuto alla forte crescita dei movimenti evangelicali e pentecostali in tutto il mondo.[21] In particolare il pentecostalismo, con i suoi 500 milioni di membri, costituisce la realtà cristiana più numerosa dopo la Chiesa cattolica. Si tratta di un fenomeno in così rapida espansione che è possibile parlare di una “pentecostalizzazione” odierna del cristianismo, ravvisando in esso una nuova “quarta forma dell’essere cristiani”[22], accanto alle Chiese ortodosse e ortodosse orientali, alla Chiesa cattolica e alle Chiese e Comunità ecclesiali nate dalla Riforma.

La forza di queste comunità pentecostali risiede senza dubbio nella loro chiara consapevolezza dell’importanza dell’evangelizzazione, dalla quale le Chiese storiche hanno molto da imparare. Tale consapevolezza è anche alla base dell’attenzione rivolta da questi movimenti ai membri delle altre Chiese, nello sforzo di accaparrarseli. Le Chiese storiche farebbe bene, dunque, a riflettere in maniera autocritica sul perché molti dei loro fedeli decidono di abbandonare le comunità di appartenenza e di passare a tali movimenti. In ciò, dovrebbero resistere alla tentazione di ricorrere agli stessi metodi di evangelizzazione, spesso di dubbia natura, utilizzati da questi movimenti, evitando così il rischio di sminuire il Vangelo cristiano come fosse una “teologia della prosperità”, in sé alquanto problematica, ovvero una mera promessa di benessere economico, che trasformerebbe l’opzione cristiana a favore dei poveri nel suo esatto contrario.

A ciò è strettamente legata l’esistenza di forti tendenze proselitistiche all’interno di non pochi movimenti pentecostali. Il proselitismo rappresenta un problema che l’ecumenismo odierno deve affrontare. Il proselitismo, infatti, inteso come un accaparrarsi i membri di altre Chiese, è l’opposto dell’ecumenismo ed è assolutamente contrario allo spirito cristiano. L’evangelizzazione cristiana è un processo completamente libero, che interpella la libertà degli altri invitandoli a entrare in comunicazione e ad avviare un dialogo vivificante, come ha sottolineato Papa Benedetto XVI in occasione dell’inaugurazione della V Assemblea Generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi ad Aparecida: “La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per ‘attrazione’: come Cristo ‘attira tutti a sé’ con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della Croce, così la Chiesa compie la sua missione nella misura in cui, associata a Cristo, compie ogni sua opera in conformità spirituale e concreta alla carità del suo Signore.”[23]

Un’evangelizzazione attraente, in comunione ecumenica, priva di proselitismo è la prova di un ecumenismo credibile oggi. L’ecumenismo e la missione sono inscindibili solo in questo modo: una Chiesa missionaria deve essere anche una Chiesa impegnata ecumenicamente e una Chiesa impegnata ecumenicamente è il prerequisito di una Chiesa missionaria. Ecco una delle sfide più cruciali per l’ecumenismo nella situazione odierna.

 

 

 

 

[1] Unitatis redintegratio, n. 1.

 

 

[2] Dichiarazione comune di Papa Francesco e del Patriarca ecumenico Bartolomeo durante l’incontro privato presso la Delegazione Apostolica a Gerusalemme, il 25 maggio 2014.

 

 

[3]  Cardinal W. Kapser, Harvesting the Fruits. Basic Aspects of Christian Faith in Ecumenical Dialogue (London – New York 2009).

 

 

[4]  Unitatis redintegratio, n. 13.

 

 

[5]  Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 41-42.

 

 

[6]  J. Ratzinger, Rom und die Kirchen des Ostens nach der Aufhebung der Exkommunikation von 1054, in: Ders., Theologische Prinzipienlehre. Bausteine zur Fundamentaltheologie (München 1982) 214-230, zit. 229.

 

 

[7]  Francesco, Discorso durante la visita alla chiesa valdese di Torino, il 22 giugno 2015.

 

 

[8]  Unitatis redintegratio, n. 7.

 

 

[9] Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo, n. 162.

 

 

[10] Vgl. Y. Congar, Zerstrittene Christenheit. Wo trennten sich Ost und West (Wien 1959).

 

 

[11] W. Kardinal Kasper, Wege der Einheit. Perspektiven für die Ökumene (Freiburg i. Br. 2005) 208.

 

 

[12] Francesco, Omelia durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, il 25 gennaio 2017.

 

 

[13] Vgl. K. Kardinal Koch, Der Mensch als ökumenische Frage: Gibt es (noch) eine gemeinchristliche Anthropologie? in: B. Stubenrauch / M. Seewald (Hrsg.), Das Menschenbild der Konfessionen. Achillesverse der Ökumene? (Freiburg i. Br. 2015) 18-32.

 

 

[14] Francesco, Messaggio al Cardinale Kurt Koch in occasione della X Assemblea Generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Busan, in Corea, il 4 ottobre 2013.

 

 

[15]  Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.

 

 

[16]  Unitatis redintegratio, n. 8.

 

 

[17]  Francesco, Discorso durante l’Udienza generale, il 25 settembre 2013.

 

 

[18] Vgl. R. Backes, „Sie werden euch hassen“. Christenverfolgung heute (Augsburg 2005); R. Guitton, Cristianophobia. La nuova persecuzione (Torino 2009); A. Riccardi, Salz der Erde, Licht der Welt. Glaubenszeugnis und Christenverfolgung im 20. Jahrhundert (Freiburg i. Br. 2002).

 

 

[19] Vgl. K. Cardinal Koch, Christenverfolgung und Ökumene der Märtyrer. Eine biblische Besinnung (Norderstedt 2016).

 

 

[20]  Francesco, Discorso al Movimento del Rinnovamento nello Spirito, il 2 luglio 2015.

 

 

[21] Vgl. J. Müller – K. Gabriel (Eds.), Evangelicals, Pentecostal Churches, Charismatics. New religious mouvements as a challenge for the Catholic Church (Quezon 2015).

 

 

[22] M. Eckholt, Pentekostalismus. Eine neue „Grundform“ des Christseins. Eine theologische Orientierung zum Verhältnis von Spiritualität und Gesellschaft, in: T. Kessler / A.-P. Rethmann (Hrsg.), Pentekostalismus. Die Pfingstbewegung als Anfrage an Theologie und Kirche = Weltkirche und Mission. Band 1 (Regensburg 2012) 202-225, zit. 202.

 

 

[23] Benedetto XVI, Omelia per la celebrazione eucaristica in occasione dell’inaugurazione della V Assemblea Generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi, sulla spianata del Santuario dell’Aparecida, il 13 maggio 2007.