CONFERENZA PRESSO IL PONTIFICIO COLLEGIO UCRAINO DI SAN GIOSAFAT

 

I MODELLI PER IL RINNOVAMENTO DELL'UNITÀ DELLA CHIESA

Roma, 12-14 settembre 2019

 

Che ne è oggi dell’obiettivo ecumenico dell’unità della Chiesa? Come deve essere intesa la piena comunione ecumenica? E a che punto è l’ecumenismo oggi? Dietro a queste domande apparentemente innocue si cela il sospetto, per quanto non espresso, che l’ecumenismo si trovi a un punto fermo e non avanzi. Di fatti, si parla molto di impasse e addirittura di inverno dell’ecumenismo. Tuttavia, chi osserva la situazione ecumenica odierna ed è impegnato personalmente nell’ecumenismo non potrà condividere questa diagnosi. Ciò vale soprattutto se si volge lo sguardo all’ecumenismo mondiale e ci si accerta di ciò che è stato possibile realizzare in tempi recenti.

Vanno ricordati innanzitutto i vari dialoghi che la Chiesa cattolica, dal Concilio Vaticano Secondo in poi, conduce con quasi tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali cristiane: con la Chiesa assira dell’Oriente e le Chiese ortodosse orientali, come i copti, i siriani e gli armeni, con le Chiese ortodosse di tradizione bizantina e slava, con le Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma, come i luterani, i riformati, i mennoniti e i battisti, con la Comunione Anglicana Mondiale, con i veterotocattolici e le varie Chiese libere, e con le comunità evangelicali e pentecostali, che hanno conosciuto una crescita esponenziale soprattutto nel XX secolo e all’inizio del XXI. Da tutti questi dialoghi è stato possibile raccogliere molti buoni frutti, come ha evidenziato il Cardinale Walter Kasper nel suo libro “Harvesting the Fruits”.[1] Guardare al passato ci spinge dunque, in primo luogo, a provare gratitudine per tutto quello che è stato finora conseguito.

 

1. La necessità e il carattere controverso dell’obiettivo ecumenico

Al di là di tutti questi risultati positivi, non può essere però taciuto il fatto che il vero e proprio obiettivo del movimento ecumenico, ovvero la ricomposizione dell’unità visibile della Chiesa, la piena comunione ecclesiale, non è stato ancora raggiunto e occorrerà probabilmente molto più tempo per conseguirlo di quanto si fosse immaginato cinquant’anni fa. Questa mancanza ha un peso ancora maggiore se consideriamo che il Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano Secondo, “Unitatis redintegratio”, individua proprio nell’unità visibile della Chiesa l’obiettivo di tutti gli sforzi ecumenici e lo legittima con la convinzione teologica fondamentale secondo cui Cristo ha voluto “una Chiesa una e unica”[2].

Questa situazione dolorosa è dovuta al fatto che l’interpretazione dell’obiettivo stesso dell’ecumenismo rientra nei temi più controversi del contesto ecumenico attuale. Ci dobbiamo porre davanti a questa sfida fondamentale come primo passo, per poter intraprendere la ricerca della forma più adeguata di unità ecumenica. Come nella medicina, così anche nell’ecumenismo possono essere proposte utili terapie soltanto se si parte da una chiara diagnosi.

“Abbiamo bisogno di una ‘visione comune’, poiché ci allontaneremo ulteriormente gli uni dagli altri se non ci rivolgiamo verso un obiettivo comune. Se abbiamo di questo obiettivo interpretazioni opposte, ci muoveremo necessariamente, se siamo coerenti, in direzioni opposte.”[3] Con queste parole lungimiranti, già nel 1980, la Commissione mista romano-cattolica/ evangelica-luterana, nel suo documento comune “Vie verso la comunione”, aveva menzionato la particolare difficoltà rappresentata dal fatto che, nel movimento ecumenico, non esiste un consenso sul suo obiettivo. Se infatti, nell’ecumenismo, i vari partner non hanno davanti agli occhi un obiettivo ecumenico comune, ma interpretano in modo molto diverso il concetto di unità della Chiesa, vi è il forte rischio che si incamminino in direzioni divergenti per scoprire in seguito di essersi allontanati ancora di più gli uni dagli altri. Questo pericolo non si è assolutamente ridotto negli ultimi tempi, poiché finora tra le varie Chiese e Comunità ecclesiali non è stato possibile raggiungere alcun solido consenso sull’obiettivo del movimento ecumenico e sono stati addirittura messi in discussione alcuni consensi parziali che nel passato erano stati conseguiti al riguardo. Nel corso del tempo, l’obiettivo del movimento ecumenico è diventato dunque sempre più confuso e tutt’oggi non esiste un consenso su quale sia l’unità della Chiesa che si vuole ricostituire.

Nelle varie fasi del movimento ecumenico che si sono susseguite finora è stato possibile, da un lato, pervenire a consensi ampi ed incoraggianti su molte singole questioni controverse relative alla comprensione della fede e alla struttura teologica della Chiesa. Dall’altro lato, però, la maggior parte delle divergenze che permangono si raggruppano tuttora in una comprensione molto differenziata e marcata confessionalmente dell’unità ecumenica della Chiesa. In questo duplice fatto va riconosciuto il vero e proprio paradosso del movimento ecumenico odierno, che può essere riassunto con la precisa diagnosi presentata da S.E. Mons. Paul-Werner Scheele: “Si è unanimi sul fatto che l’unità è necessaria, e in disaccordo su cosa essa sia.”[4]

Il carattere controverso dell’obiettivo ecumenico è essenzialmente dovuto al fatto che la questione dell’unità della Chiesa non può porsi in maniera astratta o neutra, ma è sempre influenzata da antistanti posizioni confessionali. Queste dipendono a loro volta dall’esistenza di cause e di origini diverse alla base delle divisioni nella Chiesa. Facendo il percorso inverso, ciò significa che i modi in cui l’unità della Chiesa potrà essere ripristinata devono tenere conto dei fatti storici che hanno condotto nella storia alle divisioni nella Chiesa e alla perdita dell’unità.

Nel grande scisma prodottosi nella Chiesa nell’XI secolo tra Oriente e Occidente, erano sicuramente in gioco anche serie questioni teologiche. Eppure, se si guardano le cose nel loro insieme, le vere cause della successiva divisione vanno piuttosto rintracciate in un progressivo e reciproco allontanamento culturale[5], nel quale le diverse forme di spiritualità hanno svolto un ruolo di non scarsa importanza, provocando spesso incomprensione e diffidenza e cristallizzandosi in parte intorno a questioni che oggi consideriamo come differenti disposizioni disciplinari oppure come espressioni di una legittima diversità all’interno dell’unità, quali ad esempio l’uso del pane lievitato o del pane senza lievito nella celebrazione eucaristica o altre divergenze nel culto o nel calendario liturgico. Pertanto, interpretazioni diverse e spiritualità diverse hanno fortemente contribuito alla divisione nella Chiesa, seppure nella Chiesa, in Oriente come in Occidente, siano state preservate le strutture ecclesiologiche fondamentali sviluppatesi a partire del II secolo, ovvero la struttura sacramentale-eucaristica e la struttura episcopale, nel senso che l’unità nell’Eucaristia e il ministero episcopale sono considerati come costitutivi per l’essere Chiesa.[6]

Indubbiamente più varie e complesse sono le cause e le origini della divisione del XVI secolo nella Chiesa d’Occidente. Nella Riforma, infatti, è nato un diverso tipo di essere chiesa, che si distingue considerevolmente dalla struttura ecclesiale di fondo della Chiesa primitiva. Di conseguenza, la ricerca ecumenica della ricomposizione dell’unità della Chiesa, nel dialogo con le Chiese e con le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma non affronta, come avviene all’interno del dialogo con le Chiese ortodosse e ortodosse orientali, soltanto singole differenze dottrinali quali il rapporto tra sinodalità e primato e il ruolo del Vescovo di Roma nella futura unità della Chiesa in Oriente e in Occidente, ma deve confrontarsi anche con una diversa struttura di base ecclesiale.

 

2. Mantenere sveglia la ricerca dell’unità della Chiesa

Come hanno mostrato questi pochi esempi, le cause e le origini delle divisioni nella Chiesa sono molto diverse. Ne consegue che sarà necessario individuare modi diversi per ritrovare e per ricomporre la perduta unità. Poiché la questione dell’unità della Chiesa si presenta in modi differenti nei vari dialoghi ecumenici, un modello concreto di unità ecumenica non potrà essere semplicemente progettato in anticipo; piuttosto, dovrà svilupparsi nel confronto con le idee di unità sostenute da altre Chiese e Comunità ecclesiali. Questo non è d’altronde il luogo per analizzare e discutere i vari modelli di unità ecumenica sviluppati nel corso delle varie discussioni ecumeniche che hanno avuto luogo finora: l’unità spirituale, la comunione di azione tra distinte comunità, la federazione di comunità, la comunione tra Chiese confessionalmente diverse, l’unità nella diversità riconciliata, l’unione organica.

Né è giusto, in nome di una Chiesa, fare richieste eccessive alle altre Chiese e Comunità ecclesiali, dato che un simile modo di procedere è in contraddizione con un dialogo onesto ed autentico e ostacola il cammino verso la piena comunione, come si può costatare nel dialogo ecumenico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. La massima richiesta che la Chiesa cattolica potrebbe avanzare all’ortodossia sarebbe il riconoscimento del primato del Vescovo di Roma nella piena misura definita dal Concilio Vaticano I e, di conseguenza, la classificazione delle Chiese ortodosse secondo una prassi del primato conforme a quella adottata dalle Chiese cattoliche orientali in comunione con Roma. Dal canto suo, la massima richiesta che l’ortodossia potrebbe porre alla parte cattolica sarebbe l’ammissione del fatto che alcune strutture ecclesiologiche sono il risultato di sviluppi distorti, dal secondo millennio fino alla dottrina del primato del Concilio Vaticano II, e la rinuncia alle affermazioni dottrinali vincolanti basate su di esse, dal Filioque nel Credo ai dogmi mariani del XIX e XX secolo.

Al di là delle pretese eccessive e irrealistiche che ostacolano la ricerca dell’unità, questa ricerca potrà progredire soltanto sulla via dell’apprendimento reciproco. In tal senso, la Chiesa cattolica dovrà ammettere di non avere ancora sviluppato nella sua vita e nelle sue strutture ecclesiali quel grado di sinodalità che sarebbe teologicamente possibile e necessario, e che noi cattolici, come ha sottolineato Papa Francesco nella sua esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, nel dialogo con i fratelli ortodossi abbiamo l’opportunità “di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità”[7]. Risulta dunque chiaro che il principio sinodale e il principio primaziale in nessun modo si escludono a vicenda e che un legame credibile tra il principio primaziale-gerarchico e il principio sinodale-di communio sarebbe di grande aiuto alla Chiesa cattolica nell’ulteriore ricerca dell’unità della Chiesa in Oriente e in Occidente, come ha giustamente affermato il Cardinale Walter Kasper: “Senza dubbio, il rafforzamento della sinodalità sarebbe il contributo ecumenico più importante della Chiesa cattolica al riconoscimento del primato.”[8]

Da parte loro, le Chiese ortodosse potrebbero comprendere che un primato anche al livello universale della Chiesa non è solo possibile e teologicamente legittimo ma necessario, che anche alla luce delle tensioni e dei conflitti intraortodossi si impone una riflessione su un ministero dell’unità a livello universale, e che questo non è in alcun modo contrario, ma compatibile con l’ecclesiologia eucaristica, come continua a ricordarci il Metropolita John D. Zizioulas, ex co-presidente della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse.[9] Poiché noi cattolici comprendiamo il primato del Vescovo di Roma come un dono del Signore alla sua Chiesa, vi ravvisiamo anche una possibilità offerta a tutta la cristianità sulla via della riscoperta dell’unità e della vita nell’unità.

 

3. Le varie dimensioni della ricerca ecumenica dell’unità della Chiesa

La ricerca dell’unità della Chiesa deve iniziare ancora più profondamente con una ricerca elementare di tracce; tra queste, la traccia più importante va individuata nelle Sacre Scritture e più precisamente nella preghiera di congedo di Gesù, in cui l’invocazione al Padre per l’unità dei suoi discepoli occupa un posto speciale. Lo sguardo di Gesù va oltre la comunità dei discepoli di allora e si volge anche a tutti coloro che “per la loro parola crederanno” (Gv 17,20). Poiché nella preghiera sacerdotale di Gesù viene incluso anche il nostro presente ecumenico, in essa possiamo individuare al meglio quali sono e devono essere le dimensioni più profonde dell’impegno ecumenico alla luce della fede. Se l’unità dei discepoli rappresenta il desiderio centrale della preghiera di Gesù, l’ecumenismo cristiano non potrà essere altro che l’unirsi dei cristiani a questa preghiera, facendo proprio ciò che a Gesù stava a cuore. Se l’ecumenismo non è semplicemente filantropico e interrelazionale, ma trova realmente il suo fondamento e la sua motivazione in Cristo, in ultima analisi esso non potrà essere altro che partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù. Partendo da questa definizione biblica fondamentale dell’impegno ecumenico, dovremo tentare, alla luce del testo a tutti assai noto, eppure inesauribile, di Giovanni 17, di rintracciare le dimensioni fondamentali dell’ecumenismo e, con ciò, di riaffermare la responsabilità ecumenica della ricerca di quell’unità della fede che ci è promessa come dono e affidata come compito.[10]

 

a) La dimensione spirituale: la preghiera per l’unità

In primo luogo, va menzionata la dimensione spirituale dell’unità ecumenica. La preghiera di Gesù “che tutti siano una sola cosa” mostra infatti che Gesù non comanda l’unità ai suoi discepoli, né la esige da loro, ma prega per essa. Questa semplice ma fondamentale costatazione ha una grandissima importanza anche per la ricerca ecumenica dell’unità della Chiesa. La preghiera per l’unità dei cristiani è e rimane il segno distintivo di ogni sforzo ecumenico. Senza preghiera, non può dunque esserci nessuna unità, come non si stanca di sottolineare Papa Francesco: “L’impegno ecumenico risponde, in primo luogo, alla preghiera dello stesso Signore Gesù e si basa essenzialmente sulla preghiera.”[11]

Questa dimensione spirituale ha trovato molto presto la sua espressione visibile, essendo stata la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che continua ad essere celebrata ogni anno nel mese di gennaio, un impulso all’origine del movimento ecumenico. È la Preghiera per l’Unità dei Cristiani che ha aperto la strada al movimento ecumenico, che, fin dall’inizio, è stato un movimento di preghiera, come ha evidenziato Papa Benedetto XVI con questa bella immagine: “La barca dell’ecumenismo non sarebbe mai uscita dal porto se non fosse stata mossa da quest’ampia corrente di preghiera e spinta dal soffio dello Spirito Santo.”[12] Questo movimento di preghiera non è dunque un inizio che ci possiamo lasciare alle spalle; si tratta piuttosto di un inizio che continua a camminare con noi anche oggi e che deve accompagnare ogni sforzo ecumenico.

Sul cammino verso la ricomposizione dell’unità dei cristiani, la preghiera deve occupare il posto centrale. Con la preghiera per l’unità, noi cristiani esprimiamo infatti la nostra convinzione di fede secondo cui l’unità non può essere conseguita soltanto o primariamente attraverso i nostri sforzi, e noi stessi non possiamo fare l’unità, né possiamo determinare la sua forma o il momento in cui si realizzerà. Noi cristiani possiamo produrre divisioni; questo è quanto ci mostra la storia ed anche il tempo presente. Ma l’unità possiamo soltanto accoglierla come dono. La preghiera per l’unità ci ricorda che anche nell’ecumenismo non tutto è frutto del nostro fare e che, piuttosto, noi cristiani dobbiamo lasciare spazio all’opera non manipolabile dello Spirito Santo, fidandoci di lui almeno quanto ci fidiamo dei nostri stessi sforzi.

La migliore preparazione per accogliere l’unità come dono dello Spirito Santo è la Preghiera per l’Unità. Poiché noi cristiani sappiamo, nella fede, che l’unità “è primariamente un dono di Dio per il quale dobbiamo incessantemente pregare”, dobbiamo essere anche consapevoli della responsabilità che abbiamo “di preparare le condizioni, di coltivare il terreno del cuore, affinché questa straordinaria grazia venga accolta”[13]. La centralità della preghiera mostra che il lavoro ecumenico è soprattutto un compito spirituale e che l’ecumenismo spirituale è il fulcro dell’ecumenismo cristiano o, come ha sottolineato il Concilio Vaticano Secondo, è “l’anima di tutto il movimento ecumenico”[14]. L’ecumenismo credibile sta o cade con l’approfondimento della sua forza spirituale e con l’aderire dei cristiani alla preghiera sacerdotale di Gesù, che è il luogo interiore dell’unità ecumenica: “Diventeremo una sola cosa, se ci lasceremo attirare dentro tale preghiera.”[15]

 

b) La dimensione somatica: l’unità visibile

Il primato e la centralità della dimensione spirituale dell’unità ecumenica verrebbero fraintesi se da essi si traesse la conclusione che l’unità dei cristiani è una realtà meramente spirituale e dunque invisibile. Ciò contraddice il secondo orientamento contenuto nella preghiera sacerdotale di Gesù, che prega per l’unità dei suoi discepoli in modo molto specifico: “perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.” Affinché il mondo creda, esso deve vedere l’unità. L’unità della Chiesa da ripristinare non può essere semplicemente un’unità invisibile; occorre piuttosto un’unità che abbia una forma visibile nel nostro mondo.

Della riscoperta della dimensione somatica dell’unità ecumenica si è occupato in maniera approfondita soprattutto Papa Benedetto XVI, in particolare interpretando la preghiera sacerdotale di Gesù e confrontandosi al riguardo, ecumenicamente, con Rudolf Bultmann.[16] L’esegeta protestante ritiene che la vera unità dei discepoli, soprattutto secondo il Vangelo di Giovanni, sia “invisibile”, poiché “non è affatto un fenomeno mondano”. Benedetto XVI concorda pienamente con la seconda parte di questa doppia affermazione, mentre rimette completamente in discussione la prima. Per giungere ad una valida interpretazione dell’unità ecumenica, è opportuno riflettere ulteriormente su questa duplice risposta:

Il fatto che l’unità dei discepoli – e dunque anche l’unità della Chiesa futura-, per la quale Gesù prega, non è e non può essere in linea di principio “un fenomeno mondano” è ovvio per Benedetto XVI, come egli osserva chiaramente: “l’unità non viene dal mondo; non è possibile trarla dalle forze proprie del mondo. Le stesse forze del mondo conducono alla divisione: noi lo vediamo. Nella misura in cui nella Chiesa, nella cristianità, è all’opera il mondo, si finisce nelle divisioni. L’unità può venire solamente dal Padre mediante il Figlio.”[17] Tanto Benedetto XVI concorda con l’esegeta protestante sul fatto che l’unità dei discepoli non può venire dal mondo, tanto egli ne contesta la conclusione, ovvero l’affermazione che l’unità è, di conseguenza, “invisibile”. Anche se l’unità non è un fenomeno mondano, lo Spirito Santo opera pur sempre nel mondo. L’unità dei discepoli deve dunque essere di una qualità tale da permettere al mondo di riconoscerla e di giungere alla fede tramite essa, come sottolinea esplicitamente Papa Benedetto XVI: “Ciò che non proviene dal mondo può e deve essere qualcosa che sia efficace nel e per il mondo e sia anche percepibile da esso. La preghiera di Gesù per l’unità ha di mira proprio questo, che mediante l’unità dei discepoli la verità della sua missione si renda visibile agli uomini.”[18] Papa Benedetto XVI si spinge fino ad affermare che attraverso l’unità dei discepoli che non proviene dal mondo e che è anche umanamente inspiegabile ma è visibile nel mondo “viene legittimato Gesù stesso”: “Diventa evidente che Egli è veramente il ‘Figlio’.”[19]

All’enfasi posta sulla visibilità dell’unità dei discepoli e della Chiesa e, di conseguenza, anche sulla dimensione somatica dell’unità ecumenica, è strettamente legato il fatto che il Concilio Vaticano Secondo individui già questa unità visibile nel sacramento del battesimo. In esso, il decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” ravvisa il motivo più profondo e l’espressione visibile dell’appartenenza di tutti i battezzati alla Chiesa: “Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica.”[20] Il battesimo costituisce quindi “il vincolo sacramentale dell’unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati”. Dall’altro lato, però, esso “è soltanto l’inizio e l’esordio”, poiché, di per sé, “tende interamente all’acquisto della pienezza della vita in Cristo” ed è pertanto ordinato “all’integra professione della fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, quale Cristo l’ha voluta, e infine alla piena inserzione nella comunità eucaristica”[21]. Alla luce di ciò, il cammino ecumenico verso l’unità visibile dei cristiani si concretizza come un cammino che conduce dalla fondamentale comunione nel battesimo e nel suo mutuo riconoscimento alla piena comunione nell’eucaristia, nella celebrazione del Corpo di Cristo, nella quale potremo sperimentare nella maniera più chiara la dimensione somatica dell’unità ecumenica.

 

c) La dimensione trinitaria: l’unità nella pluralità

Poiché l’unità della Chiesa deve essere somatica e visibile, è legittimo chiedersi quale aspetto concreto debba avere questa unità. A tale domanda risponde il terzo orientamento presente nella preghiera sacerdotale di Gesù ed espresso dalle seguenti parole: “perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me”. Gesù stesso individua il più profondo fondamento dell’unità dei discepoli proprio nell’unità d’amore trinitaria tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, nella vita intra-divina. Il Dio uno e trino, che è in sé comunione vivente nell’unità relazionale originaria dell’amore, è il modello più cristallino di unità ecumenica. Alla luce del mistero d’amore trinitario, la Chiesa si mostra come lo spazio della salvezza offerto dal Dio uno e trino o, come ha affermato il Concilio Vaticano Secondo, come “un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”[22]. L’unità della Chiesa si fonda in ultima analisi sulla comunione trinitaria.   

Se riflettiamo più da vicino su questo mistero della fede, vediamo che nella vita trinitaria di Dio esistono due dimensioni, entrambe originarie: nel Dio uno e trino c’è in primo luogo spazio vitale per l’altro e dunque per la pluralità e la diversità. Il Padre infatti è altro dal Figlio ed il Figlio, a sua volta, è altro dallo Spirito Santo. Nella Trinità divina c’è una meravigliosa diversità delle Persone. Ma in Dio c’è anche una stupenda unità di vita divina. Per quanto il Padre sia altro dal Figlio ed il Figlio sia altro dallo Spirito Santo, le tre Persone divine vivono come partner del trialogo celeste condividendo la stessa essenza: il Padre è Dio, il Figlio è Dio e lo Spirito Santo è Dio. Il Dio uno e trino è in sé comunione vivente nell’unità relazionale originaria dell’amore.

Alla luce di questo mistero divino, la Chiesa è chiamata a vivere come icona della Trinità. Se dunque l’unità ecumenica deve riflettere nel mondo la comunione del Dio uno e trino, può trattarsi soltanto di un’unità nella pluralità e di una pluralità nell’unità. Questa unità nella pluralità può essere soltanto un dono dello Spirito Santo. Infatti, a differenza di noi uomini, che siamo sempre tentati, da un lato, di originare diversità, chiudendoci in particolarismi ed esclusivismi, e di produrre divisioni e, dall’altro, di modellare l’unità secondo le nostre concezioni umane, favorendo così l’uniformazione e l’uniformità, lo Spirito Santo è l’unico in grado di generare pluralità ed al contempo di operare l’unità. Lo Spirito dona l’unità nella pluralità.

Nella ricerca di questa unità nella pluralità, noi cristiani, sebbene ancora divisi, possiamo essere una cosa sola fin da adesso se togliamo il veleno alle divisioni, se da esse prendiamo ciò che è fruttuoso ed accogliamo il lato positivo della diversità, e questo alla luce del mistero d’amore trinitario, che Papa Benedetto XVI ha così descritto, con sensibile perspicacia: “L’amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall’esterno, ma che dall’interno dà forma, per così dire, all’insieme.”[23] Tutto ciò ci permette di scorgere quel vivere l’unità ecumenica che è possibile già oggi. Essa consiste non semplicemente in uno scambio di idee e di teorie, ma, ad un livello molto più profondo, in uno scambio di doni. E questo scambio, a sua volta, è molto più di un mero esercizio teorico, poiché permette di conoscere a fondo e di comprendere le varie comunità cristiane con le loro tradizioni, e di imparare da esse. Nessuna Chiesa è infatti tanto povera da non poter apportare il suo insostituibile contributo alla più ampia comunità cristiana. E nessuna Chiesa è tanto ricca da non aver bisogno di essere arricchita dalle altre, sapendo che ciò che lo Spirito Santo ha seminato in altre comunità cristiane può essere raccolto “come un dono anche per noi”[24].

 

d) La dimensione missionaria: l’unità credibile

Partendo da questa provvisoria unità, lo sguardo si allarga per giungere all’obiettivo vero e proprio della preghiera sacerdotale di Gesù, che prega per l’unità dei suoi discepoli con un’intenzione specifica: “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.” Questa preposizione finale esprime in maniera inequivocabile che l’unità dei discepoli di Gesù non è un fine in sé, ma è al servizio della credibilità della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo ed è l’irrinunciabile prerequisito di una testimonianza credibile nel mondo.

Questa finalità, che è propria anche della ricerca ecumenica dell’unità, fu ricordata già in modo particolare nel secolo scorso dalla prima Conferenza Mondiale sulla Missione tenutasi nel 1910 ad Edimburgo. Ai partecipanti era chiaro allora lo scandalo insito nel fatto che le varie Chiese e Comunità cristiane fossero in competizione tra loro nel lavoro missionario, nuocendo così all’annuncio credibile del Vangelo di Gesù Cristo, soprattutto nelle culture più lontane, poiché, insieme al Vangelo, avevano portato a queste culture le divisioni europee della Chiesa. Essi erano dunque consapevoli del fatto doloroso che la mancanza di unità tra i cristiani metteva a repentaglio la credibilità della testimonianza cristiana nel mondo.

La divisione all’interno del cristianesimo risultava essere il maggiore ostacolo alla missione mondiale; questo è vero anche oggi, come Papa Francesco ha ricordato nella sua Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium” con parole esplicite: “Data la gravità della controtestimonianza della divisione tra cristiani, particolarmente in Asia e Africa, la ricerca di percorsi di unità diventa urgente. I missionari in quei continenti menzionano ripetutamente le critiche, le lamentele e le derisioni che ricevono a causa dello scandalo dei cristiani divisi.” Pertanto, agli occhi di Papa Francesco, “l’impegno per un’unità che faciliti l’accoglienza di Gesù Cristo smette di essere mera diplomazia o un adempimento forzato, per trasformarsi in una via imprescindibile dell’evangelizzazione.”[25]

Questa urgente situazione ecumenica evidenzia che una testimonianza credibile, e dunque ecumenicamente comune, di Gesù Cristo nel mondo odierno è possibile soltanto se le Chiese cristiane riescono a superare le loro divisioni e se riescono a vivere in un’unità nella diversità riconciliata. L’ecumenismo e la missione sono pertanto indissociabili. Se la missione consiste essenzialmente nel rendere testimonianza dell’amore di Dio, che egli ci ha rivelato nel suo Figlio, e, attraverso questa testimonianza, nel portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, allora al centro della missione cristiana deve esserci l’annuncio di Dio, che noi oggi dobbiamo proclamare ecumenicamente e che è visto da Papa Benedetto XVI come il compito ecumenico prioritario: “Il nostro primo servizio ecumenico in questo tempo deve essere di testimoniare insieme la presenza del Dio vivente e con ciò dare al mondo la risposta di cui ha bisogno.”[26]

 

e) La dimensione martirologica: l’unità testimoniata con la vita

I testimoni più credibili della fede sono i martiri, che per la fede hanno dato la loro vita e che ci ricordano la dimensione martirologica dell’unità ecumenica.[27] Essa ha assunto una particolare importanza nel mondo odierno, dove hanno luogo più persecuzioni contro i cristiani rispetto a quanto avveniva nei primi secoli.[28] Di fatti, l’ottanta per cento di tutti coloro che sono perseguitati oggi a causa della loro fede sono cristiani. La fede cristiana è la religione più perseguitata nel mondo odierno. E tutte le Chiese e le Comunità cristiane hanno oggi i loro martiri. Oggi i cristiani non sono perseguitati perché cattolici o ortodossi, protestanti o pentecostali, ma perché cristiani. Il martirio è oggi ecumenico, tanto che si deve parlare di un vero e proprio ecumenismo dei martiri[29], come osservava già il santo Papa Giovanni Paolo II con parole incisive nella sua Lettera apostolica “Tertio millennio adveniente” del 1994: “Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri. Le persecuzioni nei riguardi dei credenti - sacerdoti, religiosi e laici - hanno operato una grande semina di martiri in varie parti del mondo. La testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti”[30]. All’ecumenismo dei martiri Papa Giovanni Paolo II ha dedicato un’intera sezione nella sua appassionata enciclica sull’impegno ecumenico, “Ut unum sint”, del 1995, sottolineando che “in una visione teocentrica, noi cristiani già abbiamo un Martirologio comune”, che ci mostra “come, ad un livello profondo, Dio mantenga fra i battezzati la comunione nell’esigenza suprema della fede, manifestata col sacrificio della vita”[31].

Nell’ecumenismo dei martiri, Giovanni Paolo II ravvisava già un’unità di fondo tra i cristiani; egli esprimeva così la speranza che i martiri possano aiutarci a trovare la piena comunione. Mentre su questa terra noi cristiani e noi Chiese viviamo ancora, gli uni davanti agli altri o gli uni insieme agli altri, in una comunione imperfetta, i martiri nella gloria dei cieli vivono già in una comunione piena e perfetta: “La testimonianza coraggiosa di tanti martiri del nostro secolo, appartenenti anche ad altre Chiese e Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica” sono, per Giovanni Paolo II, “la prova più significativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo”[32]. Nell’ecumenismo dei martiri o, come è solito dire Papa Francesco, nell’ecumenismo del sangue, trova nuovamente conferma la convinzione della Chiesa primitiva, espressa dall’autore cristiano Tertulliano, che scriveva che il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani. Così anche noi oggi dobbiamo serbare la speranza che il sangue di così tanti martiri del nostro tempo diventi un giorno seme di piena unità ecumenica del Corpo di Cristo.

Nell’ecumenismo dei martiri dobbiamo ravvisare il fulcro centrale di ogni sforzo ecumenico teso alla ricomposizione dell’unità della Chiesa, come fa notare Papa Francesco con parole pregnanti: “Se il nemico ci unisce nella morte, chi siamo noi per dividerci nella vita?”[33] Di fatti, non è vergognoso che i persecutori dei cristiani abbiano una migliore visione ecumenica di quella che abbiamo noi cristiani, dato che sanno che i cristiani sono, ad un livello più profondo, una cosa sola? Poiché la sofferenza di così tanti cristiani costituisce un’esperienza comune nel mondo odierno, l’ecumenismo del sangue è per Papa Francesco addirittura “il segno più convincente” dell’ecumenismo di oggi[34].

 

f) La dimensione escatologica: l’unità nel Cristo della parusia

La sensibile consapevolezza dell’importanza del martirio cristiano odierno e la ricerca ecumenica dell’unità della Chiesa sono inscindibili: “I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un ‘ecumenismo del sangue’ che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo.”[35] Questo non rappresenta soltanto l’urgente compito kairologico che noi cristiani dobbiamo assumere ecumenicamente. L’ecumenismo dei martiri richiama anche e soprattutto la dimensione escatologica dell’unità ecumenica, nella quale la ricerca dell’unità viene considerata alla luce del suo compimento.

Una visione escatologica stimolante dell’unità ecumenica la incontriamo nel “Breve racconto dell’Anticristo” di Solojew, che contiene un duplice messaggio: da un lato, al momento della decisione finale davanti a Dio, si vedrà che in tutte e tre le comunità, ovvero in quella di Pietro, di Paolo e di Giovanni, vivono seguaci dell’Anticristo, che fanno causa comune con lui, accanto però ai veri cristiani, che rimangono fedeli al Signore fino all’ora della sua venuta; dall’altro, davanti al Cristo della parusia, i cristiani divisi nelle comunità di Pietro, di Paolo e di Giovanni si riconosceranno come fratelli. Con questo racconto, Solowjev non intende sicuramente posticipare l’unità dei discepoli di Cristo al tempo finale o rinviarla nell’escatologia. La separazione definitiva tra i seguaci dell’Anticristo ed i fedeli discepoli di Cristo avverrà, certo, soltanto nel giorno del raccolto escatologico. Ma poiché, secondo la fede cristiana, la vita eterna è la vera vita, la visione di Solojew presenta a noi cristiani la sfida di venirci incontro gli uni gli altri fin da ora, in quella luce escatologica che vede inscindibilmente uniti Pietro, Paolo e Giovanni.  

La ricerca cristiana dell’unità ecumenica significa dunque vivere fin da ora in questa luce escatologica, ovvero nella luce del Cristo della parusia, coscienti che la forma migliore della ricerca dell’unità della Chiesa consiste nel vivere secondo il Vangelo. Se prendiamo sul serio la dimensione escatologica dell’unità ecumenica, allora la ricerca appassionata dell’unità e la tranquilla consapevolezza di non poter creare noi stessi questa unità non ci sembreranno, come spesso accade oggi, due opposti inconciliabili, ma ci si mostreranno come le due facce della stessa realtà. Se consideriamo l’unità ecumenica alla luce del suo compimento, dovremo essere in grado di riconoscere con sollievo la provvisorietà dei nostri sforzi senza cedere alla tentazione di voler fare ciò che può essere realizzato soltanto dal Cristo della parusia, certi che proprio su questo cammino potremo avvicinarci gli uni agli altri. Vista in questa luce escatologica, la ricerca ecumenica dell’unità significa, in modo elementare ma fondamentale: quando siamo in cammino insieme verso il Cristo della parusia, siamo anche in cammino verso l’unità tra di noi e possiamo, sebbene ancora divisi, essere già una cosa sola nella fede comune in Gesù Cristo: “Più ci avviciniamo a Cristo convertendoci al suo amore, più ci avviciniamo anche gli uni agli altri.”[36]

 

4. La responsabilità ecumenica particolare delle Chiese cattoliche orientali

L’unità della Chiesa deve essere spirituale, somatica, trinitaria, missionaria, martirologica ed escatologica. Soprattutto l’ultima dimensione getta una nuova luce sulla situazione ecumenica odierna e ci incoraggia a procedere sul cammino della ricomposizione dell’unità della Chiesa in Oriente e in Occidente, nutrendo quella speranza già espressa in maniera esplicita nel 1968 dal Patriarca Ecumenico Athenagoras con queste parole: “È giunta l’ora del coraggio cristiano. Ci amiamo gli uni gli altri; professiamo la stessa fede comune; incamminiamoci insieme verso la gloria del sacro Altare comune, per compiere la volontà del Signore, affinché la Chiesa risplenda, il mondo creda e la pace di Dio venga su tutti.”[37]

Al servizio del ripristino della Chiesa una e indivisa in Oriente e in Occidente, che troverà il suo compimento nel recupero della comunione eucaristica, un compito particolare spetta soprattutto alle Chiese cattoliche orientali, come sottolinea il Decreto conciliare “Orientalium ecclesiarum”, che certamente non a caso fu adottato nello stesso giorno del Decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio”, e più precisamente alla fine della terza sessione del 21 novembre 1964: “Alle Chiese orientali aventi comunione con la Sede apostolica romana, compete lo speciale ufficio di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali, secondo i principi del decreto «sull’ecumenismo» promulgato da questo santo Concilio.” [38]

Per evidenziare la particolare responsabilità ecumenica delle Chiese cattoliche orientali nel promuovere l’unità della Chiesa, e soprattutto l’unità con le Chiese ortodosse e ortodosse orientali, il Decreto afferma, nella sua conclusione, che tutte le “disposizioni giuridiche” del Decreto sono valide soltanto “per le presenti condizioni”, “fino a che la Chiesa cattolica e le Chiese orientali separate si uniscano nella pienezza della comunione”[39]. Analogamente, promulgando il CCEO il santo Papa Giovanni Paolo II, nella sua Costituzione Apostolica “Sacri canones”, sottolinea che i canoni di tale Codice hanno validità fino a che “saranno abrogati o verranno modificati dalle più alte autorità della Chiesa per giusti motivi”, il più importante dei quali è “la piena comunione di tutte le Chiese dell’Oriente con la Chiesa cattolica”[40].

Con questo chiaro accento sul limite temporale della validità del CCEO e sul carattere transitorio delle sue disposizioni giuridiche, posto consapevolmente in una prospettiva ecumenica, il Codex intende ricordarci che la ricerca ecumenica della ricomposizione dell’unità della Chiesa non è un’opzione arbitraria, ma un dovere serio. Poiché questa responsabilità compete soprattutto alle Chiese cattoliche orientali, il fatto che i Vescovi Orientali Cattolici in Europa riflettano in questo simposio sul tema della missione ecumenica delle loro Chiese è un segno incoraggiante per il quale desidero esprimere il mio riconoscente apprezzamento.

Comp: ÖkumeneVescoviOrientaliCattoliciInEuropa2019Italiano

 

[1] Cardinal W. Kasper, Harvesting the Fruits. Basic Aspects of Christian Faith in Ecumenical Dialogue (London – New York 2009).

[2]  Unitatis redintegratio, n. 1.

[3] Gemeinsame Römisch-katholische / Evangelisch-lutherische Kommission, Wege der Gemeinschaft, in: H. Meyer – H. J. Urban – L. Vischer (Hrsg.), Dokumente wachsender Übereinstimmung. Sämtliche Berichte und Konsenstexte interkonfessioneller Gespräche auf Weltebene 1931-1982 (Paderborn – Frankfurt a. M. 1983) 296-322, zit. 297.

[4] P.-W. Scheele, Ökumene – wohin? Unterschiedliche Konzepte kirchlicher Einheit im Vergleich, in: St. Ley – I. Proft – M. Schulze (Hrsg.), Welt vor Gott. Für George Augustin (Freiburg i. Br. 2016) 165-179. zit. 165.

[5] Vgl. Y. Congar, Zerrissene Christenheit. Wo trennten sich Ost und West? (Wien 1959).

[6]  Vgl. K. Koch, Die apostolische Dimension der Kirche im ökumenischen Gespräch, in: Communio. Internationale katholische Zeitschrift 40 (2011) 234-252.

[7] Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.

[8]  W. Kasper, Petrusdienst und Petrusamt. Biblische Grundlagen – Geschichtliche Entwicklung – Ökumenische Perspektiven, in: Ders., Die Kirche und ihre Ämter = Gesammelte Schriften. Band 12 (Freiburg i. Br. 2009) 569- 652, zit. 647.

[9]  J. D. Zizioulas, Being as Communion (New York 1985); Ders., The One and the Many. Studies on God, Man, the Curch and the World Today (Alhambra 2010). Vgl. K. Koch, Metropolit Ioannis Zizioulas als theologischer Inspirator in ökumenischer Perspektive, in: Orthodoxes Forum 29 (2015) 251-258.

[10] Vgl. K. Kardinal Koch, Christliche Ökumene im Licht des Betens Jesu. „Jesus von Nazareth“ und die ökumenische Sendung, in: J.-H. Tück (Hrsg.), Passion aus Liebe. Das Jesus-Buch des Papstes in der Diskussion (Mainz 2011) 19-36.

[11] Francesco, Discorso ai partecipanti al Colloquio ecumenico di religiosi e religiose promosso dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, il 24 gennaio 2015.

[12] Benedetto XVI, omelia per la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, il 25 gennaio 2008.

[13] Francesco, Discorso alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, il 28 giugno 2013.

[14] Unitatis redintegratio, n. 8.

[15] Benedetto XVI, Discorso durante la celebrazione ecumenica nella chiesa dell’ex-convento degli Agostiniani di Erfurt, il 23 settembre 2011.

[16] J. Ratzinger- Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso di Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano 2011) 111-112.

[17] Ibid 112.

[18] Ibid 112.

[19] Ibid 112.

[20] Unitatis redintegratio, n. 3.

[21] Unitatis redintegratio, n. 22.

[22] Lumen gentium, n. 4.

[23] Benedetto XVI, L’omelia durante i  secondi vespri della festa della conversione di San Paolo Apostolo il 25 gennaio 2006.

[24] Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.

[25] Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.

[26] Benedetto XVI, Discorso durante la celebrazione ecumenica nella chiesa dell’ex-convento degli Agostiniani a Erfurt, il 23 settembre 2011.

[27] Vgl. P.-W. Scheele, Zum Zeugnis berufen. Theologie des Martyriums (Würzburg 2008); E. Schockenhoff, Entschiedenheit und Widerstand. Das Lebenszeugnis der Märtyrer (Freiburg i. Nr. 2015).

[28] Vgl. H. Moll, Martyrium und Wahrheit. Zeugen Christi im 20. Jahrhundert (Weilheim-Bierbronnen 2009); A. Riccardi, Salz der Erde, Licht der Welt. Glaubenszeugnis und Christenverfolgung im 20. Jahrhundert (Freiburg i. Br. 2002).

[29] Vgl. Kardinal W. Kasper, Ökumene der Märtyrer. Theologie und Spiritualität des Martyriums (Norderstedt 2014); R. Prokschi / J. Marte (Hrsg.), Europa, vergiss Deine Märtyrer nicht! Aus jüdischer und christlicher Sicht (Klagenfurt 2006); K. Cardinal Koch,  Christenverfolgung und Ökumene der Märtyrer. Eine biblische Besinnung (Norderstedt 2016).

[30] Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, n. 37.

[31] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 84.

[32] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 1.

[33] Francesco, Discorso al Movimento del Rinnovamento nello Spirito, il 3 luglio 2015.

[34] Francesco, Messaggio al Global Christian Forum, il 1 novembre 2015.

[35] Dichiarazione Comune di Sua Santità Francesco e di Sua Santità Karekin nella Santa Etchmiadzin, Repubblica di Armenia, il 26 giugno 2016.

[36] Benedetto XVI, Messaggio durante l’Udienza Generale del 17 gennaio 2007.

[37]  Télégramme du patriarche Athénagoras au pape Paul VI, à l’occasion de l’anniversaire de la levée des anathèmes le 7 décembre 1969, dans : Tomos Agapis. Vatican-Phanar (1958-1970) (Rome – Istanbul 1971) Nr. 277.

[38]  Orientalium ecclesiarum, Nr. 24.

[39] Orientalium ecclesiarum, n. 30.

[40] Giovanni Paolo II, Constitutio Apostolica “Sacri Canones”.