IL DIALOGO COME LINFA VITALE DELL'ECUMENISMO [1]

 

Kurt Cardinale Koch

 

Oggi che siamo riuniti per questo “Tè ecumenico” organizzato dal Centro Pro Unione in occasione del 50° anniversario della sua fondazione, sono lieto di rivolgervi il mio cordiale saluto e approfitto della circostanza per ringraziare coloro che hanno contribuito alla sua nascita e che tuttora sono responsabili del Centro, lo sostengono e lo animano. Una parola di gratitudine va in particolare ai Frati Francescani dell’Atonement e soprattutto al direttore del Centro Pro Unione, Padre James F. Puglisi. Nel periodo immediatamente successivo al Concilio Vaticano Secondo, i fondatori del Centro hanno compreso che il dialogo ecumenico aveva bisogno non solo di intensi sforzi teologici e di contatti ufficiali tra i capi di Chiesa. L’ecumenismo dipende in maniera decisiva anche dai colloqui e dagli incontri più o meno informali tra i cristiani che vivono in Chiese e Comunità ecclesiali tra loro separate e che desiderano conoscersi meglio ed arricchirsi vicendevolmente. L’incontro diretto tra persone è sempre un dono di mutuo arricchimento, anche secondo un detto tratto dalla saggezza popolare, che, in tedesco, dice: “Chi conosce solo l’Inghilterra, non conosce ancora l’Inghilterra”. Di fatti, si impara a conoscere l’Inghilterra soltanto se si conoscono anche altri paesi. Lo stesso vale per gli incontri ecumenici. Fino a che si conosce solo la propria Comunità ecclesiale, non la si conosce davvero, completamente. La si impara a conoscere meglio soltanto quando la si inizia a guardare anche con gli occhi di altre tradizioni cristiane e vi si scopre qualcosa di nuovo. Per il dialogo ecumenico è vero ciò che è vero per ogni dialogo autentico. Come sottolinea giustamente il filosofo Otto F. Bollnow, esso può riuscire soltanto “se ci si aspetta che i due partner saranno disposti a parlare l’uno con l’altro in totale franchezza sul piano di un’essenziale parità e libertà”. Pertanto, ogni vero dialogo è sempre “un azzardo e richiede ai partecipanti coraggio e capacità di superare la loro naturale auto-referenzialità”[2].

Nel movimento ecumenico, tali incontri sono salutari, direi necessari, anche perché, all’origine delle dolorose divisioni nella Chiesa non ci sono state solo divergenze teologiche, ma anche forme e sviluppi culturali differenti. Questo risulta particolarmente evidente nel caso della divisione nella Chiesa tra Oriente ed Occidente. Di fatti, nel mondo cristiano occidentale e orientale, il Vangelo venne recepito sin dall’inizio in modo diverso e fu vissuto e ritrasmesso in diverse tradizioni e forme culturali. Le comunità cristiane orientali ed occidentali convissero con queste differenze all’interno della Chiesa indivisa, ma si allontanarono progressivamente le une dalle altre e finirono col comprendersi sempre più difficilmente. Sono stati soprattutto questi diversi approcci interpretativi e queste diverse forme di spiritualità a causare in gran parte la divisione nella Chiesa tra Oriente ed Occidente, come ha giustamente osservato il Cardinale Walter Kasper: “I cristiani non si sono allontanati principalmente a causa delle loro discussioni e non si sono divisi intorno a formulazioni dottrinali, ma si sono estraniati gli uni dagli altri a causa del loro diverso modo di vivere.”[3]

Se le divisioni all’interno della Chiesa sono dovute in gran parte al fatto che non era più possibile comprendersi gli uni gli altri, allora il superamento di tali divisioni potrà avvenire solo sul cammino inverso, ovvero attraverso l’incontro, lo scambio, il mutuo arricchimento. Ciò che vale per gli incontri informali, vale ancora di più per gli incontri ufficiali tra i rappresentanti delle varie Chiese, incontri il cui terreno è in gran parte preparato da quelli meno ufficiali. Per questo, tra i frutti più importanti del movimento ecumenico, il santo Papa Giovanni Paolo II ha annoverato soprattutto la “fraternità ritrovata”[4] tra i cristiani e tra le Comunità ecclesiali cristiane. I numerosi incontri, lo scambio di visite e i vari colloqui hanno creato nel tempo una rete di relazioni amichevoli e fraterne, che costituiscono il solido fondamento dei dialoghi ecumenici. Nel frattempo, la Chiesa cattolica ha allacciato questi dialoghi con quasi tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali e continua a portarle avanti: con la Chiesa assira dell’Oriente e le Chiese ortodosse orientali, quali ad esempio i copti, gli armeni e i siri, con le Chiese ortodosse di tradizione bizantina e slava, con le Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma, come i luterani e i riformati, con la Comunione Anglicana mondiale, con i veterocattolici, con le varie Chiese libere e le comunità evangelicali e pentecostali, che hanno conosciuto una crescita straordinaria soprattutto nel XX secolo e all’inizio del XXI secolo.

Tali dialoghi hanno prodotto molti buoni frutti. Nonostante i risultati positivi conseguiti, non va però taciuto il fatto che non è stato ancora possibile raggiungere il vero e proprio obiettivo, ovvero il ripristino dell’unità della Chiesa, cioè la piena comunione ecclesiale, e che, a quanto pare, il cammino da compiere richiede più tempo e più pazienza di quanto immaginato agli albori del movimento ecumenico. Pertanto, nella situazione ecumenica contemporanea, si avverte spesso la necessità di ritornare agli inizi del movimento ecumenico. Il 50° anniversario della fondazione del Centro Pro Unione offre una buona occasione per farlo, per chiederci nuovamente da cosa il movimento ecumenico sia stato animato e quale sia il suo stato odierno. Una simile riflessione non deve essere una fuga nel passato. Come avviene alla guida di un auto, quando solo se prima si guarda nello specchietto retrovisore si può effettuare un sorpasso con sicurezza, così nell’ecumenismo il ritorno agli inizi può aiutarci ad individuare il percorso futuro con rinnovato slancio.

La lucentezza degli inizi dell’ecumenismo si fa decisamente più nitida se rivolgiamo lo sguardo al santo Papa Giovanni XXIII e alla visione del Concilio Vaticano Secondo che, non a caso, nacque in lui durante la Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani. Le due priorità che spinsero il Pontefice ad indire il Concilio sono strettamente legate: il rinnovamento della Chiesa cattolica e la ricomposizione dell’unità dei cristiani. Quanto stretto per Papa Giovanni XXIII fosse il legame tra i due intenti e quanto importante fosse per lui l’obiettivo ecumenico risulta evidente in modo particolare anche dalla decisione che egli prese durante la quarta congregazione generale del Concilio nell’ottobre 1962, quando pose sullo stesso livello delle altre dieci commissioni conciliari l’allora Segretariato per l’unità dei cristiani, fondato già nel 1960, con tutti i suoi membri e consultori, conferendogli così una posizione speciale.

Dello stretto legame tra il rinnovamento della Chiesa e la promozione dell’unità dei cristiani era convinto anche il grande papa conciliare, il beato Paolo VI. L’obiettivo ecumenico era per lui un importante leitmotiv anche e precisamente per il rinnovamento della Chiesa cattolica e della sua auto-comprensione, tanto che possiamo parlare di una vera e propria interrelazione tra apertura ecumenica della Chiesa cattolica e rinnovamento della sua ecclesiologia[5]. In questo senso, Papa Paolo VI, già all’inizio della seconda sessione del Concilio, nel suo fondamentale discorso d’inaugurazione al quale l’allora consultore conciliare Joseph Ratzinger riconobbe un “vero carattere ecumenico”[6], sottolineò che l’avvicinamento tra i cristiani e le Chiese separati era uno degli intenti principali, ovvero il dramma spirituale, alla base della convocazione del Concilio.[7] Lo stesso Pontefice, nel promulgare il Decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio”, affermò che esso spiegava e completava la Costituzione dogmatica sulla Chiesa: “ea doctrina explicationibus completa”[8]. Questa espressione evidenzia in maniera inequivocabile che Paolo VI non attribuiva al Decreto sull’ecumenismo un valore teologico minore, ma che al contrario lo equiparava, nella sua importanza teologica, alla Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen gentium”. È necessario ricordare questa decisione davanti alle tendenze odierne di rimettere in discussione o quantomeno minimizzare il carattere dogmatico vincolante del Decreto sull’ecumenismo.

Anche i Pontefici che si sono susseguiti dopo il Concilio hanno continuato a promuovere la priorità ecumenica. Ciò vale in modo particolare per il santo Papa Giovanni Paolo II, il quale, nella sua enciclica sull’impegno ecumenico “Ut unum sint”, che fornirà importanti orientamenti per il futuro, ha confermato l’affermazione fondamentale secondo cui il Decreto sull’ecumenismo si ricollega prima di tutto “all’insegnamento sulla Chiesa della Costituzione Lumen gentium, nel suo capitolo che tratta del popolo di Dio”[9]. Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato che il cammino ecumenico è il cammino della Chiesa ed “appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione”[10]. E davanti ai vari dubbi nutriti sia dai fautori che dai detrattori dell’ecumenismo, egli ha chiaramente ribadito che la decisione presa dalla Chiesa a favore dell’ecumenismo è irreversibile, perché la Chiesa cattolica, con il Concilio Vaticano Secondo, “si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all'ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i «segni dei tempi»”[11].  

Anche Papa Benedetto XVI ha riservato all’obiettivo ecumenico un ruolo prioritario nel suo pontificato, come risulta evidente già nel primo messaggio pronunciato dopo la sua elezione al soglio pontificio, nel quale ha affermato che l’impegno primario del successore di Pietro è quello di “lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Questa è la sua ambizione, questo il suo impellente dovere.”[12] Papa Francesco, nello stile che gli è proprio, prosegue sulla via del dialogo ecumenico, ricordando ripetutamente che l’obiettivo degli sforzi ecumenici è il ripristino della piena comunione tra i cristiani, che deve condurre alla comunione eucaristica. Papa Francesco ha espresso più volte il suo rammarico ed il suo dolore circa il fatto che ancora non possiamo celebrare insieme l’Eucaristia; al contempo, egli non si stanca di incoraggiarci ad intraprendere nuovi passi coraggiosi: “Siamo consapevoli che resta da percorrere ancora altra strada per raggiungere quella pienezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisione della stessa Mensa eucaristica, che ardentemente desideriamo; ma le divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino.”[13]

Nel far fronte alle grandi sfide dell’attuale situazione ecumenica, dobbiamo richiamarci agli inizi del movimento ecumenico. L’odierno anniversario della fondazione del Centro Pro Unione ci invita a fare proprio questo, a considerare le origini del movimento ecumenico e a riattualizzare le tre dimensioni fondamentali nelle quali si è sviluppato e continua a crescere, per poter individuare quali passi compiere nel futuro. L’attuazione di queste tre dimensioni deve avvenire infatti nei dialoghi ufficiali come pure negli incontri più informali; contribuire affinché ciò accada è la responsabilità di tutti i battezzati.

Il movimento ecumenico è stato, in primo luogo, un movimento di preghiera. Questo suo tratto essenziale è stato evidenziato da Papa Benedetto XVI con un’immagine eloquente: “La barca dell’ecumenismo non sarebbe mai uscita dal porto se non fosse stata mossa da quest’ampia corrente di preghiera e spinta dal soffio dello Spirito Santo.”[14] L’inizio del movimento ecumenico è stato infatti segnato dall’introduzione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, che, nata come iniziativa ecumenica, fu ripresa da Papa Benedetto XV ed estesa a tutta la Chiesa cattolica. Il Concilio Vaticano Secondo è arrivato persino a ravvisare nell’ “ecumenismo spirituale” il fulcro di tutti gli sforzi ecumenici e “l’anima di tutto il movimento ecumenico”[15]. Il Concilio ha espresso in tal modo l’idea che il lavoro ecumenico è essenzialmente un compito spirituale e che, dunque, senza preghiera non può esserci unità, come ripete sempre Papa Francesco: “L’impegno ecumenico risponde, in primo luogo, alla preghiera dello stesso Signore Gesù e si basa essenzialmente sulla preghiera.”[16]

Con la preghiera per l’unità, noi cristiani esprimiamo la nostra convinzione di fede secondo cui l’unità non può essere realizzata soltanto sulla base dei nostri sforzi: noi non possiamo fare da soli l’unità, né possiamo determinarne la forma ed il tempo di realizzazione. Noi cristiani possiamo provocare divisioni, come dimostra sia la storia che il presente. Ma l’unità possiamo soltanto riceverla in dono. La preghiera per l’unità ci ricorda che dobbiamo fare spazio all’opera non manipolabile dello Spirito Santo e riporre in lui tanta fiducia almeno quanta ne riponiamo nei nostri stessi sforzi. Il modo migliore per prepararsi a ricevere l’unità come dono dello Spirito Santo è la Preghiera per l’unità. Il movimento di preghiera di oltre cento anni fa non è dunque un inizio che possiamo lasciarci alle spalle, ma un inizio che deve piuttosto camminare con noi ed accompagnare tutti i nostri sforzi ecumenici. Un ecumenismo credibile sta o cade con l’approfondimento della sua forza spirituale e con l’adesione da parte dei cristiani dalla preghiera sacerdotale di Gesù, “che tutti siano una sola cosa”.

In secondo luogo, il movimento ecumenico è stato un movimento di conversione[17], che è iniziato con la presa di coscienza del peccato delle divisioni nella Chiesa. Per rappresentare tale peccato, non c’è immagine più emblematica di quella del danno arrecato all’integrità della tunica inconsutile di Gesù, di cui la Bibbia ci dice espressamente che era cucita tutta d’un pezzo: “tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo” (Gv 19,23b). È significativo il fatto che, nel racconto della passione, neanche i soldati romani hanno osato strappare questo prezioso indumento del Gesù terreno: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca” (Gv 19, 24). Così, nella storia cristiana, la tunica di Gesù è potuta diventare il simbolo dell’unità della Chiesa come Corpo di Cristo. La deplorevole tragedia in questa storia è che i cristiani stessi hanno fatto ciò che i soldati romani non osarono fare. Ecco che, come ha osservato il Cardinale Edward Idris Cassidy, già Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, la tunica di Gesù risulta essere oggi strappata “in pezzi e brandelli, in confessioni e denominazioni che spesso nella storia lottano l’una contro l’altra, invece di compiere il mandato affidatoci dal Signore, ovvero essere una cosa sola”[18].

Quest’immagine, che esprime la situazione profondamente anormale della cristianità, è la forma più eloquente di invito alla conversione ecumenica. Se gettiamo uno sguardo alla storia del movimento ecumenico, ci accorgiamo che l’ecumenismo ha ricevuto nuovi impulsi soltanto quando i cristiani di diverse Chiese hanno avuto il coraggio e l’umiltà di riconoscere insieme, apertamente, lo scandalo persistente di una cristianità divisa e si sono sentiti appellati alla conversione. L’unità, che ci è già stata donata in Cristo, potrà essere infatti ritrovata soltanto se noi cristiani ci convertiamo insieme a Gesù Cristo. La conversione è l’elisir di lunga vita di un vero ecumenismo, come ha affermato il Decreto sull’ecumenismo in maniera esplicita: “Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione. Infatti il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento dell’animo, dall’abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità.”[19] Nella sua Enciclica sull’impegno ecumenico, “Ut unum sint”, il santo Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato con enfasi che l’intero Decreto sull’ecumenismo è “pervaso dallo spirito di conversione”[20].

Non si tratta tanto della conversione degli altri quanto della propria, che presuppone la disponibilità a riconoscere in maniera autocritica le proprie debolezze e le proprie mancanze, ad ammetterle con umiltà, a prendere come metro di misura il Vangelo di Gesù Cristo e a porsi al servizio del ripristino dell’unità. La conversione, dunque, deve essere innanzitutto una conversione alla ricerca appassionata dell’unità dei cristiani. Questo è il vero senso di “unitatis redintegratio”.

In terzo luogo, il movimento ecumenico è stato anche un movimento missionario.[21] Questa dimensione fu evidente sin dall’inizio, quando ebbe luogo in Scozia, ad Edimburgo, la prima Conferenza Mondiale sulla Missione nel 1910. Ai partecipanti era ben chiaro lo scandalo insito nel fatto che le varie Chiese e Comunità ecclesiali si facevano concorrenza nel lavoro missionario ed in tal modo minavano la credibilità dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo soprattutto nei continenti più lontani, poiché avevano portato in altre culture, insieme al Vangelo di Cristo, anche le divisioni nella Chiesa in Europa. Erano dunque tristemente consapevoli che la divisione tra i cristiani costituiva il maggiore ostacolo alla missione nel mondo. Nello stesso spirito, anche il Concilio Vaticano Secondo ha avuto il coraggio di denunciare la permanente divisione nella cristianità come uno scandalo che offriamo al mondo e che nuoce all’annuncio del messaggio cristiano, secondo quanto afferma già il primo articolo del Decreto sull’ecumenismo: “Tale divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura”[22].

Sin dall’inizio, il movimento ecumenico è stato un movimento di preghiera, un movimento di conversione ed un movimento missionario. Questi tre movimenti hanno contribuito considerevolmente al progresso compiuto dal movimento ecumenico negli ultimi cinquant’anni, e dovranno mantenere la loro vitalità anche nel futuro, se il movimento ecumenico vuole essere all’altezza delle sfide che l’attendono. È chiaro, d’altronde, che non vi è alternativa all’ecumenismo. Esso è indispensabile per la credibilità della fede cristiana e della missione della Chiesa nel mondo odierno, corrisponde alla volontà del Signore ed è un frutto dello Spirito Santo, come ha sottolineato il Concilio Vaticano Secondo. Dimostreremmo dunque una scarsa fede se non confidassimo nello Spirito, che porterà a compimento, nei modi e nei tempi in cui vorrà, ciò a cui ha dato avvio in maniera così promettente. Ascoltare lo Spirito è il compito ecumenico del momento.

E noi desideriamo ascoltare lo Spirito Santo mentre condividiamo le nostre esperienze, le nostre opinioni, le nostre speranze e mentre ci lasciamo guidare da un principio importante suggeritoci dal Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano Secondo, secondo il quale l’essenza del dialogo ecumenico non è un mero scambio di idee, di pensieri e di teorie, ma consiste in uno scambio arricchente di doni. Nessuna Chiesa è infatti tanto ricca da non aver bisogno di essere arricchita dalle altre. E nessuna Chiesa è tanto povera da non poter contribuire all’ampliamento dell’orizzonte della cristianità. È questo scambio personale di doni che desideriamo ora realizzare. Ed è proprio a questo che ci invita il nostro “Tè ecumenico”.

 

 

[1] Discorso durante il “Tè ecumenico” in occasione della celebrazione del 50° anniversario della fondazione del Centro Pro Unione a Roma, il 17 maggio 2018.

[2] O. F. Bollnow, Das Doppelgesicht der Wahrheit (Stuttgart 1975) 66.

[3] W. Kardinal Kasper, Wege der Einheit. Perspektiven für die Ökumene (Freiburg i. Br. 2005) 208.

[4] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 41 e 42.

[5] Vgl. H. J Pottmeyer, Die Öffnung der römisch-katholischen Kirche und die ekklesiologische Reform des 2. Vatikanums. Ein wechselseitiger Einfluss, in: Paolo VI e l‘Ecumenismo. Colloquio Internazionale di Studio Brescia 1998 (Brescia – Roma 2001) 98-117.

[6] J. Ratzinger, Das Konzil auf dem Weg. Rückblick auf die zweite Sitzungsperiode des Zweiten Vatikanischen Konzils (Köln 1964) 21.

[7] Ench. Vat. Vol 1 Documenti del Concilio Vaticano II, 104. f.

[8] Ibid.

[9] Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 8.

[10] Ibid, n. 20.

[11] Ibid, n. 3.

[12] Primo messaggio di Sua Santità Benedetto XVI nella Missa pro Ecclesia, il 20 aprile 2005.

[13] Francesco, Discorso ai partecipanti alla celebrazione ecumenica in occasione del 50° anniversario dell’incontro a Gerusalemme tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, il 25 maggio 2014.

[14] Benedetto XVI, omelia durante la celebrazione dei Vespri a conclusione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, il 25 gennaio 2008.

[15] Unitatis redintegratio, Nr. 8. Vgl. K. Koch, Rediscovering the soul of the whole ecumenical mouvement (UR 8). Necessity and perspectives of an ecumenical spirituality, in: The Pontifical Council of Promoting Christian Unity (Ed.), Information Service Nr. 115 (2004) 31-39.

[16] Francesco, Discorso ai partecipanti al colloquio ecumenico promosso dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, il 24 gennaio 2015.

[17] Vgl. K. Kardinal Koch, Innere Reform und Umkehr als Voraussetzung für Ökumene, in: E. Dieckmann – K. Kardinal Lehmann (Hrsg.), Blick zurück nach vorn. Das Zweite Vatikanum aus der Perspektive der multilateralen Ökumene (Würzburg 2016) 161-186.

[18] E. I. Cardinal Cassidy, Welche nächsten Schritte in der Ökumene sind überfällig, realisierbar und wünschenswert? in: Una Sancta 51 (1996) 112-119, zit. 112.

[19] Unitatis redintegratio, n. 7.

[20] Ibid, n. 35.

[21] Vgl. K. Koch, Neuevangelisierung mit ökumenischem Notenschlüssel, in: Z. Glaeser (Red.), Czlowiek Dialogu = Opolska Biblioteka Teologiczna 125 (Opole 2012) 291-310.

[22] Unitatis redintegratio, n. 1.

[23] Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.