PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL'UNITÀ DEI CRISTIANI

 

RAPPORTO DI MONS. ELEUTERIO F. FORTINO

Roma e Costantinopoli al servizio dell'unità


Dal tempo del Concilio Vaticano II (1962-1965) la Sede di Roma e quella di Costantinopoli, nella riscoperta fraternità ecclesiale e nella realtà della successione apostolica, simboleggiata anche dal fatto che gli apostoli Pietro e Andrea, patroni rispettivamente della Chiesa di Roma e di Costantinopoli, erano fratelli, hanno reso un sostanziale servizio alla ricerca dell'unità fra cattolici e ortodossi. Questo servizio si è espresso in solenni dichiarazioni, in gesti simbolici, ed in una variegata rete di relazioni.

 

I. L'iniziativa e l'esempio del Papa e del Patriarca

Verso la fine della seconda sessione conciliare, Paolo VI insieme all'importanza dello svolgimento del Concilio, ne avvertiva anche il peso e le difficoltà. Decise allora di fare un pellegrinaggio in Terra Santa. Il Papa stesso ne diede l'annuncio nel discorso di chiusura della seconda sessione (4 dicembre 1963). Tra l'altro disse: "Tanto è viva in noi la convinzione - che per la felice conclusione finale del Concilio occorre offrire preghiere, moltiplicare opere - che abbiamo deliberato, dopo matura riflessione e non poca preghiera, di farci noi stessi pellegrini alla Terra di Gesù, nostro Signore". E sottolineava la singolarità dell'iniziativa: "Vedremo quel suolo benedetto, da dove Pietro partì e dove non ritornò più un suo successore".

Dal primo documento, in cui si dava la notizia relativa al viaggio in Terra Santa, emergeva l'interesse ecumenico che difatti sarà l'aspetto che il mondo cristiano ha particolarmente percepito, considerandolo emblematico della nuova era di rapporti che si apriva. La notizia del viaggio fece il giro del mondo e giunse anche ad Istanbul. Il Patriarca Athenagoras nell'omelia della festa di S. Nicola la commentava positivamente e gioiosamente "qualificandola come ispirata da Dio". Il Patriarcato Ecumenico emanava un comunicato (6 dicembre) in cui si riportava anche un personale auspicio del Patriarca, così espresso: "Il Patriarca ecumenico ha notato che sarebbe veramente un'opera della Provvidenza se, durante questo pio pellegrinaggio, tutti i capi delle Chiese di oriente e di occidente potessero incontrarsi nella santa città di Sion, per chiedere, in una comune preghiera fervente ... la via di un ristabilimento pieno dell'unità cristiana, secondo la santa volontà del Signore". La proposta, inimmaginabile a quel tempo, risultò impraticabile. Il 10 dicembre il sottosegretario del Segretariato per l'Unione dei Cristiani, il Rev. p. Pierre Duprey, venne inviato al Fanar per informare ufficialmente il Patriarca del pellegrinaggio del Papa in Terra Santa. Di riscontro il Patriarca Athenagoras inviò una delegazione a Roma che fu ricevuta dal Papa il 28 dicembre. In seguito essa ebbe rapporti con la Segreteria di Stato per concordare le modalità dell'incontro e il 30 dicembre il Sostituto S.E. Mons. Dell'Acqua e il Metropolita Athenagoras di Thyateira firmarono il protocollo. Questo prevedeva, cosa insolita nella tradizione romana, che il Papa personalmente rendesse visita al Patriarca e che nel primo incontro si leggesse il cap. 17 del Vangelo di S. Giovanni, parte in greco e parte in latino; mentre nel secondo si recitasse in greco e in latino il Padre Nostro. Dal tempo del Concilio di Firenze (1438), dove Papa Eugenio IV incontrò il Patriarca Joseph II, non vi era stato più alcun incontro tra un Papa e un Patriarca di Costantinopoli.

Il pellegrinaggio ebbe luogo nei giorni 4-6 gennaio 1964. Appena entrato a Gerusalemme (4 gennaio) il Papa si recò al Santo Sepolcro, dove celebrò l'Eucaristia. Quindi si recò alla delegazione apostolica, dove immediatamente S. B. Benediktos, Patriarca di Gerusalemme, primate del luogo, gli fece visita. Subito dopo, alle 21.30, il Papa rese visita al Patriarca Athenagoras, nella sua residenza, sul Monte degli Ulivi. Nel suo discorso il Papa ringraziò il Patriarca dell'accoglienza gioiosa ricevuta al suo arrivo a Gerusalemme e aggiunse: "Noi abbiamo coscienza del significato profondo che riveste questo incontro a Gerusalemme".

La giornata del 5 gennaio fu dedicata agli incontri con le autorità israeliane e al pellegrinaggio a Nazareth e in Galilea.

Di ritorno alla delegazione apostolica a tarda sera (ore 21.30) il Papa ricevette la visita di S. S. Athenagoras I, Patriarca ecumenico, giunto a Gerusalemme in giornata, proveniente da Rodi. Fu un incontro storico. L'emozione comune determinò l'evento e coinvolse le due delegazioni. Dopo una conversazione privata fra il Papa e il Patriarca, vennero ammessi il seguito del Patriarca e quello del Papa. Alla loro presenza il Patriarca tenne il suo discorso in lingua greca. Il Papa ringraziò senza testo scritto e offrì al Patriarca un calice, in relazione all'auspicio espresso dal Patriarca e sottolineato dal Papa: giungere alla concelebrazione nel calice comune. L'incontro terminò con la recita del "Padre nostro" fatta insieme, ma ciascuna delegazione nella sua lingua, in greco e in latino.

L'indomani (6 gennaio), dopo la visita a Betlemme, il Papa rientrando a Gerusalemme si recò alla residenza patriarcale per restituire la visita al Patriarca Athenagoras. Si rinnovò l'emozione del giorno prima. I due protagonisti, ma anche i loro accompagnatori, avevano la sensazione di trovarsi in un momento di grazia. Il Papa tenne il suo discorso in lingua latina. Il Patriarca offrì al Papa la croce d'oro del millenario del Monte Athos e un engolpion, insegna episcopale della tradizione bizantina. L'incontro si concluse con la lettura del cap. 17 del Vangelo di S. Giovanni, da parte del Papa e del Patriarca, in greco e in latino, alternativamente, da una stessa copia del Vangelo. Quindi venne recitato insieme, in greco e latino, il "Padre nostro". Infine il Papa e il Patriarca benedirono insieme i presenti. Il tema dell'unità permeava e dava significato all'intero incontro. Alla fine venne emanato un "comunicato comune". La semplicità dei gesti e la minuziosa preparazione manifestavano l'incertezza dei primi inizi e allo stesso tempo la loro lungimiranza.

Il testo dei due discorsi scambiati fra il Papa e il Patriarca e il comunicato comune davano il senso di un incontro che è all'origine di un grande sviluppo, che andò consolidandosi nelle relazioni fra cattolici e ortodossi.

A questo riguardo vanno rilevati alcuni elementi principali:

a) L'incontro fra un Papa e un Patriarca ecumenico avveniva dopo secoli. Si aveva la chiara percezione di essere di fronte ad un evento storico e ad un segno della Provvidenza. Il Patriarca considerava appunto "come avvenimento di portata e di importanza eccezionali nella storia e nella vita della Chiesa di Cristo quanto, per il concorso e la benevolenza divina, si realizza in questo momento".

b) La parola prende il posto del silenzio secolare. Il comunicato congiunto notava: "Dopo tanti secoli di silenzio, essi si sono ora incontrati nel desiderio di realizzare la volontà del Signore e di proclamare l'antica verità del suo Evangelo affidato alla Chiesa".

c) Il segno più tragico della divisione era stato l'estraneamento dalla preghiera comune e dalle preghiere degli uni per gli altri. Nell'incontro di Gerusalemme si era letta insieme la Scrittura e si era pregato insieme il "Padre nostro" in cui, tra l'altro si chiedeva al Padre, di "rimettere a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori".

d) Il gesto che aveva caratterizzato l'incontro era stato l'abbraccio. Il Papa lo spiegò così: "Di questa carità siano simbolo ed esempio il bacio di pace (pacis osculum) che il Signore ci ha permesso di scambiarci in questa terra benedetta, e la preghiera che Gesù ci ha insegnato e che noi reciteremo insieme fra breve".

e) Dai discorsi scambiati emergeva la visione del dialogo futuro nella duplice espressione di dialogo della carità e di dialogo teologico. Il Papa dichiarò che quell'incontro esprimeva la "volontà profonda ... di lavorare per superare le disunioni, ed abbattere le frontiere, di impegnarsi in modo risoluto nella via che porta alla riconciliazione".

f) L'incontro di Gerusalemme costituiva in se stesso il nuovo simbolo ecumenico. Il Papa e il Patriarca erano partiti da due città diverse, Roma e Istanbul. Ciò comportava due situazioni differenti, due tradizioni ecclesiali, anche due sentimenti spesso contrastanti. Ora si avviavano ognuno per la sua via verso lo stesso punto. Per i cristiani è il punto centrale: là dove è morto e risorto Gesù Cristo. Dove si è operata la salvezza del mondo.

L'incontro di Gerusalemme aprì la via ad un processo di iniziative significative per la ricomposizione dell'unità. La prima - e forse la più significativa dal punto di vista spirituale - fu l'atto ecclesiale (7 dicembre 1965) con cui Roma e Costantinopoli con un atto comune, dettagliatamente studiato, condannarono all'oblio e tolsero dal mezzo della Chiesa il ricordo delle scomuniche fra il delegato papale, il Cardinale Umberto da Silva Candida e il Patriarca Cerulario di Costantinopoli (1054). Il ricordo di quelle scomuniche, sebbene fossero state comminate a livello personale, rimaneva come una sorgente di permanente intossicazione fra le Chiese.

Nel tempo ne seguiva uno scambio di visite fra i Papi e i Patriarchi di Costantinopoli che diventava simbolo dell'incontro da promuovere e intensificare fra Roma e Costantinopoli. Nel 1967 ebbe luogo uno scambio di visite fra Paolo VI, che si recò al Fanar (5 luglio 1967), e il Patriarca Athenagoras a Roma (26 ottobre 1967). La vicinanza dei due incontri, i discorsi scambiati, gli impegni presi, la preghiera fatta insieme divennero l'emblema di una nuova epoca.

La visita diventava un nuovo stile nelle relazioni tra le Chiese. Questa prassi antica ritornava ad essere attuale. La visita stessa era piena di elementi che aiutano la crescita della comunione, la conoscenza personale e il rafforzamento della fiducia reciproca, la preghiera comune e lo scambio di doni simbolici, il dialogo, le affermazioni della fede comune e l'identificazione delle divergenze. La visita si trasformava in "pellegrinaggio", come Papa Paolo VI ha definito il suo viaggio al Fanar, e diventava incontro di persone, di fede, di impegno e di speranze. La visita segnava l'inizio del passaggio dall'isolamento alla comunione, al "ritrovamento progressivo delle nostre Chiese".

Questa prassi continuò e così, per la festa di S. Andrea (30 novembre) nel 1979, il nuovo Papa Giovanni Paolo II fece la sua prima visita ecumenica proprio al Patriarcato Ecumenico. Nel frattempo era stata fatta la preparazione tecnica per iniziare il dialogo teologico (1976-1978) ed era stato in quella occasione che, in una dichiarazione comune il Papa e il Patriarca Dimitrios I, rendevano pubblica la costituzione della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico cattolico-ortodosso.

Il successore del Patriarca Dimitrios I, S.S. Bartolomeo I, è venuto a Roma più volte. Per la prima volta come Patriarca venne per la festa di S. Pietro nel 1995. Nel discorso pronunciato nella Basilica Vaticana il Patriarca Bartolomeo rivolgendosi al Papa disse: "La festa dei santi Apostoli ha condotto la nostra umile persona e coloro che ci accompagnano in questa città dei grandi martiri della Chiesa, dei grandi trionfi dell'amore verso Dio ... La nostra Chiesa della Nuova Roma festeggia qui con voi la festa patronale dell'antica Roma, il 29 giugno, la festa dell'apostolo S. Pietro, il protocorifeo, fratello di Andrea, e quella di S. Paolo, l'Apostolo delle nazioni".

La dimensione ecumenica venne sottolineata da Papa Giovanni Paolo II nel discorso rivolto al Patriarca durante l'udienza concessa a lui e al suo seguito. Il Papa disse: "Nella vostra persona, Santità, e in coloro che vi accompagnano, intendo salutare il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico e tutti gli ortodossi del mondo. Ai miei occhi, la vostra presenza manifesta il ricchissimo patrimonio culturale e la varietà dei doni delle Chiese ortodosse. Oggi e dopo i grandi cambiamenti di questi ultimi anni, le Chiese ortodosse dedicano tutti i loro sforzi a riorganizzare la loro vita pastorale e la loro azione evangelizzatrice. Esse possono essere sicure della nostra simpatia e della nostra disponibilità per una collaborazione al servizio dell'annuncio dell'unico Evangelo". Un simbolo di un tale comune impegno è stato manifestato con la recita, durante la Liturgia Eucaristica sull'Altare della Confessione, del Credo nella forma originale in lingua greca fatta insieme dal Papa e dal Patriarca. In seguito il Patriarca Bartolomeo è venuto altre due volte a Roma. L'ultima volta è stata per i funerali di Papa Giovanni Paolo II di felice memoria.

Ora S.S. Benedetto XVI restituisce la visita a S.S. Bartolomeo I e al Patriarcato ecumenico nel segno della fraternità ecclesiale e nel comune impegno di continuare ed intensificare la ricerca della piena comunione.

 

II. Scambio di delegazioni

Le relazioni fra Roma e Costantinopoli non si sono limitate a relazioni al più alto livello, ma si sono estese ed hanno assunto forme diverse (partecipazione ad eventi ecclesiali, consultazioni per la promozione dell'unità, scambi culturali). La più regolare è lo scambio di delegazioni per la festa dei Patroni della Chiesa di Roma e di quella di Costantinopoli, dando origine ad una nuova testimonianza di fraternità ecclesiale fra Roma e Costantinopoli.

La prima occasione è stata la celebrazione del XIX centenario del martirio dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno 1967), dichiarato dalla Chiesa di Roma come "anno della fede". La Santa Sede aveva invitato il Patriarcato Ecumenico. Il venerato Patriarca Athenagoras accoglieva l'invito e inviava a Roma una Delegazione composta da due metropoliti, da un archimandrita e da un diacono. In un telegramma di ringraziamento Paolo VI esprimeva questo auspicio: "Che il bacio di pace scambiato durante la liturgia sia segno premonitore della celebrazione che verrà un giorno come frutto della piena unità che noi ardentemente desideriamo vedere ristabilita nella piena fedeltà alla volontà del Signore".

Dopo la morte del Cardinale Bea (1968), veniva elevato al cardinalato e nominato Presidente del Segretariato per l'Unione dei Cristiani, Giovanni Willebrands (aprile 1969). Questi prese l'iniziativa di fare visita al Patriarcato Ecumenico considerando la festa (30 novembre) di S. Andrea, fratello di S. Pietro, come l'occasione propizia.

Lo scopo di questa visita, oltre a partecipare alla celebrazione ortodossa della festa di S. Andrea, come scriveva il Cardinale Willebrands al Patriarca Athenagoras, era quello di "fare il punto delle relazioni tra le nostre Chiese e di dare al nostro comune sforzo un nuovo impulso".

Si delineava la prassi dello scambio regolare annuale di delegazioni per la partecipazione reciproca alle feste patronali. Questo scambio di visite (a giugno ed a novembre), diventato stabile, è progressivamente cresciuto per interesse e utilità per la concertazione delle iniziative fra Roma e Costantinopoli.

 

III. Dichiarazioni comuni

In occasione dello scambio di visite fra i Papi e i Patriarchi sono state firmate varie dichiarazioni comuni. Esse ricalcano due tematiche delle quali si segnalano evoluzioni, problematiche incontrate e auspici per il superamento di situazioni che ancora impediscono la piena comunione. Da una parte esse si concentrano direttamente sui rapporti fra la Chiesa di Roma e il Patriarcato ecumenico. Va menzionata qui l'indicazione della dichiarazione comune che ha concluso la visita a Roma del Patriarca Athenagoras. Tra l'altro vi si dice: "Il Papa Paolo VI ed il Patriarca Ecumenico Athenagoras I sono convinti che il dialogo della carità tra le loro Chiese deve portare frutti di collaborazione disinteressata sul piano di un'azione comune a livello pastorale, sociale e intellettuale in un mutuo rispetto della fedeltà degli uni e degli altri alle proprie Chiese. Essi fanno voti perché possano svolgersi contatti regolari e profondi tra pastori cattolici e pastori ortodossi per il bene dei loro fedeli".

Ma quelle Dichiarazioni comuni toccano spesso il tema del dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Come si è accennato questo dialogo è stato aperto con la pubblicazione della composizione della Commissione mista internazionaleavvenuta in occasione della visita di S.S. Giovanni Paolo II al Patriarca Dimitrios I (1979). La dichiarazione comune che ha concluso la visita ha sottolineato l'esigenza di coltivare sempre il dialogo della carità che deve accompagnare il dialogo teologico. "Il dialogo della carità, radicato in una fedeltà piena all'unico Signore Gesù Cristo e alla sua volontà sulla sua chiesa, ha aperto le vie a una migliore comprensione delle reciproche posizioni teologiche e, da qui, a nuovi approcci del lavoro teologico e a un nuovo atteggiamento nei confronti del passato comune delle nostre Chiese".

Inoltre, la dichiarazione comune ha indicato la più ampia prospettiva del dialogo cattolico-ortodosso. "Questo dialogo teologico ha come scopo non soltanto il progresso verso il ristabilimento della piena comunione tra le Chiese-sorelle cattolica e ortodossa, ma anche di contribuire ai molteplici dialoghi che si sviluppano nel mondo cristiano per la ricerca della sua unità".

 

Osservazione conclusiva

Lo scambio di visite fra i Papi e i Patriarchi ha assunto il significato di relazioni fra cattolici e ortodossi con le dimensioni dell'incontro, delle conversazioni, della preghiera comune, dello scambio del segno di pace, concepito come impegno di riconciliazione e di comunione. La recita comune del simbolo niceno-costantinopolitano durante la liturgia eucaristica sulla Tomba di S. Pietro è il nuovo simbolo dell'impegno comune di ristabilire la piena comunione di fede e di annuncio di questa fede alle nuove generazioni.