VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA E UNGHERIA
(13-20 AGOSTO 1991)

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITÀ EBRAICA

Nunziatura Apostolica di Budapest - Domenica, 18 agosto 1991

 

Illustri Signori!

1. Mi stava particolarmente a cuore incontrarvi personalmente durante questo viaggio, e ringrazio vivamente il Signore che ci dà oggi la grazia e la gioia di salutarci fraternamente e di testimoniare la nostra fede in Dio Creatore e Padre. A Lui elevo la mia preghiera perché benedica questo incontro e ci dia la pace: non solo la pace quale può essere desiderata e preparata con mezzi unicamente terreni e in prospettiva “mondana”, ma la Pace che è Shalom, presenza salvatrice di Dio nella storia umana.

2. Donaci la tua pace, Signore! Quante volte questa preghiera è stata rivolta a Dio, mentre vi riunivate in questo tempio, nei giorni in cui le nuvole oscure della persecuzione cominciavano ad addensarsi sulla Comunità ebraica di Ungheria e le misure odiose della discriminazione le rendevano la vita sempre più difficile. Nel vostro cuore si risvegliavano le preghiere che fin dall’antichità tante volte erano risuonate sulle labbra dei vostri padri: “O Dio, perché ci respingi per sempre, perché divampa la tua ira contro il gregge del tuo pascolo?” (Sal 74, 1). Ma la persecuzione si faceva sempre più dura. Vi attanagliava allora la paura per la vostra vita. A migliaia i membri della comunità ebraica erano imprigionati in campi di concentramento e progressivamente sterminati. In quei giorni terribili divenne di nuovo una realtà ciò che aveva detto il profeta Geremia: “Una voce si ode in Rama, lamento e pianto amaro; Rachele piange i suoi figli, rifiuta di essere consolata, perché non sono più” (Ger 31, 15).

Il mio pensiero va con commosso rispetto ai grandi credenti, che anche in quei giorni di angoscia e afflizione, in quei giorni di sterminio - “Yom Shoa”, secondo la parola di Sofonia (cf. Sof 1, 15) - seppero credere alle promesse del Signore e ripetere: “Egli ci ha straziati ed egli ci guarirà, egli ci ha percosso ed egli ci fascerà” (Os 6, 1). Noi siamo ora qui per adorare il Dio d’Israele, il quale anche questa volta ha steso la sua mano protettrice sopra un resto benedetto del suo popolo. Quante volte questa redenzione misteriosa si è ripetuta nella vostra storia!

3. Sostenuto dalla sua fede nel Signore, il popolo ebraico ha conservato, anche nella dispersione plurimillenaria, la sua identità, i suoi riti, le sue tradizioni, ed anzi ha contribuito positivamente alla vita spirituale e culturale del mondo, particolarmente in Europa. Anche in questo Paese voi avete alle spalle una lunga storia di dedizione generosa e di intelligente impegno. Ed oggi, dopo il periodo oscuro in cui sembrò che gli ebrei dovessero essere completamente sterminati, voi siete nuovamente presenti e date un apporto significativo alla vita nazionale magiara. Mi rallegro della vostra attiva presenza che rivela la nuova vitalità del vostro popolo. Ma insieme ricordo tutti e singoli gli ebrei - donne e bimbi, vecchi e giovani - i quali, pur perdendo la vita, custodirono la loro fiducia nelle promesse del Signore. Credo infatti fermamente che anche nella loro persona si avvera la parola di Dio scritta nel libro di Daniele: “Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno... I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento . . .” (Dn 12, 2-3).

La sicura aspettativa della risurrezione dei morti è un tesoro che tanti figli di Israele scoprirono proprio nel momento in cui la loro fiducia incondizionata in Dio dovette misurarsi con l’evidenza di una situazione umanamente disperata. Quest’aspettativa intrisa di messianica speranza costituì uno squarcio nell’orizzonte umano oscuro, e dischiuse una dimensione decisiva della loro esistenza. Accolgo con profondo rispetto la testimonianza di questi coraggiosi giusti; sono persuaso che la loro convinzione non è stata delusa, e nutro fiducia che quanti condividono una tale aspettativa avranno sempre la forza di ubbidire ai precetti di Dio.

Vorrei anche ricordare quanto eminenti uomini della Chiesa Cattolica, qui in Ungheria come altrove, hanno fatto per la difesa degli ebrei, nei limiti che le circostanze permettevano, impegnandosi con coraggio, come hanno fatto il Rappresentante Pontificio, Monsignor Angelo Rotta, e Monsignor Apor, Vescovo di Györ.

4. Il nostro sguardo adesso si rivolge dal passato verso un avvenire di riconciliazione nella giustizia. Ancora una volta deploro e condanno, insieme con voi, la malvagità che vi ha fatto soffrire e che ha fatto morire tanti altri. Certo, dobbiamo cercare di “estirpare il male di mezzo a noi” (cf. Dt 17, 7), ma ciò che ora s’impone non è tanto il desiderio di vendetta verso i malvagi, giacché conviene lasciare a Dio il supremo giudizio, quanto piuttosto l’impegno perché mai più l’egoismo e l’odio possano seminare sofferenze e morte. Dobbiamo far sì che la giustizia domini almeno in quella parte del mondo su cui possiamo esercitare un certo influsso, e principalmente cominciando dai nostri cuori, dalle nostre famiglie, da coloro che ci sono vicini.

Questa lotta contro l’odio e contro l’egoismo è una esigenza inalienabile della fedeltà alla legge di Dio. Il precetto “amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19, 18) riguarda in primo luogo il rapporto reciproco fra i figli di Israele, ma non permette neppure l’indifferenza verso gli altri. “Il Signore Dio vostro... ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese di Egitto” (Dt 10, 17-19). La faticosa ricerca della giustizia, dell’amore e della pace deve cominciare da noi stessi. Sarebbe illusorio pensare che la forza oscura dell’egoismo e dell’odio ingiusto restino totalmente fuori dalla nostra vita e non inquinino in nessun modo la nostra stessa esistenza. “L’istinto del cuore umano è inclinato al male, fin dall’adolescenza” (Gen 8, 21), dice il Signore. E questa inclinazione trova risonanza nei nostri comportamenti. Perciò, con l’aiuto potente di Dio, l’autentica liberazione dal male è un continuo passaggio attraverso il Mar Rosso, e comporta una lotta paziente, mediante la quale progredire nella conversione quotidiana del cuore, o Teshuvà, nella penitenza, nel digiuno, nelle opere di misericordia.

Uniamoci dunque nella sincera ricerca in noi e intorno a noi, di giorno in giorno, della bontà e della pace, affinché, grazie anche al nostro impegno, sia sempre più radicalmente vinta la malvagità che detestiamo, e sia sempre più diffuso in noi e intorno a noi il regno della giustizia, dell’amore e della pace, che corrisponde all’intenzione del Creatore. “L’amore per un medesimo Dio deve tradursi in una concreta azione in favore dell’uomo . . . nella ricerca della giustizia sociale e della pace, a livello locale, nazionale e internazionale” (Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione Nostra aetate, 4: Enchiridion Vaticanum, vol. 5, p. 513).

5. Conoscendo la nostra debolezza, e avendo fiducia nella forza di Dio che opera in noi e ci libera dal male, ricorriamo a Dio liberatore. Colui che ha strappato il suo popolo dalle schiavitù esteriori, ci libererà anche dalle schiavitù interiori. Il volto del Signore illumini il nostro cuore, perché non fissiamo lo sguardo nel ricordo amaro dei torti ricevuti, né aspettiamo che gli altri diventino buoni per primi, ma progrediamo noi stessi nella conversione al bene e, dimentichi del passato, cooperiamo col Creatore nel costruire un più luminoso avvenire.

Tale è stato appunto il grande insegnamento del Concilio Vaticano II, che ha esortato tutta la Chiesa a meditare sul vasto tesoro costituito dal “comune patrimonio spirituale” (Nostra aetate, 4) che ci unisce con la stirpe di Abramo, per trarre da questo patrimonio rinnovato slancio di fede e di azione. E da questa convinzione scaturisce un impegno comune per cristiani ed ebrei a meglio conoscersi, a dialogare, a cooperare intensamente nel campo dei diritti umani, dell’educazione religiosa, della lotta all’antisemitismo, secondo il programma definito a Praga nel 1990 dal Comitato misto cattolico-ebraico, in spirito di fraterna stima.

Di fronte al rischio che risorgano e si diffondano sentimenti, atteggiamenti e iniziative antisemite, di cui purtroppo si vedono oggi alcuni segni inquietanti, e di cui abbiamo sperimentato in passato i più tremendi frutti, occorre educare le coscienze a considerare l’antisemitismo, e tutte le forme di razzismo, come peccati contro Dio e l’umanità. Per questa educazione delle coscienze e in generale per una efficace collaborazione è da auspicare che possano essere istituiti anche comitati congiunti locali.

Sbocchi perciò, cari amici, questo nostro incontro in una fervida preghiera, sulla scia della commovente supplica del profeta: “Ricordati ora della tua potenza e del tuo nome, poiché tu sei il Signore nostro Dio, e noi ti loderemo, Signore” (Bar 3, 5-6).

Unisca questa preghiera tutti gli abitanti della Terra magiara, nella pace del Signore.

Al termine del discorso, il Papa aggiunge le seguenti parole:

Grazie per questo incontro che ha creato tra noi un legame. Come ci insegnano i grandi filosofi, per il dialogo è necessario stabilire un “io” e un “tu”. Per il dialogo è necessario un contatto profondo, ma anche un breve contatto è utile.