LA SPERANZA NELLA VENUTA DEL FIGLIO DELL´UOMO [1]

 

Kurt Cardinale Koch

 

Delle tre dimensioni del tempo, gli uomini oggi si sentono prevalentemente toccati da quella del passato. Spesso hanno l’impressione che il loro presente sia così segnato da ciò che hanno ereditato dal passato, a livello personale, familiare ed umano, che solo a fatica riescono a tener testa al presente e a trovare la loro strada verso il futuro. In questa dominante percezione del tempo, raramente ci rendiamo conto che, invece, è principalmente il futuro ad influenzare il nostro presente. Proprio perché non è ancora a nostra disposizione, ma si cela nel mare ancora aperto delle possibilità apparentemente infinite, il futuro determina il nostro presente nella maniera più persistente.

 

Naturalmente, nella nostra vita, esistono momenti privilegiati nei quali prendiamo coscienza di questo. Uno di tali momenti è senza dubbio il tempo in cui ci avviciniamo alla fine dell’anno liturgico. I brani evangelici previsti nella liturgia di questo tempo indirizzano la nostra attenzione verso il futuro, ma non un futuro qualsiasi, non un futuro che, pianificabile da noi uomini, è in realtà solo un presente prolungato, ma un futuro che giunge a noi provenendo da Dio, e più precisamente dal Figlio dell’Uomo. Il futuro a cui si interessa la fede cristiana non è il “futurum”, ma l’“adventus”. Ma “avvento” è la traduzione latina del termine greco “parousia”, che significa “venuta”. Nel mondo antico, questa parola era un termine tecnico per indicare la presenza del re, quando offriva ai suoi sudditi il tempo della sua “parusia”, del suo presente. Anche nella fede cristiana si tratta di una venuta, ovvero della presenza di Dio nel nostro mondo, e più precisamente del ritorno del Figlio dell’Uomo. Nella chiesa primitiva, l’attenzione era rivolta alla parusia in senso letterale, ovvero alla seconda venuta del Figlio dell’Uomo, e, per questo, il tempo dell’Avvento non segnava l’inizio dell’anno liturgico, ma la sua conclusione.

 

Il rischio e il beneficio di un giudizio

Questo spiega anche perché la speranza nella parusia del Figlio dell’Uomo è legata alla speranza in un giudizio definitivo, come esprimiamo tutt’oggi nel Credo apostolico: credo in Gesù Cristo, che di nuovo verrà “per giudicare i vivi e i morti”. Questo articolo di fede non è oggi tra i contenuti particolarmente amati della fede cristiana e dell’annuncio della Chiesa. Piuttosto, ci è d’intralcio nelle nostre rappresentazioni – a volte troppo ingenue – di un Dio amorevole e misericordioso. Non di rado, il discorso sul giudizio del Figlio dell’Uomo non riesce neppure a passare la censura delle nostre menti moderne.

Per capire meglio questo rifiuto dell’idea di un giudizio, dovremmo tener presente che non si tratta solo del giudizio di Dio. Il giudizio non è solo una realtà divina, ma anche un’istituzione terrena. Molti oggi accoglierebbero favorevolmente l’abolizione, nel nostro mondo, dell’istituzione del giudizio. In tal modo – questa è la speranza di molti – si finirebbe con la presunzione umana di dover e di poter condannare altri uomini. E così si compirebbero persino le parole di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati” (Lc 6, 37). Se, in questo senso, nessuno venisse più condannato, non sarebbe meraviglioso?

Dall’altro canto, però, è inevitabile chiedersi quale sarebbe il costo da pagare se nel mondo non ci fosse più l’istituzione del giudizio. Allora i colpevoli non verrebbero più dichiarati colpevoli e i criminali condannati. E, soprattutto, gli innocenti non sarebbero più tutelati nei loro diritti. Persino gli assassini potrebbero trionfare sulle loro vittime. Coloro che, sulla propria pelle, hanno fatto l’esperienza di cosa significhi non aver alcun giudice si opporrebbero all’idea che il mondo rinunci alla sua responsabilità giudicante. E di certo i poveri e i perseguitati griderebbero e chiederebbero: Giudicate infine! Fate infine valere il diritto sulla terra e ripristinate la giustizia!

 

Il giudizio del Figlio dell’Uomo

Se ci poniamo di fronte a queste domande, ci risulterà evidente che l’istituzione del giudizio nel mondo, nonostante tutte le ambiguità esistenti, è in ultima analisi un bene per noi uomini. Ed impareremo nuovamente ad essere lieti e grati del fatto che anche la nostra fede cristiana concepisce l’idea di un giudizio. È soprattutto il nostro desiderio di giustizia che ci fa sperare in un giudizio divino. Se il mondo e noi uomini non andassimo incontro ad un giudizio divino, allora la storia del mondo sarebbe essa stessa il giudizio del mondo – e questo sarebbe terribile. Gli assassini trionferebbero realmente sulle loro vittime, e i vittoriosi nella storia del mondo avrebbero la meglio, per l’eternità, su coloro che hanno oppresso. Se non ci fosse alcun giudizio, sarebbe il segno di una terribile assenza di Dio e di un suo terribile disinteresse nei confronti di noi uomini.

Ma la Sacra Scrittura contiene il messaggio riconfortante che Dio nutre un interesse vitale per il creato e per ogni singola creatura. Il fatto che Dio si rivolgerà ancora una volta alla mia vita vissuta per giudicarla mi conferma che non gli sono mai indifferente. Poiché tutta la storia del mondo verrà valutata e giudicata da Dio, essa sarà presa profondamente sul serio nella sua dignità. Pertanto, non può esserci giudizio più severo e insieme più riconfortante di quello divino, operato dalla grazia. Infatti, il Dio misericordioso e benevolo non lascia semplicemente prevalere, come è comune tra noi uomini, la grazia sulla giustizia; piuttosto, egli è giusto con la sua grazia.

Le cose stanno così soprattutto perché il giudice sarà precisamente il Figlio dell’Uomo, così come ci viene presentato in particolare dall’evangelista Matteo nel suo annuncio riguardante il giudizio finale sul mondo. L’aspetto entusiasmante di tale annuncio consiste nel fatto che il Figlio dell’Uomo non solo si schiera a favore dei poveri e dei sofferenti, di coloro che hanno fame e sete, di coloro che non hanno di che vestirsi e di coloro che sono stati privati della loro libertà, ma addirittura si identifica con loro: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Il Figlio dell’Uomo lascia dunque intendere che egli si cela nel nostro mondo in tutti coloro che sono afflitti, poveri ed emarginati. Essi sono il luogo privilegiato della presenza del Figlio dell’Uomo nel nostro mondo, sono la sua epifania celata, ma molto reale. Il teologo cattolico svizzero Hans Urs von Balthasar ha parlato per questo di un “sacramento del fratello”, interpretandolo così: il fratello diventa “portatore del discorso interlocutorio di Dio, del sacramento della Parola di Dio a me rivolta. Questo sacramento è amministrato nella quotidianità, non nello spazio di una chiesa. Nel colloquio, non durante l’omelia. Non nella preghiera e nella meditazione, ma là dove viene alla luce se ho ascoltato realmente la Parola di Dio nella preghiera.”[2]

 

Il giudizio di Dio nella quotidianità

Il sacramento del prossimo ci esorta ad incontrare il Figlio dell’Uomo anche nella quotidianità, come pure a fare l’esperienza della sacramentalità del quotidiano, a cui fa riferimento anche Paolo nella lettura odierna, sottolineando che il regno di Dio “non è cibo o bevanda”, ma “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”. Alla luce di ciò, possiamo capire anche l’affermazione, a prima vista strana, contenuta nel Vangelo odierno, secondo la quale il regno di Dio non viene tramite segni appariscenti, in modo da attirare l’attenzione. Infatti, il regno di Dio “è in mezzo a voi”. Ciò non significa che il regno di Dio non abbia una realtà esteriore e che si trovi solo nell’interiorità dell’uomo. Piuttosto, con queste parole, Gesù fa riferimento a se stesso: egli stesso, che si trova in mezzo agli uomini, è il regno di Dio. Nella sua presenza e nella sua opera, Dio è presente nella storia come colui che agisce in maniera nuova e innovatrice. E noi siamo invitati ad incontrare colui che è in mezzo a noi e che ci dona la sua parusia, la sua presenza.

Riconoscere il Figlio dell’Uomo in mezzo a noi anche nel fratello e nella sorella poveri e sofferenti è possibile per noi cristiani soltanto se lo riconosciamo continuamente nella forma non appariscente del pane e del vino della celebrazione eucaristica. In questa celebrazione, infatti, sperimentiamo da vicino l’amore offertoci nel dono che il Figlio dell’Uomo ha fatto di sé al Padre e a noi uomini. L’eucaristia è la parusia del Figlio dell’Uomo nel presente e, dunque, un evento che è pienamente segno dell’Avvento. L’eucaristia ci riporta alla prima venuta del Figlio dell’Uomo duemila anni fa, rafforza la nostra speranza nella sua seconda venuta alla fine dei tempi e ci apre gli occhi sulla sua venuta nel presente. Il messaggio biblico alla fine dell’anno liturgico ci invita a vivere come cristiani tutte le dimensioni del tempo. Come in un cristallo, ecco riassunto il significato della fede cristiana: il Figlio dell’Uomo è venuto, egli verrà, egli viene anche oggi.

Vivere fin da ora queste tre dimensioni del tempo in maniera esemplare dal punto di vista cristiano è la particolare vocazione di una comunità monastica. Essa è infatti chiamata a vivere sul modello della comunione degli angeli. Questo non significa che i monaci fluttuano al settimo cielo e che cessano di essere uomini e dunque peccatori; i monaci sanno bene che non è così. Ai tempi dei padri della Chiesa, si è però parlato della vita dei monaci in termini simili a quelli usati per la vita degli angeli. Si riteneva infatti che la caratteristica essenziale degli angeli fosse quella di adorare il Signore; diventare monaci significa dunque far sì che la propria vita sia, come quella degli angeli, una continua adorazione. Nella liturgia dell’adorazione, segnata dalla pura gratuità, sono unite le tre dimensioni del tempo, ed è per questo che essa proclama il lieto annuncio: il regno di Dio, che è il Figlio dell’Uomo, è “in mezzo a voi”.

 

Lettura:   Rm 14,17-19

Vangelo:  Lc 17,20-25

                                     

 

 

[1] Omelia durante la celebrazione eucaristica in occasione della riunione del Comitato di Coordinamento della Commissione Mista Internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel Monastero di Bose, il 15 novembre 2018.

[2] H. U. von Balthasar, Die Gottesfrage des heutigen Menschen (Wien 1956) 205 und 216.