IL BATTESIMO DI GESÙ COME INCORAGGIAMENTO ECUMENICO

 

Omelia per la celebrazione eucaristica del Consiglio di gestione del Comitato Cattolico per la collaborazione culturale nella cappella della Domus Sanctae Marthae, l’11 gennaio 2020

 

Ci viene tramandato dall’antica liturgia di Gerusalemme che, al momento dell’ammissione degli adulti nella comunità di fede della Chiesa, il candidato al battesimo, nel retro della chiesa, voltava le spalle all’ovest, come luogo di oscurità, e rinunciava per quattro volte al diavolo, alla sua pompa e a tutti i mali. Quindi si rivolgeva verso est come luogo del sole nascente e della luce, e confessava per tre volte la fede in Dio Padre, nel suo Figlio Gesù Cristo e nello Spirito Santo. Con il gesto di voltarsi da ovest a est, veniva liturgicamente inscenato ciò che il battesimo significa nella vita di una persona che diventa cristiana, vale a dire l’allontanamento dal male e l’avvicinamento al bene. Ciò era associato al nuovo orientamento della vita, nel senso originale del voltarsi verso oriente, verso il sole nascente, che è già sorto con l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo.

 

Transizione dalla morte alla vita nel battesimo

La liturgia battesimale primitiva mostra in modo chiaro che il battesimo è fondamentalmente collegato alla volontà di convertirsi. A questa profonda serietà del battesimo ci richiama la festa del battesimo del Signore da parte di Giovanni Battista sul Giordano. Il battesimo di Giovanni è infatti un battesimo di conversione, che comporta la confessione dei peccati. Questo battesimo è legato alla volontà di lasciarsi alle spalle il precedente stile di vita peccaminoso e di avventurarsi in una vita rinnovata.

Anche Gesù vuole ricevere questo battesimo di conversione. Egli vuole unirsi alla grigia folla dei peccatori che aspettano sulle rive del fiume Giordano per mostrarsi solidale con tutti coloro che hanno commesso una colpa, e adempiere in questo modo alla giustizia, come lui stesso sottolinea rispondendo al Battista. Tale atteggiamento mostra le ultime conseguenze del Natale per Gesù stesso: Dio, nel suo Figlio, non vuole farsi uomo in senso generale, ma in un senso concreto e personalissimo: innanzitutto nascendo come un bambino, ovvero come il più indifeso essere umano, e poi lasciandosi toccare dal mondo peccaminoso degli uomini per mostrarsi solidale con tutti i peccatori. Iniziando il suo ministero pubblico con la decisione di prendere il posto dei peccatori, Gesù anticipa già la croce. Il suo battesimo è infatti “accettazione della morte per i peccati dell’umanità”[1].

Alla luce della serietà radicale del battesimo di conversione di Giovanni e del battesimo vicario di Gesù, anche noi prendiamo consapevolezza della profonda serietà del nostro battesimo. Questa serietà è già evidente nel rito liturgico del battesimo, che Paolo descrive in modo molto incisivo. Egli interpreta il rito di immersione dei battezzati nell’acqua del battesimo come un’immersione nelle acque abissali della morte, in solidarietà con Gesù Cristo, che si è precedentemente immerso in quest’acqua oscura: “Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte” (Rom 6, 4a). Ed il ristoro tramite il bagno del battesimo viene inteso da Paolo come una risurrezione a una vita nuova e imperitura, sempre in solidarietà con Gesù Cristo, che è stato risuscitato dalla morte alla vita eterna di Dio nella potenza dello Spirito Santo: “come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rom 6, 4b). Essere battezzati significa quindi, come l’uomo vecchio, morire insieme a Cristo per essere risvegliati con Cristo attraverso il bagno del battesimo, come uomo nuovo.

Noi cristiani dovremmo pertanto vedere la vera linea di demarcazione della nostra vita non nella morte biologica che abbiamo ancora davanti a noi, ma nel battesimo, che rappresenta una morte molto più seria. Il battesimo è una fondamentale anticipazione della nostra morte, poiché in esso Dio ha già realizzato la nostra morte e la nostra rinascita: come Gesù Cristo, che si è immerso nel bagno della morte, ma da esso nella mattina di Pasqua è riemerso come uomo del tutto nuovo, così, tramite il bagno del battesimo, l’uomo si immerge nella tomba di Cristo per risorgere con lui come un uomo nuovo. Il battesimo rende partecipi all’evento salvifico della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, inscrive i battezzati nel movimento di Gesù Cristo dalla morte alla vita, ed opera già la transizione definitiva dei battezzati dalla terra della morte alla terra della nuova vita.

 

Il pentimento come mezzo per ravvivare il battesimo

Data la serietà del battesimo, che è una questione di vita o di morte, non dovrebbe sorprendere che Paolo ritenga insufficiente il nostro essere battezzati con un rito sacramentale. È molto più cruciale per lui il fatto che siamo “in Cristo” e che viviamo in una reciproca compenetrazione mistica di Cristo nel cristiano e del cristiano in Cristo. Il battesimo implica un cambiamento radicale dell’esistenza, un passaggio dalla vita “secondo la carne”, consegnata al peccato e alla morte, alla vita “secondo lo spirito”, guidata dallo Spirito di Dio nel senso della liberazione verso il vero sé, che deve prendere forma in un cambiamento credibile di stile di vita.

Ha quindi senso che il perdono dei peccati e il pentimento nella Chiesa primitiva fossero associati al sacramento del battesimo, come confessiamo nel credo niceno-costantinopolitano “un solo battesimo per il perdono dei peccati”. Pertanto, la conversione e il pentimento cristiani devono sempre servire a ravvivare il battesimo, come ha ricordato alla Chiesa in modo particolare il riformatore Martin Lutero. Il suo punto di partenza era l’unicità del battesimo come fondamento della nuova vita nell’esistenza cristiana, a cui collegò l’esperienza della necessità di un pentimento rinnovato anche dopo il battesimo. Ecco perché sottolineò l’importanza di far proprio continuamente ciò che, per volontà di Dio, è già accaduto a noi cristiani una volta per tutte nel battesimo: il cristiano dovrebbe vivere il proprio battesimo “come l’abito quotidiano che deve sempre portare addosso”. L’effetto determinante del battesimo risiede proprio nel pentimento: “Quindi se vivi nel pentimento, sei nel battesimo”.[2]

La conversione e il pentimento cristiani devono sempre assumere la forma del ricordo e del ravvivamento del battesimo. Ma quando il ricordo del battesimo trova il suo posto nella consapevolezza cristiana del pentimento, ecco che esso si accorda profondamente alla gioia della nuova vita in Cristo. Poiché il battesimo anticipa già la nostra morte e la immerge nella morte di Cristo, nella vita del cristiano può aprirsi pienamente la gioia pasquale.

 

Riconoscimento del battesimo e conversione a Cristo

Ciò mette anche in luce le conseguenze ecumeniche del battesimo e del pentimento. Comprendere il pentimento come una continua, permanente riappropriazione del senso del battesimo è di fondamentale importanza, soprattutto dal punto di vista ecumenico. Sin dall’inizio, il movimento ecumenico ha insistito sul battesimo comune a tutti i cristiani come punto di partenza di ogni sforzo ecumenico. Ancora oggi l’ecumenismo si regge e cade con il reciproco riconoscimento del battesimo. L’ecumenismo cristiano è sempre un ecumenismo battesimale. Esso richiede a tutti i cristiani e a tutte le Chiese di prendere molto sul serio il battesimo e, partendo da questo, di comprendere e di vivere l’impegno ecumenico come pentimento e conversione a Cristo e all’unità che ci è già stata donata in lui.

La conversione è dunque la linfa vitale del vero ecumenismo, come ha affermato il decreto ecumenico del Concilio Vaticano Secondo “Unitatis redintegratio”: “Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione. Infatti il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento dell’animo, dall’abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità.”[3] Nella sua enciclica pionieristica sull’impegno ecumenico “Ut unum sint”, pubblicata un quarto di secolo fa, Papa Giovanni Paolo II sottolinea che l’intero decreto sull’ecumenismo è “pervaso dallo spirito di conversione”[4]. Non si tratta primariamente della conversione degli altri, ma della nostra stessa conversione, il che comporta la disponibilità di valutare in maniera autocritica le proprie debolezze e le proprie mancanze, di riconoscerle con umiltà e di misurarsi sempre con il vangelo di Gesù Cristo. Il movimento ecumenico è stato un movimento di conversione sin dall’inizio, nella convinzione che noi cristiani possiamo trovare l’unità che ci è già stata donata in Cristo se, insieme, a lui ci rivolgiamo.

La vita del battesimo comune, nel reciproco riconoscimento del battesimo e nell’aiuto vicendevole a vivere come battezzati, e la conversione comune a Gesù Cristo sono le conseguenze ecumeniche della festa odierna del Battesimo del Signore. Le due figure del vangelo di oggi, Gesù, che prende il posto dei peccatori, e Giovanni Battista, che appella alla conversione, sono infatti inscindibilmente legate. Senza ascoltare l’urgente appello del Precursore al pentimento, non possiamo avvicinarci a Gesù Cristo, che a sua volta ha accolto il messaggio di Giovanni nel suo sermone: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15).

Nel giorno della festa del Battesimo del Signore, con l’appello lanciato da Gesù non solo concludiamo il ciclo liturgico natalizio ed entriamo nel tempo ordinario della Chiesa, ma proseguiamo il nostro lavoro ecumenico forti di questo incoraggiamento, con la gioia che, nel battesimo di Gesù, il cielo si è aperto e la voce dall’alto ha espresso a Gesù la più bella accoglienza: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento.” Annunciare questo compiacimento di Dio nel mondo di oggi è il compito comune di tutti i battezzati.

 

 

[1] J. Ratzinger – Benedikt XVI., Jesus von Nazareth. Erster Teil: Von der Taufe im Jordan bis zur Verklärung (Freiburg i. Br. 2007) 45.

[2] Die Bekenntnisschriften der Evangelisch-Lutherischen Kirchen (Göttingen 1976) 706-707.

[3] Unitatis redintegratio,  7.

[4] Giovanni Paolo II, Ut unum sint,  35